Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Fotocopiare a colori pass invalidi è reato (Cass. 32366/18)

13 luglio 2018, Cassazione penale

Fotocopia a colori plastificata è reato se il documento altrui ha l’apparenza e sia utilizzato come originale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 marzo – 13 luglio 2018, n. 32366

Presidente Vessichelli – Relatore Morosini

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di N.L. per aver formato, o concorso a formare, una falsa copia del contrassegno relativo alla concessione di parcheggio per invalidi, rilasciato alla madre B.D.G.V., esponendola sul cruscotto della propria autovettura.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova.
Assume il ricorrente che i giudici di merito, nell’affrontare la problematica del falso grossolano, avrebbero omesso di valutare in modo adeguato le dichiarazioni del testimone di polizia giudiziaria che, sentito in dibattimento, ha riferito che il permesso era "palesemente" contraffatto.
Sotto il medesimo motivo, il ricorrente deduce poi la questione della configurabilità o meno del reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. nel caso in cui il falso consista nella copia fotostatica di un documento vero.
2.2 Con il secondo motivo denuncia violazione di legge, lamentando l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che non potrebbe ritenersi implicito nella materialità del fatto.
3. Il ricorrente ha depositato una memoria con la quale sostiene che non ricorrerebbero cause di inammissibilità del ricorso e che, nel caso di mancato accoglimento, dovrebbe essere dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1 Occorre anzitutto sciogliere il quesito giuridico concerne la configurabilità o meno del reato di falso nel caso in esame.
La soluzione si rinviene negli arresti, ormai consolidati, della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "Integra il reato di falsità materiale commessa dal privato in autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) la riproduzione fotostatica dell’originale di un "permesso di parcheggio riservato ad invalidi" attribuito ad altri e l’esposizione di tale falso permesso sul proprio veicolo, allorché il relativo documento abbia l’apparenza e sia utilizzato come originale, non presentandosi come mera riproduzione fotostatica" (da ultimo Sez. 5, n. 8900 del 19/01/2016, Paolini, Rv. 267711).
La sentenza impugnata dedica ampio spazio all’esame dei caratteri del permesso e, dopo aver dato atto della visione diretta del corpo del reato da parte del giudice, conclude che il contrassegno aveva l’apparenza ed era stato utilizzato come originale, rimarcando che l’imputato aveva esposto sul cruscotto della propria vettura non una copia fotostatica, in bianco e nero, e neppure una fotocopia a colori, ma una riproduzione plastificata e a colori del pass autentico rilasciato alla signora B.d.G., tanto che "la qualità decettiva è ictu oculi verificabile" (pagina 2 in fondo, sentenza impugnata).
1.2 È del pari manifestamente infondata la censura sul travisamento della prova circa i presupposti di un falso grossolano, che avrebbe dovuto condurre all’esclusione della punibilità per inidoneità dell’azione ai sensi dell’art. 49 cod. pen..
Secondo il ricorrente non sarebbero state valorizzate le dichiarazioni del testimone di polizia giudiziaria che, sentito in dibattimento, ha parlato di una contraffazione rilevata "palesemente".
In realtà la Corte di appello non trascura affatto la deposizione del predetto testimone, anzi se ne occupa in maniera espressa per chiarire che, a fronte dell’avverbio "palesemente", il reale portato probatorio di quella testimonianza deve trarsi dalle dichiarazioni lette nel loro complesso comprensive di quella parte relativa agli accertamenti svolti via radio per verificare la falsità o meno del permesso, a riprova che la falsificazione dell’atto non appariva, poi, in maniera tanto evidente (pagina 3 della motivazione).
In tale situazione, il ricorrente non può dolersi di alcun vizio di travisamento della prova dichiarativa che, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che, come nella specie, integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).
2. Il secondo motivo è inammissibile.
La questione era stata devoluta al giudice di appello in termini diversi, richiamando, in maniera inconferente, una decisione della Corte di legittimità sul tema della configurabilità del dolo nell’ipotesi di riproduzione in bianco e nero di un permesso invalidi.
Il che è, già di per sé, causa di inammissibilità.
In ogni caso la doglianza è generica.
Se è vero che il dolo non è in re ipsa, è del pari indubitabile che sono le modalità del fatto e le circostanze dell’azione a rivelare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Nella specie è lampante la coscienza e volontà dell’immutatio veri in capo a un soggetto che forma o concorre a formare un falso permesso per invalidi, mediante creazione di un duplicato a colori, plastificato, che tenga luogo dell’originale e che espone sul cruscotto della vettura.
3. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.