La dichiarazione di domicilio formulate dall'indagato (o da qualsiasi altra parte processuale verso la quale debbono essere indirizzati atti nel corso del giudizio) costituiscono atti a contenuto negoziale, cioè manifestazioni di volontà da cui l'ordinamento fa derivare effetti giuridici. Nel caso della dichiarazione di domicilio l'atto ha, in realtà, una duplice natura: si tratta, infatti, di una dichiarazione di scienza quanto alla indicazione del domicilio e di un negozio processuale quanto alla volontà di indicare questo come luogo dove far eseguire le notificazioni: deve peraltro rilevarsi che, quanto alle modalità di esternazione di essi il legislatore non ha previsto che gli stessi debbano rivestire alcuna forma solenne, avendo solamente stabilito, all'art. 161, ultimo periodo, cod. proc. pen. che della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale richiamato dalla norma medesima.
Una volta che la dichiarazione sia stata verbalizzata, esse è perfettamente idonea a spiegare i suoi effetti senza bisogno della sottoscrizione del dichiarante, essendo dimostrata la circostanza che siffatta dichiarazione provenga effettivamente dal soggetto che in tale atto è indicato come il dichiarante dall'essere stato redatto il verbale in questione da soggetti aventi la potestà di attribuire, nell'esercizio delle proprie funzioni, fede privilegiata agli atti contenenti la descrizione di fatti avvenuti sotto la loro diretta percezione.
Atteso ciò rimane da verificare se la mancata sottoscrizione del verbale contenente l'elezione di domicilio fatta dal ricorrente integri una di quelle ipotesi. e cioè contestazione della corrispondenza della verbalizzazione a quanto effettivamente verificatosi ovvero sostanziale esercizio del pur esistente ius poenitendi e conseguente revoca della elezione o dichiarazione di domicilio in precedenza fatta, in cui vi è una giustificata ragione per privare di efficacia, attraverso la mancata sottoscrizione, l'atto di cui si parla.
Cote di Cassazione
sez. III penale
ud. 9 ottobre 2024 (dep. 17 febbraio 2025), n. 6305
Presidente Sarno - Relatore Gentili
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 18 gennaio 2024 la Corte di appello di Genova ha integralmente confermato la precedente decisione con la quale il Tribunale di Genova, a conclusione di un giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, aveva dichiarato la penale responsabilità di H.T. in ordine al reato a lui contestato, avente ad oggetto un'ipotesi di violenza sessuale da lui commessa in danno di tale S.U., persona nei cui confronti, mentre entrambi si trovavano in fila all'interno di un supermercato posto all'interno di un terminal portuale, egli aveva posto la mano sulla natica sinistra stringendola, pertanto, sul gluteo della donna, e lo aveva condannato, ritenuta l'ipotesi della minore gravità e riconosciute le circostanze aggravanti generiche, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre accessori.
Avverso la sentenza del giudice di secondo grado ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, il prevenuto, affidando le proprie doglianze a 4 motivi di impugnazione, qui di seguito sinteticamente riportati.
Con il primo di essi la ricorrente difesa ha censurato, sotto il profilo della violazione di legge, la circostanza che la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini fosse stata eseguita presso lo Studio di un difensore di ufficio nominato all'imputato, presso il quale lo stesso avrebbe eletto domicilio, sebbene la relativa dichiarazione, contenuta in una verbale redatto di fronte alla polizia giudiziaria, non era stata sottoscritta dal medesimo non già per il rifiuto immotivatamente a ciò opposto dall'imputato, come riportato nella sentenza di appello, che sul punto aveva rigettato la impugnazione da quello formulata, ma in quanto, non comprendendo egli la lingua in cui il verbale contenente, fra l'altro, la elezione di domicilio era stata redatta, cioè la lingua tedesca (lingua nella quale, sul presupposto che la stessa fosse conosciuta dal prevenuto - il quale è di nazionalità ceca -, erano stati redatti, previa traduzione, i primi atti di indagine portati a conoscenza di quello), egli non aveva inteso sottoscrivere ciò di cui non poteva comprendere il significato.
Il secondo motivo di impugnazione, intimamente connesso al precedente, aveva ad oggetto il rigetto della eccezione di nullità della elezione di domicilio dell'H.T, essendo stata questa redatta in una lingua non conosciuta dall'imputato e senza che fosse presente al confezionamento dell'atto un interprete che fosse in grado di tradurre il contenuto di esso in una lingua conosciuta dal prevenuto.
Il terzo motivo di impugnazione riguarda il vizio di violazione di legge, essendo stata dichiarata la responsabilità dell'imputato pur in assenza della dimostrazione della sussistenza degli elementi soggettivo ed oggettivo del reato a lui contestato.
Infine, con il quarto motivo ci si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
In data 29 settembre 2024 la difesa fiduciaria dell'imputato ha fatto pervenire delle note scritte con le quali ha insistito per l'accoglimento del ricorso proposto.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato ed esso, pertanto, deve essere rigettato.
Ritiene il Collegio, dato il contenuto sostanzialmente analogo dei due primi motivi di impugnazione - entrambi, infatti, hanno come sostanziale oggetto la validità e la legittimità della elezione di domicilio presso il difensore di ufficio che gli era stato nominato operata dal ricorrente in data 1 aprile 2017 (cioè nella immediatezza dei fatti) - di poterli trattare congiuntamente.
Entrambe le censure sono prive di fondatezza.
Deve rilevarsi in punto di fatto - rilievi che la natura processuale della eccezione formulata dall'imputato consente di operare anche a questa Corte di legittimità - che, essendo stato il prevenuto condotto da appartenenti all'Arma dei Carabinieri intervenuti sul posto nella immediatezza dei fatti, presso una Caserma della Guardia di Finanza ubicata in prossimità del teatro della vicenda acciocché egli fosse ivi identificato, questi - dopo che ne erano state verbalizzate talune dichiarazioni, contenenti, fra l'altro la elezione di domicilio presso lo Studio professionale del difensore di ufficio all'uopo nominatogli - si era rifiutato di sottoscrivere il relativo verbale.
A questo punto, avendo egli censurato le sentenze di merito che avevano ritenuto legittimamente operata la notificazione di taluni atti del processo presso tale domicilio, egli si è doluto, lamentando appunto il vizio che minerebbe la elezione di domicilio, di fronte a questa dell'avvenuto rigetto in sede di merito delle lagnanze da lui svolte al riguardo.
La questione da esaminare è, pertanto, duplice:
in primo luogo deve verificarsi se, in linea di principio è possibile attribuire rilevanza ad una elezione di domicilio contenuta nel verbale di un atto, redatto alla presenza ed a cura di ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria, il quale non sia stato sottoscritto dal dichiarante;
in secondo luogo, ove si acceda alla tesi che la dichiarazione in tale modo operata sia in linea di principio valida ed efficace (tanto che nella fattispecie il provvedimento con il quale era comunicata, ai sensi dell'art. 415-bis cod. proc. pen., all'imputato la conclusione delle indagini preliminari era stato notificato presso il domicilio eletto, costituito dallo Studio professionale dell'avvocato di ufficio in quella medesima sede nominato in favore dell'imputato), deve verificarsi se tale efficacia possa essere validamente contrastata dalla circostanza che il dichiarante abbia rifiutato, non pretestuosamente, di sottoscrivere l'atto avendo ciò fatto per un giustificato motivo (in tale occasione costituito dalla dichiarata mancata comprensione, in quanto redatto in lingua da lui non conosciuta ed in assenza di un interprete, del contenuto dell'atto da lui non firmato).
Con riferimento al primo quesito cui questa Corte deve fornire una risposta, osserva il Collegio che, nella giurisprudenza di legittimità, è dato rinvenire un contrasto; infatti, secondo un primo orientamento, che in verità appare più risalente nel tempo, qui riportato in forma meramente esemplificativa e non completa, l'elezione di domicilio contenuta nel verbale di polizia giudiziaria che il dichiarante rifiuti di sottoscrivere, mancando il dato formale della concreta riferibilità della dichiarazione al soggetto dichiarante, deve essere considerata tamquam non esset in quanto il rifiuto della sottoscrizione implica il rifiuto di eleggere domicilio (Corte di cassazione, Sezione V penale, 10 luglio 2008, n. 28618, rv 240430); sostanzialmente negli stessi termini si è, successivamente, pronunziata questa Corte, allorché ha stabilito che una tale elezione di domicilio, attesa la sua natura di dichiarazione di volontà avente valore negozial-processuale, è nulla qualora il verbale non risulti sottoscritto dal dichiarante, mancando il dato della formale e concreta riferibilità della dichiarazione a tale soggetto, in quanto il rifiuto della sottoscrizione del verbale implica il rifiuto di eleggere domicilio e la conseguente nullità delle notificazioni eseguite in un luogo non scelto, né approvato dall'imputato (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 27 giugno 2016, n. 26631, rv 267433).
Tale indirizzo è stato, successivamente, contrastato da altre pronunzie di questa stessa Corte, secondo le quali deve ritenersi valida l'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata dall'indagata con dichiarazione riportata in un verbale che egli poi si sia rifiutato di sottoscrivere, senza indicazione di una specifica ragione, posto che l'omessa sottoscrizione delle persone intervenute non è causa di nullità del verbale e che, in assenza della specifica indicazione di un motivo, l'atteggiamento dell'interessato non può intendersi mirato alla revoca della dichiarazione verbalizzata (Corte di cassazione, Sezione I penale, 17 dicembre 2019, n. 50973, rv 277827); analogamente ha statuito questa Corte, avendo rilevato che la mancata sottoscrizione da parte dell'indagato del verbale contenente l'elezione di domicilio non ne determina la invalidità, a meno che non risulti che egli abbia rifiutato di sottoscrivere l'atto eccependone la difformità rispetto alle dichiarazioni rese ovvero che sia venuta meno l'intenzione di non dare più corso all'elezione (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 9 settembre 2021, n. 33567, 281931).
Ritiene questo Collegio che tale secondo orientamento sia decisamente più conforme ai principi che regolano la materia.
Invero, si osserva quanto segue: pacifica essendo la circostanza che la elezione ovvero la dichiarazione di domicilio formulate dall'indagato (o da qualsiasi altra parte processuale verso la quale debbono essere indirizzati atti nel corso del giudizio) costituiscono atti a contenuto negoziale, cioè manifestazioni di volontà da cui l'ordinamento fa derivare effetti giuridici (nel caso della dichiarazione di domicilio l'atto ha, in realtà, una duplice natura: si tratta, infatti, di una dichiarazione di scienza quanto alla indicazione del domicilio e di un negozio processuale quanto alla volontà di indicare questo come luogo dove far eseguire le notificazioni), deve rilevarsi che, quanto alle modalità di esternazione di essi il legislatore non ha previsto che gli stessi debbano rivestire alcuna forma solenne, avendo solamente stabilito, all'art. 161, ultimo periodo, cod. proc. pen. che della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale richiamato dalla norma medesima.
Deve, pertanto, ritenersi che, una volta che la dichiarazione sia stata verbalizzata, esse è perfettamente idonea a spiegare i suoi effetti senza bisogno della sottoscrizione del dichiarante, essendo dimostrata la circostanza che siffatta dichiarazione provenga effettivamente dal soggetto che in tale atto è indicato come il dichiarante dall'essere stato redatto il verbale in questione da soggetti aventi la potestà di attribuire, nell'esercizio delle proprie funzioni, fede privilegiata agli atti contenenti la descrizione di fatti avvenuti sotto la loro diretta percezione.
Atteso ciò rimane da verificare se, quanto al caso di specie, la mancata sottoscrizione del verbale contenente l'elezione di domicilio fatta dal ricorrente integri una di quelle ipotesi (contestazione della corrispondenza della verbalizzazione a quanto effettivamente verificatosi ovvero sostanziale esercizio del pur esistente ius poenitendi e conseguente revoca della elezione o dichiarazione di domicilio in precedenza fatta) in cui vi è una giustificata ragione per privare di efficacia, attraverso la mancata sottoscrizione, l'atto di cui si parla.
Ritiene il Collegio che non possa, quanto alla fattispecie, ritenersi che la mancata sottoscrizione del verbale possa valere quale revoca della precedente elezione operata dal ricorrente.
Ciò sia perché una tale revoca dovrebbe essere accompagnata da una nuova manifestazione di volontà contenente una dichiarazione o elezione di domicilio diversa dalla precedente, sia perché, in ogni caso una tale circostanza, cioè la revoca della elezione precedentemente fatta non è stata nemmeno prospettata dalla difesa del ricorrente.
Neppure può ritenersi che attraverso la mancata sottoscrizione l'attuale ricorrente abbia voluto contestare la rispondenza alla realtà di quanto verbalizzato dagli agenti operanti ovvero, come sostenuto nel ricorso, la sua mancata comprensione di quanto da costoro verbalizzato in quanto redatto in una lingua a lui sconosciuta.
Osserva, infatti, il Collegio come non abbia colto nel segno la doglianza in tale senso formulata dalla difesa dell'H.T.; infatti, secondo quanto risulta dal contenuto della ordinanza dibattimentale resa dal Tribunale di Genova in data 17 dicembre 2020 (ordinanza cui questa Corte, si ribadisce, ha pieno accesso data la natura processuale della questione ora trattata) e con la quale era stata disattesa la eccezione di nullità del verbale redatto dalla Guardia di Finanza in cui era contenuta la elezione di domicilio fatta dall'attuale ricorrente, si rileva, come segnalato anche nella comunicazione di notizia di reato redatta dalla Guardia di Finanza in data 2 aprile 2017, che questi, all'atto della identificazione operata dagli agenti delle Fiamme gialle, avendo dichiarato di non comprendere la lingua italiana, aveva, tuttavia, indicato quale lingua di sua comprensione quella tedesca, tanto che nell'immediatezza fu nominato per lui un interprete in grado di tradurre in tale idioma quanto veniva a lui detto, ivi compreso, il contenuto del verbale di identificazione personale contenente la sua elezione di domicilio.
Considerata la piena esaustività della ordinanza con la quale è stata rigettata la eccezione di nullità del ricordato verbale e della elezione di domicilio in esso contenuta, deve, ora, dichiararsi la infondatezza dei primi due motivi di ricorso atteso che, quanto al primo, non è stato violato il diritto di difesa dell'imputato poiché il ricorrente è stato, fin dai primi atti del procedimento, assistito da un interprete che ne ha tradotto e a lui riportato il contenuto di una lingua, quella tedesca, che lo stesso imputato ha dichiarato di conoscere, e che, quanto al secondo, non è riscontrabile alcuna nullità della elezione di domicilio verbalizzata dalla Guardia di Finanza, atteso che, sebbene la stessa non fosse stata sottoscritta dal ricorrente, questi non ha addotto alcun giustificato motivo di tale sua mancata sottoscrizione tale da privare di piena validità la elezione da lui stesso fatta in precedenza.
Venendo ai successivi motivi di doglianza, afferenti l'uno alla pretesa assenza degli elementi, sia oggettivo che soggettivo, costituenti il reato in contestazione e l'altro afferente al mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, si rileva, quanto al primo di essi, che, incontestabile in questa sede il dato storico costituito dall'avvenuto palpeggiamento da parte del ricorrente del gluteo sinistro della persona offesa (in tale senso, infatti, l'accertamento contenuto nelle sentenze di merito, basato sulle convergenti dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa e del suo accompagnatore, dichiarazioni che, stante il loro dettagliato contenuto e la evidente assenza di qualsivoglia motivo che ne possa far dubitare della veridicità, sono stata coerentemente giudicate pienamente attendibili in sede di merito, con valutazione ora non suscettibile di sindacato stante la mancanza di alcun profilo di illogicità), non vi è dubbio che l'ingiustificato "palpeggiamento" delle natiche di una persona costituisca, in assenza del consenso del soggetto passivo del reato, atto di illecita intromissione nella sua sfera di libertà sessuale, in tale modo integrando, sotto il profilo oggettivo, una delle condotte attraverso le quali si può realizzare il reato di violenza sessuale, mentre, per ciò che attiene all'elemento soggettivo, essendo quello in contestazione un reato punibile sulla base del semplice dolo generico, la carenza di elementi che possano avere inquinato il processo volitivo dell'agente, il quale con piena coscienza e volontà ha posto in essere la condotta a lui addebitata, rende evidente la sussistenza anche dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente.
Riguardo alla doglianza riferita alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche, ribadita la ampia discrezionalità che sul punto spetta al giudice del merito, osserva il Collegio, in primo luogo, che, diversamente da quanto pare ritenere il ricorrente, le attenuti generiche sono state riconosciute già in primo grado in favore dell'H.T. e, secondariamente che la Corte genovese, nel rigettare il motivo di gravame riguardante tale profilo decisorio, ha plausibilmente segnalato - ribadendosi che in realtà le attenuanti generiche sono state concesse al prevenuto, sebbene non nella loro massima estensione - quale fattore giustificativo della solo limitata efficacia delle predette circostanze, la protervia con cui, nella immediatezza del fatto, l'imputato minimizzò la portata della sua condotta, segnalandone la pretesa tollerabilità, essendo questo un chiaro indice della mancata comprensione da parte dell'agente della natura criminale del proprio comportamento, nonché il fatto che, in sede di impugnazione, il ricorrente non ha indicato - ove si eccettui la irrilevante sua condizione di incensuratezza e la non meglio precisata condotta processuale - la esistenza di alcun fattore, allegato e non considerato in sede di merito, che avrebbe dovuto condurre ad una più intensa incidenza in termini di dosimetria sanzionatoria del ricordato accidentale delicti.
I due ultimi motivi di ricorso si palesano, conseguentemente, inammissibili vuoi per la loro manifesta infondatezza vuoi per la loro genericità.
In definitiva il ricorso proposto deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente deve, conseguentemente, essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.