Il falso ideologico si configura nei casi in cui il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, attesti falsamente che un fatto sia stato compiuto o sia avvenuto in sua presenza; il falso è innocuo e quindi non punibile per mancanza di offensività in concreto solo se non offende il bene tutelato, laddove nel caso di specie il bene tutelato offeso è la fede pubblica.
Sussiste il "falso innocuo" quando l’infedele attestazione, nel falso ideologico, è del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplica effetti sulla sua funzione documentale.
Sussiste il "falso innocuo" nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.
Corte di Cassazione
sez. V Penale, sentenza 18 marzo – 29 maggio 2019, n. 23891
Presidente Sabeone – Relatore Sessa
Ritenuto in fatto
1. Con la pronuncia impugnata la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza di condanna di C.V. alla pena di anni due di reclusione e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, ha assolto il predetto dai reati, a lui ascritti, di cui all’art. 476 c.p., comma 2 e art. 328 c.p., perché il fatto non sussiste.
2. Avverso l’anzidetta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Modestino Carlo Alessandro, e la parte civile, S.G. , a mezzo del procuratore speciale già costituito.
3. Il Procuratore Dott. Modestino ha dedotto quanto segue.
La Corte territoriale ha ricondotto l’ipotesi di falso contestata alla fattispecie del cd. falso innocuo, ed ha assolto l’imputato, pur trattandosi di falsificazione del verbale di sottoposizione, di tale Ce.Ca. , alla misura cautelare domiciliare, peraltro attribuita in maniera certa al C. alla stregua delle perizie grafiche espletate.
Segnatamente il C. , nella sua qualità di Comandante della stazione dei Carabinieri di (…), nell’esercizio delle sue funzioni, aveva redatto il verbale di notifica del provvedimento di sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari a carico del Ce. (misure emessa in aggravamento del divieto di dimora), contraffacendo la firma dei due agenti di P.g., maresciallo S.A. e maresciallo R.F. , anch’essi in servizio presso la stazione Carabinieri di (…), i quali non erano presenti alla redazione del predetto verbale e dunque non avevano preso parte all’attività di sottoposizione del Ce. alla misura cautelare domiciliare.
Ciò nonostante, la Corte territoriale nella sentenza impugnata afferma: "Premesso che sussiste il falso innocuo quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e pertanto non esplicano effetti sulla funzione documentale, nel caso di specie l’apposizione sul verbale delle firme false del S. e del R. , due marescialli dei carabinieri, si è tradotta esclusivamente nella inveritiera attribuzione della paternità dell’atto a questi ultimi e non ha dunque inciso sulla verità sostanziale che lo stesso era diretto a provare consistente nell’esecuzione del provvedimento cautelare. D’altronde - continua la Corte - il verbale di cui all’art. 293 c.p.p. ha natura ricognitiva degli adempimenti esecutivi compiuti che nel caso di specie risultano formalmente e materialmente riconducibili al solo imputato, il quale, nel consegnare al Ce. copia del provvedimento cautelare, ha redatto in proprio la relata di notifica apposta sullo stesso atto, adempimento da ritenersi di essenziale rilevanza nell’ambito del procedimento esecutivo de quo." (cfr. pagina 5 della sentenza impugnata).
Alla stregua di tale ragionamento, - prosegue il ricorrente, - la Corte di Appello ha assolto l’imputato per insussistenza del fatto, ritenendo appunto il falso sussistente ma innocuo laddove non costituisce certamente falso innocuo l’avere falsamente attestato in un atto pubblico fidefacente (qual è il verbale di sottoposizione del Ce. alla misura cautelare domiciliare, che è cosa diversa dalla semplice notifica dell’ordinanza custodiate) che, alla presenza dei marescialli S. e R. (che in realtà erano assenti) il signor Ce. era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, che l’ordinanza applicativa della misura gli era stata notificata e che erano state date al Ce. (soggetto cautelato) tutte le avvertenze normativamente previste, tra cui il divieto di lasciare senza autorizzazione il luogo in cui avrebbe dovuto scontare la misura degli arresti domiciliari.
Sono due atti diversi, e con funzione diversa, il verbale di sottoposizione alla misura cautelare e la notifica dell’ordinanza custodiate, il primo è falso non solo perché reca le firme false dei due agenti, quanto anche nella misura in cui attesta che in realtà i predetti sottufficiali erano presenti al momento dell’esecuzione della misura cautelare, circostanza questa certamente non corrispondente al vero. Tale atto oggetto di falsificazione, è assistito da fede privilegiata, sia con riguardo alla sua provenienza, sia alla autenticità delle firme dei soggetti intervenuti, e sia con riferimento alla effettiva presenza dei marescialli al momento di formazione dell’atto.
Conclude il ricorrente che si tratta di elementi che consentono di escludere l’innocuità del falso contestato, indi cita la giurisprudenza di questa Corte al riguardo, (in particolare una delle ultime sentenze della Cassazione, Sezione 5 n. 8200 del 2018) ed afferma che i giudici di legittimità ricordano in diverse pronunce che il falso ideologico si configura nei casi in cui il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, attesti falsamente che un fatto sia stato compiuto o sia avvenuto in sua presenza e che il falso è innocuo solo se non offende il bene tutelato, laddove nel caso di specie il bene tutelato offeso è la fede pubblica e il falso commesso dall’imputato non può essere considerato innocuo in quanto l’immutatio veri riguarda la presenza al compimento dell’atto di polizia giudiziaria di due carabinieri che non hanno partecipato nè alla redazione dell’atto medesimo nè all’attività che quell’atto era destinata ad attestare, attesa altresì la funzione probatoria del verbale di sottoposizione a misura cautelare personale, che non si limita alla mera attestazione, da parte degli agenti operanti, di tipo comunicativo circa l’esecuzione rituale del provvedimento restrittivo, ma risiede anche nella attestazione delle circostanze e delle concrete modalità operative dell’atto di polizia giudiziaria ad opera di chi lo ha effettuato.
In altri termini, la funzione probatoria riguarda sia il fatto della sottoposizione rituale di un soggetto alla misura cautelare personale disposta dal giudice, sia che determinati pubblici ufficiali di Pg abbiano concretamente eseguito quella attività, sulla quale, peraltro, nell’ambito del procedimento penale possono assumere anche la veste di testi in ordine alle modalità e ai tempi di esecuzione della misura cautelare.
Nè tantomeno, infine, potrebbe assumere rilievo l’intento che muove l’agente, trattandosi di fattispecie configurate come reati di pericolo e connotate dal dolo generico.
4. Il procuratore speciale della parte civile, S.G. , ha a sua volta dedotto due motivi.
4.1. Col primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al disposto di cui all’art. 476 c.p., comma 2 articolando argomentazioni che sono sostanzialmente analoghe a quelle sviluppate dal sostituto procuratore generale, trattandosi di identica tematica afferente il falso contestato, affrontata soprattutto sotto il profilo della differenza tra il falso innocuo e il falso fidefacente.
4.2. Col secondo motivo deduce vizio argomentativo con riferimento alla contestazione di rifiuto di atti di ufficio di cui al capo B della rubrica, lamentando, innanzitutto, il vizio di travisamento della prova per avere la Corte territoriale, da un lato, omesso di valutare prove decisive presenti agli atti e, dall’altro, travisato prove parimenti emerse dall’istruttoria dibattimentale.
Quindi, procede ad indicare le varie diverse prove che si assumono oggetto del dedotto travisamento rispetto alle quali vengono anche prodotti i rispettivi atti e verbali dibattimentali che le contengono, e, sulla base delle indicate omissioni e dei travisamenti individuati, conclude che deve ritenersi sussistente anche il reato di rifiuto di atti di ufficio.
Ed invero, dalla omessa, tempestiva, comunicazione della sottoposizione del Ce. a misura cautelare domiciliare è conseguito l’omesso controllo dei militari sul cautelato, protrattosi dal 15 gennaio 2010 alla data del 20 gennaio 2010, giorno in cui il maresciallo B. ha preso direttamente dalla cancelleria dell’ufficio G.I.P. del tribunale di Cosenza dell’esistenza di una misura cautelare in corso sul territorio di sua competenza; indi trattavasi di comunicazione che doveva essere compiuta senza ritardo, con tempestività, affinché potessero essere realizzati gli effetti che le sono propri.
Conclude che, dovendosi ritenere sussistente il rifiuto di un atto di ufficio non solo a fronte di una richiesta o di un ordine ma anche quando sussista un’ urgenza sostanziale impositiva del compimento dell’atto in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma per l’appunto la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo, deve ritenersi integrata la condotta contestata nel caso di specie.
Nè potrebbe assumere rilievo il presupposto giustificatorio posto a fondamento della motivazione dalla Corte territoriale ovverosia che l’imputato, Comandante della stazione dei Carabinieri, non sapesse usare il fax o la PEC trattandosi di circostanza documentalmente smentita nella misura in cui risultano agli atti comunicazioni con protocollo informatico creato dall’imputato medesimo.
5. In data 28.2.2019 è pervenuta memoria nell’interesse del C. , in cui si evidenzia innanzitutto che secondo la ricostruzione della Corte catanzarese si è trattato di falso innocuo perché l’imputato avrebbe apposto le firme dei due sottoposti sul documento, dopo che lo stesso, mai più ritrovato, era stato già compilato dal maresciallo Saba e dallo stesso C. al solo fine di omaggiare i suoi sottoposti del merito dell’arresto, perché l’imputato dopo averlo vanamente ricercato aveva riformulato l’atto in questione, apponendovi le firme apocrife e successivamente redigendo altra relata di notifica a sua sola firma.
In buona sostanza, si assume che la falsità è stata circoscritta unicamente alle firme apposte e non può quindi essere estesa anche a tutti gli altri aspetti indicati dal ricorrente ovvero al contenuto dell’atto; si evidenzia che l’atto ha comunque conseguito il suo scopo, di provare l’esecuzione del provvedimento cautelare, rimanendo del tutto irrilevante la effettiva presenza dei due marescialli perché la dichiarazione della loro presenza è inidonea a limitare la portata, l’efficacia e la validità dell’atto.
Si ritiene che si possa, quindi, affermare, in conformità a quanto deciso dalla Corte di Appello, che si versi nell’ipotesi del cd. falso innocuo.
6. In data 7.3.2019 è pervenuta memoria nell’interesse della parte civile S. in cui si contesta quanto esposto dall’imputato e si ribadisce la insussistenza del falso innocuo.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono entrambi fondati, sia con riferimento al reato di falso fidefacente che al delitto di rifiuto di atti di ufficio, sotto i rispettivi, diversi, profili denunciati, dovendo i ricorsi afferenti il delitto di falso essere accolti perché sussistente la denunciata violazione di legge, rectius erronea applicazione della fattispecie incriminatrice in relazione alla ravvisata ipotesi del cd. falso innocuo o inutile; laddove quello avente ad oggetto il reato di rifiuto di atti di ufficio è accoglibile sotto il duplice profilo del denunciato vizio argomentativo per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e per travisamento probatorio; rispetto a quest’ultimo delitto va però rilevata l’intervenuta maturazione della prescrizione, risalendo il fatto-reato al 18.1.2010 il termine, pari a sette anni e mezzo ai sensi degli artt. 157-161 c.p.p., in considerazione della pena edittale massima prevista per tale reato, è decorso il 18.7.2017; talché l’esame, e il conseguente annullamento con rinvio, sono, relativamente ad esso, ai soli effetti civili.
Tale distinzione e precisazione iniziale s’impone, sia perché il controllo di questa Corte è circoscritto ai motivi dedotti, sia perché diversi sono i poteri del giudice di rinvio a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, giacché, mentre, nella prima ipotesi, il giudice è vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda può procedersi ad un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato. (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012 - dep. 29/02/2012, Montali, Rv. 25233301).
1.1. Innanzitutto, con riferimento al reato di falso, secondo la sentenza impugnata la falsità commessa dal C. sarebbe innocua perché: "premesso che sussiste il "falso innocuo" nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, nel caso di specie l’apposizione sul verbale delle firme false del S. e del R. , (due marescialli dei carabinieri), si è tradotta esclusivamente nella inveritiera attribuzione della paternità dell’atto a questi ultimi e non ha dunque inciso sulla verità sostanziale che lo stesso era diretto a provare consistente nell’esecuzione del provvedimento cautelare. D’altronde - continua la Corte - il verbale di cui all’art. 293 c.p.p. ha natura ricognitiva degli adempimenti esecutivi compiuti che nel caso di specie risultano formalmente e materialmente riconducibili al solo imputato, il quale, nel consegnare al Ce. copia del provvedimento cautelare, ha redatto in proprio la relata di notifica apposta sullo stesso atto, adempimento da ritenersi di essenziale rilevanza nell’ambito del procedimento esecutivo de quo." (cfr. pagina 5 della sentenza impugnata).
In altri termini si ritiene che non resti privo di valore il fatto che la falsa attestazione non fosse utile a far conseguire ulteriore rilievo giuridico all’atto che comunque avrebbe conseguito il suo effetto anche con la sola attestazione della presenza dell’unico verbalizzante realmente presente, ovvero il C. , perché ciò che rileva sarebbe, in buona sostanza, lo scopo, l’uso, cui l’atto è preordinato; in tal modo si finisce però con l’affermare, non solo, che non rilevi il contenuto in sé dell’atto e, quindi, di per sé, la falsa attestazione in esso contenuta, ma anche che non rilevi l’eventuale idoneità dell’atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica (laddove esso rileva di là della peculiare valenza probatoria dell’atto così formato, anche ed eventualmente a fini diversi da quello per il quale il documento è stato predisposto; ed invero, questa Corte ha già avuto modo di chiarire come il falso sia irrilevante quando non accresce in alcun modo la valenza probatoria dell’atto, e non anche quando l’atto stesso potrebbe esplicare una qualche efficacia pure in assenza della falsificazione, attestando ad es. in modo ingannevole l’esistenza in vita o la presenza dell’interessato in una certa data od in un certo luogo.
Nel caso oggetto dell’impugnazione in esame, in realtà, nel corpo dell’atto si parla anche, proprio, al plurale, si dice "noi" laddove gli altri due marescialli erano assenti per essersi già allontanati dalla sede di servizio, ed in definitiva si attesta essere avvenute le circostanze indicate nell’atto medesimo alla presenza anche degli assenti, dei quali sono infine apposte le firme false.).
Si deve, invero, più in generale osservare che, contrariamente alla conclusione interpretativa della Corte catanzarese, sussiste il "falso innocuo" nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto. (Fattispecie di ravvisata integrazione dei reati di falsità ideologica e falsità materiale commessa dal privato in atto pubblico in relazione ad una falsa denuncia di smarrimento di biglietti aerei emessi per ragioni di servizio in favore di due agenti di P.S., recante inoltre la falsa apposizione da parte dell’imputato della sottoscrizione dell’altro intestatario, sebbene si trattasse di atto non utile a conseguire il rimborso dei titoli di viaggio Sez. 5, Sentenza n. 2809 del 17/10/2013 Ud. (dep. 21/01/2014) Rv. 258946).
La giurisprudenza di questa Sezione, tradizionalmente, facendo applicazione dell’art. 49 c.p., distingue, in tema di falso, l’inidoneità della azione, che ricorre nel cosiddetto falso "grossolano", nel falso, cioè, che per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno, dall’inesistenza dell’oggetto, che ricorre nel cosiddetto falso c.d. "inutile", nel falso, cioè, che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 185132).
Con riferimento specifico al c.d. "falso innocuo", si è ancora precisato che esso ricorre quando "determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso" (Sez. 5, n. 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936) o, in altri termini, quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) non esplicano effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395).
Dal che è agevole desumere che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.
1.2. Talché deve concludersi che sussiste il "falso innocuo" quando l’infedele attestazione, nel falso ideologico, è del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplica effetti sulla sua funzione documentale, funzione documentale che non è solo quella immediatamente riconducibile alla natura dell’atto e allo scopo per il suo tramite realizzato, essendo la funzione documentale dell’atto pubblico, e a maggior ragione di quello fidefaciente, non circoscrivibile al suo contenuto inteso in senso stretto, funzionalmente e strettamente correlato, cioè, allo specifico atto posto in essere, non essendo questo scindibile dal complessivo contesto probatorio-documentale in cui si inserisce, che è, a ben vedere, quello che gli conferisce il crisma della sua stessa natura pubblica nella parte in cui dà atto della sua provenienza da un determinato pubblico ufficiale, o contribuisce, comunque, a dargli tale valenza (così ad esempio la indicazione della data o del luogo possono anch’essi assumere rilievo documentale sotto il profilo penale laddove frutto di dolosa falsificazione, sebbene possa non rilevare ai fini dell’uso dell’atto, inteso, in senso stretto, funzionalmente correlato all’atto medesimo, che esso sia stato compiuto in un determinato giorno o luogo); con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica e l’affidamento che i terzi possono fare su quanto da esso risulti, non solo con riferimento al suo contenuto intrinseco ma anche alla sua provenienza, potendo difficilmente rivelarsi irrilevante sotto il profilo documentale non solo la circostanza che un documento pubblico - nel caso di specie il verbale di un pubblico ufficiale - sia stato posto in essere da un soggetto in luogo di un altro, sia pure con la medesima qualifica, ma anche quella secondo cui l’atto risulti proveniente anche da soggetti ulteriori che in realtà non hanno partecipato all’atto, risultando tradita in entrambi i casi la stessa natura pubblica dell’atto medesimo (detta conclusione è ancora più chiara se si rammenta che, nella esegesi delle disposizioni che puniscono i falsi, è stato sempre usato come criterio discretivo il fatto che la condotta incriminata abbia o meno messo in pericolo il bene della pubblica fede; e che ciò che rileva ed è sufficiente è il dolo generico e giammai potrebbe assumere rilevanza il motivo della falsità; di talché, insindacabile il motivo della falsa attestazione, ciò che rileva non può che essere la consapevole e volontaria falsità dell’attestazione medesima).
1.3. Nel caso in esame, si dovrà pertanto (ri)valutare, alla luce delle coordinate interpretative sopra indicate, segnatamente del principio di diritto, testè riportato sub 1.2. che le riassume, in sintesi.
2. Quanto al motivo afferente la motivazione posta a sostegno della ritenuta insussistenza del reato di rifiuto di atti di ufficio, sotto il duplice profilo del vizio argomentativo per illogicità intrinseca e per travisamento della prova, esso è fondato per avere la Corte territoriale, da un lato, omesso di valutare prove decisive presenti agli atti e, dall’altro, travisato prove parimenti emerse dall’istruttoria dibattimentale, in tal modo, in definitiva, producendo una motivazione nel suo complesso parziale ed illogica.
Si rimanda, in particolare, alle circostanze emergenti dai rispettivi atti e verbali dibattimentali allegati al ricorso della parte civile (di cui si dirà, nel dettaglio, in seguito), che non appaiono correttamente e/o adeguatamente valutate dalla Corte territoriale, che si è limitata ad affermare ed osservare al riguardo, che "... " il movente" (riferito dal S. ) che ha informato le conclusioni del primo giudice non abbia trovato conferma nelle deposizioni testimoniali rese dagli altri militari in servizio presso la Stazione di XXXX, i quali hanno escluso l’esistenza di rapporti personali tra il C. e il Ce. tali da giustificare il ventilato trattamento di favore (l’imputato avrebbe consentito al cautelato di non subire controlli per tutto il fine settimana). Risulta inoltre provato che l’imputato il 16 gennaio 2010 ha redatto la comunicazione di vigilanza indirizzata alla stazione di Montalto Uffugo e per conoscenza al Comando di Rende imbucandola nelle rispettive caselle postali dell’alveare utilizzato per le comunicazioni interne, giustificando l’adozione di tale sistema sulla scorta delle proprie limitate capacità di uso del fax e della Pec, spiegazione che non risulta smentita dalle altre risultanze dibattimentali, che hanno dato atto di come il militare solitamente incaricato delle comunicazioni telematiche (l’appuntato Ca. ) e quello che ha poi trasmesso il fax in data 19.1.2010 (l’appuntato Z. ) nella giornata del 16.1.2010 (sabato) non fossero in servizio. E detto sistema di comunicazione interna, secondo il dichiarato del comandante di compagnia A. , non solo non si è rivelato del tutto inefficace, atteso che l’atto, pervenuto presso la stazione di Montalto Uffugo, non è stato protocollato in ingresso a causa di disfunzioni interne all’ufficio, ma all’epoca non era neanche desueto, potendo accadere che venisse utilizzato per qualunque tipo di comunicazione nei casi di scarsa dimestichezza con lo strumento della posta elettronica o negligenza e superficialità dell’operante. D’altronde, la comunicazione de qua - conclude la corte territoriale- in data 18 gennaio 2010 è stata ritirata presso la compagnia di Rende dai c.c. della Stazione di San Pietro in Guarano, i quali tuttavia risultavano territorialmente incompetenti in ordine alla vigilanza della misura. Pertanto pur risultando irrilevante che la stazione di Montalto Uffugo fosse stata diversamente notiziata della misura, occorrendo per l’attivazione della vigilanza la comunicazione dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare, deve escludersi che l’imputato abbia rifiutato indebitamente tale atto, avendo adottato un sistema poco praticato ma non desueto o contrario alla legge ".
È evidente che la Corte catanzarese con una siffatta valutazione, argomentata nei termini e modi testè indicati, sia innanzitutto incappata in un percorso motivazionale del tutto illogico e non lineare, innanzitutto perché ancorato ad una circostanza del tutto ultronea rispetto alla fattispecie criminosa, quale il movente della condotta, che in quanto tale al più avrebbe potuto essere considerato, e sempre unicamente ad colorandum, all’esito della verifica della integrazione o meno dell’ipotesi di reato contestata, che, si rammenta, consta del rifiuto indebito di atto di ufficio che per ragioni di giustizia deve essere compiuto senza ritardo; esso, invero, partendo da tale presupposto non conferente si snoda poi attraverso la valorizzazione di ulteriori circostanze di fatto marginali e non determinanti - quali la presenza o meno in servizio di persona deputata all’inoltro del fax ovvero all’utilizzo del mezzo telematico, non potendo dipendere la prontezza di un adempimento da circostanze dipendenti dall’organizzazione dell’ufficio, rispetto al quale il C. stesso rivestiva peraltro il ruolo di maresciallo capo; l’utilizzo di un mezzo alternativo ché però in alcun modo avrebbe potuto garantire l’immediata comunicazione, presupponente peraltro, quanto meno, anche un riscontro di ricezione da parte dell’effettivo destinatario; l’assunta esistenza di una prassi, che difficilmente può riferirsi, però, anche a casi analoghi a quello in esame in cui si trattava di comunicazione dell’esecuzione di misura cautelare, e comunque indicata come sintomatica di leggerezza o negligenza -, che parimenti non possono costituire i motivi fondanti l’esclusione della sussistenza del fatto, risolvendosi essi piuttosto in fattori accidentali, corollari non determinati sotto il profilo costitutivo-integrativo della fattispecie de qua, che andava pertanto esaminata, e motivata, innanzitutto sotto il profilo - suo proprio - oggettivo.
Nè tanto meno poteva darsi rilievo a un presupposto giustificatorio non rilevante ovverosia al fatto che l’imputato, Comandante della stazione dei Carabinieri, non sapesse usare il fax o la PEC, trattandosi peraltro di circostanza che non può ritenersi neppure assodata alla stregua degli atti (anzi da quelli allegati dalla parte civile emergerebbe il contrario).
Ciò è vieppiù evidente, se si considera quanto emerge dagli atti indicati e/o allegati dalla parte civile, che rendono palese pure la ricorrenza del vizio del travisamento probatorio (cfr. copia dei verbali stenotipici delle deposizioni testimoniali allegate).
Ed invero, da essi risulta, piuttosto, che la comunicazione per il concorso in vigilanza per il controllo della misura cautelare degli arresti domiciliari a cui era sottoposto il Ce. dal 15.1.2010, non veniva inoltrata, al Comando della Stazione di Montalto Uffugo, luogo di esecuzione della misura cautelare, col mezzo celere del fax o della pec, imposto dalla natura dell’atto che necessitava di immediata e non rinviabile comunicazione, trattandosi di attivare i prescritti controlli conseguenziali alla tipologia della misura applicata, nè in altro modo (il maresciallo B. sentito in dibattimento in qualità di comandante dell’epoca della stazione di Montalto asserisce che nessuna comunicazione fu inviata e che sarebbe stato il caso di effettuare quanto meno una telefonata per avvertirli dell’esistenza di un cautelato nel loro territorio, e che solo a seguito di una chiamata direttamente da parte dell’ufficio gip, intervenuta il 19.1.2010 da parte dello stesso magistrato, era messo al corrente dell’avvenuta esecuzione della misura), non potendosi peraltro ritenere atto equipollente il mero deposito dell’atto presso la casella di posta della sede della Compagnia Carabinieri di Rende, utilizzata per la sola posta ordinaria, che sarebbe peraltro comunque intervenuto il giorno successivo alla redazione dell’atto medesimo.
In altri termini, l’imputato che aveva ricevuto l’ordine da parte del GIP del tribunale di Cosenza di dare esecuzione alla misura cautelare domiciliare con la espressa delega al controllo sulla misura dei carabinieri di Montalto Uffugo, dapprima ha redatto un falso verbale di sottoposizione alla misura portando presenti i marescialli S. e R. , in realtà assenti, apponendo firme false al loro posto, ed ha, poi, omesso di comunicare tempestivamente ai Carabinieri di Montalto Uffugo, preposti al controllo, la sottoposizione del detenuto alla misura cautelare domiciliare con conseguente impossibilità da parte dei predetti Carabinieri di controllare il detenuto dal 15 gennaio al 20 gennaio 2010.
In definitiva la Corte, nel fondare la propria decisione sui motivi sopra indicati - gli unici posti a fondamento dell’assoluzione dal reato di rifiuto di atti di ufficio - ha finito con l’omettere di valutare i decisivi elementi probatori che descrivono, invece, l’omissione in tutte le sue sfaccettature e depongono, piuttosto, per l’assoluta urgenza della comunicazione, oltre che per l’assoluta inverosimiglianza della, pur valorizzata, incapacità del C. di adoperare quanto meno un fax (o un telefono), peraltro dallo stesso C. non sostenuta in termini assoluti, ma limitatamente agli allegati (il teste B. comandante di (…) ebbe peraltro a riferire in dibattimento che in realtà il C. si era giustificato con lui per il mancato inoltro dicendo di non aver fatto in tempo e che era stata una mera svista, cfr. sul punto sia il verbale dibattimentale allegato dalla difesa che la sentenza di primo grado).
2. Le suesposte considerazioni conducono all’annullamento senza rinvio, agli effetti penali, della sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all’art. 328 c.p. per essere il reato estinto per prescrizione; all’annullamento della medesima sentenza agli effetti penali quanto all’ulteriore imputazione di cui all’art. 476 cpv. c.p., nonché agli effetti civili quanto al suddetto reato di cui all’art. 328 c.p. con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all’art. 328 c.p. per essere il reato estinto per prescrizione; annulla la medesima sentenza agli effetti penali quanto all’ulteriore imputazione di cui all’art. 476 cpv. c.p. nonché agli effetti civili quanto al suddetto reato di cui all’art. 328 c.p. con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.