Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Infettare con un virus è reato? (Cass. 8351/13)

20 febbraio 2013, Cassazione penale

Tag

In tema di lesioni personali, costituisce "malattia" qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, ancorchè localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione. Costituisce malattia l'instaurazione nell'organismo di un meccanismo degenerativo, che, se non fronteggiato tempestivamente e costantemente con l'assunzione di terapia farmacologia, conduce ad ulteriori alterazioni (e alla fase conclamata di AIDS).

Sussiste il dolo eventuale e non la colpa cosciente qualora l'agente non solo si sia rappresentato il concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo abbia anche accettato, nel senso che si sia determinato ad agire anche a costo di cagionarlo.

Coefficienti medio-bassi di probabilità cd. frequentista per tipi di evento impongono verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch'essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 25/10/2012) 20-02-2013, n. 8351

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -

Dott. OLDI Paolo - Consigliere -

Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -

Dott. MICHELI Paolo - Consigliere -

Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.D.T., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/03/2012 della Corte d'appello di Milano R.G. n. 3196/2008;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De Marzo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo


1. Con sentenza del 12/03/2012, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 12/12/2007, con la quale era stata affermata la penale responsabilità di D. C.T.. A quest'ultimo era stato contestato di avere provocato lesioni gravissime alla propria convivente, trasmettendole il virus HIV e provocandole una malattia insanabile (sindrome da immunodeficienza acquisita), oltre che l'indebolimento permanente del sistema immunitario.

2. La Corte territoriale è giunta a tale conclusione, in primo luogo, condividendo la motivazione del giudice di primo grado, il quale aveva rilevato che il C., consapevole di essere affetto sin al 1995 da HIV, aveva instaurato, da fine 2001, una relazione continuativa con V.D., alla quale non aveva riferito della sua patologia, e che la V., dopo avere affermato, in sede di sommarie informazioni testimoniali, che i rapporti sessuali non protetti con il C. erano "abbastanza frequenti", solo in sede dibattimentale aveva indicato tali rapporti come "rarissimi" e aveva precisato che non erano stati completi e che, comunque, tra il 2000 e il 2002, aveva avuto una ventina di rapporti sessuali con partner occasionali. In definitiva, l'affermazione di responsabilità derivava: a) dalla pluralità di rapporti sessuali completi intercorsi dal 2002 al 2004; b) dall'elevata viremia del C. in tale arco temporale, come reso palese dal ricovero dell'uomo nel 2005; c) dalla mancanza di comprovate fonti alternative di contagio;

d) dal grado di sviluppo della malattia nella persona offesa, dal momento che la conta dei CD+4 effettuata nel maggio 2005 aveva dato il risultato di 535 mmc, in tal modo consentendo di individuare l'insorgenza della malattia in un momento non lontano (come 8-12 anni, in cui il risultato tende a ridursi tra i 200 e i 500 mmc, diminuendo ulteriormente sino a 50 mmc nella fase avanzata).

La Corte territoriale, in secondo luogo, ha aggiunto che l'accertata frequenza dei rapporti sessuali tra il C. e la V. consentiva di giungere ad una percentuale di trasmissione del virus prossima al 50%, non elisa dalla pur inverosimile affermazione dell'esistenza di rapporti non completi, dal momento che fuoriuscite di sperma avvengono anche prima dell'eiuaculazione completa.

Quanto alla configurabilità di una malattia, la Corte ha rilevato che, per effetto della trasmissione del virus, si realizzano nell'organismo umano delle modificazioni che, per essere contenute e non compromettere organi vitali, devono essere arginate con l'assunzione di farmaci.

Infine, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo nella forma del dolo eventuale.

3. Nell'interesse del C. è stato proposto ricorso per cassazione.

3.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e) si denuncia violazione di legge (art. 40 cod. pen. in relazione all'art. 192 cod. proc. pen.) e comunque mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. In particolare, si lamenta: a) che il rischio di contagio, anche a voler tener ferma l'ipotesi dei 600 rapporti tra imputato e persona offesa, si attestava al 45,5%; b) che era stato illogico escludere qualunque rilevanza ai rapporti con partner occasionali; c) che il valore dei CD+4 rilevato era prossimo alla soglia dei 500 mmc e conduceva alla conclusione di un contagio risalente ad otto anni prima rispetto al maggio 2005, ossia ad un momento, intorno al 1998, anteriore all'inizio della relazione con l'imputato.

3.2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e) si denuncia violazione dell'art. 582 cod. pen., anche in relazione all'art. 25 Cost., comma 2, e art. 14 preleggi e comunque mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (artt. 56 e 610 cod. pen.), per avere la Corte ritenuto che la trasmissione del virus HIV costituisca una malattia del corpo.

3.3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e) si denuncia violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen., in relazione all'art. 582 cod. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del dolo eventuale e comunque mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (artt. 56 e 610 cod. pen.).

Motivi della decisione


1. Il primo motivo del ricorso è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata e quella della decisione del Tribunale, le cui argomentazioni sono ampiamente riprese dalla prima, giustificano l'accertamento del nesso causale tra la condotta del ricorrente e la trasmissione del virus HIV alla convivente sulla scorta sia di un dato statisticamente significativo, legato alla frequenza dei rapporti sessuali tra la parti, quale ragionevolmente ricostruita in via presuntiva, sia di elementi idonei ad escludere l'esistenza di fattori alternativi.

1.1. Con riferimento al primo profilo, la censura che si concentra sulla percentuale di rischio di trasmissione (collocata dalla Corte territoriale in valori del tutto prossimi al 50% - pag. 6 -e dal ricorrente nel valore del 45,5%), trascura di considerare che l'accertamento del nesso di causalità, proprio alla stregua dell'invocata Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138, non è legato al solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica.

Le Sezioni Unite illustrano tale conclusione, osservando, al punto 7 della motivazione, che è "indubbio che coefficienti medio-bassi di probabilità cd. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica (e ancor più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche), impongano verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch'essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o schemi interpretativi dedotti da leggi di carattere universale (invero assai rare nel settore in esame), pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi la "attendibilità" in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile".

Ne discende che la significativa percentuale del 45,5% non va letta isolatamente nel contesto della decisione impugnata, ma alla luce della ricostruzione delle caratteristiche dei rapporti tra l'imputato e la convivente. E La Corte ha condiviso i dubbi espressi dal giudice di primo grado sull'attendibilità della convivente del C., quando, per la prima volta a dibattimento, ha sminuito i rapporti sessuali a eventi "rarissimi" e ha sostenuto che essi, pur non protetti, non erano stati completi. La sentenza impugnata, inoltre, si è fatta carico di illustrare che comunque sono possibili fuoriuscite di sperma prima dell'eiaculazione completa (pag. 6).

1.2. Inoltre, la Corte, sempre muovendo da un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese per la prima volta dalla V. a dibattimento, ha ritenuto indimostrata la circostanza dell'esistenza di rapporti della donna con partner occasionali e comunque ne ha sminuito il significato eziologico, in relazione al numero esiguo (pag. 6 della sentenza impugnata). Va aggiunto che la V. non ha saputo indicare elementi idonei a dimostrare l'eventuale sieropositività di tali partner.

1.3. Infine, il complessivo quadro probatorio, valutato dalla Corte al fine di giungere alla prova logica dell'esistenza del nesso di causalità, riposa sui dati della conta dei CD+4, che, al di là dei tentativi di correzione della lettura dei valori numerici, consente di collocare il contagio proprio nell'arco temporale di frequentazione dell'imputato con la donna.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la qualificazione in termini di malattia della trasmissione del virus HIV. Al riguardo, va rilevato che, secondo il fermo orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 43763 del 29/09/2010, Adamo, Rv. 248778), in tema di lesioni personali, costituisce "malattia" qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, ancorchè localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione. Del tutto correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che costituisce malattia l'instaurazione nell'organismo di un meccanismo degenerativo, che, se non fronteggiato tempestivamente e costantemente con l'assunzione di terapia farmacologia, conduce ad ulteriori alterazioni e alla fase conclamata di AIDS.

3. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, va ribadito che sussiste il dolo eventuale e non la colpa cosciente qualora l'agente non solo si sia rappresentato il concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo abbia anche accettato, nel senso che si sia determinato ad agire anche a costo di cagionarlo. In applicazione di questo principio, la S.C. (Sez. 5, n. 44712 del 17/09/2008, Rv. 242610) ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità, a titolo di dolo dal reato di lesioni personali gravissime, di una donna che, consapevole di essere affetta da sindrome di HIV, aveva ciò nonostante intrattenuto per lunghi anni rapporti sessuali con il proprio partner, senza avvertirlo del pericolo e così finendo per trasmettergli il virus della suddetta malattia.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del C. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013