L’assenza di riferimento temporale dell’autocertificazione sul reddito, in mancanza di dichiarazione reddituale relativa all’anno per quale è scaduto il termine di presentazione, rende di per sé inammissibile la domanda, come correttamente osservato dall’ordinanza impugnata, in quanto non consente la verifica, neppure formale, della sussistenza delle condizioni di reddito che giustificano l’intervento dello Stato per assicurare la difesa del non abbiente.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale
sentenza 30 settembre – 23 ottobre 2020, n. 29458
Presidente Fumu – Relatore Nardin
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso proposto a mezzo del suo difensore A.A. ricorre avverso il provvedimento del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste, in data 16 luglio 2019, con cui stata è stata rigettata l’opposizione al decreto che ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, proposta dal medesimo.
2. Il ricorso è affidato ad un unico articolato motivo con cui si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99 e art. 76, comma 4 bis, nonché in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., comma 1. Il ricorrente lamenta che il provvedimento gravato, senza rispondere alle sollecitazioni contenute nell’atto di opposizione, si sia limitato a ribadire l’inammissibilità dell’istanza di ammissione al patrocinio in favore dei non abbienti, facendo riferimento alla mancata indicazione nell’autocertificazione reddituale, dei redditi percepiti nell’anno di imposta 2016. Osserva che la decisione ignora il contenuto dei provvedimenti allegati all’istanza. Ed in particolare, l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna del 19 aprile 2018, che richiama la favorevole relazione della Direzione nazionale antimafia del 9 settembre 2016, anno da prendere in considerazione per valutare la richiesta di ammissione al beneficio; l’ordinanza del Tribunale di Novara del 2 ottobre 2014, con la quale si è riconosciuto che A.A. non consegue più profitti da attività di origine mafiosa; l’ordinanza del G.I.P. di Messina del 24 novembre 2015, che, a seguito dell’annullamento del precedente provvedimento da parte della Suprema Corte, ha riconosciuto che il ricorrente “può essere effettivamente in disagiate condizioni economiche”; l’ordinanza del Tribunale di Novara del 26 novembre 2013, cha dà conto di un percorso di ravvedimento e di rescissione dei legami delinquenziali intrapreso da A. ; il decreto del Magistrato di sorveglianza di Macerata del 2 maggio 2019 che richiama le note favorevoli della Questura di Siracusa del 4 aprile 2019 e della Direzione nazionale antimafia del 16 aprile 2019. Aggiunge che il provvedimento impugnato non ha tenuto conto del percorso di autoriforma seguito da A. , laureando in giurisprudenza. Sostiene che è compito del giudice condurre una valutazione rigorosa di detti elementi, come imposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 139/2010 e dalla giurisprudenza di legittimità.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, osservando che l’enunciazione della violazione di legge, contenuta nell’intitolazione della doglianza proposta, non corrisponde all’effettiva censura introdotta, relativa al vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, non rientrante fra i motivi di impugnazione consentiti, in questa sede, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99, comma 4.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. L’ordinanza impugnata articola le ragioni del rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento che ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in due argomenti. Il primo inerisce alla mancata indicazione dei redditi dell’anno 2016, dovendosi fare riferimento, ai fini della presentazione dell’istanza, all’annualità per la quale sia già scaduto il termine per la dichiarazione reddituale. Assume che il difetto non può essere oggetto di successiva integrazione, trattandosi di un elemento contenutistico dell’istanza medesima. Tanto che l’indicazione deve essere compresa nell’atto di richiesta o negli allegati, in forza dell’unitarietà documentale di istanza ed autocertificazione, a differenza degli altri dati informativi che concorrono alla valutazione di meritevolezza del beneficio.
Il secondo, invece contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente- affronta l’incidenza del contenuto della documentazione prodotta con l’istanza di ammissione, affermandone la complessiva neutralità, tenuto conto che la relazione della Guardia di Finanza posta alla base dei provvedimenti di accoglimento di altre autorità giudiziarie è eseguita su banche dati e non riguarda terze persone, alle quali possono essere intestati cespiti o beni provenienti da attività illecite nelle quali sia coinvolto A.A. , alla cui famiglia, secondo il decreto ministeriale di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis O.P., sino al maggio 2016 furono versate somme di denaro da parte dell’organizzazione di appartenenza. Trattandosi dell’annualità da tenere in considerazione deve, secondo l’ordinanza, ritenersi la permanenza di introiti illeciti, ostativi alla concessione del beneficio.
3. Ora, come risulta dal provvedimento impugnato, con autocertificazione prodotta dall’interessato insieme all’istanza di ammissione al patrocinio in favore dei non abbienti, A.A. , ha attestato di essere l’unico componente del suo nucleo familiare e “genericamente” di non avere redditi, nè diritti reali su immobili e di non superare la soglia reddituale al di sopra della quale non è consentito l’accesso al beneficio richiesto. All’istanza ha allegato una certificazione ISEE relativa all’anno 2017.
L’assenza di riferimento temporale dell’autocertificazione sul reddito, in mancanza di dichiarazione reddituale relativa all’anno per quale è scaduto il termine di presentazione, rende di per sé inammissibile la domanda, come correttamente osservato dall’ordinanza impugnata, in quanto non consente la verifica, neppure formale, della sussistenza delle condizioni di reddito che giustificano l’intervento dello Stato per assicurare la difesa del non abbiente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 1.
Nè può affermarsi, come preteso con il ricorso, che l’istanza priva dell’indicazione dei redditi percepiti per l’annualità di riferimento - anche quando consistente nella generica attestazione dell’assenza di redditi tout court - possa essere integrata delle parti mancanti - ivi compreso il riferimento temporale - successivamente alla presentazione dell’istanza.
Osta a siffatta lettura il testo dell’art. 79 che prevede che l’istanza contenga, a pena di inammissibilità "una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, comma 1, lett. o), attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’art. 76".
Al di là dei diversi orientamenti espressi da questa Corte di legittimità sul potere del giudice investito dell’istanza di vagliare l’attendibilità dell’autocertificazione (secondo il primo "In tema di patrocinio a spese dello Stato, il giudice può vagliare l’attendibilità dell’autocertificazione dell’istante relativa alla sussistenza delle condizioni di reddito richieste dalla legge per l’ammissione al beneficio e rigettare l’istanza ove sussistano indizi gravi, precisi e concordanti circa la disponibilità di risorse economiche non compatibili con quelle dichiarate" (Sez. 4, n. 36787 del 08/05/2018 - dep. 31/07/2018, Marotta, Rv. 273423; Sez, 4, n. 4628 del 20/09/2017 - dep. 31/01/2018, Tortorella, Rv. 2719420; mentre, per il secondo "Ai fini dell’ammissibilità al gratuito patrocinio l’autocertificazione dell’istante ha valenza probatoria e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne l’attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio, il quale potrà essere revocato solo a seguito dell’analisi negativa effettuata dall’intendente di finanza, cui il giudice deve trasmettere copia dell’istanza con l’autocertificazione e la documentazione allegata. (Sez. 4, n. 53356 del 27/09/2016, Tilenni Scaglione, Rv. 268682; Sez. 4, n. 3167 del 14/10/1999, Cafarchio, Rv. 214882), vi è che il riferimento temporale dello stato di impossidenza è requisito imprescindibile per la valutazione di meritevolezza del beneficio, posto che l’autocertificazione è documento con valenza probatoria funzionale al riscontro dei limiti di reddito per l’ammissione al beneficio ed al controllo della veridicità di quanto in essa indicato, avuto riguardo al “momento” in cui l’istanza viene presentata.
La necessità di contestualizzazione temporale dell’autocertificazione è connaturata allo stesso concetto di reddito, legato alla misura temporale dell’entrata economica, alla cui consistenza la disciplina fa corrispondere il sorgere del diritto al patrocinio a spese dello Stato.
Che l’indicazione debba essere esplicita emerge, peraltro, non solo dalla lettera del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, ma anche dal D.P.R. cit., art. 79, comma 1, lett. d), laddove si introduce "l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione", così mantenendo l’obbligo di informazione dell’autorità giudiziaria sulla variazione reddituale, per tutta la durata del procedimento.
4. Solo a fronte della sussistenza di un’autocertificazione avente i requisiti richiesti dall’art. 79 cit., dunque, il giudice è tenuto a provvedere alla valutazione di meritevolezza, anche facendo ricorso, ove necessario, ai poteri conferitigli dall’art. 79, comma 3, di chiedere alla parte di integrare l’istanza con la documentazione attestante la veridicità di quanto dichiarato, ma siffatto potere non si spinge sino ad invitare l’interessato a completare le parti mancanti dell’istanza e dell’autocertificazione.
5. D’altro canto, va rilevato che la declaratoria di inammissibilità dell’istanza da parte del giudice cui essa è rivolta, cioè al magistrato competente per la decisione, non preclude la riproposizione al medesimo magistrato, essendo il gravame regolato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99, alle sole decisioni di rigetto.
6. La declaratoria di inammissibilità della domanda, infatti, è riservata dal Testo unico alle ipotesi di incompletezza dell’istanza e della documentazione eventualmente richiesta dal magistrato decidente ai sensi dell’art. 79, comma 3, essendo, invece, il rigetto giustificato dalla “non meritevolezza” del beneficio.
7. Ne consegue che l’inammissibilità non impedisce la ripresentazione dell’istanza adeguatamente formulata e documentata.
8. Le ulteriori censure appaiono, di conseguenza, assorbite ed in ogni caso esulano dal novero delle doglianze deducibili in sede di legittimità, inerendo a vizi di motivazione del provvedimento impugnato mentre il ricorso per cassazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 99, comma 4, è ammesso esclusivamente per violazione di legge.
9. In ordine alla nozione di violazione di legge le Sezioni unite, chiamate ad affrontare il tema con riferimento all’analoga previsione di cui all’art. 325 c.p.p., comma 1, hanno chiarito, con formulazione di portata generale e quindi estensibile al tema in disamina, che in essa rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la mera presenza di una motivazione apparente, in quanto situazioni correlate all’inosservanza di precise norme processuali. Non vi rientra invece l’illogicità manifesta, la quale può essere denunciata nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 c.p.p. (Sez. U., n 2 del 28-1-2004, Ferrazzi). Dunque, ove il ricorso per cassazione sia limitato alla sola violazione di legge, va esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre è possibile denunciare il vizio di motivazione apparente, atteso che in tal caso si prospetta la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, che impone l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sez. U.,n. 25080 del 28-5-2003, Pellegrino, Rv. 224611). Questo vizio è ravvisabile allorché la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure le linee argomentative siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. La carenza assoluta di un riconoscibile apparato argomentativo, anche in ordine a singoli momenti esplicativi, essendo qualificabile come inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, non ha infatti perso l’intrinseca consistenza del vizio di violazione di legge, differenziandosi pertanto dai difetti logici della motivazione (Cass., Sez. 1, 1011-1993, Di Giorgio, Rv. 196361).
10. Nel caso di specie, il giudice a quo ha evidenziato, sin dalla premessa, che in relazione al titolo di reato di cui il ricorrente è stato ritenuto responsabile (416- bis c.p.), vige la presunzione di superamento del reddito di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 4 bis. E che non sono emersi elementi in grado di superare tale presunzione, tenuto conto che dalle informazioni assunte dalla D.D.A. -riprese dal decreto ministeriale di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis O.P. del 14 luglio 2017- è emerso che ai familiari di A. sono state versate somme di denaro dall’associazione di appartenenza, e che detti cespiti, in quanto occultati, non emergono dalle banche dati della Guardia di Finanza.
11. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.