Qualora un sedicente pubblico ufficiale non si limiti ad ostentare in modo mendace qualità inesistenti, ma operi una vera coartazione della psiche sul soggetto passivo per appropriarsi delle cose altrui non si verte in tema di furto aggravato ma in quello di rapina per la minaccia implicita dell’esecuzione della perquisizione personale e del sequestro del denaro.
Il cittadino è infatti disposto ad accettare la violazione dei propri spazi di libertà personale costituzionalmente garantiti (art. 13 Cost. e segg.) solo nei casi previsti dalla legge. La rinuncia a reagire all’espletamento di tali gravi lesioni degli spazi di libertà è collegata alla minaccia implicita del loro compimento da parte degli organi statuali anche con la forza, perché a ciò essi sono legittimati. Ma tale minaccia implicita, se viene esplicata da chi tale funzione non riveste, recupera le caratteristiche di illiceità alla cui repressione la norma penale è preposta.
Corte di Cassazione
sez. II Penale, sentenza 24 febbraio – 1 aprile 2021, n. 12486
Presidente Gallo – Relatore Verga
Ritenuto in fatto
1. A.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste che il 29.5.2019 ha confermato la sentenza del Tribunale che il 29.5.2018 lo aveva condannato per concorso in rapina in danno di H.H. .
2. Deduce il ricorrente:
- con i primi due motivi di ricorso violazione di legge in ordine alla qualificazione del fatto come rapina anziché come furto aggravato ex art. 625 c.p., n. 5 come tra l’altro aveva deciso il GIP in sede cautelare - e comunque omessa motivazione perché la Corte territoriale non aveva esplicitato le ragioni per cui il reato doveva ritenersi consumato e non tentato;
- con il terzo motivo vizio della motivazione laddove nel negare un giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza fra l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e la recidiva la Corte di merito ha negato la richiesta sul presupposto che vi era anche l’aggravante del numero delle persone, correttamente contestata, che non poteva essere esclusa, senza considerare che detta circostanza era stata eliminata dal primo giudice e il P.M. non aveva presentato appello.
Considerato in diritto
1. I primi due motivi di ricorso che investono la qualificazione giuridica dei fatti, così come accertati, sono privi di fondamento giuridico.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, canone interpretativo che questo collegio condivide, che la minaccia che integra il delitto di rapina può essere esercitata mediante qualsiasi comportamento che, prospettando un male alla persona offesa, ne limiti la libertà di determinazione, con la conseguenza che il reato sussiste qualora, come nel caso in esame, l’agente, falsamente presentandosi come operatore di polizia, effettui una fittizia perquisizione personale, in tal modo comprimendo la libertà psichica della vittima, per impossessarsi dei beni altrui (Cass. Sez. 2 n. 20216 del 2016 Rv. 266751; Cass.Sez. 2 n. 948 del 2010 Rv. 246265 - 01; Cass. Sez. 2, 15.1- 18.2.1999 n. 2112; Cass. Sez. 4, 1.8-25.11.1985 n. 11407).
1.1. Può quindi affermarsi che qualora il sedicente pubblico ufficiale non si limiti ad ostentare in modo mendace qualità inesistenti, ma operi una vera coartazione della psiche sul soggetto passivo non si verte in tema di furto circostanziato ex art. 625 c.p., n. 5 ma in quello di rapina.
È evidente che H.H. è stato condizionato nelle sue determinazioni volitive dalla minaccia implicita dell’esecuzione della perquisizione personale e del sequestro del denaro.
Il cittadino è infatti disposto ad accettare la violazione dei propri spazi di libertà personale costituzionalmente garantiti (art. 13 Cost. e segg.) solo nei casi previsti dalla legge. La rinuncia a reagire all’espletamento di tali gravi lesioni degli spazi di libertà è collegata alla minaccia implicita del loro compimento da parte degli organi statuali anche con la forza, perché a ciò essi sono legittimati. Ma tale minaccia implicita, se viene esplicata da chi tale funzione non riveste, recupera le caratteristiche di illiceità alla cui repressione la norma penale è preposta.
1.2. Correttamente pertanto i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il reato di rapina consumata così come contestato.
La sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni per cui doveva escludersi il tentativo perché il denaro era passato nell’esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità degli agenti con conseguente privazione, per la vittima, del relativo potere di dominio e vigilanza. Il bottino è stato infatti recuperato solo dopo l’intervento della polizia e l’arresto dell’imputato (pag. 3 sentenza impugnata).
2. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso.
È vero che la Corte d’Appello ha negato il richiesto giudizio di prevalenza sul presupposto della sussistenza anche dell’aggravante delle più persone riunite che era invece stata esclusa dal primo giudice.
3. Si impone pertanto l’annullamento della sentenza limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste per nuovo giudizio sul punto. Deve essere dichiarata irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.