La legge non sanziona la trasmissione difettosa di uno o più atti, nè eventuali errori in cui possa essere incorsa la cancelleria del Pubblico Ministero nella trasmissione degli atti di indagine, giacchè mancata trasmissione e trasmissione difettosa sono concetti completamente differenti, in quanto il primo delinea una condotta omissiva ed il secondo una situazione fattuale, che può dipendere da negligenza degli operatori di cancelleria o da accidenti tecnici, i quali sfuggono, quasi sempre, al controllo dell'organo procedente.
Ciò che conta, nello spirito della legge, è che la trasmissione avvenga nel termine stabilito e che la decisione del Tribunale del Riesame intervenga nei dieci giorni successivi alla trasmissione degli atti da parte del Pubblico Ministero (quindi, entro quindici giorni dalla comunicazione della intervenuta impugnazione), giacchè è in questo modo che viene salvaguardata l'esigenza di assicurare un pronto riesame dell'ordinanza applicativa della misura cautelare e l'esigenza, altrettanto importante, di evitare che gli esiti del procedimento penale siano determinati da accidenti della più varia natura; diversamente ragionando, anche la fotocopia di un atto, pur importante nell'economia della decisione, venuta male, o il danneggiamento di un "file" avvenuto nel corso della trasmissione, dovrebbe comportare la caducazione della misura.
Tale impostazione comporta che, a fronte della trasmissione difettosa di uno o più atti, il Tribunale possa decidere prescindendo da essi, ove ritenga trattarsi di atti non determinanti, oppure esercitare il potere, che sempre gli compete, di sollecitare una trasmissione integrativa; con la conseguenza che - dovendo decidere entro dieci giorni dall'originaria ricezione - vedrà assottigliare il tempo a propria disposizione per emettere la decisione di sua competenza.
Vale la pena sottolineare che, in questo modo, non è pregiudicata nessuna delle facoltà difensive (i difensori hanno accesso agli atti su cui si fonda la misura indipendentemente dalla loro trasmissione al Tribunale del Riesame: C.C., sentenza n. 192 del 17-24 giugno 1997) e viene salvaguardata la funzione acceleratoria dell'art. 309 c.p.p., comma 5.
In tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 27/06/2018) 27-08-2018, n. 39013
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTEMBRE Antonio - rel. Presidente -
Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -
Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere -
Dott. BORRELLI Paola - Consigliere -
Dott. RICCARDI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.D., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 18/01/2018 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA;
udita la relazione svolta dal Presidente Dott. SETTEMBRE ANTONIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. FIMIANI PASQUALE, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
I difensori presenti, avv. MA e NA ., si riportano ai motivi e concludono per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere applicata a F.D. cl. (OMISSIS) dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale con due distinte ordinanze (del 29 novembre 2017 e del 6 dicembre 2017) per la ritenuta partecipazione del prevenuto alla cosca mafiosa Z.- F.- V., operante nel comune di Taurianova. In particolare, F.D. avrebbe fatto parte del ramo capeggiato dal fratello latitante F.E. e avrebbe dato il suo contributo alla causa comune, a partire dal 2011, come tenutario della cassa e come deputato al mantenimento economico dei sodali in carcere.
Nella predetta qualità avrebbe posto in essere un tentativo estorsivo nei confronti di un imprenditore agrumicolo (capo c) e avrebbe concorso alla deliberazione di un incendio boschivo riguardante la particella (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) (capo e). Alla base della decisione vi sono intercettazioni ambientali e telefoniche.
2. Avverso tale provvedimento sono stati proposti, nell'interesse dell'indagato, due ricorsi, entrambi a firma dell'avv. MA e dell'avv. NA.
3. Il primo ricorso è articolato su tre motivi.
3.1. Col primo lamentano la nullità dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 309 c.p.p., comma 5, artt. 291 e 292 cod. proc. pen. in quanto - deducono - il Pubblico Ministero aveva trasmesso al Tribunale una parte importante degli atti (quelli contenuti nel faldone n. 4) oltre il termine di cinque giorni previsto dall'art. 309 cod. proc. pen.. Infatti, il file originariamente trasmesso al Tribunale del riesame era illeggibile e solo in data 13/1/2018 fu trasmesso il fascicolo cartaceo e un file leggibile.
2.2. Col secondo lamentano la violazione di plurime norme di legge perchè, per sostenere l'esistenza dell'associazione mafiosa in territorio di (OMISSIS), sono state utilizzate sentenze definitive emesse all'esito del processo "(OMISSIS)", del processo "(OMISSIS)" e del processo "(OMISSIS)" senza andare alla ricerca di riscontri esterni, di cui i giudici avrebbero dovuto dare motivatamente atto. Inoltre, perchè non è stata data dimostrazione dell'affectio societatis indipendentemente dai reati fine eventualmente posti in essere.
Infatti, aggiungono, sono stati valorizzate - a sostegno dell'esistenza e dell'operatività dell'associazione - condotte assolutamente neutre, quali la realizzazione di un agriturismo su terreno pacificamente e legittimamente nella disponibilità di F.S. cl. (OMISSIS) (padre del ricorrente) e dello stesso ricorrente, a nulla valendo che il terreno fosse rimasto intestato all'originario proprietario (Nobile Salvatore); ovvero la riunione del 15/2/2014, che fu soltanto conviviale e che non dimostrerebbe l'esistenza di un'associazione mafiosa per il solo fatto che sarebbero state conferite, nel corso della stessa, cariche di 'ndrangheta, come - sostengono i ricorrenti - messo in chiaro da recente giurisprudenza; ovvero ancora il sostegno economico fornito a S.P., originato dal rapporto di parentela con l'indagato e non da legami associativi. Quanto poi alla presunta lite tra l'indagato e l'orafo M., la minaccia, mossa da quest'ultimo, di consegnare il filmato di una videoripresa agli investigatori dimostrerebbe da sola l'insussistenza della capacità di intimidazione del ricorrente e della cosca di cui quest'ultimo - si dice - avrebbe fatto parte.
La vicenda di cui al capo E) dimostrerebbe, invece, l'assenza del ruolo (di capo) attribuito all'indagato, atteso che la notizia del compimento dell'azione delittuosa fu data da F.S. cl. (OMISSIS) a F.S. cl. (OMISSIS), e non già a F.D. cl. (OMISSIS). Conferma di ciò è data dal fatto che quest'ultimo non fu invitato alla riunione dell'1/3/2014 in contrada (OMISSIS) (ove fu progettata un'azione incendiaria, poi perpetrata due giorni dopo, il 3/3/2014) e che vi partecipò per caso, nonchè il fatto che, come emerso dalle intercettazioni effettuate nella giornata suddetta, l'iniziativa di bruciare le auto della famiglia A. (nel febbraio 2011) era stata di F.S. cl. (OMISSIS), da F.D. per questo severamente redarguito. Illogica, aggiungono, è anche la valutazione che è stata fatta della vicenda riguardante tale " S." (a cui era imputato di aver eseguito lavori di potatura senza corrispondere alcunchè al sodalizio), atteso che nessun ingiusto profitto era stato conseguito dai suoi presunti sodali, nè alcun danno aveva risentito il tal S.. In ogni caso, non sarebbe stata dimostrata la partecipazione di F.D. alla programmata estorsione, atteso che l'ordinanza confonde il concorso di persone nel reato con la connivenza, e non sarebbe stata data dimostrazione dell'efficacia minatoria delle condotte attribuite agli indagati, nè del metus prodotto nella vittima.
Quanto all'incendio del 3/3/2014, indimostrata sarebbe rimasta la partecipazione dell'indagato all'azione delittuosa, sia dal punto di vista materiale che morale.
2.3. Col terzo motivo lamentano che non sia stata dimostrazione dell'attualità del periculum libertatis.
3. Il secondo ricorso, datato 26/4/2018, è articolato su otto motivi.
3.1. Col primo i ricorrenti insistono sulla nullità dell'ordinanza per omessa trasmissione degli atti al Tribunale del Riesame nei termini di legge.
3.2. Col secondo si dolgono di una motivazione apparente del giudice dell'impugnazione, sia perchè non è stata fornita risposta alle specifiche doglianze difensive, sia perchè il Tribunale del Riesame ha reso una motivazione per relationem ed ha proceduto ad una lettura generica e distorta delle intercettazioni. In ogni caso, aggiungono, la motivazione esibita è largamente inadeguata alla dimostrazione del fumus commissi delicti, perchè non evidenzia gli elementi dimostrativi dell'appartenenza del "gruppo" ad una struttura unitaria-federata e non spiega le ragioni per le quali da aprile 2014 il gruppo non è più operativo. In ogni caso le intercettazioni dimostrerebbero che il solo F.S., classe (OMISSIS), aveva un potere dispositivo e che fu quest'ultimo ad attivarsi, dopo la scarcerazione, per mettere su un gruppo autonomo, da lui dipendente, non riconosciuto dal crimine di (OMISSIS). Tale gruppo non godette mai di fama criminale, come dimostrato dal fatto che più persone reagirono, sia opponendosi alle pretese avanzate nei loro confronti, sia rivolgendosi alle Autorità. L'ordinanza impugnata è altresì illogica nella parte in cui considera attiva la cosca Av.- Z.- V., laddove gli Av. si erano staccati già nel 1992 per avvicinarsi agli As. e ai P.- Mo., mentre Z.P. e G. avevano avviato un percorso collaborativo con la giustizia. L'ordinanza è parimenti illogica nella parte in cui attribuisce rilievo all'incontro conviviale del 15/2/2014, nel corso del quale sarebbero state conferite doti di 'ndrangheta agli associati, alla presenza di soggetti estranei all'organismo criminale: conclusione contrastante con dati di comune esperienza e con le ferree logiche dell'associazione, che non tollerano la presenza di estranei nei momenti siffatti. Tanto, senza considerare che per la stessa ordinanza genetica il conferimento di doti e gradi avveniva, per disposizione del capocrimine O.D., a periodi prestabiliti (Natale, Pasqua, Agosto). L'ordinanza travisa il fatto, nella parte in cui esclude che estranei fossero presenti all'incontro, laddove l'ordinanza genetica afferma il contrario (erano presenti quattro soggetti non affiliati), ed è smentita dall'intercettazione delle ore 22,49 dello stesso 15 febbraio 2014 (che cui emergerebbe che s'era trattato di un incontro ludico) e dall'intercettazione del 28 marzo 2014, da cui risulterebbe che F.M. non conosceva - ancora a quella data - il grado del fratello S. classe (OMISSIS): ignoranza incompatibile con l'elevazione in grado, nel corso del convegno, di F.S. cl. (OMISSIS) e con l'asserita partecipazione allo stesso di F.M.. Quanto al ruolo dell'indagato nell'associazione, l'ordinanza non considera che quest'ultimo partecipò per caso all'incontro dell'1/3/2014, perchè fu incrociato per strada dai presunti sodali e in tale occasione sollecitato a raggiungerli in contrada (OMISSIS) (cosa incompatibile col ruolo di capo a lui attribuito).
3.3. Col terzo motivo viene lamentata la diversità delle imputazioni elevate dalla pubblica accusa nei due procedimenti riuniti: nel primo è stata contestata all'indagato la mera partecipazione all'associazione mafiosa; nel secondo il ruolo direttivo. Viene lamentata una mancanza di motivazione in ordine alla eccepita genericità dell'imputazione e ci sì duole della "criminalizzazione" di un progetto imprenditoriale: quello relativo alla realizzazione di un agriturismo su terreno nella disponibilità di F.S. cl. (OMISSIS) e del figlio Domenico. Si parla anche sequestro di terreni che esulano dall'oggetto del presente procedimento. Viene eccepita la violazione del principio del ne bis in idem.
3.4. Col quarto motivo viene lamentato il "travisamento del fatto e della prova relativamente al ruolo apicale attribuito a Z.C. ed F.E.".
3.5. Col quinto motiva viene lamentata le genericità dell'imputazione relativa al capo C) (estorsione in danno di imprenditore agrumicolo) e l'assenza di prova in ordine alla responsabilità dell'indagato, che non risulta aver partecipato alla deliberazione e nemmeno di essere stato informato degli esiti dell'azione delittuosa. Anche in questo caso, poi, non sarebbe stato dimostrato il tipo di coazione effettivamente esercitato sulla vittima.
3.6. Col sesto motivo lamentano un vizio di motivazione in ordine al capo e) (incendio boschivo), dacchè il Tribunale del riesame si sarebbe limitato a riproporre gli argomenti utilizzati dal Giudice per le indagini preliminari senza effettuare una autonoma valutazione degli elementi di prova e avrebbe "travisato i fatti", per aver dato presente F.D. all'interno della casupola di contrada (OMISSIS) in data 1/3/2014, laddove le intercettazioni dimostrerebbero il contrario; inoltre, il Tribunale avrebbe omesso di valutare la relazione di servizio del 19 marzo 2015, da cui risulterebbe che l'azione delittuosa aveva danneggiato solamente un albero d'ulivo.
3.7. Col settimo motivo lamentano che non sia stata data prova del metodo mafioso e dell'aver agito per favorire la cosca di appartenenza.
3.8. Con l'ottavo motivo ripropongono censure in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla loro attualità.
Motivi della decisione
Il ricorso non merita accoglimento. Si premette che - nell'illustrare le ragioni della decisione - non verrà ricalcata la sequenza numerica dei ricorsi, ma verrà seguito un criterio "tematico", per ragioni di concisione (ricorsi ripropongono, sostanzialmente, le medesime questioni).
1. Il primo motivo in rito è infondato. L'art. 309 c.p.p., comma 10, dispone la perdita di efficacia dell'ordinanza che ha disposto una misura coercitiva nel caso in cui l'Autorità Giudiziaria procedente (id est, il Pubblico Ministero) non provveda alla trasmissione al Tribunale del Riesame degli atti presentati a norma dell'art. 291 c.p.p., comma 1, (vale a dire, degli atti su cui si fonda la richiesta di misura cautelare), nonchè tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. Tale norma non sanziona - nella maniera anzidetta - la trasmissione difettosa di uno o più atti, nè eventuali errori in cui possa essere incorsa la cancelleria del Pubblico Ministero nella trasmissione degli atti di indagine, giacchè mancata trasmissione e trasmissione difettosa sono concetti completamente differenti, in quanto il primo delinea una condotta omissiva ed il secondo una situazione fattuale, che può dipendere da negligenza degli operatori di cancelleria o da accidenti tecnici, i quali sfuggono, quasi sempre, al controllo dell'organo procedente. Ciò che conta, nello spirito della legge, è che la trasmissione avvenga nel termine stabilito e che la decisione del Tribunale del Riesame intervenga nei dieci giorni successivi alla trasmissione degli atti da parte del Pubblico Ministero (quindi, entro quindici giorni dalla comunicazione della intervenuta impugnazione), giacchè è in questo modo che viene salvaguardata l'esigenza di assicurare un pronto riesame dell'ordinanza applicativa della misura cautelare e l'esigenza, altrettanto importante, di evitare che gli esiti del procedimento penale siano determinati da accidenti della più varia natura; diversamente ragionando, anche la fotocopia di un atto, pur importante nell'economia della decisione, venuta male, o il danneggiamento di un "file" avvenuto nel corso della trasmissione, dovrebbe comportare la caducazione della misura.
Tale impostazione comporta che, a fronte della trasmissione difettosa di uno o più atti, il Tribunale possa decidere prescindendo da essi, ove ritenga trattarsi di atti non determinanti, oppure esercitare il potere, che sempre gli compete, di sollecitare una trasmissione integrativa (come è avvenuto nella specie); con la conseguenza che - dovendo decidere entro dieci giorni dall'originaria ricezione - vedrà assottigliare il tempo a propria disposizione per emettere la decisione di sua competenza.
Vale la pena sottolineare che, in questo modo, non è pregiudicata nessuna delle facoltà difensive (i difensori hanno accesso agli atti su cui si fonda la misura indipendentemente dalla loro trasmissione al Tribunale del Riesame: C.C., sentenza n. 192 del 17-24 giugno 1997) e viene salvaguardata la funzione acceleratoria dell'art. 309 c.p.p., comma 5.
2. Anche gli altri motivi in rito sono infondati. Nessuna nullità è ricollegabile alla diversità delle imputazioni - provvisorie - elevate nei due procedimenti riuniti. La discordanza può avere le più varie spiegazioni (compresa quella che vi è stato un approfondimento istruttorio); ciò che conta è che essa non determina nullità di sorta.
Per il resto, del tutto assertiva è la dedotta genericità dell'imputazione. Tralasciando di considerare che si tratta di imputazione provvisoria, si rileva che in essa è chiaramente indicata la condotta partecipativa del prevenuto, in maniera addirittura sovrabbondante (basta leggere la pag. 3 dell'ordinanza). Nessun significato ha, pertanto, il fatto che il giudice dell'impugnazione non si sia espresso sulla deduzione difensiva, atteso che la contestazione (peraltro, non documentata) era inconsistente.
Ugualmente privo di rilievo è il fatto che l'ordinanza contenga un qualche refuso.
Il bis in idem è insussistente.
L'ordinanza è stata emessa nell'ambito di due diversi procedimenti riuniti, aventi entrambi - come oggetto - condotte di partecipazione ad associazione mafiosa, con contestazione, nel primo (proc. n. 2087/2012 R.G.N.R. D.D.A.), dal 2011 all'aprile 2013; nel secondo (n. 1253/2014 R.G.N.R. D.D.A.), dal maggio 2013 all'attualità. Il diverso arco temporale della contestazione rende, da solo, ragione della inconsistenza della doglianza. A nulla rileva che nel proc. n. 2087/2012 la perimetrazione della contestazione sia avvenuta - da parte del Pubblico Ministero - dopo la richiesta di emissione della misura cautelare (il 21 ottobre 2017), giacchè ciò che conta è che la correzione sia avvenuta prima dell'emissione della misura da pare del Giudice per le indagini preliminari (23 novembre 2017).
3. Nel merito il ricorso è inammissibile. Giova premettere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass., 11194 del 8/3/2012; sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008; sez. 4, n. 22500 del 3/5/2007).
Tale premessa si è resa necessaria perchè il ricorso della parte è indirizzato proprio alla rivalutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito. Oggetto del ricorso sono, infatti, le intercettazioni valorizzate dal giudicante contro l'indagato, attraverso l'attribuzione alle stesse di un diverso significato, che dimostrerebbe l'irrilevanza del compendio intercettativo o, addirittura, l'estraneità di F.D. alla cosca. Inutile dire che la Corte di cassazione non può seguire il ricorrente in tali propalazioni, per l'impossibilità giuridica di assecondare il terzo grado di merito e lo snaturamento del giudizio di legittimità. Qui basti solo rilevare - a confutazione delle doglianze difensive che l'ordinanza impugnata ha dato adeguato conto della conclusione cui è pervenuta, attraverso l'esame di intercettazioni e servizi di osservazione da cui è stato desunto che:
a) F.D. fu tra i primi ad essere avvisato - il 22/1/2014 dell'arrivo di F.S. cl. (OMISSIS) a (OMISSIS), a seguito di scarcerazione (pag. 18);
b) il ricorrente concorse a deliberare e tentare l'estorsione in danno di un imprenditore agrumicolo (tal S.), non identificato, che aveva effettuato lavori in contrada (OMISSIS) (capo c). Tanto è stato desunto dalla intercettazione del 3 febbraio 2014, nel corso della quale F.S. cl. (OMISSIS) (uno degli esecutori), nel riferire a F.S. cl. (OMISSIS) (padre di D.) gli esiti della spedizione, si rimetteva al ricorrente per le ulteriori azioni da compiere nei confronti della vittima ("digli a tuo figlio di dire che cosa vuole fare, se vuole che lo chiamiamo, se non vuole che lo chiamiamo"). Tanto, dopo aver tentato, inutilmente, di contattare lo stesso F.D. dopo l'approccio con la vittima (pag. 23);
b) F.D. partecipò alla riunione di "ndrangheta del 15/2/2014, organizzata da F.S. cl. (OMISSIS) e dal ricorrente (che ne era figlio), nel corso della quale furono conferite doti di "ndrangheta a vari soggetti (pagg. 16 e segg.);
c) il prevenuto partecipò ad altra riunione di mafia in data 1/3/2014 in contrada (OMISSIS), nel corso della quale fu programmato un incendio boschivo (effettivamente eseguito due giorni dopo dai sodali), fu discusso il comportamento tenuto da F.S. cl. (OMISSIS) in ordine al danneggiamento di due autovetture della famiglia A., commesso l'(OMISSIS) (pag. 18 e seg.), e furono date istruzioni in ordine alle regole cui doveva essere improntato il rapporto con la famiglia Z., loro alleata. Dalle conversazioni intercettate emerse che F.D. era tenuto in conto di capo da un altro capo-cosca ( F.S. cl. (OMISSIS)), il quale lo associava al proprio ceppo familiare e, per importanza, lo indicava come superiore a Z.C.. Lo stesso ricorrente rimarcava la propria superiorità rispetto a Z. e rimproverava a F.S. cl. (OMISSIS) di aver sottovalutato tale circostanza; inoltre, rimproverava aspramente a quest'ultimo la condotta tenuta in occasione del litigio con A.G., gli spiegava quali regole avrebbe dovuto seguire (fondamentale, quella di informarlo preventivamente) ed esternava con chiarezza il proprio potere di repressione (pag. 19 e seg.). Nella medesima riunione F.S. cl. (OMISSIS) - parlando con un altro soggetto - raccontava della riunione avuta alcuni giorni prima con il ricorrente e con Z.C., nel corso della quale erano state messe le cose in chiaro (nel senso che F.S. cl. (OMISSIS) aveva reclamato, nei confronti dei due interlocutori, i diritti della propria posizione e del proprio ruolo);
d) F.D. deliberò, insieme a F.S. cl. (OMISSIS), nel corso della riunione dell'1/3/2014, l'esecuzione di un attentato incendiario all'interno di una zona boschiva, a scopo intimidatorio (capo e). Il ricorrente era infatti presente allorchè furono discusse le modalità di esecuzione del crimine (pag. 24);
e) il ricorrente discusse della punizione da riservare all'orafo M., che aveva avuto una lite con una terza persona - registrata da un filmato - e avrebbe voluto portare la registrazione in caserma (compiendo, in tal modo, un gesto "infame");
f) il ricorrente effettuò numerosi versamenti di denaro a favore della famiglia di S.P., arrestato per il tentato omicidio di B.R., verificatosi l'(OMISSIS); mise a disposizione delle auto per i familiari, che accompagnò presso la casa circondariale di (OMISSIS); scelse a S. il difensore.
2.1. A fronte di tanto ininfluenti o inammissibili sono le doglianze difensive, in quanto:
a) legittimamente sono state utilizzate le sentenze emesse in altri procedimenti al fine di illustrare il contesto (mafioso) in cui si è svolta l'attività del prevenuto e il collegamento del sodalizio con la storica mafia calabrese, trattandosi di sentenze irrevocabili valutate insieme ai numerosi elementi di prova emersi in questo procedimento. Del tutto erroneamente i ricorrenti pretendono l'illustrazione di "riscontri esterni" (pure esistenti in concreto), dal momento che non si è di fronte a dichiarazioni di coimputati o collaboratori, ma a documenti in cui sono cristallizzati accertamenti giudiziari;
b) l'affectio societatis trasuda da tutti i colloqui intercettati e riportati nell'ordinanza, che rivelano lo stretto legame esistente tra gli interlocutori (tutti membri della stessa famiglia, sia di sangue che mafiosa) e la collaborazione nelle attività illecite espletate (tra cui, in via principale, quelle rivolte al controllo del territorio e alla definizione dei rapporti tra associati);
c) la realizzazione di un agriturismo su terreno intestato a terzi non costituisce attività neutra, ma attività rivolta a mascherare la proprietà del bene al fine di impedirne l'ablazione;
d) del tutto assertiva è la deduzione che la riunione del 15/2/2014 fu solo conviviale, atteso che le intercettazioni - riportate nell'ordinanza - sono effettivamente dimostrative del contrario e considerato che, in ogni caso, l'interpretazione di quelle intercettazioni è riservata al giudice di merito;
e) ugualmente assertiva è la deduzione che il sostegno a S. fu determinato dai rapporti di parentela;
f) la vicenda dell'orafo M. non è affatto dimostrativa della mancanza di una capacità di intimidazione del clan. A parte il fatto che la vicenda non è stata illustrata in termini del tutto chiari, anche in ordine ai soggetti interessati, resta il fatto che eventuali (e benemerite) reazioni delle vittime non escludono la natura mafiosa delle azioni di cui sono oggetto, ma rivelano la perdurante esistenza di uomini in grado di opporsi al crimine;
g) la partecipazione di F.D. alla riunione dell'1/3/2014 costituisce fatto accertato e incontestato (solo col secondo ricorso - in maniera assertiva e in contrasto con quanto sostenuto nel primo ricorso - i ricorrenti mettono in discussione la partecipazione di F.D. alla detta riunione). Del tutto assertiva - e irrilevante - è la deduzione (contenuta nel primo ricorso) che l'indagato vi abbia partecipato "per caso";
h) le deduzioni in ordine alla tentata estorsione di cui al capo e) ignorano del tutto gli argomenti spesi dal giudicante e sono perciò irricevibili. Privo di significato è il fatto che l'azione delittuosa avrebbe danneggiato "solamente un albero d'ulivo";
i) non rileva in alcuna maniera il fatto che sia stato F.S. cl. (OMISSIS) a prendere l'iniziativa contro la famiglia A.. Questa vicenda è stata presa in considerazione dal giudicante per la discussione avvenuta due anni dopo, che ha rivelato il ruolo del ricorrente nella cosca e l'autorità di cui era investito, fino al punto di prospettare severe sanzioni a carico del congiunto (che aveva agito senza avvertirlo);
l) la "tentata" estorsione presuppone il mancato conseguimento del profitto. Del tutto incomprensibili sono, pertanto, le censure relative al capo c), mentre la partecipazione del ricorrente al delitto è messa in discussione - dai ricorrenti ignorando gli elementi esposti dal giudicante alle pagg. 20 e 22-23 (ove sono riportate intercettazioni che rivelano la partecipazione di F.D. alla fase ideativa ed esecutiva del delitto). Quanto al tipo di coazione esercitato sulla vittima, correttamente è stato ritenuto decisiva l'evocazione dei F., dal momento che, per giurisprudenza costante e granitica, la minaccia può essere indiretta ed è concretizzata - in ambienti permeati di cultura mafiosa - dalla sola evocazione di soggetti notoriamente appartenenti a sodalizi di tal genere (i F. avevano, all'epoca, già riportato condanne per il delitto di cui all'art. 416/bis cod. pen.);
m) l'ordinanza parla della cosca Av.- F.- V.- Z. al passato e ne evidenzia la continuità col tempo presente. Del tutto irrilevante è il fatto che detta cosca avesse perso, nel frattempo, il pezzo degli Av. (come si evince dalla stessa ordinanza, che riduce la partecipazione alla cosca delle altre famiglie sopra nominate);
n) la partecipazione del prevenuto alla riunione del 15 febbraio 2014 è contestata in maniera generica e prescindendo completamente dal resoconto delle intercettazioni, fatto dal giudicante. Le doglianze in ordine alle ragioni della riunione e al suo concreto svolgimento sono basate su una diversa - e perciò inammissibile - lettura delle intercettazioni. Peraltro, le medesime doglianze erano state sollevate dinanzi al Tribunale del Riesame e sono state qui pedissequamente riproposte, ignorando la risposta del giudice di merito.
Le critiche mosse all'ordinanza impugnata - riguardanti la partecipazione di F.D. alla cosca e il suo ruolo nella stessa - sono, quindi, inidonee a contrastare il giudizio del Tribunale, giacchè non mettono in evidenza nè illogicità nè incongruenze della motivazione e perchè sono, per buona parte, inammissibili, essendo rivolte a prospettare una diversa lettura del compendio probatorio e riproponendo questioni già affrontate e risolte dal giudicante.
4. Praticamente oscuro è il quarto motivo contenuto nel ricorso del 26/4/2018, ove viene lamentato il "travisamento del fatto e della prova relativamente al ruolo apicale attribuito a Z.C. e F.E.". Qui viene richiamata la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria del 31/1/2017, che avrebbe condannato F.E. per la detenzione di un'arma e assolto Z.R.. Nessun argomento viene speso, però, per illustrare l'incidenza della detta sentenza (peraltro, non ancora passata in giudicato) sulla posizione di F.D..
5. Il metodo mafioso è dato - per quanto già detto - dalla evocazione di un'associazione avente le caratteristiche di cui all'art. 416/bis cod. pen., mentre la finalità di agevolazione di un'associazione mafiosa è insita nella perpetrazione di delitti per conto dell'associazione. Ebbene, l'evocazione della famiglia mafiosa è avvenuta nella fase esecutiva della tentata estorsione di cui al capo C), perpetrata per procurare un introito all'associazione, mentre l'incendio boschivo di cui al capo e) è stato perpetrato per riaffermare il potere della cosca sul territorio, come sottolineato - sulla base dei colloqui intercettati - a pag. 24 dell'ordinanza (bisognava reagire al fatto le compravendite avvenivano - nel territorio di competenza - senza la preventiva informazione dei membri del sodalizio). Anche la sussistenza dell'aggravante ha trovato piena giustificazione, pertanto, nell'ordinanza impugnata.
6. Parimenti infondato, in maniera manifesta, è l'ultimo motivo di ricorso, concernente la sussistenza e l'attualità delle esigenze cautelari, individuate, nella specie, nella lunga militanza mafiosa del prevenuto (è già stato condannato per art. 416/bis cod. pen.) e nel ruolo ricoperto: circostanze effettivamente indicative di una pericolosità elevata ed attuale, anche a prescindere alla presunzione di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3.
7. Segue a tanto il rigetto del ricorso, atteso che i motivi proposti sono in parte infondati e in parte inammissibili; ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1/ter.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2018