Fotografare le persone rientra fra quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa,ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l'ordine pubblico e può dunque costituire molestia o disturbo.
Ciò che viene punito dal reato di cui all'art. 660 c.p. è l'interferenza momentanea nella tranquillità del privato, indipendentemente dalla percezione del soggetto fotografato (che riceve una protezione soltanto riflessa), sicchè la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
sentenza n. 9446/18, dep. 1.03.2018
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. SARACENO Rosa Anna - rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.G., nato il (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 27/07/2016 del TRIB. LIBERTA' di PALERMO;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSA ANNA SARACENO;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, Dott. GALLI Massimo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo
Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, investito ex art. 324 cod. proc. pen. della richiesta di riesame avanzata da T.G., indagato del reato di cui all'art. 660 c.p., confermava il decreto di convalida emesso il 29 giugno 2016 dal Pubblico ministero, relativo al sequestro probatorio del telefono cellulare del ricorrente.
1.1 Rammentato in premessa che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il Tribunale è chiamato a verificare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutandone il fumus in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell'accusa, ma con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utili ulteriori indagini, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato, osservava a ragione della decisione:
- che correttamente era stato ipotizzato il reato di molestia o disturbo alle persone, emergendo dalla denuncia-querela proposta da M.D. e dall'annotazione di servizio del 28.06.2016 che il T. era stato colto nell'atto si seguire la prima all'interno del centro commerciale Ipercoop, seduto su una carrozzina per disabili e intento a riprendere la giovane donna con il suo telefono cellulare;
- che il Pubblico ministero procedente aveva esaurientemente dato conto nel decreto della natura di corpo di reato della res in sequestro nonché della necessità di mantenimento del vincolo reale ai fini delle indagini, in particolare per accertare la presenza di documenti fotografici della donna all'interno del telefono cellulare.
Ha proposto ricorso l'indagato, a mezzo del difensore avvocato M.S., chiedendo l'annullamento della ordinanza impugnata.
Denunzia violazione di legge in relazione all'art. 660 c.p., e artt. 355 e 324 c.p.p., e vizio della motivazione, sostenendo che, nel caso in esame, non ricorrevano, neppure astrattamente, i presupposti per configurare la contravvenzione ipotizzata, in quanto, per come rappresentato dalla stessa M. nella successiva denuncia di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, la condotta asseritamente posta in essere dall'indagato non aveva invaso la libera determinazione della persona offesa, non aveva recato molestia o disturbo alla stessa, non essendosi la donna accorta di nulla, tanto che la denuncia veniva sporta sulla base di quanto era stato visto dai vigilanti addetti alla sicurezza del supermercato.
Motivi della decisione
Osserva il Collegio che l'impugnazione è quantomeno infondata.
1- Il ricorrente non contesta là sussistenza di esigenze probatorie; ma l'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito nella previsione dell'art. 660 c.p., deducendo che l'indagato aveva al più eseguito pochi e sporadici scatti fotografici, di cui la persona fisica ritratta nemmeno si era avveduta, ragione per la quale non era ipotizzabile nessuna lesione alla tranquillità personale "bene giuridico tutelato dalla norma contestata".
Ma il discorso giustificativo del provvedimento non presenta alcuna carenza motivazionale, avendo il Tribunale, richiamando sia il tenore della denunzia della persona offesa che l'annotazione di servizio della polizia giudiziaria, sinteticamente ma compiutamente dato atto della condotta tenuta dall'indagato, ritenuta in astratto sussumibile nel paradigma normativo della fattispecie contestata.
1.1 Giova ribadire che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse a norma dell'art. 324 c.p.p., in materia di sequestro preventivo o probatorio è previsto dall'art. 325 c.p.p., comma 1, solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errori in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali però da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Ora nel caso di specie il provvedimento impugnato non è affatto (come risulta dalla esposizione in fatto) immotivato e le ragioni che lo sostengono sono oggetto di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta.
E, difatti, in materia di molestia o di disturbo alle persone, l'art. 660 c.p., è teso a perseguire quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa, ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l'ordine pubblico. Essendo oggetto di tutela la tranquillità pubblica per l'incidenza che il suo turbamento ha sull'ordine pubblico, l'interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, sicchè la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate.
Si è, pertanto, affermato che, ai fini della sussistenza del reato previsto dall'art. 660 c.p., la molestia o il disturbo devono essere valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune, cosicchè nell'ipotesi in cui il fatto sia oggettivamente molesto o disturbatore, è del tutto irrilevante che la persona offesa non abbia risentito alcun fastidio (Sez. 5 n. 7355 del 23/05/1984, De Gasperi, Rv. 165668; Sez. 1 n. 18145 del 2/04/2014, Cristodero, n.m.).
Alla luce dei richiamati principi di diritto, l'ordinanza impugnata, che ha ritenuto sussistente il fumus del reato, stimando il fatto, come rappresentato nella sua oggettività che nemmeno il ricorrente contesta, idoneo ad integrare l'interferenza momentanea nella tranquillità del privato, indipendentemente dalla percezione del soggetto fotografato, si sottrae alla censura circa la non configurabilità, nemmeno in astratto, della contravvenzione ipotizzata.
Il ricorso va dunque respinto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2018