La confessione, assieme al test del DNA per l’identificazione viene considerata la “prova regina” in un processo penale, la prova cioè che ha un tasso di errore minimo e che difficilmente può essere confutata. Mentre nel caso del DNA la fiducia è basata sui dati scientifici che indicano l’esatta probabilità (molto bassa) che due individui nella popolazione abbiano il medesimo profilo DNA, nel caso della confessione la fiducia nasce dall’ intuitivo.
(articolo del Prof. Giuseppe Sartori, tratta da https://www.testimonianzapenale.com/lista-argomenti/false-confessioni: il sito contiene una serie di analisi su prova dichiarativa e processo penale)
Il ragionamento sottostante alla confessione è più o meno il seguente:
Per quale motivo un indagato dovrebbe confessare un crimine che non ha commesso? Se lo fa significa senza ombra di dubbio che è colpevole.
Studi retrospettivi recenti hanno gettato una luce diversa sul ruolo di prova regina che deve essere attribuito alla confessione.
Sono state condotte ricerche che hanno dimostrato il potentissimo effetto della confessione nel convincimento dei giurati. Il convincimento di colpevolezza è difficile da eliminare anche dopo che è stato dimostrato ai giurati stessi che la confessione è stata estorta.
Gran parte dei dati scientifici raccolti sulle false confessioni sono il risultato di studi retrospettivi su casi giudiziari reali di imputati assolti in processi di revisione basati sulla prova del DNA.
Innocence Project è un'associazione US che raccoglie giuristi e scienziati di varie discipline che collaborano (pro bono e per amor di giustizia) ad organizzare processi di revisione per quei casi giudiziari con condannati in via definitiva nei quali il DNA poteva essere fatto ma per i motivi più vari non era stato fatto e qualora fatto aveva caratteristiche tali da essere dirimente.
Al momento in cui si scrive ci sono state ben 350 assoluzioni in revisione di condannati in via definitiva esonerati con la prova del DNA.
La questione particolarmente interessante è l’analisi retrospettiva sulle cause che in origine hanno portato alle condanne errate. In altri termini i ricercatori di Innocence Project hanno catalogato le evidenze usate per arrivare alla condanna che oggi sappiamo essere errata.
Le statistiche (calcolate su 325 casi) sono veramente impietose e mostrano come le cause delle errate condanne siano state le seguenti:
Errori nella identificazione di persona (72%)
Perizie effettuate con metodologie non validate (junk forensic science) 47%
False confessioni 27%
Informatori/soffiate 15%
Per quel che interessa questo volume vale la pena di richiamare l’attenzione sugli errori di riconoscimento (72%) e sulle false confessioni (27%).
In breve, su 325 casi di assoluti ben 88 condannati avevano falsamente confessato un delitto che oggi sappiamo essi non hanno mai commesso.
Partendo da questo dato i ricercatori specializzati in false confessioni si sono messi alla ricerca (sempre mediante studi retrospettivi effettuati su casi giudiziari reali di innocenti che hanno per certo falsamente confessato) delle condizioni che facilitano queste false confessioni.
Gli studi sulle cause di queste false confessioni hanno portato ad identificare due tipologie di fattori di rischio:
Fattori legati all’individuo
Fattori riconducibili al contesto investigativo
Fra i primi sono emersi l'età giovane (es. Amanda Knox anni 21), problematiche cognitive (es. lieve ritardo mentale). Fra i fattori situazionali sono stati identificati: i) la lunghezza degli interrogatori, ii) la privazione del sonno, iii) le menzogne degli investigatori in fase di interrogatorio, iv) l’esagerazione circa le evidenze giuà raccolte, v) segnalare, falsamente, la confessione di un complice, vi) la prospettazione di significativi sconti di pena a seguito della confessione, vii) la comprensione e giustificazione del crimine (es. Ti capisco, anche io avrei fatto lo stesso nella tua situazione).
Oltre alle analisi retrospettive sulle false confessioni reali certe (quelle documentate da Innocence Project) i ricercatori hanno cercato di ottenere ulteriori dati simulando, in laboratorio, le condizioni che hanno facilitato le false confessioni nel contesto reale. Questo per verificare se si potevano indurre, a piacimento, false confessioni, riproducendo le condizioni che nei casi reali si ritiene siano state causative delle false confessioni stesse.
Ricercatori, così come nel caso della pace memorie, hanno messo a punto delle procedure sperimentali per indurre false confessioni. Il compito mi porti un generoso messo a punto da collaboratori prendere dei soggetti sperimentali e di impegnarli in banali compiti di digitazione computer di frasi dettate dallo sperimentatore. Al soggetto veniva perentoriamente raccomandato di stare attenti a non schiaccare il tasto ALT che, a causa di un problema del software della macchina avrebbe bloccato il computer. In realtà il blocco della macchina avveniva automaticamente a prescindere dal fatto che soggetto avesse in realtà schiacciato questo tasto. I soggetti “innocenti” quindi con domande investigative arrivavano, in un’alta percentuale, ad ammettere di avere schiacciato il tasto ALT cosa che sappiamo in realtà non essere mai avvenuta
Facendo una media di 21 esperimenti si osserva una percentuale di innocenti che confessano di aver schiacciato il tasto ALT pari al 45%.
Nel loro lavoro Russano e altri (2005) hanno indagato l’effetto di tipiche strategie investigative nel produrre confessioni in soggetti colpevoli ed innocenti. Tutti i soggetti erano impegnati in un compito universitario ma i “colpevoli” erano indotti da amici a passare il compito mentre gli innocenti, pur avendo questa richiesta non la seguivano. In questo esperimento i soggetti colpevoli copiavano in un esame universitario mentre gli innocenti venivano accusati di aver copiato. Le strategie investigative valutate nei loro effetti sulle confessioni erano l’accordo (se confessi vediamo di sistemare la questione), la minimizzazione (in fine dei conti si tratta di una sciocchezza) ed le due combinate. Le strategie investigative effettivamente aumentano il numero delle confessioni nei colpevoli (che raddoppiano rispetto alle confessioni spontanee) ma moltiplicano per 7 le false confessioni di innocenti. La diagnosticità (capacità della confessione di identificare il vero colpevole non sapendo se il sospettato sottoposto ad interrogatorio sia innocente o colpevole) diminuisce tantissimo a seguito di questo effetto differenziato delle strategie investigative sulla confessione di colpevoli e di innocenti.
Con quale frequenza si osservano le false confessioni?
Gudjonnson (in press) ha ricostruito da casi giudiziari reali delle stime circa la frequenza delle false confessioni. I detenuti riportano percentuali ricomprese fra il 12% e il 24%. Viljoen, Klaver, and Roesch (2005) riportano in un campione di minorenni una percentuale del 6% mentre Redlich e colleghi (Redlich, 2007) riportano una percentuale del 22% in un campione di pazienti psichiatrici. Infine, le stime provenienti dagli investigatori americani che conducono regolarmente interrogatori investigativi hanno stimato essere nel 5% il numero di innocenti che falsamente confessano. (Kassin, Leo, Meissner, Richman, Colwell, Leach, & La Fon, 2007).
In breve, le stime sulle percentuali di false confessioni variano con percentuali più elevate nel caso di minori, di soggetti con disturbi mentali e in soggetti deboli di mente.
Giuseppe Sartori