Nell’ipotesi di incidente stradale, il legislatore allarga il novero degli obbligati alla collaborazione: Il codice della strada con l’art. 189, relativo al comportamento in caso di incidente, estende anche coloro che, pur coinvolti, non sono nè conducenti, nè pedoni, specifiche regole di condotta. E ciò perché il sinistro stradale è proprio quella situazione che giustifica l’imposizione di norme per la circolazione stradale, quale attività pericolosa che coinvolge la sicurezza delle persone, e che rientra, come enuncia l’art. 1 del medesimo codice, fra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.
Nondimeno, non è prevista dall’art. 189 C.d.S. una parificazione fra tutti i soggetti, poiché se con il comma 2 si prescrive a tutte le persone coinvolte, e quindi anche ai trasportati, di "porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità", agli utenti, categoria richiamata dai commi 5, 6, e 7 della norma, vengono imposti obblighi ulteriori, di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite.
Non può richiedersi al trasportato l’obbligo attivo di imporre all’utente (conducente) di ottemperare a quanto previsto dalla legge in ordine all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza, in quanto soggetto che non fa uso attivo della strada.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale, sentenza 21 marzo - 18 giugno 2019 n. 26888
Presidente Ciampi – Relatore Nardin
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Ancona con sentenza del 15 dicembre 2017 ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ancona con cui O.A. e B.P. sono stati ritenuti responsabili, in concorso fra loro, dei reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 e condannati alla pena ritenuta di giustizia, entrambi con sospensione della patente di guida per anni cinque.
2. Il fatto è stato così descritto nelle sentenze di merito: il giorno (omissis) , O.A. si trovava, in ora notturna, alla guida dell’autovettura di B.P. , trasportato in quell’occasione come passeggero. L’auto percorreva la strada statale (…) nel territorio del comune di (omissis) , quando investiva il pedone D.S.R.J. , intento ad attraversare, il quale dopo essere stato caricato sul cofano dell’auto, veniva sbalzato a terra e circa 70 metri dal luogo dell’impatto, riportando lesioni gravissime. Il conducente ed il passeggero si allontanavano dal luogo del sinistro senza fermarsi e senza fornire indicazioni sulla propria identità. Indi, posteggiavano l’auto in un parcheggio, eliminando il parabrezza frantumatosi e si recavano nelle rispettive abitazioni. D.S. veniva soccorso dal teste oculare Ba. , che chiamava il Pronto intervento, e trasportato in ospedale, in stato di coma, veniva sottoposto a diversi interventi chirurgici.
3. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato B.P. , a mezzo del suo difensore, affidandolo a quattro distinti motivi.
4. Con il primo motivo lamenta la violazione della legge processuale penale, per inosservanza delle norme di cui agli artt. 178 e 179 c.p.p. e art. 604 c.p.p., comma 4, stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, nonché il vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità. Rileva che la difesa dell’imputato aveva preliminarmente eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dal medesimo rese a S.I.T., il giorno successivo al sinistro, in assenza del proprio difensore. Dette dichiarazioni, nondimeno, sono state utilizzate dal giudice di primo grado, al fine della ricostruzione del fatto. Osserva che il giudice di seconda cura, investito della questione, dopo aver riconosciuto la sussistenza del vizio processuale, non ne aveva tratto le conseguenze imposte dal codice di rito, non aveva cioè dichiarato la nullità della sentenza appellata. Assume che siffatta mancata declaratoria si riverbera sulla sentenza d’appello, anch’essa viziata di nullità.
5. Con il secondo motivo fa valere la violazione della legge penale con riferimento all’art. 189 C.d.S., nonché agli artt. 40 e 43 c.p. e art. 27 Cost., ed il vizio motivazionale. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto B.P. responsabile dei delitti di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, nonostante egli non si trovasse alla guida dell’auto. Sostiene che le due norme incriminatrici vengono riferite dalla stessa lettera della legge a "chiunque si trovi nelle condizioni di cui al comma 1" e cioè "all’utente della strada", solo per il caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento. Ricorda che l’imputato ricorrente, nell’occasione, era un passeggero ed un suo intervento per fermare l’auto - di sua proprietà- condotta da O. , avrebbe causato ulteriori gravi conseguenze, anche perché la strada, in quel frangente percorsa, è strada ad elevata intensità di traffico veicolare. Attribuire a B.P. l’omissione di soccorso e la mancata di ottemperanza all’obbligo di fermarsi e fornire le proprie generalità, in assenza di qualsivoglia elemento soggettivo, significa ascrivere al medesimo il reato a titolo di responsabilità altrui.
6. Con il terzo motivo deduce la violazione della legge processuale in relazione agli artt. 191, 192 e 431 c.p.p., nonché il vizio di motivazione per avere la corte territoriale tratto elementi di prova dalla querela presentata dalla persona offesa, il cui valore processuale è quello di mera condizione di procedibilità. Sostiene che, pertanto, sono non sono sussistenti prove a carico dell’imputato, stante l’inutilizzabilità sia delle dichiarazioni dal medesimo rese, che degli argomenti di narrazione dei fatti da parte del querelante.
7. Con l’ultimo motivo si duole dell’inosservanza dell’art. 533 c.p.p., comma 1, e del principio di divieto di condanna, qualora la responsbalità non sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Sottolinea che il ricorrente aveva fornito una credibile versione dell’accaduto, secondo la quale egli si trovava in stato di dormiveglia al momento del sinistro, quando accortosi dell’accaduto fu immediatamente rassicurato da O. sul fatto che l’impatto era intervenuto con un animale. Tanto è vero che, accostata l’auto sul ciglio della strada, i due occupanti avevano verificato dal finestrino che sulla strada non vi fosse nulla. La corte territoriale, ciononostante, ha ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato B. , pur dovendo in assenza di riscontri probatori consistenti far ricorso al principio dettato dalla disposizione di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. I motivi introdotti con il ricorso vanno trattati nel loro ordine logico, ed esaminati unitamente laddove connessi.
3. Va, preliminarmente, affrontata la doglianza relativa alla configurabililtà dei reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, a carico di soggetto diverso dal conducente del veicolo.
Si tratta di una questione che deve essere risolta attraverso l’esame del significato attribuito dal legislatore ai lemmi utilizzati nel disciplinare la circolazione dei veicoli, dei pedoni e degli animali sulle strade (art. 1 C.d.S.).
La lettura delle disposizioni del titolo V del Codice della strada, relativo alle norme di comportamento, seppure in assenza di definizioni espresse, consente introdurre delle distinzioni fra le diverse categorie.
L’art. 140 C.d.S., dettando il principio informatore della circolazione stradale, si rivolge agli utenti della strada ai quali prescrive di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione, affinché sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale.
Dalla disposizione può trarsi l’ovvia considerazione che, in armonia con il significato linguistico comune, l’utente è chiunque utilizzi la strada. Cioè colui che attivamente ne fa uso.
In siffatta generalissima categoria rientrano sia conducenti di veicoli sia, come chiarisce la lettura dell’art. 184, i conducenti di animali da soma, da sella, i guardiani di greggi o moltitudini di animali, che pedoni, anch’essi destinatarii, ai sensi dell’art. 190, di specifiche norme di comportamento.
Dunque, non tutti gli utenti della strada sono conducenti dei veicoli.
4. L’art. 189 C.d.S., a sua volta, distingue quattro tipi di figure: l’utente, il conducente, le persone coinvolte in un incidente e le persone danneggiate. È chiaro che fra le persone coinvolte in un incidente possono esservi le persone danneggiate ed i conducenti, ma non necessariamente i primi rientrano nella categoria dei secondi. Mentre è possibile che in un sinistro siano coinvolte persone diverse dai conducenti e dalle persone danneggiate.
5. Ciò che occorre chiarire - per risolvere del quesito posto con il motivo di ricorso - è se il soggetto trasportato su un veicolo possa essere definito utente nell’accezione assegnata al termine dal codice della strada o se rientri in una diversa categoria.
Ora, la lettura del comma 2 dell’art. 189, con cui si prescrive il comportamento da tenere alle persone coinvolte supera il concetto di soggetto attivo nella circolazione. Invero, le persone coinvolte, non necessariamente sono i conducenti, nè i pedoni. Si tratta, infatti, di una categoria più ampia di quella dell’utente, cioè di colui che attivamente utilizza la strada, a mezzo di un’attività (condurre o camminare), ben potendo coincidere con colui che viene trasportato dal conducente.
Il codice della strada solo con l’art. 189, relativo al comportamento in caso di incidente, estende anche coloro che, pur coinvolti, non sono nè conducenti, nè pedoni, specifiche regole di condotta. E ciò perché il sinistro stradale è proprio quella situazione che giustifica l’imposizione di norme per la circolazione stradale, quale attività pericolosa che coinvolge la sicurezza delle persone, e che rientra, come enuncia l’art. 1 del medesimo codice, fra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.
Ecco, perché nell’ipotesi di incidente stradale, il legislatore allarga il novero degli obbligati alla collaborazione.
Nondimeno, non è prevista dall’art. 189 C.d.S. una parificazione fra tutti i soggetti, poiché se con il comma 2 si prescrive a tutte le persone coinvolte, e quindi anche ai trasportati, di "porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità", agli utenti, categoria richiamata dai commi 5, 6, e 7 della norma, vengono imposti obblighi ulteriori. E cioè quello di fermarsi (commi 5 e 6, seppur si tratti di condotte diversamente punite a seconda che i danni siano solo alle cose o anche alle persone) e di prestare assistenza alle persone ferite (comma 7).
Proprio dalla differenza fra gli obblighi imposti agli utenti, categoria di cui al comma 1, richiamata dai commi 5, 6, e 7, e quelli imposti dal comma 2 alle persone coinvolte, si trae l’intenzione legislativa di limitare per coloro che rivestano un ruolo non attivo -esclusa quindi la conduzione di un veicolo o comunque l’utilizzazione diretta a mezzo di attività quali l’uso pedonale- ad oneri solidarmente, ma non penalmente rilevanti, l’intervento nel caso di incidente.
Ciò, tuttavia, comporta che non possa richiedersi al trasportato l’obbligo attivo di imporre all’utente di ottemperare a quanto previsto dai commi 6 e 7 della norma, in ordine all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza, in quanto soggetto che non fa uso attivo della strada, nella condizione di assicurare l’adempimento da parte del conducente.
È fatta salva, tuttavia, l’ipotesi in cui emerga un vero e proprio concorso da parte del trasportato nella commissione dei reati di cui all’art. 189 C.d.S., consistente nella sollecitazione alla violazione delle norme o nel rafforzamento dell’intento di fuga o di omissione di soccorso, od in qualunque altra condotta volontariamente posta in essere che tenda a quel risultato. Ma ciò dipende dall’azione posta in essere dal trasportato rispetto agli obblighi gravanti sul conducente, non dagli obblighi di cooperazione, definiti dall’art. 189 C.d.S., comma 2, che lo riguardano direttamente.
Fatta questa premessa è evidente che, nel caso di specie, manca nella sentenza qualsivoglia riferimento alla sussistenza di una condotta dell’imputato di sollecitazione della fuga e dell’omissione di soccorso o di rafforzamento della volontà di fuggire o di omettere di prestare assistenza.
Ciò, nondimeno, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente la posizione di B.P. , per non avere commesso il fatto, essendo assorbiti gli altri motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di B.P. per non avere commesso il fatto.