Non opera la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dell'imputato quando la vittima è a sua volta prossima congiunta.
Corte di Cassazione
sez. VI Penale, sentenza 15 settembre - 7 ottobre 2016, n. 42560
Ritenuto in fatto
1. Il P.G. presso la Corte d’appello di Palermo impugna la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., con cui il g.u.p. del Tribunale di Sciacca, in data 14.02.2016, richiamata previamente la sentenza 30.04.2015 n. 34147 di questa Corte a supporto del condiviso mutamento della giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 384 cod. pen. al convivente di fatto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.A.M. , perché non punibile ai sensi della richiamata esimente, in relazione al reato di cui all’art. 372 dello stesso codice, ascritto a carico della prevenuta per le false dichiarazioni rese nel corso del processo a carico del convivente C.G., poi condannato per violenza sessuale aggravata in danno di M.M. , figlia dell’odierna imputata.
Lamenta in proposito l’errata applicazione della legge penale da parte del giudicante, non potendo trovare applicazione l’esimente per via del succitato rapporto filiale fra parte offesa ed imputata.
Considerato in diritto
1. La fondatezza delle ragioni poste a base del proposto ricorso ne impone l’accoglimento, con ogni consequenziale statuizione.
2. Il g.u.p. di Sciacca, pur avendo valorizzato il rapporto di convivenza fra la M. ed il C. onde pervenire alla qui contestata decisione, ha focalizzato la propria attenzione sulla menzionata sentenza n. 34147/2015 - di cui compare peraltro la sola citazione - omettendo del tutto di considerare la problematica relativa ai rapporti fra la norma di cui ha inteso fare applicazione, ossia l’art. 384 cod. pen., e l’art. 199 del codice di rito.
Tralasciando di affrontare in questa sede - se non nei ristretti limiti in cui appare necessario - la vexata quaestio relativa all’esegesi dell’art. 384 cod. pen., alla stregua delle motivazioni poste dalla citata sentenza della Sezione 2 di questa Corte a supporto della decisione ivi assunta, da riguardarsi anche alla luce della recentissima legge 20 maggio 2016 n. 76 avente ad oggetto le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ciò che comunque può affermarsi senza tema di smentita è che indiscutibile è il mancato coordinamento fra le norme di cui all’art. 199 cod. proc. pen. ed all’art. 384 cod. pen. sopra citate.
Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza n. 7208 del 29.11.2007 - dep. 14.02.2008, P.m. in proc. GENOVESE, Rv. 238384, dopo aver affermato che "coglie certamente nel segno" quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 6, n. 44761 del 04.10.2001, Rv. 220326) che individua la ratio della tutela apprestata dall’art. 384 co. pen. "nell’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà familiare", hanno quindi puntualizzato doversi dare atto "della sussistenza di una strettissima connessione tra l’istituto, di natura sostanziale, dell’art. 384 c.p. e la prescrizione processuale contenuta nell’art. 199 c.p.p.", atteso che, a fondamento di tali disposizioni, vi è "la stessa giustificazione", poiché la ragion d’essere della "facoltà di astensione dal rendere testimonianza in capo ai prossimi congiunti dell’imputato", di cui alla norma del codice sostanziale appena citata, è "unanimemente ravvisata proprio nella tutela del sentimento familiare (latamente inteso) e nel riconoscimento del conflitto che può determinare, in colui che è chiamato a rendere testimonianza, tra il dovere di deporre e dire la verità, e il desiderio o la volontà di non danneggiare il prossimo congiunto (Corte cost., sent. n. 6 del 1977 e n. 179 del 1994; Sez. I, 29 marzo 1999, FEMIA, Rv. 213464; Sez. I, 15 dicembre 1998, MOCERINO, Rv. 214756)". Affermazione, quest’ultima, la cui sicura condivisibilità trova ulteriore supporto in una precedente decisione della Corte Costituzionale, nella parte in cui si rimarca la "prevalenza delle relazioni affettive familiari sull’interesse alla c. va punizione dei reati" cui è informato l’art. 199 cpv. lett. a) del codice di rito, "in un’ottica di preminente salvaguardia del membro della famiglia chiamato a rendere testimonianza, al quale è riconosciuta la facoltà (esercitabile o meno, sulla base del proprio personale apprezzamento) di sottrarsi al relativo obbligo e, così, all’alternativa fra deporre il falso o nuocere al congiunto" (così, in parte motiva, la sentenza n. 352 del 12 luglio 2000 del giudice delle leggi, relativa a questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 649 cod. proc. pen.).
Dunque, se vi è identità di ratio fra le due disposizioni e se l’art. 199 cod. proc. pen. statuisce al terzo comma estendersi la facoltà di astensione anche al convivente more uxorio, "limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza coniugale", appare difficilmente comprensibile che l’art. 384 cod. pen. possa subordinare l’operatività o meno dell’esimente alla circostanza che sia esclusivamente di natura formalmente matrimoniale il vincolo fa l’imputato ed il teste, al primo affettivamente legato: palese, infatti, è la coincidenza delle situazioni in cui versano il coniuge ed il convivente, essendo del tutto irragionevole - oltre che innaturale - introdurre discriminazioni tra i sentimenti di chi è legato all’imputato da un vincolo matrimoniale e quelli di chi, invece, abbia un vincolo di natura non formale.
4. Tali essendo le ragioni alla base del ravvisato difetto di coordinamento fra le due disposizioni ripetutamente citate, è comunque di tutta evidenza che il tema non si pone qualora, malgrado l’esistenza della relazione familiare di cui si è appena detto, tuttavia si versi in un’ipotesi peculiare, di deroga al principio generale, in cui è normativamente esclusa la possibilità di avvalersi della facoltà di astenersi dal testimoniare, poiché qui, a fortiori, non sarà possibile in nessun caso invocare l’applicazione dell’esimente dell’art. 384 cod. pen..
Dunque, ancorché la sentenza citata dal ricorrente P.G. non sia affatto pertinente, attesa la radicale diversità della vicenda in quel caso sottoposta al vaglio di questa Corte ("Non è configurabile la causa di non punibilità di cui al combinato disposto degli artt. 384, comma primo, cod. pen. e 199 cod. proc. pen., nell’ipotesi in cui un teste deponga in un processo nel quale il prossimo congiunto sia persona offesa dal reato, a nulla rilevando la circostanza che in altro processo quest’ultimo possa assumere anche la veste di indagato o imputato di reato connesso": Cass. Sez. 6, sent. n. 46247 del 22.05.2012, Rv. 253703), rimane fermo tuttavia il principio codificato nel comma 1 dell’art. 199 del codice di rito, secondo cui i prossimi congiunti devono deporre - quindi, con ovvia esclusione della facoltà di astensione, come detto estesa dal comma 3 al convivente di fatto, nei limiti ivi previsti - nell’ipotesi (fra l’altro) in cui "essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato": il che si attaglia esattamente alla vicenda processuale in esame, essendo stata resa la falsa testimonianza di cui è imputata la M. nel processo celebratosi per violenza sessuale ai danni della propria figlia, e, per l’effetto, preclude in radice la possibilità di avvalersi dell’applicata esimente, conformemente all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, appunto, "La facoltà di astenersi dal deporre, attribuita al prossimo congiunto dall’art. 199 cod. proc. pen., non riguarda i coimputati del prossimo congiunto del testimone, poiché la ratio della facoltà si identifica nella finalità di prevenire situazioni nelle quali l’eventuale falsa testimonianza sarebbe scriminata dall’art. 384 cod. pen." (così Cass. Sez. 6, sent. n. 27060 del 27.05.2008, Rv. 240977).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sciacca.