Richiesto dell'autorizzazione a sentire ad indagini difensive un detenuto, il giudice può richiedere, per valutare se concedere o meno l'autorizzazione, l'indicazione del tema investigativo, nei termini ampi che non implichino una descrizione puntuale e puntigliosa della vicenda da approfondire e quindi l'illustrazione dell'articolazione delle domande in cui si sostanzierà l'esame; ma non può invece pretendere che sia illustrata la ragione per la quale il difensore richiedente ritiene che quell'atto sarà di utilità per la posizione processuale del suo assistito.
Il difensore che richieda l'autorizzazione giudiziale a sentire un detenuto deve indicare imputazione o addebito per il quale si procede nei confronti della persona assistita dal difensore che intende esaminare la persona detenuta, e che sia descritto il legame con quel tema di indagine della persona da sentire, in modo che si possa apprezzare l'esistenza di un interesse meritevole di tutela.
Si realizza in tal modo la necessaria protezione della persona detenuta, che per la condizione di restrizione carceraria ha uno stato di ineliminabile soggezione rispetto all'inquirente, pur quando questi sia un difensore (di altri), da sollecitazioni a fornire contributi conoscitivi che non siano giustificate da un interesse meritevole di considerazione.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Sentenza 27 giugno 2019, n. 28216
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. DI TOMASSI Maria Stefania - Presidente -Dott. CASA Filippo - Consigliere -Dott. SANTALUCIA Giuseppe - rel. Consigliere -Dott. APRILE Ercole - Consigliere -Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere -ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da:M.A.;
avverso l'ordinanza del 03/12/2018 del GIUD. SORVEGLIANZA di AVELLINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SANTALUCIA Giuseppe;
lette le conclusioni del PG Dr. CANEVELLI Paolo, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio.
Svolgimento del processo
1. Il Magistrato di sorveglianza di Avellino ha rigettato la richiesta del difensore di M.A. di autorizzazione all'accesso, ex art. 391-bis c.p.p., comma 7, alla Casa di reclusione di (OMISSIS) "al fine di svolgere l'esame" di N.A..Con precedente provvedimento del 22/23 ottobre scorso il Magistrato aveva rigettato la medesima richiesta in ragione dell'omesso adempimento dell'onere di specificazione dell'oggetto, delle ragioni e dell'utilità dell'incombente istruttorio.Rispetto alla nuova richiesta, acquisito il parere della DDA di Napoli - che ha ribadito la necessità che la richiesta specifichi oggetto e utilità istruttoria dell'atto ed ha evidenziato che tale onere è ancora rimasto inadempiuto -, il Magistrato ha rilevato che l'esistenza di tale onere si desume dall'art. 391-bis c.p.p., che annovera, tra gli avvisi obbligatori da darsi prima del compimento dell'audizione, anche quello relativo allo scopo dell'atto.
Da qui la conclusione che debbano essere esplicitati gli elementi da cui desumere oggetto ed utilità dell'atto. Peraltro, siccome il soggetto da esaminare deve essere avvertito dell'obbligo di dichiarare se è indagato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso o collegato, occorre che sia messo a conoscenza di elementi di merito da cui potersi desumere l'eventuale sussistenza di profili di connessione o collegamento con i procedimenti a suo carico.Osservato che detto onere non è stato adempiuto ha rigettato la richiesta.
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore di M.A. che ha dedotto il vizio di abnormità. Il provvedimento è affetto da abnormità strutturale perché con esso si è preteso di esercitare un potere non riconosciuto dalla legge.Il giudice ha acquisito in modo irrituale il parere della DDA e non ha considerato che gli atti di indagine del difensore non devono essere autorizzati da alcuna Autorità giudiziaria. L'autorizzazione del giudice è prevista soltanto per legittimare il difensore dell'indagato ad accedere all'Istituto di pena. La competenza a dare l'autorizzazione spetta al giudice che procede nei confronti del detenuto o al magistrato di sorveglianza, i quali mai potrebbero valutare l'utilità dell'atto, che peraltro non può che essere rimessa all'apprezzamento insindacabile della difesa. Altro potrebbe dirsi se la competenza fosse del giudice del procedimento nel quale il colloquio investigativo è richiesto, ma così non è. La richiesta di precisazione dell'oggetto e dello scopo dell'atto si risolve in una indebita violazione del diritto di difesa perchè pregiudica l'interesse a non rivelare anticipatamente il risultato atteso dalle indagini.
3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
4. Successivamente il difensore ricorrente ha proposto motivi nuovi con cui ha insistito nelle ragioni di ricorso e ha depositato documenti allegati.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non merita considerazione per le ragioni di seguito esposte.
2. Il diniego dell'autorizzazione a ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta non è impugnabile, perché la legge non prevede la possibilità di esperire contro tal provvedimento alcun mezzo di impugnazione.
Nel caso di specie non è neanche abnorme - condizione questa che avrebbe consentito di superare l'inoppugnabilità - per le ragioni che di seguito si espongono.
3. Il ricorrente ha proposto richiesta di autorizzazione per conferire con il soggetto detenuto, poi reiterata negli stessi termini, senza indicare i dati essenziali ai fini di una compiuta valutazione di quanto richiesto.
L'art. 391-bis c.p.p. prescrive la necessità di una "specifica autorizzazione" - comma 7 -, che va rilasciata dopo aver sentito sia il difensore della persona detenuta che il
pubblico ministero, da individuarsi in quello del procedimento per il quale la persona da sentire è detenuta o in quello preposto all'esecuzione se si tratta di pena in espiazione.
Occorre allora, per dare senso alla previsione di legge, che la richiesta fornisca le informazioni necessarie sia a un utile intervento del difensore del soggetto detenuto e del pubblico ministero, sia, e soprattutto, all'adozione di un provvedimento giudiziale che possa qualificarsi come esercizio consapevole di un potere.
Una richiesta che si limiti a sollecitare l'autorizzazione, senza nulla dire sul tema di prova entro cui si svolgerà l'atto di investigazione difensiva e, quindi, sulla particolare posizione che, rispetto ad esso, potrà assumere il soggetto da esaminare, non pone il giudice nelle condizioni per esercitare il potere di autorizzazione che la legge gli attribuisce.
Così formulata, la richiesta è talmente generica da risultare inammissibile e l'inammissibilità impedisce di valutare l'atto di diniego in termini di abnormità, seppure la motivazione della mancata autorizzazione non sia, per una parte, conforme a diritto.
4. Il giudice, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ha dunque un potere di valutazione della richiesta difensiva.L'intervento della giurisdizione non può risolversi nel compimento di un atto necessitato da un meccanismo sostanzialmente automatico, così descrivibile: siccome il difensore ha il potere di compiere investigazioni difensive anche, se ritiene, assumendo informazioni da persone detenute, allora il giudice non può che emettere l'autorizzazione, quali che siano i contenuti della richiesta.
E' appena il caso di osservare che, se la legge avesse inteso evitare ogni valutazione sulla richiesta difensiva, non avrebbe certo chiamato il giudice al rilascio dell'autorizzazione e, con ogni probabilità, avrebbe affidato al direttore dell'istituto penitenziario di detenzione il compito di riscontrare la richiesta, a quel punto valutabile soltanto come richiesta di accesso in carcere.
5. Il potere di autorizzazione del giudice non implica però alcun sindacato sul merito dell'atto per il quale è fatta richiesta. La valutazione attiene piuttosto al titolo di legittimazione per lo svolgimento dell'attività investigativa. Entro questi ristretti confini possono interloquire sia il pubblico ministero che il difensore della persona ristretta in carcere; ed è questo il parametro a cui il giudice deve rapportarsi per la decisione.
E' ovvio, però, che il titolo di legittimazione non può essere fatto valere con la sola indicazione del rapporto difensivo con un soggetto sottoposto ad indagine, perché in tal modo nulla si rappresenta sull'interesse sotteso alla richiesta.
Occorre, piuttosto, che siano indicati l'imputazione o l'addebito per il quale si procede nei confronti della persona assistita dal difensore che intende esaminare la persona detenuta, e che sia descritto il legame con quel tema di indagine della persona da sentire, in modo che si possa apprezzare l'esistenza di un interesse meritevole di tutela.
Il controllo di legittimazione, condotto sul piano della prospettazione di un interesse diretto, concreto ed attuale al compimento dell'atto, giova a selezionare le richieste sulla base di un apprezzamento di serietà.
Si realizza in tal modo la necessaria protezione della persona detenuta, che per la condizione di restrizione carceraria ha uno stato di ineliminabile soggezione rispetto all'inquirente, pur quando questi sia un difensore (di altri), da sollecitazioni a fornire contributi conoscitivi che non siano giustificate da un interesse meritevole di considerazione.
Non è poi secondario osservare che la compiuta indicazione del titolo di legittimazione, nei termini appena illustrati, consente di far comprendere in quale veste potrà essere sentita e se sarà necessaria l'assistenza difensiva in corso di esame.
6. Nel caso di specie la richiesta è stata disattesa perché il difensore non ha specificato "l'oggetto e l'utilità istruttoria dell'atto". La motivazione del rigetto è solo in parte conforme alla disciplina processuale sì come prima tratteggiata.
Il giudice può sì richiedere, per valutare se concedere o meno l'autorizzazione, l'indicazione del tema investigativo, nei termini ampi che non implichino una descrizione puntuale e puntigliosa della vicenda da approfondire e quindi l'illustrazione dell'articolazione delle domande in cui si sostanzierà l'esame; ma non può invece pretendere che sia illustrata la ragione per la quale il difensore richiedente ritiene che quell'atto sarà di utilità per la posizione processuale del suo assistito.
Così facendo, infatti, farebbe correre il rischio di arrogarsi un potere di sindacato sul merito investigativo che non gli appartiene.
Il fondato timore che il Magistrato di sorveglianza abbia inteso aprire ad un controllo di tal fatta è avvalorato dall'osservazione che ha ritenuto di interpellare la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo della Procura della Repubblica di Napoli, che non pare, da quel che risulta agli atti, essere il pubblico ministero dell'esecuzione.
Ha allora pensato di dover arricchire il bagaglio di informazioni utili a valutare la richiesta attingendo al sapere investigativo di quell'articolazione specializzata della Procura distrettuale della Repubblica come se la sua decisione dovesse conseguire all'apprezzamento del merito delle indagini difensive.
7. L'irritualità di siffatto interpello, che in ogni caso non si risolve in una nullità o in altra patologia della decisione, è profilo assorbito dalla valutazione di inammissibilità della richiesta, condizione che non impedisce la riproposizione della stessa con l'indicazione delle informazioni necessarie, sì come prima illustrato, alla valutazione della legittimazione al compimento dell'atto di investigazione.
Proprio la possibilità di riproposizione della richiesta, che per quanto prima indicato era certo inammissibile, preclude la valutazione di abnormità del provvedimento impugnato, seppure limitatamente alla parte in cui ha imposto un onere di illustrazione dell'utilità istruttoria dell'atto da compiersi.
8. L'assenza del carattere di abnormità segna, prima ancora che l'infondatezza, l'inammissibilità dell'impugnazione, atteso che il provvedimento, se non abnorme, non è impugnabile per il fatto che la legge non lo qualifica tale, e l'inoppugnabilità oggettiva dà luogo all'inammissibilità dell'impugnazione ai sensi di quanto disposto dall'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b).
Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si ritiene equo, però, data la complessità della questione di diritto sottesa al ricorso, condannare il ricorrente anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2019.Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019