In tema di immigrazione clandestina, il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, è integrato - anche dopo le modifiche introdotte nel predetto articolo dalla L. n. 94 del 2009 - non solo dalle condotte specificamente finalizzate a consentire l'arrivo in Italia degli stranieri in posizione irregolare, ma anche da quelle, immediatamente successive, intese a garantire il buon esito dell'operazione, la sottrazione ai controlli della polizia e l'avvio dei clandestini verso la località di destinazione, nonchè, in genere, da tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione collegabili all'ingresso degli stranieri; va puntualizzato che tale condotta, per integrare il concorso nel procurato ingresso in Italia, deve essere immediatamente successiva allo sbarco e costituire il contributo fornito dal soggetto in Italia al successo dell'operazione che ha avuto inizio nel paese straniero da cui sono partiti gli immigrati irregolari.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, consistente nel compiere atti diretti a procurare l'ingresso illegale di una persona in altro Stato, è necessario accertare lo Stato estero di destinazione e verificare che, secondo la normativa ivi vigente, l'immigrazione in esso sia illegale: in caso di dubbio, l'imputato va assolto.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Sent., (data ud. 20/05/2022) 05/12/2022, n. 45963
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIORDALISI Domenico - Presidente -
Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere -
Dott. TALERICO Palma - Consigliere -
Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. (A.A.), nato il (Omissis);
B.B., nato il (Omissis);
C.C. (C.C.), nato il (Omissis);
D.D. DETTO D.D., nato il (Omissis);
avverso la sentenza del 26/05/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LIUNI TERESA;
udito il Procuratore generale, DI LEO GIOVANNI, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla sospensione condizionale della pena. Rigetto nel resto.
E' presente l'avvocata RF del foro di ROMA, in difesa di C.C. (C.C.), la quale conclude per l'accoglimento dei motivi del ricorso.
E' presente l'avvocata GM del foro di ROMA, in difesa di A.A. (A.A.), B.B., e D.D. detto D.D., la quale conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi dei ricorsi.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 26/5/2021 la Corte di Assise di appello di Roma ha riformato quoad poenam la sentenza del 13/3/2019 della Corte di Assise di primo grado che aveva condannato C.C. per i capi M, N, O, P, Q, A.A. per i capi H e I, B.B. per il capo K e D.D.4STIF per il capo I, riqualificate dette imputazioni ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, escluse tutte le aggravanti contestate - eccettuata, per C.C., in relazione al capo P, quella prevista dall'art. 12, comma 3 lett. a) cit. decreto, ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti generiche - e, concesse a tutti gli imputati dette attenuanti ex art. 62 bis c.p., aveva determinato la pena per C.C. in anni quattro di reclusione ed Euro 125.000 di multa; per A.A. in anni due e mesi tre di reclusione ed Euro 12.000 di multa; per B.B. in anni due di reclusione ed Euro 20.000 di multa; per D.D. in anni due di reclusione ed Euro 10.000 di multa.
Con la sentenza oggi in esame, le pene sono state ridotte per A.A. ad anni due e mesi uno di reclusione ed Euro 11.000 di multa; per C.C. ad anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 109.000 di multa; con conferma nel resto e condanna dei residui imputati D.D. ed B.B., al pagamento delle spese del grado.
1.1. La vicenda per cui è processo derivava da una più ampia indagine, che aveva preso le mosse da una contestazione associativa che ipotizzava una vastissima rete transnazionale, imperniata sulla figura del capo e promotore E.E., operante in territorio libico, dedita al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina a fini di profitto, articolata in cellule operative che curavano la tratta dei migranti attraverso il deserto fino al raggiungimento delle coste libiche (tratta del deserto), quindi provvedevano al trasferimento dei migranti in barconi fatiscenti fino alle coste italiane (tratta del mare), infine curavano il raggiungimento delle destinazioni finali indicate dai migranti, principalmente verso il nord Europa (tratta Europea).
Caduta la contestazione associativa, ritenuta non adeguatamente provata, il presente processo si è focalizzato sulla cellula operante in Roma, i cui partecipanti, odierni imputati - raggiunti nelle indagini da ordinanze cautelari, ma attualmente in condizione di libertà - sono stati condannati per i singoli episodi di cui alle citate imputazioni, come riqualificate dai giudici di cognizione.
1.2. Nell'impugnata sentenza, la Corte di secondo grado ha preliminarmente respinto le eccezioni procedurali avanzate dalla difesa del D.D., riguardanti l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto disposte per il reato associativo per il quale non vi è stata condanna, ma utilizzate come prova dei reati accertati; nonchè l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio immediato per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione sub I. Quanto alle censure di merito, in termini generali si è rimarcato che la modifica legislativa del 2002 (L. n. 189 del 2002) ha ampliato la sfera di operatività della fattispecie criminosa D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 12, comma 1, configurandola come un reato di pericolo o a consumazione anticipata, attribuendo rilievo agli "atti diretti" a favorire l'ingresso nel territorio dello Stato o a procurare l'ingresso illegale in altro Stato, anche se si tratta di persona già irregolarmente presente sul territorio italiano, senza alcun rilievo per l'effettività, la durata o le finalità dell'entrata o del transito, nè della destinazione finale dello straniero in transito.
1.3. L'impugnata sentenza ha poi esaminato distintamente le posizioni degli appellanti, con riguardo alle doglianze di merito.
1.3.1. Per l'B.B., condannato per il capo K in relazione al favoreggiamento dell'ingresso illegale in Italia di due cittadine eritree minorenni, preso atto che l'appellante non ha contestato le condotte materiali, bensì la qualificazione giuridica delle stesse, ne ha comunque ricapitolato i tratti salienti, consistenti nel fatto che il (Omissis) detto imputato era stato colto a Marsala mentre stava imbarcando le due ragazze sul pullman di linea Marsala/Roma e nell'occasione era dotato di un telefono con cui comunicava con tale F.F., il quale attendeva a. Roma le due immigrate. Inoltre, in sede di esecuzione dell'ordinanza cautelare, B.B. veniva trovato in possesso del cel14Lulare contenente la scheda telefonica dell'utenza (Omissis), sulla quale erano state intercettate le conversazioni più rilevanti dell'indagine.
La Corte territoriale ha escluso l'applicabilità del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 12, comma 2, - a tenore del quale non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisognò comunque presenti nel territorio dello Stato - rilevando che le ragazze non correvano alcun pericolo, essendo già state regolarmente ospitate in un centro di accoglienza italiano, sotto il controllo delle autorità italiane.
E' stata altresì esclusa l'applicabilità dell'art. 31 della Convenzione sullo status di rifugiato, che regola la condizione di chi - pur soggiornante irregolarmente nel territorio dello Stato - si sia presentato senza indugio alle autorità ed abbia giustificato validamente l'ingresso ed il soggiorno irregolari, rilevandosi che la condotta dell'imputato era orientata in direzione diametralmente opposta, per avere cercato di sottrarre le migranti al controllo delle autorità italiane.
1.3.2. Per D.D., condannato per il capo I, sono state valorizzate le numerosissime conversazioni intercettate sulle utenze nella sua disponibilità, compresa l'utenza (Omissis), intestata falsamente a G.G., ma trovata in possesso del D.D. nella perquisizione effettuata durante il suo fermo e contenente materiale (foto, video, comunicazioni) chiaramente di pertinenza del D.D.. E' stata quindi respinta l'eccezione difensiva di erronea valutazione degli esiti della perquisizione, ritenendosi acclarata la disponibilità delle utenze in capo a detto appellante e si è escluso ogni dubbio circa la riferibilità al medesimo delle conversazioni intercettate, nonchè in ordine alla lamentata assenza di accertamenti tecnici sullo spettro fonico delle voci registrate.
Ad ulteriore supporto dell'accertamento di responsabilità del D.D., si sono richiamate le dichiarazioni rese dal coimputato A.A. circa l'ausilio prestato alle ragazze, la percezione di denaro inviato da un loro parente per consentire il prosieguo del viaggio verso altro paese Europeo, e l'uso di appellarsi con diminutivi, come A.A. o D.D..
Si è poi respinta l'eccezione di mancanza di prova della condizione di irregolarità delle due donne, non essendo emersa documentazione attestante il contrario, ed emergendo tale condizione dai dati complessivi dell'indagine.
1.3.3. Per A.A., richiamate le osservazioni sopra illustrate quanto al capo I, per l'imputazione H si sono fatti i seguenti rilievi.
Quanto alla condotta materiale, si sottolinea che l'appellante non aveva contestato le acclarate circostanze per cui il 31/5/2015 A.A. era stato contattato da C.P., il quale gli aveva comunicato che suo fratello I.I. era giunto in Italia e si trovava in un centro di accoglienza, senza denaro e bisognoso di aiuto, sicchè A.A. aveva accettato di aiutarlo, acquistandogli il biglietto ferroviario per arrivare a Roma - destinazione intermedia verso la frontiera di Ventimiglia, essendo il migrante diretto verso altro Stato Europeo dando a I.I. le indicazioni necessarie per il buon esito del viaggio.
In tal modo, sotto il profilo della qualificazione giuridica, A.A. aveva apprestato un concreto ausilio e dunque compiuto atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato di una persona priva di titolo di residenza o cittadinanza in detto Stato.
Ciò posto, si è esclusa l'ipotesi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 (favoreggiamento della sola permanenza), fattispecie che peraltro richiede la prova della finalità di profitto.
Si è inoltre esclusa la scriminante del comma 2 della citata disposizione, rilevando che I.I. non correva alcun pericola, essendo ospitato in un regolare centro di accoglienza italiano; nè si è ritenuta operante la norma dell'art. 31 della Convenzione sullo status di rifugiato, in quanto qui vi è prova di un'attività sicuramente diretta a sottrarre i migranti al controllo delle Autorità italiane, avendo l'imputato fornito ausilio per consentire la fuga di I.I. dal centro ove era ospitato, onde evitare la registrazione e la documentazione della sua presenza in loco. Si è infine escluso che sia mancante la prova della condizione di irregolarità del migrante interessato dall'ausilio dell'A.A..
1.3.4. Per C.C., che risponde di cinque imputazioni -qualificate ai sensi dell'art. 12, comma 1, per essere state escluse tutte le aggravanti, ad eccezione del capo P per il quale è stata ritenuta accertata l'aggravante del favoreggiamento di più di cinque persone, in gran parte minorenni, si è ripercorso l'iter motivazionale dell'accertamento di responsabilità, richiamando le intercettazioni dell'utenza (Omissis), riconosciuta come propria dall'imputato nel corso della sua identificazione, dalle quali risultava che egli operava stabilmente a Roma e cooperava al trasferimento dei connazionali dai luoghi di sbarco alla capitale, quindi verso le destinazioni Europee indicate dai migranti, curando i rapporti con i loro parenti, dai quali riceveva il denaro necessario ad organizzare i trasferimenti verso le città del nord Italia o verso le destinazioni in altri Stati Europei.
Si sono esaminate partitamente le cinque imputazioni, indicando le conversazioni di rilievo, e richiamando i servizi di osservazione, pedinamento e controllo riferiti dal teste di Polizia giudiziaria L.L., con particolare riguardo al servizio del 13/10/2015 nei pressi della biglietteria della Stazione Tiburtina di Roma (pag. 50 - 53 della sentenza di primo grado).
Altro teste di Pg, M.M., ha riferito di un sinistro stradale in cui restava vittima la migrante N.N., investita sull'arteria stradale Asse Mediano di Napoli a seguito della fuga della donna da un centro di accoglienza di Napoli, organizzata e coordinata da C.C. il giorno (Omissis).
In estrema sintesi, le attività addebitate all'C.C. sono le seguenti: acquista biglietti con destinazione Parma per la migrante O.O. (capo M), e con destinazione Bolzano "alla volta forse della Germania" per la migrante P.P. (capo N); acquista un biglietto ferroviario da Bari a Roma per la migrante Q.Q., diretta in l'Olanda (capo O); provvede a contattare i migranti appena sbarcati per eludere le procedure identificative con l'acquisizione delle impronte digitali; vi è una serie di soggetti favoriti con l'acquisto di biglietti di viaggio (capo P); organizza la fuga dal centro di accoglienza di Napoli ed aiuta sette clandestini minorenni di nazionalità eritrea (capo Q).
Quanto alla prova dell'aggravante del numero dei soggetti favoriti, per il capo P, si sono richiamate le conversazioni di interesse ed il sequestro della ricevuta Western Union n. (Omissis).
1.4. Le censure difensive sulla inaffidabilità della perizia trascrittiva delle intercettazioni sono state valutate nell'impugnata sentenza, che ha richiamato il prudente apprezzamento di detta perizia operato dalla prima Corte d'Assise, la quale l'aveva ritenuta attendibile soltanto con riferimento ad un limitato numero di condotte contestate, talvolta supportate dagli esiti dei servizi di OCP e delle perquisizioni; in particolare, la perizia non si è ritenuta sufficiente a dare prova delle numerose contestate aggravanti (con l'unica eccezione del capo P).
1.5. Il trattamento sanzionatorio è l'unico profilo per il quale vi è stata una parziale riforma, nei confronti degli imputati A.A. ed C.C., a favore dei quali si è operata la riduzione dell'aumento calcolato per il segmento di pena a titolo di continuazione, nei termini che si sono già indicati.
Infine, è stata negata la concessione dei benefici di legge per gli imputati che potevano fruirne, essendosi esclusa una prognosi di esclusione del rischio di recidiva, con riguardo alla tipologia delle condotte e delle loro concrete modalità attuative.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con atti distinti, le difese degli imputati, svolte dall'avv. Giuseppina Massaiu nell'interesse di A.A., D.D. e B.B., e dall'avv. Raffaella Fiore per C.C., presentando i seguenti motivi di impugnazione, che qui si enunciano nei limiti strettamente necessari per la motivazione della sentenza, come dispone l'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Ricorso degli imputati A.A. (capi H e I) e D.D. (capo I).
2.1.1. Con il primo motivo si deducono profili di violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova.
Si denuncia che siano state trascurate le argomentazioni della difesa in ordine all'inconfigurabilità della fattispecie criminosa contestata, e si afferma che non ricorra nemmeno un caso di doppia conforme, poichè nel giudizio di primo grado la condotta dei ricorrenti era stata descritta come diretta a procurare l'ingresso in Italia, mentre nel processo di appello si è valorizzata l'intenzione dei migranti favoriti di sconfinare in altri paesi, con l'ausilio degli imputati, senza avere dimostrato detta volontà dei migranti, nè la consapevolezza dei ricorrenti di contribuire a concretizzare tale proposito. In tal modo si è inserita nel discorso giustificativo una palese divergenza del risultato probatorio rispetto agli elementi di prova emergenti dagli atti processuali, peraltro su uri punto dotato del carattere di decisività.
Quanto all'imputazione sub H, la Corte ha ritenuto che A.A. avesse aiutato il I.I. a sottrarsi ai controlli dell'Autorità italiana in Sicilia e in seguito lo avesse favorito nel lasciare l'Italia; ma ciò che effettivamente detto imputato ha fatto è stato soltanto acquistare un biglietto del treno per Roma, mentre il biglietto del tratto Roma - Ventimiglia era stato acquistato direttamente dal I.I., con la semplice supervisione dell'A.A., il quale non aveva idea delle intenzioni del migrante.
Si rileva che l'indicazione di Roma come crocevia verso l'estero è un passaggio motivazionale che oltrepassa le risultanze del dibattimento di primo grado. Nè i suggerimenti e le indicazioni di viaggio potrebbero costituire atti idonei ad integrare la condotta del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, infatti I.I., alla fine, si recava in Germania senza informare A.A..
In ordine al capo I, interessante entrambi i ricorrenti, si assume il medesimo e maggiore travisamento probatorio, in quanto l'aiuto offerto da A.A. ad una delle due ragazze è stato soltanto quello di ricevere i soldi al posto suo, per rispetto del vincolo parentale con il padre di A.F., ciò essendo peraltro necessitato dal fatto che i canali ufficiali do valuta non sono agibili da persone prive di documenti. L'imputato non aveva avuto alcun ruolo nelle successive decisioni delle ragazze, le quali infatti si sarebbero fatte aiutare da altre persone conosciute nel centro di accoglienza, suscitando il disappunto che emerge dalle intercettazioni. Nemmeno risulta provata la futura destinazione delle medesime in altro paese, trattandosi di un dato soltanto supposto dai giudici di merito: pertanto vi è travisamento probatorio per avere introdot:o una circostanza inesistente, in grado di disarticolare l'intero ragionamento probatorio.
2.1.2. Si deduce erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, per non essersi applicati i commi 2 o 5 della medesima norma.
Il ruolo dei ricorrenti non è stato quello di favorire l'ingresso nel territorio dello Stato, bensì di aiutare i migranti nel superare le difficoltà legate alla ignoranza della lingua, al soddisfacimento dei bisogni primari, ed anche all'acquisto di titoli di viaggio per spostarsi all'interno del territorio nazionale.
2.1.3. In detto motivo si censura l'inosservanza e/o falsa applicazione dell'art. 221 c.p.p., nonchè la motivazione apparente nella parte relativa all'esame degli elaborati peritali.
Nell'avallare il giudizio sostanzialmente recuperatorio della prima Corte di Assise, l'impugnata sentenza non si è confrontata con le censure espresse nel gravame, che avevano invocato la nullità dell'elaborato peritale, sul quale si fonda quasi esclusivamente l'affermazione di responsabilità dei ricorrenti.
Le trascrizioni con traduzione dalla lingua tigrigna effettuate dai signori R.R non sono affidabili, sicchè non avrebbero dovuto essere utilizzate nella loro interezza; non è stata considerata la richiesta della difesa di comparare le trascrizioni dei periti con quelle dei consulenti di parte, nè si è stigmatizzato il fatto che i periti avessero dichiarato di avere "manomesso" i testi, omettendo le parole ripetute o trascrivendo solo dei riassunti. Tali rilievi non potevano essere trascurati, nè compensati con un trattamento sanzionatorio meno severo, come ha affermato l'impugnata sentenza.
2.1.4. Si censura per violazione di legge e vizio di motivazione il mancato riconoscimento del D.Lqs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 2 e del comma 5, ritenendo assente ogni esame di tale doglianza nella sentenza di appello.
Si ribadisce che A.A. aveva aiutato il migrante C.P. per motivi di natura solidaristica, ma non aveva mai avuto contezza delle sue intenzioni di proseguire il viaggio, tant'è vero che I.I. era privato in Germania comunicandolo al primo a cose fatte, e A.A. a sua volta gli aveva dato informazioni tratte dalla sua esperienza personale, avendo cercato per tre volte di lasciare l'Italia.
Sono contestate anche le attività che si asseriscono dirette a sottrarre i migranti al controllo delle autorità italiane, con l'ausilio prestato per la fuga dai centri di accoglienza: puntualizza il ricorso che i migranti possono liberamente decidere se accettare o no l'accoglienza nei centri a ciò destinati, senza che ciò comporti conseguenze giuridiche.
Pertanto, A.A. doveva essere assolto dal capo H, sia per avere agito per motivi solidaristici con il connazionale, sia per averne eventualmente favorito la permanenza in Italia, in assenza però di ingiusto profitto, dunque con attività qualificabile come post factum non punibile.
Anche per il capo I, contestato ad A.A. e D.D., si lamenta il mancato riconoscimento dei commi 2 e 5 dell'indicata disposizione, richiamando le circostanze di fatto dell'ausilio prestato alle ragazze, una delle quali figlia del cugino materno dell'A.A., ed i limiti della rilevanza giuridica di tali condotte, già in precedenza sintetizzati.
Quanto all'imputato D.D., a prescindere dai dubbi sulla sua identificazione, a suo carico non vi sono condotte concrete, ma soltanto due telefonate che confermano come le due ragazze si siano allontanate dalle indicazioni paterne, nè si è dimostrato che le stesse avessero intenzione di abbandonare il territorio italiano. Il ricorrente non ha integrato alcuna attività materiale, limitandosi ad intervenire in nome dell'amicizia che lo legava all'A.A..
Manca anche la prova dell'elemento soggettivo, non avendo i ricorrenti alcuna consapevolezza dei progetti di e Spa trio in altri Stati dei migranti aiutati.
2.1.5. Nell'ultimo motivo di impugnazione ci si duole dell'applicazione di una pena non coincidente con il minimo edittale, dell'eccessivo aumento a titolo di continuazione e dell'esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.2. Ricorso dell'imputato B.B. (capo K).
2.2.1. Nel primo motivo si deducono profili di violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova. Come per i ricorsi già illustrati, si denuncia che siano state trascurate le argomentazioni della difesa in ordine all'inconfigurabilità della fattispecie criminosa contestata, e si afferma che non ricorra nemmeno un caso di doppia conforme, poichè nel giudizio di primo grado la condotta degli imputati era stata descritta come diretta a procurare l'ingresso in Italia, mentre nel processo di appello si è valorizzata l'intenzione dei migranti favoriti di sconfinare in altri paesi, con l'ausilio degli imputati, senza però avere dimostrato detta volontà dei migranti, nè la consapevolezza dei ricorrenti di contribuire a concretizzare tale proposito. In tal modo si è inserita nel discorso giustificativo una palese divergenza del risultato probatorio rispetto agli elementi di prova emergenti dagli atti processuali, peraltro su un punto dotato del carattere di decisività.
Nel caso di specie, la ricostruzione dell'impugnata sentenza poggia sulla circostanza che le migranti S.S e T.T., già entrate in Italia senza alcun contributo dell'B.B., siano state concretamente aiutate dall'imputato nel trasferimento dalla Sicilia a Roma, ritenuta luogo di transito verso le destinazioni in altri paesi Europei. Tale destinazione ad altri paesi Europei è però del tutto priva di prova, trattandosi di un dato soltanto supposto e così introdotto nella sentenza, ma fondante la condanna.
Peraltro, delle due ragazze protagoniste della vicenda si sono perse le tracce, non sono state sentite nel procedimento, nè si conosce se abbiano o no richiesto ed ottenuto protezione internazionale, elementi che dovevano essere provati dall'accusa. Parimenti, non vi è prova della consapevolezza dell'B.B. di avere prestato ausilio alle ragazze intenzionate a recarsi in altri paese Europei.
2.2.2. Nel secondo motivo si deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di favoreggiamento dell'emigrazione, e violazione di legge per mancanza degli elementi costitutivi di detto reato.
Afferma il ricorrente che l'impugnata sentenza si fonda su un evidente pregiudizio, consistente nell'affermazione che il cosiddetto "ausilio" prestato dall'B.B. fosse necessariamente prodromico al passaggio dei migranti aiutati in altri paesi Europei. Entrambe le Corti, e soprattutto quella di secondo grado, hanno sorvolato sulle argomentazioni difensive che denunciavano la mancata corrispondenza della condotta di B.B. con la fattispecie incriminatrice. Infatti, il contributo di detto imputato si è limitato all'acquisto di due biglietti di viaggio dalla Sicilia a Roma e di un telefono cellulare, ma i giudici del merito non hanno argomentato sulla inquadrabilità di tali atti quali "altri atti diretti a procurare l'ingresso", elemento specificante del loro rilievo giuridico a tenore del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1. Nemmeno si è valutata la possibilità di riferire tali atti al favoreggiamento della permanenza in Italia di cui al comma 5 della citata disposizione, fattispecie che necessariamente richiede il fine specifico di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero; questo profilo, specificamente dedotto con il gravame, è rimasto inesplorato, mentre avrebbe potuto condurre all'assoluzione del ricorrente per assenza del fine di profitto, trattandosi di atti di ausilio costituenti post fatta non punibili.
Inoltre, si è censurato che l'impugnata sentenza non abbia verificato la continuità tra la condotta ausiliatrice dell'B.B. e lo spostamento delle ragazze in altro paese Europeo, ove accertato, trattandosi di altro passaggio qualificante della struttura del contestato reato. Il gravame aveva indicato la cesura temporale tra l'arrivo in Italia delle ragazze, il viaggio dalla Sicilia a Roma (impedito dal controllo degli operanti, n.d.r.), e la successiva tratta Italia-estero, di cui mancava ogni prova.
Infatti, per giurisprudenza costante, le condotte successive all'ingresso in Italia richiedono una immediatezza Spa zio-temporale, onde ritenerle rilevanti ai sensi dell'art. 12, comma 1, cit. decreto; in mancanza di tale immediatezza, potrebbe configurarsi la fattispecie di cui al comma 5 di detta norma, che richiede il fine di profitto.
In conclusione, difetta nell'impugnata sentenza lo svolgimento del ragionamento giuridico che ha condotto all'individuazione della fattispecie del comma 1, in relazione alla direzione funzionale degli atti commessi dall'B.B. con il fine di procurare l'ingresso nello Stato e lo sconfinamento in altro Stato.
Al contrario, l'acquisto di un biglietto di viaggio con destinazione italiana, all'interno del territorio italiano, in un momento successivo all'ingresso delle migranti in Italia, non costituisce atto idoneo a procurare l'emigrazione verso altro Stato, senza contare che tale intento delle ragazze non è stato affatto provato.
2.2.3. Nell'ultimo motivo di impugnazione, ci si duole dell'applicazione di una pena eccessiva, fissata come base in tre anni, molto superiore al minimo edittale, e dell'esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante le condizioni personali dell'B.B. di incensurato e di migrante al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato.
2.3. Ricorso dell'imputato C.C. (capi M, N, O, P, Q).
Preliminarmente il ricorrente osserva che è destituita di fondamento l'affermazione dell'impugnata sentenza che gli attribuisce una severa critica delle trascrizioni peritali, in quanto la difesa dell'C.C. non aveva avanzato alcuna censura sull'opera dei periti, anzi ne ha sempre ritenuto la conformità a quella del consulente di parte, tanto più che i fatti emergenti dalle intercettazioni sono stati confermati dall'imputato nel corso dell'interrogatorio.
2.3.1. Il primo motivo si impernia sulla dedotta contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione, anche per travisamento della prova, e con specifico riferimento ai capi O e Q - sulla violazione di legge consistita nell'assunzione di una prova inutilizzabile ex art. 191 c.p.p..
In primo luogo si puntualizza che, a tenore del materiale probatorio, nessun contributo è addebitabile all'C.C. per aver aiutato i migranti ad entrare in Italia (immigrazione illegale); quanto alle ipotesi di emigrazione illegale, cioè l'ausilio prestato per raggiungere altri paesi Europei, risultano supportate soltanto le vicende riguardanti la migrante Q.Q. (capo O) e il migrante U.U. (capo P), mentre per tutti gli altri (O.O. per il capo M, P.P. per il capo N, B.B. per il capo O, e V.V. per il capo Q) manca la prova che il loro tragitto sia proseguito oltre i confini italiani, anzi per O.O. si conosce la sua destinazione finale, la città di Parma.
La corretta qualificazione giuridica delle vicende accertate sarebbe stata, dunque, la fattispecie del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, trattandosi di attività di ausilio per spostamenti dei migranti entro i confini italiani.
In tali termini si era posto il problema della qualificazione giuridica nei motivi di appello, deducendo comunque la carenza del dolo specifico del fine di profitto, come è stato riconosciuto nell'impugnata sentenza. Ma tale specifico e decisivo motivo di gravame non ha trovato alcuna risposta, fondando il rilevato vizio motivazionale. Invero, la sentenza si diffonde nella equiparazione tra le condotte di immigrazione/emigrazione, ma non si pronuncia sulla distinzione tra l'agevolazione dell'ingresso/uscita dai confini statali e l'agevolazione della permanenza nel territorio italiano. Nè può giovare il richiamo alla natura di reato di pericolo delle fattispecie di cui all'art. 12, comma 1, cit. decreto, poichè nel caso in esame la maggior parte dei migranti aiutati da C.C. non nutriva intenti ulteriormente migratori, ed anche per coloro che li avevano manifestati non vi era alcun atto concreto che ne desse evidenza, non potendosi così interpretare il raggiungimento di città del nord Italia. A dimostrazione di tali incongruità motivazionali, e dei travisamenti della prova che hanno comportato, il ricorso ha affrontato partitamente le vicende specifiche dei migranti.
Quanto alla denunciata violazione di legge per assunzione di una prova inutilizzabile ex art. 191 c.p.p., essa è stata indicata nel richiamo alla persona di Z.Z., ritenuto collaboratore dell'C.C.: il ricorrente rileva che tale soggetto non era mai emerso nell'istruttoria dibattimentale, e la sua citazione nell'impugnata sentenza è derivata da un riferimento contenuto nella requisitoria del Pubblico ministero, illegittimamente riportato nella prima sentenza a pag. 35, trattandosi della trascrizione di un atto di indagine non ritualmente acquisito in dibattimento.
Parimenti, in relazione al capo Q, si denuncia l'inserimento nell'impugnata sentenza di informazioni tratte da atti di indagine non ritualmente assunti nel processo de quo, con riferimento al decesso di una ragazza, tale N.N., fuggita dal centro di accoglienza di Napoli insieme ad altre migranti, tra le quali, peraltro, non figurava la V.V..
2.3.2. Nel secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione nell'interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, alla luce della modifica attuata con la L. 15 luglio 2009, n. 94, che ha ristretto la rilevanza penale della condotta di detto reato agli atti idonei diretti a "procurare" anzichè a "favorire" l'ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato. Si è pertanto censurata l'individuazione di atti idonei nel rilevare i migranti dal centro di accoglienza, nell'assicurarne il trasporto a Roma, nel dotarli di vestiario e telefoni cellulari, trattandosi di condotte al più indicative di agevolazione della permanenza nello Stato, così come l'attività di "consulenza" asseritamente prestata dall'C.C. ai migranti, costituente mera divulgazione di notizie ed informazioni utili e comunque accessibili in quanto diffuse da fonti pubbliche o private. Nemmeno l'acquisto di biglietti ferroviari per località italiane, anche se la destinazione finale fosse un altro Stato confinante, potrebbe ormai rilevare ai sensi dell'art. 12, comma 1, cit. decreto, in quanto non si tratterebbe di atti diretti a "procurare" l'ingresso in Italia o altri Stati Europei.
2.3.3. Nel terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere applicato la fattispecie incriminatrice in contrasto con gli artt. 25 e 117 Cost., con gli artt. 6, 7, 8 del Reg. UE 604/2013 (Dublino III), e con l'art. 29 par. 2 dell'Alien Act del 2000.
Rileva il ricorrente che tutti i migranti aiutati sono di nazionalità eritrea, e quindi godono del diritto alla protezione internazionale, data la critica situazione sociopolitica del loro Paese, retto da una dittatura che perpetra sistematiche violazioni dei diritti fondamentali. I migranti di tale nazionalità, dunque, non possono considerarsi illegali, ma soggetti agli istituti di protezione internazionale, ed alle deroghe specificate nel Regolamento c.d. Dublino III per i paesi di primo arrivo, a tutela dei vincoli familiari ed affettivi dei richiedenti asilo. Alla luce di detto quadro normativo e convenzionale, gli eritrei hanno diritto al permesso di protezione internazionale prima facie, e - se giunti negli anni 2015/2017 potevano avviare la domanda a ciò diretta in qualsiasi Paese contraente, a prescindere dal luogo di sbarco. In conclusione, gli eritrei - anche se irregolarmente soggiornanti nel paese ospitante - ricadono nella clausola di esclusione da sanzioni penali prevista dall'art. 31 della Convenzione sullo status dei rifugiati, nè le norme sul favoreggiamento dell'immigrazione irregolare possono costituire una criminalizzazione indiretta delle condotte che ricadono nel focus di tale disciplina.
Tale reimpostazione della situazione dei migranti di nazionalità eritrea ha evidenti riflessi sulle fattispecie contestate nel presente processo, rendendo irrilevante il favoreggiamento diretto all'elusione dei controlli di polizia mediante il tentativo di impedire l'acquisizione delle impronte digitali, e rende necessaria la prova che le persone favorite da C.C. non avessero già avanzato la domanda di protezione internazionale in territorio italiano o che i loro familiari non avessero già azionato la procedura del ricongiungimento familiare. Ciò, ad esempio, rileva per la posizione di Q.Q., la quale è stata compiutamente identificata (avendo deposto come testimone nel presente processo) ed è risultata titolare di un permesso di soggiorno olandese, dal 12/7/2016, coerentemente alla sua intenzione di ricongiungersi con i familiari residenti in Olanda. Il ricorso riporta la normativa olandese - l'art. 29 par. 2 dell'Alien Act del 2000 - da cui si ricava che all'arrivo nei Paesi Bassi viene accordato un permesso di soggiorno per asilo al membro della famiglia che si ricongiunga al nucleo familiare.
Quanto ai migranti minorenni, è lo stesso trattato di Dublino III che prevede la possibilità di chiedere la protezione internazionale nello Stato membro in cui si trova legalmente un familiare.
Del resto, la stessa Corte di Assise di appello di Roma, nel processo con rito abbreviato celebrato per altri coimputati, ha considerato l'ipotesi che detti migranti avessero titolo per rimanere nel territorio dello Stato, trattandosi spesso di persone aventi diritto di asilo. Nell'impugnata sentenza, invece, il tema della Relocation, pur affrontato nell'atto di appello, non ha avuto che una fugace trattazione, mentre era di evidente rilevanza soprattutto in ordine all'elemento soggettivo del reato.
Si è segnalato il rilievo della sentenza della Corte costituzionale n. 21 del 2009, la quale ha fissato i limiti per la determinatezza della fattispecie di reato in esame, richiedendo che l'illegalità dell'ingresso in altro Stato vada verificata alla stregua della disciplina di detto Stato, e non già della normativa interna; ciò postula l'accertamento della destinazione finale individuata dal migrante, altrimenti - persistendo il dubbio sul punto, e dunque sul carattere illegale dell'emigrazione favorita - "il favoreggiatore dovrebbe essere evidentemente assolto".
2.3.4. Si deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'elemento soggettivo del reato, essendo stato nel gravame analiticamente trattato il tema dell'assenza di volontà dell'imputato cli aiutare i migranti ad emigrare illegalmente. Risulta provato che C.C. ha aiutato i compaesani (tutti del paese di Senafe), consapevole che essi avevano o avrebbe avuto un permesso di soggiorno, alla stregua della normativa illustrata e da lui conosciuta, tant'è vero che l'ausilio è stato gratuito e limitato ad acquistare biglietti di viaggio per destinazioni italiane, con rifiuto espresso di acquistare per P.P. un biglietto per Colonia e per B.B. per Ventimiglia (località di confine), al più prestandosi C.C. a farlo per le destinazioni di Bolzano e di Bologna.
Nell'impugnata sentenza, il tema dell'elemento psichico è stato trattato in termini opposti, ritenendo che gli indicati elementi deponessero per la sussistenza del dolo dell'imputato, in quanto le accortezze erano dirette ad aggirare le norme sull'immigrazione, a tal fine richiamando l'intercettazione in cui C.C. si duole con l'interlocutore dell'arresto di W.W. (trascrizione allegata al ricorso). Peraltro, si rileva che quest'ultimo è stato successivamente assolto dal reato di favoreggiamento dell'immigrazione. Si rivendica che vi è stato un errore di comprensione dell'C.C. nel ritenere che la legge non imponesse comunque l'obbligo di informare le Autorità del territorio di sbarco onde seguire la procedura ordinaria, a seguito della quale lo Stato italiano avrebbe avviato le pratiche di relocation. 2.3.5. Si deduce motivazione carente e manifestamente illogica in ordine all'aggravante del numero di persone agevolate con riferimento al capo P. Nel gravame si era contestata la ricorrenza di detta aggravante, rilevando che le persone agevolate risultavano essere soltanto quattro (U.U., Y.Y., J.J. e K.K.), specificando anche che per il capo P C.C. era stato originariamente imputato insieme a A.A. e K.K. (assolti in primo grado).
Sul punto, la motivazione resa nell'impugnata sentenza è stata del tutto illogica, in quanto non ha fatto distinzione tra le diverse condotte di ausilio, senza rilevare che per i cinque aiutati da C.C. a titolo gratuito l'ausilio è consistito nell'indirizzare i loro spostamenti da Ancona a Roma e non nel favorire l'ingresso in altri Stati.
Motivi della decisione
1. I ricorsi degli imputati devono trovare accoglimento, nei seguenti termini.
In termini generali, trattandosi di motivo comune ai ricorrenti, che hanno dedotto violazione di legge per mancanza degli elementi costitutivi del contestato reato, si rileva che le imputazioni per le quali vi è stata condanna - imperniate sul compimento di "atti diretti a procurare l'ingresso illegale in territorio italiano e in più Stati, in violazione della normativa vigente in materia di immigrazione, di numerosi extracomunitari clandestini privi di ogni diritto e titolo di residenza" - sono state criticate con riferimento all'individuazione della fattispecie specifica in seno al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, ritenendosi che, alla stregua delle condotte effettivamente provate, la qualificazione giuridica delle vicende accertate potrebbe al più rientrare oggettivamente nel paradigma del comma 5 di detta disposizione, ovvero nel favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato, trattandosi di mere attività di ausilio per spostamenti dei migranti entro i confini italiani. Tuttavia, tale qualificazione era già stata correttamente esclusa per la carenza del dolo specifico del fine di profitto, non essendovi prova di percezione di compensi da parte degli imputati per dette attività di ausilio, come hanno riconosciuto le sentenze di merito. I ricorrenti hanno pertanto dedotto la sostanziale irrilevanza giuridica delle condotte incriminate.
Tali affermazioni vanno verificate, tenendo in particolare considerazione un dato rilevante, ossia la dissoluzione dell'ipotesi investigativa dell'associazione finalizzata a delitti di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (capo A), contestazione che non ha raggiunto esiti di condanna con riferimento agli odierni imputati, indicati come appartenenti alla celP.P. romana.
Invero, nel presente processo, le imputazioni residue sono state descritte in ciascuna vicenda esaminata in termini di mero concorso con persone allo stato non identificate, ma ciò impone di valutare in forma episodica e circoscritta l'azione commessa dai singoli imputati, senza poterla inserire in un quadro associativo che assegni rilievo a segmenti di condotte innestate in una più ampia azione del gruppo organizzato, nè essendosi individuati ulteriori concorrenti che potessero fungere da teste di ponte onde concretizzare la proiezione dei migranti verso destinazioni finali in altri Stati.
Ciò ha determinato la prima criticità, rilevata dai giudici di merito, laddove si è escluso il contributo degli odierni imputati alla fase di ingresso in Italia delle persone provenienti dalle coste Libiche, focalizzando l'attenzione sulle condotte criminose costituite da opere di ausilio rese dagli imputati in favore di connazionali eritrei, anche di età minore, già presenti nel territorio dello Stato, condotte di cui si assume la finalità di procurare il trasferimento dei migranti irregolari verso altri paesi Europei dell'area Schengen. 1.1.1. Per l'imputato B.B., che risponde del capo K, l'addebito è quello di avere aiutato due ragazze minorenni di nazionalità eritrea, tali X.X. e A.B., già presenti in Italia, a trasferirsi dalla Sicilia a Roma, ritenuta luogo di transito verso le destinazioni in altri paesi Europei.
Illustra l'impugnata sentenza, ripercorrendo gli elemerti probatori valorizzati dal primo giudice, che l'imputato aveva organizzato la fuga delle minori dal centro di accoglienza di Mazara del Vallo, aveva acquistato per loro telefoni cellulari e biglietti di viaggio e le aveva accompagnate alla stazione dei pullman per indirizzarle verso Roma, ma l'operazione era stata interrotta dall'intervento della Polizia giudiziaria.
La sentenza, peraltro, pare aderire alla tesi difensiva per cui le ragazze si erano allontanate dal centro di accoglienza di loro spontanea iniziativa, tuttavia le condotte successivamente integrate dall'B.B., in sinergia con tale F.F., costituirebbero un concreto ausilio alle minori per il trasferimento a Roma, luogo di transito verso le rispettive destinazioni per altri paesi Europei. Si puntualizza che le ragazze non correvano alcun grave pericolo, essendo ospitate nel centro di accoglienza, così dovendosi escludere il rilievo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 2; nè rileverebbe l'art. 31 della Convenzione ONU sullo status di rifugiato, che implica una pronta attività di regolarizzazione successiva da parte dell'immigrato irregolare, nella specie mancante attesa la fuga delle ragazze dal centro di accoglienza.
Rileva questa Corte che per inquadrare la posizione dell'imputato sono fondamentali i seguenti elementi: l'assoluzione dal delitto di associazione per delinquere finalizzata a procurare l'immigrazione clandestina (capo A) e l'esclusione delle aggravanti, in particolare di quella del fine di profitto. Per di più B.B. è coinvolto in un'unica vicenda specifica, cosicchè la sua condotta appare episodica.
Il capo di imputazione sub K fa riferimento sia agli atti diretti a procurare l'ingresso in Italia, sia agli atti diretti a procurare l'ingresso in Paesi diversi.
Quanto al primo caso, l'esclusione della partecipazione all'organizzazione che portava i migranti irregolari in Italia e l'ausilio prestato alle ragazze quando esse erano già state prese in custodia dalle Autorità italiane, impedisce di ritenere che il favoreggiamento del trasferimento a Roma integri il concorso nell'immigrazione clandestina.
Invero, l'esegesi di legittimità di questa Corte ha affermato che "In tema di immigrazione clandestina, il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, è integrato - anche dopo le modifiche introdotte nel predetto articolo dalla L. n. 94 del 2009 - non solo dalle condotte specificamente finalizzate a consentire l'arrivo in Italia degli stranieri in posizione irregolare, ma anche da quelle, immediatamente successive, intese a garantire il buon esito dell'operazione, la sottrazione ai controlli della polizia e l'avvio dei clandestini verso la località di destinazione, nonchè, in genere, da tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione collegabili all'ingresso degli stranieri" (Sez. 1, n. 37277 del 23/04/2015, Sclafani e altro, Rv. 264564: nella specie, si è ritenuta immune da censura la condanna, a titolo di concorso nel predetto reato, di un soggetto che aveva provveduto a trasportare in pullman alcuni clandestini, sbarcati sulla costa siciliana, dapprima in un'abitazione rurale, ed in seguito fino alla stazione ferroviaria di Palermo). Tuttavia va puntualizzato che tale condotta, per integrare il concorso nel procurato ingresso in Italia, deve essere immediatamente successiva allo sbarco e costituire il contributo fornito dal soggetto in Italia al successo dell'operazione che ha avuto inizio nel paese straniero da cui sono partiti gli immigrati irregolari.
Nulla di tutto ciò si registra nel caso di B.B..
Quanto, invece, agli atti diretti a favorire l'ingresso in Paese straniero diverso dall'Italia, di cui il tratto Marsala/Roma sarebbe stata la prima tappa, tale condotta - pur astrattamente ipotizzabile - sconta un duplice evidente problema di mancanza di prova, in primis sull'effettiva intenzione delle ragazze di proseguire verso l'estero e sul fatto che A.D. (il quale, da Roma, aveva contattato B.B.) avesse già predisposto il viaggio verso l'estero; in ogni caso, e con maggiore pregnanza, si pone il problema della prova della conoscenza di B.B. della destinazione verso ulteriori paesi esteri delle ragazze clandestine.
Di esse, peraltro, si sono perse le tracce, nè le indagini hanno chiarito se e dove le migranti o i loro congiunti avessero avanzato domanda di protezione internazionale (profilo che sarà approfondito infra nei suoi aspetti giuridici).
Mancando tale dato fondamentale, non resta che l'ausilio prestato da detto imputato a favore di due minorenni a trasferirsi dalla Sicilia nella Capitale, senza evidenza di scopo di lucro, il che comporta l'assenza di rilievo giuridico della condotta, non inquadrabile, così ricostruita, in alcuna ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12.
1.1.2. Per gli imputati A.A. (capi H e I) e D.D. (capo I), si osserva quanto segue.
Anche per detti ricorrenti si pone un problema di prova: acquisito il dato che, in entrambi i casi, non vi è stato aiuto all'immigrazione clandestina in Italia, occorre verificare, invece, se vi è prova di una condotta diretta a procurare l'ingresso dei clandestini agevolati in altro Paese.
Si ribadisce che - caduta l'imputazione associativa e l'aggravante del fine di profitto - la decisione non può che fondarsi sulle condotte materialmente poste in essere, per verificare se da esse si evinca la finalità di procurare l'ingresso dei migranti irregolari in un ulteriore Stato Europeo e la consapevolezza da parte degli imputati della destinazione all'estero dei medesimi.
Il capo H riguarda il favoreggiamento del migrante A.E., mentre il capo I riguarda il favoreggiamento delle migranti A.F. e dell'amica A.G.. Si osserva che le censure dei ricorrenti sul contenuto della perizia di trascrizione e su quanto riferito dai testimoni di polizia giudiziaria sono generiche, cosicchè può non tenersene conto, dando per acquisito il compendio probatorio descritto nell'impugnata sentenza.
Per il capo I, la sentenza fuga i dubbi sull'identificazione del D.D. (che la difesa aveva genericamente riproposto) ma, nel riferire della confessione di A.A., parla soltanto della ricezione di denaro dal padre di una delle ragazze ausiliate e della consegna di tale denaro alla stessa. In un passo successivo, osserva che emergerebbe "prova di un concreto ausilio alle stesse, in transito in Italia, per raggiungere altri Paesi". Tuttavia, dalla sentenza di appello non si comprende: a) se le ragazze sono state compiutamente identificate; b) se vi è certezza del fatto che successivamente siano andate all'estero; c) se vi è prova che A.A. sapesse della loro intenzione. In effetti, consegnare denaro ad un immigrato irregolare con la consapevolezza che tale denaro sarà utilizzato per emigrare clandestinamente in altro Paese Europeo potrebbe rilevare quale "atto diretto a procurare l'ingresso in Paese Europeo", trattandosi di delitto a consumazione anticipata (Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim e altri, Rv. 271127): ma occorre la prova di ciò, snodo che l'impugnata sentenza non ha chiarito. Inoltre, non è chiaro nemmeno quale sia stato il contributo di D.D..
Per il capo H, parimenti, va circoscritto il preciso contributo di A.A. con riguardo al viaggio del clandestino I.I. per Ventimiglia. In sintesi, comprare il biglietto di treno Sicilia - Roma con la consapevolezza che è parte di una tratta più lunga che arriva in Francia, combinato con e indicazioni per il viaggio in Francia, può essere visto come agevolazione all'emigrazione illegale in Francia. Tuttavia, la sentenza si arresta alla constatazione che A.A. ha fornito un concreto contributo in funzione del trasferimento a Roma del I.I., per il quale l'imputato si limitava a dare consigli, e se anche egli avesse avuto consapevolezza dell'eventuale destinazione finale del viaggio, deve concludersi che non ricorre il contestato reato, perchè i consigli e le informazioni non sono funzionali a "procurare" l'ingresso in Francia, ma, al più, lo favoriscono.
1.1.3. Per l'imputato C.C., vengono in rilievo le seguenti condotte.
- Capo M: la migrante O.O. è stata aiutata a raggiungere i suoi parenti a Parma, permanendo in territorio italiano, nè vi è prova che l'imputato abbia procurato il suo ingresso in Italia.
- Capo N: la migrante P.P. è stata aiutata a raggiungere Roma; costei aveva intenzione di andare nel Nord Europa, ma non vi è prova che P.P. sia poi andata in Germania.
- Capo O: la migrante Q.Q. è stata aiutata a raggiungere Roma provenendo da Bari, successivamente C.C. organizzava il suo trasferimento in Olanda. B.B. è stato aiutato dall'imputato a comunicare con i familiari mentre era ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma nel reparto malattie infettive; non risulta che l'imputato abbia favorito il suo ingresso in Italia, nè la sua emigrazione in altro Paese.
- Capo P: si afferma che dal tenore delle conversazioni intercettate emergono attività di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare nei confronti di "numerosissimi extracomunitari", in numero superiore a cinque (in tal caso l'aggravante è stata mantenuta), organizzando il loro trasferimento dai luoghi di sbarco verso Roma, curando la permanenza illegale nella capitale e, successivamente, verso altre mete Europee. In concreto, la sentenza ha focalizzato una condotta dell'C.C., nella mattinata del 13/10/2015, che vedeva l'imputato presso la Stazione Tiburtina di Roma, intento ad acquistare biglietti insieme a tali A.H., A.I. e U.U., poi associati ad un centro di accoglienza.
- Capo Q: C.C. ha dato 50 Euro a tale V.V. per il trasferimento da Napoli a Roma e le ha dato consigli su come evitare il rilevamento delle impronte digitali. Non risultano trasferimenti di V.V. all'estero, nè contatti con migranti che intendevano raggiungere altri paesi Europei. Dall'istruttoria dibattimentale non risulta che C.C. abbia organizzato la fuga di V.V. dal Centro di Napoli: infatti la ragazza lo contatta dopo essere fuggita.
Come per gli altri imputati, è da escludere che C.C. abbia favorito l'immigrazione illegale in Italia delle elencate persone, essendo stato assolto dall'imputazione associativa e i contatti accertati in atti sono con migranti già arrivati in Italia.
Per quanto riguarda l'emigrazione verso altri Paesi, deve escludersi la responsabilità rispetto ai clandestini che non avevano manifestato l'intenzione di andare all'estero; per quelli che perseguivano tale scopo, occorre, comunque, la prova di una condotta concreta da parte dell'imputato, condotta che non poteva consistere nel dispensare consigli di viaggio, nè nell'acquistare titoli di viaggio per destinazioni interne, ma doveva "procurare" l'ingresso in altro Stato. Quindi, l'acquisto di biglietti per una tappa intermedia (Bolzano, Bologna), di per sè, non integra un atto diretto a "procurare" l'emigrazione illegale, a meno che non vi sia prova che l'aiuto si inserisca in un progetto ben definito di emigrazione verso altri Paesi Europei. Si ribadisce, sul punto, che il fatto è nella specie contestato esclusivamente all'C.C., nonostante il richiamo nelle imputazioni al concorso con persone non identificate, cosicchè non vi sono evidenze di un progetto finalizzato in tal senso, nel quale l'imputato abbia assunto un ruolo di raccordo, sia pure limitato al territorio italiano.
1.2. Inoltre, con argomento valido per tutti i ricorrenti, ai fini della configurazione del contestato reato, va verificato - come ha richiesto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 21 del 30/1/2009 - che il Paese estero di destinazione del migrante sia identificato con certezza e che l'immigrazione in quel Paese sia illegale. Infatti, sul punto va richiamato l'insegnamento della Consulta, laddove ha puntualizzato che "l'illegalità dell'ingresso in altro Stato va(da) verificata alla stregua della disciplina dello Stato in cui II soggetto favorito intende recarsi e non già della normativa interna. La conclusione è puntualmente confermata dalle disposizioni comunitarie e dalle convenzioni internazionali alle quali l'incriminazione del favoreggiamento dell'emigrazione illegale verso l'estero si presenta connessa, in quanto fonti di obblighi per lo Stato italiano di repressione del fenomeno considerato. Così, in particolare, l'art. 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90/CE del 28 novembre 2002 (Direttiva del Consiglio volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali) stabilisce - sulla falsariga, in parte qua, dell'art. 27, paragrafo 1, della Convenzione di Schengen del 19 giugno 1990 (abrogato dall'art. 5 della citata direttiva) - che gli Stati membri debbano adottare "sanzioni appropriate" nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona, che non sia cittadino di uno Stato membro, ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro "in violazione della legislazione di detto Stato" relativa all'ingresso o al transito degli stranieri. Analogamente, l'art. 3, lett. b), del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale al fine di combattere il traffico illecito dei migranti per via terrestre, marittima ed aerea, adottata dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000, ratificata e resa esecutiva con L. 16 marzo 2006, n. 146, prevede che per "ingresso illegale" di una persona in uno Stato parte, di cui la persona stessa non è cittadina o residente permanente - il cui favoreggiamento gli Stati parte si impegnano a prevedere come reato, nei casi indicati dall'art. 6 - debba intendersi "il varcare i confini senza soddisfare i requisiti necessari per l'ingresso legale nello Stato di accoglienza"." Alla stregua di tali indicazioni, ricavate dalle fonti internazionali e pattizie, è evidente quale essenziale rilevanza acquisisca - ai fini della configurazione del contestato reato - l'accertamento sia del paese estero verso il quale il migrante sia stato aiutato a recarsi, sia della disciplina di quel paese in materia di immigrazione, elementi che nella sostanziale totalità delle vicende qui esaminate sono rimasti in un limbo probatorio.
Va puntualizzato 0'22- sempre per seguire l'insegnamento della Corte costituzionale nella citata sentenza - in considerazione della configurazione della fattispecie come delitto a consumazione anticipata, l'eventualità che lo Stato di destinazione del migrante clandestino non risulti individuabile con certezza rappresenta una difficoltà di mero fatto nell'applicazione della norma: "In effetti, ove persistesse un insuperabile dubbio sulla identificazione di detto Stato e, con essa, sul carattere illegale o meno dell'emigrazione favorita, il favoreggiatore dovrebbe essere evidentemente assolto".
Sotto questo profilo, l'ottenimento del permesso di soggiorno in Olanda da parte di Q.Q. - unica migrante le cui sorti sono conosciute dimostra che l'agevolazione all'immigrazione verso l'estero, in quel frangente, non era illegale, poichè evidentemente la donna aveva proposto domanda di asilo in quel paese in presenza dei requisiti per ottenerla, sicchè l'aiuto prestato da C.C. per raggiungere Roma e poi l'Olanda non integra il presupposto per la configurazione del reato D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 12, comma 1, come invece ritenuto dai giudici di merito.
Per gli altri migranti, la mancanza di prova di quale altro paese Europeo intendessero raggiungere, e quindi l'impossibilità di accertare la relativa legislazione in materia di immigrazione, nonchè - quanto agli ausiliati minorenni l'eventualità, parimenti non accertata, che essi volessero raggiungere uno Stato membro nel quale si trovava legalmente un familiare o un fratello (criterio che segna la competenza dello Stato membro a curare l'inserimento del minore, ai sensi dell'art. 8 del Regolamento Dublino III), non consentono di ritenere integrato il contestato reato.
2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in quanto gli imputati devono essere assolti con la forriula "perchè il fatto non sussiste".
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2022