L'attività professionale per un avvocato ricomprende necessariamente anche le fasi preventive di consultazione, che possono essere finanche preliminari alla notizia di un coinvolgimento dell'assistito in un procedimento penale; il divieto di utilizzazione ex art. 271, comma 2, c.p.p. opera quando le conversazioni o comunicazioni intercettate, seppur indirettamente, risultino pertinenti all'attività professionale tutelata dall'art. 200 c.p.p., quand'anche in assenza di un mandato, e quando le stesse riguardino fatti appresi in ragione della professione stessa.
Corte di Cassazione
sez. VI penale, ud. 4 aprile 2024 (dep. 8 maggio 2024), n. 18177
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro, riformava parzialmente l'ordinanza cautelare impugnata, applicando gli arresti domiciliari in sostituzione della custodia cautelare in carcere, nei confronti dell'avvocato S.F., indagato per il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.
2. Nell'interesse del ricorrente sono stati presentati due distinti ricorsi (a firma degli Avvocati Rotundo e Accorretti) che pongono questioni sostanzialmente sovrapponibili, con la conseguente possibilità di una sintesi congiunta dei motivi.
2.1. In entrambi i ricorsi si deduce la violazione degli artt. 103,200 e 271 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, in merito alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche svolte a carico dell'avvocato S.F..
I ricorsi esaminano nel dettaglio le specifiche intercettazioni ritenute rilevanti, sottolineando come il Tribunale del riesame avrebbe omesso di valutare la documentazione attestante l'assunzione della veste di difensore, in alcuni casi anche in epoca precedente o successiva rispetto alle conversazioni, violando il principio secondo cui sono inutilizzabili le intercettazioni svolte nell'ambito dello svolgimento dell'attività defensionale, anche se non formalizzata con il rilascio di apposito mandato. Si assume che il contenuto delle intercettazioni sarebbe stato sempre strettamente inerente allo svolgimento dell'attività difensiva, né risultava la violazione del segreto istruttorio, posto che l'avvocato S.F., anche quando aveva divulgato informazioni emerse in altri procedimenti, si era sempre limitato ad avvalersi di atti non più coperti da segreto.
In particolare, nel ricorso a firma dell'avvocato Rotundo, si indicano i casi specifici in cui il Tribunale del riesame aveva erroneamente escluso la sussistenza del mandato difensivo. Tale aspetto veniva ulteriormente valorizzato con riguardo alla posizione di D.M., sottolineando come le indagini a carico del ricorrente - in precedenza archiviate - erano state nuovamente avviate proprio sulla base delle intercettazioni intervenute con D.M., la cui inutilizzabilità per violazione dell'art. 103 cod. proc. pen. avrebbe inficiato la riapertura stessa delle indagini.
2.2. Ulteriore argomento comune ai due ricorsi in esame è quello relativo al giudizio di attendibilità espresso nei confronti dei collaboratori, nonché alla valenza indiziaria delle dichiarazioni dai predetti rese.
L'attenzione dei ricorrenti si pone essenzialmente sui contributi forniti da B.A. e E.M..
Per quanto attiene alle dichiarazioni di A., si sottolinea come questi si sia limitato a riferire che D.M. si rivolse a F.S. per conoscere gli atti di altro procedimento, al fine di valutare se vi fossero aspetti potenzialmente problematici per la sua posizione. A., tuttavia, ha precisato di non essere certo che l'avvocato cui si rivolse D.M. fosse proprio S.F., in ogni caso, quest'ultimo si sarebbe limitato a vagliare la posizione del proprio assistito sulla base di atti di indagine di un altro procedimento non più coperti da segreto e, quindi, liberamente valutabili.
Per quanto concernete le dichiarazioni di E.M., si evidenzia come questo sia stato ritenuto inattendibile in altri procedimenti e, in ogni caso, nei confronti di S.F. aveva reso dichiarazioni del tutto generiche e prive di elementi oggettivamente riscontrabili.
2.3. Altra censura comune attiene alla valorizzazione dei rapporti di cordialità e frequentazione che sarebbero emersi dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni dei collaboratori. Sottolineano i ricorrenti il vizio di motivazione afferente tale aspetto, sia perché desunto da modalità dell'agire professionale del tutto insindacabile (in particolare in ordine all'orario degli incontri con i propri assistiti), sia perché la frequentazione in contesti non professionali non costituirebbe di per sé elemento indicativo della commissione del reato.
2.5. Nei ricorsi in esame, infine, si deduce il vizio di motivazione e di violazione di legge relativamente alla ritenuta configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, rappresentando l'insussistenza di un apporto concreto e volontario rispetto all'attività del sodalizio, posto che gli interventi riconducibili all'avvocato S.F. dovevano tutti esser ritenuti mera esplicazione dell'attività difensiva, difettando anche l'elemento doloso richiesto dalla norma incriminatrice.
3. Gli avvocati Petrelli, nominato nel corso del giudizio di legittimità, e Accorretti depositavano memoria difensiva contenente motivi nuovi.
3.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta configurabilità del concorso esterno nel reato associativo, sottolineando come tale fattispecie richieda un apporto causale in favore del sodalizio e non già la mera agevolazione di singoli associati. Nel caso di specie, il Tribunale avrebbe omesso di applicare il principio secondo cui il concorso nel reato associativo presuppone l'accertamento di una condotta volta a conservare o rafforzare il sodalizio, non essendo sufficiente l'ausilio prestato per soddisfare interessi personali degli associati, ove pure si tratti di soggetti in posizione verticistica.
3.2. Con il secondo motivo, si reitera la dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto afferenti all'espletamento del mandato difensivo, sottolineando come il Tribunale avrebbe omesso di individuare specificatamente quali conversazioni dovevano ritenersi come "non pertinenti" allo svolgimento della funzione, tanto più che, nel caso di specie, l'indagato si era limitato a rendere edotti i propri assistiti del contenuto di atti, anche di altri procedimenti, di cui era venuto legittimamente a conoscenza.
In ordine alla rilevanza delle intercettazioni, nel ricorso si sottolinea come la riapertura delle indagini e la successiva adozione dell'ordinanza cautelare si fondino, essenzialmente, sulle captazioni, sicché il riconoscimento dell'inutilizzabilità dovrebbe condurre necessariamente all'annullamento del provvedimento impugnato.
3.3. Con il terzo motivo, anche questo integrativo del ricorso introduttivo, si deduce il vizio di motivazione in merito alla valutazione di attendibilità espressa nei confronti dei collaboranti A. e M., evidenziando come i predetti avrebbero genericamente riferito di apporti conoscitivi provenienti da S.F., senza ipotizzare l'accesso a fonti riservate.
Difetterebbe, inoltre, la convergenza delle chiamate in reità su un nucleo fattuale rilevante ai fini del riconoscimento della gravità indiziaria.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono fondati.
2. Preliminarmente deve esaminarsi l'eccezione di nullità del decreto di riapertura delle indagini, disposto sulla base delle intercettazioni dei colloqui intercorsi con D.M. che, secondo la prospettazione difensiva, risulterebbero inutilizzabili, in quanto attinenti all'espletamento dell'attività difensiva da parte dell'avvocato S.F..
L'eccezione è infondata, posto che la riapertura delle indagini presuppone esclusivamente l'acquisizione di meri elementi indiziari che, uniti a quelli già acquisiti in precedenza, giustificano la riattivazione delle investigazioni. Si deve, conseguentemente, affermare il principio secondo cui l'art. 414 cod. proc. pen. non richiede quale condizione necessaria per l'autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l'esigenza di nuove investigazioni (Sez. 5, n. 13802 del 17/2/2020, Cestaro, Rv. 278991), circostanza quest'ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la necessità di valutare nuove intercettazioni, aventi portata indiziante, salvo restando che il vaglio sulla loro utilizzabilità non può che essere rimandato alla fase successiva del giudizio.
Applicando tale principio al caso di specie, deve ritenersi che la valutazione circa l'inutilizzabilità di una o più intercettazione si colloca necessariamente a valle rispetto alla riapertura delle indagini, posto che presuppone un compiuto accertamento circa il ruolo assunto dagli interlocutori e il contenuto dei colloqui.
Il giudizio in ordine all'utilizzabilità della prova, pertanto, non può essere svolto in sede di autorizzazione alla riapertura delle indagini, posto che tale provvedimento è meramente finalizzato a verificare la necessità di nuovi accertamenti, senza che possa contenere anche un contenuto decisorio sulla validità delle acquisizioni. Quanto detto consente di escludere che, ove pure si pervenisse a ritenere l'inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento della richiesta di riapertura delle indagini, ne conseguirebbe l'invalidità di quest'ultimo provvedimento e della conseguente attività svolta.
3. L'esame dei motivi di ricorso presuppone il richiamo a quelle che, stando all'imputazione provvisoria, sarebbero state le modalità di commissione del reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Il contributo causale offerto dall'avvocato S.F. sarebbe essenzialmente consistito nell'aver consentito agli associati di eludere le investigazioni, di acquisire notizie riservate su indagini in corso e di aver garantito ai soggetti detenuti un canale di comunicazione con l'esterno.
Occorre premettere che l'ordinanza emessa dal Tribunale del riesame si caratterizza per una considerevole rimodulazione della base indiziaria posta a fondamento della conferma delia misura cautelare, rispetto a quanto ritenuto nell'ordinanza genetica.
In particolare, è stata esclusa l'attendibilità dei principali accusatori di S.F., individuabili in A.M. e R.M., i quali avevano descritto condotte puntuali e specifiche (soprattutto M.) concernenti contributi fattuali in favore degli associati e del sodalizio in quanto tale, sicuramente esulanti dall'attività difensiva legittimamente svolta dal ricorrente.
Per effetto della valutazione di inattendibilità compiuta dal Tribunale, insindacabile in questa sede, deve ritenersi che la base sulla quale operare il riscontro della gravità indiziaria risulti ridimensionata rispetto al quadro valutato nell'ordinanza genetica, il che impone necessariamente una più attenta valutazione delle residue emergenze istruttorie.
4. La questione centrale sulla quale si incentrano le doglianze difensive concerne la ritenuta utilizzabilità delle conversazioni intercettate che, secondo l'impostazione recepita dal Tribunale del riesame, non potrebbero ritenersi afferenti allo svolgimento dell'attività professionale.
Sul tema deve richiamarsi il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il divieto di utilizzazione, stabilito dall'art. 271, comma 2, cod. proc. pen., sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate, anche se indirette, siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen., ancorché non formalizzata in un mandato, e riguardino fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata, (da ultimo, Sez. 5, n. 31548 del 24/6/2021, Bisantis, Rv. 281685; si veda anche Sez.6, n. 18638 del 17/3/2015, Bellocco, Rv. 263548).
A fronte di tale principio, il Tribunale ha valorizzato il fatto che plurime conversazioni sarebbero intercorse con soggetti rispetto ai quali non era stato formalizzato alcun mandato difensivo, ovvero in relazione ai fatti per i quali l'interlocutore di S.F. non rivestiva la qualità di indagato.
La ricostruzione operata dal Tribunale del riesame non è condivisibile, posto che il divieto di utilizzazione deve essere riconosciuto anche in relazione alle ipotesi in cui un mandato difensivo non è stato formalizzato, posto che l'attività professionale ricomprende necessariamente anche quella fase di consultazione, eventualmente preliminare all'emersione stessa del coinvolgimento dell'interessato in attività di indagine.
Il fatto che, a seguito dell'adozione di misure cautelari o dell'emersione di attività di indagine, l'avvocato possa essere interpellato da soggetti fino a quel momento estranei alla specifica vicenda processuale non è un dato astrattamente incompatibile con lo svolgimento dell'attività professionale, tramandosi di rapporti che fisiologicamente si collocano in quella fase di generica consulenza, ordinariamente svolta nell'ambito della professione forense.
Parimenti non rilevante e il fatto che l'avvocato possa rivelare il contenuto di procedimenti, di cui è legittimamente a conoscenza, a soggetti formalmente estranei, sempre che tale condotta non sia strumentale rispetto al compimento di ulteriori e diverse attività delittuose.
Ciò posto, si ritiene che il vero discrimine tra quel che attiene allo svolgimento dell'attività latamente difensiva e quel che ne è sicuramente estraneo deve essere individuato nel contenuto dei colloqui, dovendosi stabilire se questi vertono su aspetti, sia pur potenzialmente, aventi rilevanza per il coinvolgimento dell'interlocutore in un procedimento penale.
Viceversa, ove l'interessamento in indagini penali, che non concernono direttamente l'interlocutore, è dettato da ragioni funzionali ad attività criminali diverse e rispetto alle quali non è individuabile un lecito apporto da parte del difensore, viene meno l'esigenza di tutelare il segreto della conversazione e il conseguente divieto di utilizzabilità.
In buona sostanza, il tema della inutilizzabilità delle intercettazioni riguardanti un esercente la professione forense non può essere risolto in linea generale, sulla base dell'esistenza o meno di un rapporto professionale, essendo richiesta una verifica in concreto del contenuto dell'interlocuzione che, per potersi ritenere pertinente all'attività difensiva, deve risultare funzionalmente connessa a quest'ultima e non già diretta ad acquisire informazioni per altri fini, potenzialmente concernenti attività illecite.
Tali principi non risultano concretamente applicati nell'ordinanza impugnata, nella quale sono stati valorizzati, ai fini di sostenere l'utilizzabilità delle intercettazioni, parametri non conformi al disposto normativo così come interpretato dalla giurisprudenza. Ne consegue che, nel giudizio di rinvio, il Tribunale dovrà rivalutare le intercettazioni rilevanti ai fini della gravità indiziaria, stabilendone la pertinenzialità rispetto all'espletamento dell'attività difensiva, intesa non già nella più ristretta accezione dell'adempimento del mandato difensivo, bensì tenendo conto anche di un'attività di consulenza, eventualmente preventiva e svolta in assenza di mandato, che ugualmente rientra nell'esercizio della professione forense.
Parimenti, non può escludersi la riconducibilità al legittimo svolgimento della professione quell'attività di informazione e consulenza preventiva resa dal difensore nei confronti di un prossimo congiunto del soggetto direttamente attinto dalle indagini, dovendosi riconoscere la possibilità che, come abitualmente avviene nel caso di applicazioni di misure cautelari, il primo contatto con il difensore non sia stabilito dal destinatario dei provvedimenti cautelari.
5. L'accoglimento di tale profilo di censura assume valenza assorbente, posto che - una volta escluse le dichiarazioni rese dai collaboranti M. e M. - la gravità indiziaria si fonda essenzialmente sulle intercettazioni acquisite.
Per mera completezza, infatti, deve sottolinearsi come colgano nel segno le censure difensive in relazione alla scarsa significatività delle dichiarazioni rese dai collaboranti ritenuti attendibili - A. e M. - di per sé non autosufficienti, una volta esclusa la rilevanza di quanto riferito da M. e in assenza di un adeguato riscontro proveniente dalle intercettazioni.
Anche gli ulteriori elementi indiziari evidenziati nell'ordinanza - quali l'abituale frequentazione di S.F. con alcuni degli associati e le sospette modalità di incontro - rappresentano dati che, per poter condurre all'affermazione della gravità indiziaria in relazione al reato di concorso esterno, devono essere necessariamente inseriti in un contesto dal quale emerga quale sia stato l'apporto concreto fornito dal ricorrente (escluse le condotte riferite da M.), desumibile essenzialmente dai ritenuti apporti conoscitivi forniti dal predetto agli appartenenti al sodalizio.
6. Alla luce di tali considerazioni, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, nell'ambito del quale il Tribunale dovrà rivalutare l'utilizzabilità delle intercettazioni sulla base dei parametri indicati in motivazione e, all'esito di tale selezione, stabilire la perdurante sussistenza della gravità indiziaria in relazione al reato di concorso esterno nel reato associativo, individuando in concreto l'apporto causale fornito dal ricorrente rispetto al sodalizio.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, c.p.p