Nella nozione di incidente stradale deve intendersi qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l’avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli; a tal fine non sono richiesti né i danni alle persone né i danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi, purché significativa, turbativa del traffico potenzialmente idonea a determinare danni.
Per potersi imputare ac chi guida in strato di ebbrezza l'aggravante dell'incidente stradale, è necessario che sia accertato un coefficiente causale della condotta della conducente rispetto al sinistro.
L’ubriachezza volontaria non esclude né diminuisce l’imputabilità; l’agente, quindi, risponde del fatto commesso in stato di ubriachezza a titolo di dolo o di colpa, a secondo che il fatto di reato sia stato concretamente commesso con dolo o colpa.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale, sentenza 19 luglio 2018 – 14 febbraio 2019, n. 7033
Presidente Dovere – Relatore Tornesi
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con sentenza emessa in data 12 dicembre 2017 la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Pavia dichiarava C.G. responsabile del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e comma 2 bis e lo condannava alla pena di mesi otto di arresto ed Euro 2.000 di ammenda.
1.1. All’imputato era contestato di avere circolato sulla pubblica via alla guida del veicolo targato (…) in stato di ebbrezza, in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche con tasso alcolemico pari a 2,86 g/l, e di avere provocato un incidente stradale.
In (omissis) .
2. C.G. propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza elevando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione al tasso alcolemico indicato nel referto.
Evidenzia, in particolare, che la determinazione dell’entità del tasso alcolemico nella misura di 2,86 g./l. è contrastante con la descrizione della sua persona ("vigile e collaborante") attestata dai sanitari del Pronto Soccorso; inoltre il referto delle analisi presentava discrasie tali da non rendere il relativo risultato a lui attribuibile con certezza posto che sul referto venivano indicati erroneamente sia il luogo di nascita ((…) anziché (omissis) ) che quello di residenza (via (…) invece di via (…)).
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in quanto la Corte d’Appello ha erroneamente applicato l’aggravante di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, che richiede l’accertamento di un nesso di causalità tra la condotta del conducente e il sinistro, non essendo sufficiente il mero coinvolgimento nello stesso.
2.3. Con il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in tema di sussistenza dell’elemento soggettivo.
2.4.Con il quarto motivo denuncia il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale perché è stata erroneamente contestata ed applicata al C. la recidiva, pur trattandosi di reato contravvenzionale.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen..
Al riguardo afferma che la pena inflitta è del tutto sproporzionata al fatto contestato e non ancorata ai parametri fissati dai minimi edittali.
2.6. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Con memoria difensiva depositata in data 04 luglio 2018 il ricorrente ribadisce le predette deduzioni difensive ed eccepisce la prescrizione del reato maturata in data 02 febbraio 2018.
4. Il ricorso è inammissibile sia per genericità in quanto, a fronte dei rilievi difensivi articolati nei motivi di appello, non si confronta con le ampie e diffuse argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, che per manifesta infondatezza.
5. Giova rammentare che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto, con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Rv.256133).
In linea generale si osserva che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificatamente, ai sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale tra le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta e la specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto su cui si fonda il dissenso.
6. Orbene, nel caso in esame il motivo di ricorso, già proposto con l’atto di appello, è stato riprodotto pedissequamente in questa sede, in assenza di una censura argomentata alle ragioni contenute nella decisione impugnata.
7. Inoltre il ricorso riesamina il materiale probatorio e tende ad affermare una diversa lettura delle emergenze istruttorie e una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte distrettuale che non è consentita in questa sede, fatto salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
L’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso. La nuova disciplina consente di dedurre solo il vizio di travisamento della prova laddove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, sempreché la difformità risulti decisiva (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460): circostanza questa non ricorrente nel caso in esame.
8. Più in particolare, con riguardo al primo motivo, si osserva che il Tribunale di Pavia, all’esito di un’approfondita e scrupolosa disamina degli risultanze processuali, è pervenuta, con argomentazioni congrue e logiche, al convincimento, che i risultati delle analisi tossicologiche contestate nel capo di imputazione sono senz’altro riferibili alla persona del C. , non potendo di certo essere inficiati dai meri errori materiali riscontrati nel referto con riguardo al luogo di nascita e all’indirizzo. Si è soggiunto che l’istruttoria ha chiarito che l’atteggiamento "vigile e collaborante" riscontrato al momento dell’ingresso in Ospedale stava solo a significare che il predetto non manifestava né segni di torpore né di aggressività nei confronti del medico del Pronto Soccorso.
9. Quanto al secondo motivo, si premette che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 47276 del 06/11/2012, Rv. 253921; Sez. 4, n. 42488 del 19/09/2012, Rv. 253734), nella nozione di incidente stradale di cui all’art. 186, comma 2 bis, cod. strada deve intendersi qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l’avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli; a tal fine non sono richiesti né i danni alle persone né i danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi, purché significativa, turbativa del traffico potenzialmente idonea a determinare danni; situazione certamente riscontrabile nella concreta fattispecie, rivelatrice di effetti particolarmente pericolosi derivanti dall’uso di bevande alcoliche oltre i limiti prescritti dal codice della strada.
Così chiarita la nozione in esame, vale il principio affermato dalla Suprema Corte in base al quale, ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame, è necessario che sia accertato un coefficiente causale della condotta della conducente rispetto al sinistro (Sez. 4, n. 7969 del 06/12/2013, Rv. 258616).
È quindi corretta ed in linea con le enunciate coordinate ermeneutiche, l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui la condotta del C. il quale, a bordo della sua autovettura, ha omesso di dare la precedenza ad un veicolo proveniente dalla sua destra e ha urtato contro di esso terminando, poi, la corsa contro un tronco di un albero, ricade appieno nel paradigma dell’aggravante contestata.
10. In relazione al terzo motivo è sufficiente rammentare che, ai sensi dell’art. 92 c.p., comma 1, l’ubriachezza volontaria (come nella specie) non esclude né diminuisce l’imputabilità; l’agente, quindi, risponde del fatto commesso in stato di ubriachezza a titolo di dolo o di colpa, a secondo che il fatto di reato sia stato concretamente commesso con dolo o colpa.
Ne consegue che correttamente i giudici di merito hanno, nella fattispecie che occupa, ritenuto la responsabilità dell’imputato per il riconosciuto stato di ebbrezza volontariamente determinato dal soggetto agente che si è posto alla guida del mezzo in assenza delle condizioni di normale lucidità e prontezza che gli avrebbero consentito di ottemperare agli obblighi di precedenza stradali e mantenere il controllo del veicolo.
11. Quanto al quarto motivo si sottolinea che la Corte distrettuale ha correttamente evidenziato che la pur erronea contestazione della recidiva nell’imputazione non ha dato luogo ad alcun vizio in quanto non ha avuto alcun riflesso sul trattamento sanzionatorio.
12. Con riguardo al quinto motivo, è sufficiente osservare che le sentenze di merito, da leggere unitariamente trattandosi di c.d. doppia conforme, risultano congruamente motivate sul punto.
13. La genetica inammissibilità dell’odierno ricorso, impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare l’estinzione del reato per decorso dei termini massimi di prescrizione maturati successivamente alla pronuncia di appello (02 febbraio 2018).
14.L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.