Non può ritenersi lecito l'uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da 'animus corrigendi' - integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione. Nè tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore
CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. VI PENALE
SENTENZA 2 settembre 2019, n.36832
Pres. Mogini – est. Calvanese
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino riformava la sentenza che aveva dichiarato S.M. colpevole dei reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p., assolvendolo dai reati a lui ascritti perchè il fatto non sussiste.
All'imputato era contestato di aver maltrattato la figlia minorenne (che secondo l'età ufficiale aveva 15 anni all'epoca dei fatti) con aggressioni verbali e fisiche (colpendola con pugni e, in due occasioni, con la cinghia) e di averle provocato in un'occasione lesioni personali con una prognosi di guarigione di sette giorni.
Secondo la Corte di appello, i comportamenti dell'imputato venivano a collocarsi nel difficile rapporto tra padre e figlia, fatto di incomprensioni e incomunicabilità, nel quale il primo esprimeva il suo disappunto e disagio per una figlia che aveva sposato una cultura troppo moderna, mentre quest'ultima era attratta da figure di riferimento ostili a quella paterna propense ad offrirle maggiori spazi di libertà.
L'imputato non aveva quindi agito per 'umiliare' o 'annientare' la figlia, in quanto le frasi risultavano essere state da lui pronunciate in momenti di particolare tensione e concitazione per i litigi tra i due a causa sia dei limiti imposti alla figlia (non frequentare gli amici) sia per le disubbidienze di quest'ultima (aveva portato in casa vestiti e trucchi rubati, si era fatta sorprendere a casa con un amico, aveva marinato la scuola).
Secondo la Corte di appello, andavano anche considerati elementi di segno contrario all'ipotesi accusatoria, come la decisione della ragazza di far rientro nella casa paterna, a dimostrazione che il loro rapporto non fosse irrimediabilmente incrinato e che la stessa avesse subito abituali maltrattamenti; un foglio scritto, ancorchè non datato, nel quale la ragazza aveva espresso al padre il suo affetto; il timore della ragazza di essere portata in (OMISSIS) con la famiglia; nonchè il diario di quest'ultima, nel quale non vi era traccia di vessazioni, sofferenze e disagi.
Tale quadro consentiva di ritenere tutti i protagonisti della vicenda delle 'vittime' di una situazione familiare difficile e dolorosa, anche in ragione della loro incapacità di fronteggiarla efficacemente con serenità.
Relativamente alle lesioni, la Corte di appello rilevava che il referto medico non attestava lesioni 'visibili' e che nessuna contusione era stata vista dalla persona che aveva accompagnato la ragazza, quale sua unica confidente, a dispetto della dinamica dei fatti riferiti nella denuncia (colpi inferti con una cinghia).
Secondo la Corte territoriale, andava considerato che al momento in cui la ragazza aveva inteso sporgere la denuncia contro il padre per non fare rientro in casa le era stata detto della necessità di un certificato medico. In tale contesto, ad avviso dei Giudici del gravame, non poteva escludersi che la ragazza avesse ingigantito i fatti.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore presso la Corte di appello di Torino, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Vizio di motivazione.
La Corte di appello non ha indicato i motivi per cui ha superato il giudizio di piena attendibilità della persona offesa formulato in primo grado dal Tribunale, considerati i riscontri al suo narrato; ha parcellizzato le condotte ascritte all'imputato, limitandosi ad analizzare anche al fine del dolo le sole condotte ingiuriose, astraendole dal contesto di violenza e di sopraffazione, di isolamento in cui viveva la ragazza, e degli abusi sessuali subiti.
La Corte di appello ha valorizzato l'animus corrigendi dell'imputato, dimenticando che, secondo la giurisprudenza di legittimità, questo non può escludere il reato di cui all'art. 572 c.p. in presenza di una condotta del genitore caratterizzata dall'uso sistematico della violenza nei confronti del figlio.
Risulterebbe travisato poi il dato del comportamento negligente della persona offesa e illogica la conclusione che la ragazza fosse mossa da intenti preordinati di entrare in comunità (non risultando questi ultimi luoghi di svago).
Anche illogico è il ragionamento là dove utilizza una serie di circostanze prive di intrinseca significatività (come lo scritto senza data) anche alla luce di dinamiche familiari (come il rientro casa) o travisate (come il diario, in cui la ragazza aveva scritto che il padre la controllava costringendola a stare a casa).
Parimenti viziata è la motivazione in ordine al reato di lesioni, in quanto il certificato documenta le stesse e lo stesso imputato aveva ammesso di aver fatto uso di una cintura.
3. Con memoria depositata il 12 giugno 2019, la parte civile ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e va accolto.
2. E' appena il caso di rammentare le coordinate esegetiche in tema di motivazione della sentenza che in appello pervenga ad un esito assolutorio rispetto ad una sentenza di condanna pronunciata in primo grado.
Come da ultimo hanno chiarito le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, in motivazione), mentre nel caso di riforma della sentenza assolutoria al giudice d'appello si impone l'obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d'appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un'operazione di tipo essenzialmente demolitivo.
Deve trattarsi, peraltro, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo.
Il giudice d'appello è tenuto infatti a strutturare la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte: anche quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza di assoluzione, sussiste per il giudice l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova.
Ne discende quindi che il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte.
3. Ciò premesso, deve osservarsi in primo luogo che effettivamente, come ha rilevato il ricorrente, la sentenza impugnata ha finito per rendere una motivazione inadeguata e parziale rispetto alla complessiva trama argomentativa del primo giudice.
La Corte di appello ha infatti omesso di prendere in considerazione tutti gli episodi narrati dalla vittima.
La condotta contestata era consistita infatti non solo in 'aggressioni verbali', ma anche in violenze fisiche realizzate ai suoi danni con 'pugni sul corpo' e con l'uso della cinghia.
In primo grado, tali episodi violenti, che si era ripetuti sin dall'epoca ((OMISSIS)) in cui l'imputato conviveva con la C., erano stati puntualmente accertati attraverso il racconto della vittima, che era risultato corroborato da riscontri sia diretti che mediati.
Ebbene, la Corte di appello ha analizzato le dichiarazioni della persona offesa soffermandosi solo sugli insulti e sulle umiliazioni verbali subite ad opera dell'imputato e sull'episodio di lesioni del (OMISSIS), tralasciando tutto il resto.
4. In secondo luogo, la Corte di appello, dopo aver così immotivatamente 'ridimensionato' e alleggerito la vicenda, ha ritenuto sufficiente inquadrare i fatti sotto una forma di eccesso 'educativo' per escluderne la punibilità.
Al riguardo va tuttavia ribadito il pacifico principio, richiamato anche dal primo giudice, che pur aveva esaminato questo aspetto, secondo cui non può ritenersi lecito l'uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da 'animus corrigendi' - integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione (per tutte, Sez. 3, n. 17810 del 06/11/2018, dep. 2019, B., Rv. 275701). Nè tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore (tra tante, Sez. 6, n. 48272 del 07/10/2009, E.F., Rv. 245329).
5. Inoltre, la Corte di appello ha posto in discussione la credibilità della persona offesa in relazione ai fatti narrati, facendo leva su argomenti che non venivano tuttavia ad incrinare la diversa valutazione compiuta in primo grado o che risultavano poco significativi in dinamiche di tipo familiare.
Così il timore della ragazza di essere riportata in (OMISSIS), che poteva giustificare il suo allontanamento da casa e portarla ad 'ingigantire' i fatti patiti, mal si conciliava con le confidenze effettuate dalla ragazza nell'immediatezza dei fatti sulle violenze subite ad opera dell'imputato e che erano state valorizzate dal primo giudice come riscontro della sua credibilità.
Così il rientro a casa della ragazza, lungi dall'essere sintomatico della 'normalità' dei pregressi rapporti intrattenuti con l'imputato, costituiva un elemento - secondo massime di esperienza - non inconciliabile con il configurato reato di maltrattamenti. Risponde invero all'id plerumque accidit il tentativo della vittima di questa tipologia di reati di riallacciare i rapporti familiari con l'autore dei fatti illeciti. Pertanto, tali comportamenti non hanno di per sè valore probante dell'inattendibilità delle dichiarazioni della vittima, soprattutto se queste ultime risultavano corroborate da plurimi elementi esterni di conferma.
In tale prospettiva deve essere collocato anche l'altro elemento valorizzato dalla Corte di appello delle frasi scritte dalla vittima sul foglio rinvenuto, considerato che le stesse non erano neppure collocabili dal punto di vista temporale.
In definitiva, la alternativa lettura del materiale probatorio offerta dalla Corte di appello - che ha introdotto il dubbio ragionevole sul reale accadimento dei fatti - sembra non essere stata argomentata con ragioni dotate di intrinseca razionalità.
6. Per le considerazioni sin qui svolte, la sentenza impugnata risulta affetta da vizi sia giuridici che motivazionali che ne impongono l'annullamento.
Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale della Corte di appello di Torino, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio, anche per le eventuali statuizioni in ordine alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questo grado e nei precedenti gradi di giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, anche per le eventuali statuizioni in ordine alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questo grado e nei precedenti gradi di giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.