La presunzione legale di colpa del custode si giustifica in ragione dell'idoneità della cosa a produrre un danno, conseguendone il dovere, per lo stesso custode, di adottare ogni misura idonea ad impedirne la verificazione. Fondamento della responsabilità del custode è dunque la sua violazione dell'obbligo di sorveglianza.
Un obbligo del genere, però, in tanto può sussistere, in quanto il terzo abbia un titolo per venire in (legittima) relazione con la cosa.
Il passaggio per il fondo altrui costituisce un illecito quando contraddice ad un divieto che derivi o dalla chiusura del fondo o da una manifestazione di volontà del proprietario, espressa in maniera certa, sulla cui cognizione da parte dei terzi non possa ricorrere dubbio: in difetto, il proprietario dimostra di considerare il passaggio di estranei nel suo fondo come non dannoso al godimento di questo e di volere precariamente tollerare il passaggio medesimo, il che però gli impone l'obbligo di mantenere l'immobile in condizioni di preservare l'incolumità del passante da pericoli imprevedibili in esso esistenti.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
27/08/1999, n. 8997
Composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati:
Dott. Vittorio DUVA - Presidente;
Dott. Renato PERCONTE LICATESE - Consigliere;
Dott. Giuliano LUCENTINI - Rel. Consigliere;
Dott. Mario FINOCCHIARO - Consigliere;
Dott. Donato CALABRESE - Consigliere;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZGelettivamente domiciliato in ** difeso da **
- ricorrente
contro
RB;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1053/96 della Corte d'Appello di VENEZIA, emessa il 24/01/96 e depositata il 25/07/96 (R.G. 283/92+401/95);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/02/99 dal Consigliere Dott. Giuliano LUCENTINI;
udito l'Avvocato GF;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con citazione notificata addì 8 novembre 1983 GZ, esponendo che nel novembre 1981, mentre vagava in un fondo non recintato di proprietà di PR, era caduto in una buca profonda oltre due metri, interamente coperta da folta vegetazione e non segnalata da cartelli o in altro modo, riportando danni alla persona, conveniva lo stesso R davanti al Tribunale di Rovigo affinché fosse condannato al risarcimento dei danni in tale modo cagionatigli.
2. Radicatosi il contraddittorio, il convenuto eccepiva di non essere proprietario del terreno in questione, avendolo alienato, già prima del fatto, a BR, ragione per cui lo Zchiamava in causa quest'ultimo, rinnovando in suo confronto la domanda.
Il R, costituitosi, ne contestava il fondamento, rilevando che - mentre l'accesso dello Znella sua proprietà era stato abusivo - imprudente appariva il comportamento di questo, essendosi introdotto in una costruzione, adibita a ghiacciaia, senza conoscere i luoghi.
3. Ritenuta la causa in decisione, con sentenza non definitiva 29 luglio 1991 l'adito Tribunale - che con precedente sentenza aveva respinto la domanda contro PR accoglieva essa domanda contro BR in punto di an debeatur, e successivamente, con sentenza definitiva 1 febbraio 1994, liquidava il danno in lire 27.000.000, oltre interessi.
4. Separatamente appellate dal Rle due sentenze, la Corte d'appello di Venezia, riunite le impugnazioni, respingeva la domanda, in quanto infondata, sulla base delle seguenti argomentazioni.
Essendo fra le facoltà del proprietario quella di escludere gli altri, non poteva lo Z invocare, in capo al R, il dovere di custodia ex art. 2051 c.c., tale dovere potendosi riconoscere nei soli confronti di chi si ponga legittimamente in contatto con la cosa. In ogni caso, la fattispecie non integrava l'ipotesi dell'insidia, ovvero una situazione di oggettivo pericolo "idonea ad ingannare o a non rendere vigile una persona normalmente accorta e prudente". Premesso che il manufatto in questione - coperto da vegetazione all'esterno - era costituito da un vano seminterrato a forma di cono con un'apertura sulla sommità, e con altra apertura, munita di porta, al livello del suolo, rispetto alla quale il pavimento, sottostante di circa due metri, era accessibile con una scala mobile, "il foro superiore e la porta non a livello del pavimento (dall'uno o dall'altra è precipitato l'infortunato) costituiscono elementi funzionali del manufatto, e non situazioni eccezionali o avulse dalla natura delle cose, e questa doveva utilizzarsi secondo la sua natura e destinazione, e non in modo anomalo". Ne derivava l'esclusione della responsabilità per custodia, essendo principio giurisprudenziale recetto che essa non opera nel caso di comportamento del danneggiato che utilizzi la cosa in modo non conforme alla sua destinazione.
5. Per la cassazione della sentenza lo Zproponeva ricorso sulla base di più motivi illustrati da memoria.
L'intimato non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e 841 c.c., 9 e 42 Cost., in relazione all'art. 360 n. 3 C.P.C., il ricorrente deduce:
6.1. il giudice d'appello aveva violato le norme che regolano il diritto di proprietà, con particolare riferimento alla funzione sociale di essa e al rapporto fra ius excludendi e accesso del terzo.
Premesso invero che il terreno in questione, sito in aperta campagna, in un'area frequentata da escursionisti e cercatori di funghi, non era recintato, né recava alcun cartello che manifestasse la volontà del proprietario di vietare l'accesso agli estranei o che indicasse che si trattava di proprietà privata, il disposto dell'art. 832 c.c., interpretato alla luce degli art. 42 co. 2 e 9 Cost., conduceva all'inevitabile affermazione dell'esistenza di un "diritto all'accesso alla natura", ond'era legittima, in quanto non abusiva, l'introduzione di esso Znel medesimo fondo;
6.2. d'altro canto, il mancato esercizio, nella specie, dello ius excludendi, attraverso la chiusura del fondo, attuata anche in modo simbolico, faceva presumere la volontà del proprietario di tollerare precariamente il passaggio di terzi, conseguendone il loro legittimo affidamento sull'assenza di pericoli occulti.
7. La prima censura è destituita di un qualunque fondamento.
Com'é noto, la presunzione legale di colpa del custode si giustifica in ragione dell'idoneità della cosa a produrre un danno, conseguendone il dovere, per lo stesso custode, di adottare ogni misura idonea ad impedirne la verificazione. Fondamento della responsabilità del custode è dunque la sua violazione dell'obbligo di sorveglianza.
Un obbligo del genere, però, in tanto può sussistere, in quanto il terzo abbia un titolo per venire in (legittima) relazione con la cosa.
Lo Z sostiene di possedere un titolo siffatto, rappresentato dal diritto "di accesso alla natura" (così chiamato sulla linea di certa dottrina), e ne descrive il contenuto facendo riferimento alla "libertà di accedere, senza recare danni alle eventuali colture esistenti, al fondo altrui che non sia chiuso, al fine di svolgervi attività escursionistiche, ricreative o simili".
Ma un tale generalizzato e indiscriminato diritto certamente non sussiste nell'ordinamento, che prevede volta a volta, nel codice civile ed in leggi speciali, particolari limiti alla proprietà (per lo più consistenti in un pati) e particolari obblighi.
L'opinione contraria finirebbe - pur considerata la funzione sociale della proprietà, costituzionalmente garantita - con lo svuotare di ogni contenuto la pienezza e l'esclusività del diritto di godere (e di disporre) della cosa.
Non senza sottolineare la contraddittorietà della tesi dello Z, là dove sembra condizionare il preteso diritto alla mancata chiusura del fondo, rimettendo in discussione, per tale via, la funzione sociale che pur ne costituirebbe il fondamento, si deve concludere nel senso che rettamente ritenne, il secondo giudice, che esulava nella specie la responsabilità da cose in custodia, essendosi lo introdotto, essendo privo di titolo legittimante, nell'altrui proprietà.
8. Con la seconda parte del mezzo, lo Z pone la questione dell'insidiosità del luogo.
Premesso, tuttavia, che essa questione è estranea al modello legale della responsabilità ex art. 2051 C.C., attenendo all'ipotesi generale di responsabilità prevista dall'art. 2043 c.c. (ex plurimis, Cass. 22 aprile 1998 n. 4070, Cass. 8 aprile 1997 n. 3041), giova osservare che il ricorrente, dopo avere proposto davanti al Tribunale tale domanda, in una con la domanda di cui all'art. 2051 c.c., nel vedersi quest'ultima accogliere non ripropose in appello la prima: la quale, pertanto, in quanto da intendere rinunciata ai sensi dell'art. 346 c.p.c., è da ritenere qui inammissibile.
Al medesimo risultato condurrebbe, comunque, l'esame della giurisprudenza citata dallo Z.
In particolare, con sentenza 30 dicembre 1959 n. 3614 questa Corte suprema stabilì il principio che il passaggio per il fondo altrui costituisce un illecito quando contraddice ad un divieto che derivi o dalla chiusura del fondo o da una manifestazione di volontà del proprietario, espressa in maniera certa, sulla cui cognizione da parte dei terzi non possa ricorrere dubbio: in difetto, il proprietario dimostra di considerare il passaggio di estranei nel suo fondo come non dannoso al godimento di questo e di volere precariamente tollerare il passaggio medesimo, il che però gli impone l'obbligo di mantenere l'immobile in condizioni di preservare l'incolumità del passante da pericoli imprevedibili in esso esistenti.
Ciò detto, è facile vedere, decisivamente, come la menzione dell'imprevedibilità del pericolo richiami, in maniera evidente, la fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. (oggi appunto preclusa).
9. Identiche considerazioni valgono a dichiarare l'inammissibilità del secondo e del quarto mezzo, che fanno nuovamente riferimento alla responsabilità di cui all'art. 2043 c.c. Precisamente, con il secondo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 2051 c.c., e 51 c.p., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce che, quand'anche il suo accesso fosse illegittimo, sussisteva pur sempre la responsabilità di controparte, trattandosi di danno, oltre che contra ius, non iure datum, perché cagionato al di fuori dell'esercizio di un diritto, mentre con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.(art. 360 n. 3 c.p.c.), si duole che, esclusa l'applicabilità dell'art. 2051 C.C., non sia stata ritenuta sussistente l'ipotesi di responsabilità prevista dall'art. 2043 c.c., ricorrendone le condizioni.
10. Restano da esaminare, a questo punto, il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso.
10.1. Con il terzo motivo, denunziando violazione o falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce che - contrariamente a quanto opinato dalla Corte d'appello - la responsabilità dalle cose in custodia prescinde dalla loro eventuale pericolosità, sul rilievo che anche le cose innocue, come il foro superiore del manufatto ovvero la porta non a livello, possono produrre, nella ricorrenza di certe condizioni, una situazione di danno. Il motivo è da ritenere assorbito in conseguenza del rigetto del primo.
10.2. Con il quinto motivo, denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 C.P.C., il ricorrente si duole che sia stata esclusa l'insidia sulla base, semplicemente, della descrizione del manufatto, laddove la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui un foro sullo stesso manufatto, peraltro ricoperto di arbusti ed erbe, ovvero il dislivello di circa due metri fra la porta e il sottostante pavimento, non costituisse insidia.
10.3. Con il sesto motivo, denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., lo Z si duole che la stessa Corte abbia affermato che il foro superiore e la porta costituivano elementi funzionali del manufatto e non situazioni eccezionali o avulse dalla natura della cosa, la quale doveva essere utilizzata secondo la sua natura e destinazione, e non in modo anomalo. In realtà, la Corte non aveva spiegato in quale modo la cosa fosse stata usata in maniera anomala, tenuto conto che lo Zanco era caduto nell'apertura alla sommità del manufatto mentre camminava. Peraltro, nemmeno se la caduta fosse avvenuta attraverso la porta, come sosteneva il Rizzato, si sarebbe stato in presenza di un suo uso anomalo. La motivazione era anche insufficiente perché il danno era derivato dall'esistenza del foro e non dal manufatto nel suo complesso, onde l'identificazione della funzione di esso (ghiacciaia) era priva di rapporto con il danno.
11. I due motivi, che ancora una volta si ricollegano al concetto di insidia, e quindi alla responsabilità di cui all'art. 2043 c.c., sono in ammissibili per le già svolte considerazioni.
Volendo peraltro ritenere che il secondo giudice, con la censurata argomentazione, abbia inteso dire, ad abundantiam, sia pure con terminologia inappropriata, che era stata comunque superata, dal Rizzato, la presunzione di colpa facente carico al custode; ed attribuendo quindi alle due censure il senso di confutare tale convincimento, non sarebbe difficile obbiettare che la natura semplicemente rafforzativa dell'argomentazione ne rende evidente l'inutilità, una volta esclusa la dedotta responsabilità ex art. 2051 c.c.
In quest'ottica, esse censure sarebbero da ritenere assorbite per effetto del rigetto della relativa doglianza.
12. Così integralmente rigettato il ricorso, nulla per le spese del presente grado del giudizio, non essendosi costituito l'intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, addì 17 febbraio 1999.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 27 AGO. 1999