Non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui.
Il requisito della proporzione tra offesa e difesa viene meno quando emerga il conflitto fra beni eterogenei e la consistenza dell’interesse leso (la vita della persona) sia molto più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (l’integrità della proprietà del fondo e dell’allevamento o anche la mera integrità fisica), e il danno inflitto con l’azione difensiva, vale a dire la morte del ritenuto offensore, abbia un’intensità e un’incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato.
La presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio dell’aggressore, ossia l’effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza, non elimina la necessità del concorso dei presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità, mentre la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza e anzi sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri.
Non è legittima una aggressione violenta e senza limiti, attuata a scopo ritorsivo, che si è connotata per la sua fase più cruenta, quando la vittima era inerme, a terra, priva di ogni capacità di difendersi e, meno che mai, di reagire: anche per invocare la legittima difesa novellata è necessaria quantomeno una intrusione con violenza o con la minaccia dovendosi porre quale antecedente causale specifico con la descritta azione ritorsiva e gratuitamente violenta.
Non può essere configurato l’eccesso colposo in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti.
Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 14 maggio – 30 settembre 2019, n. 39977
Presidente Mazzei – Relatore Siani
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 12 aprile - 11 luglio 2018, la Corte di assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha confermato la decisione emessa il 6 febbraio - 29 aprile 2017, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sassari, nei confronti di A.G. , imputato del delitto di cui all’art. 575 c.p., per avere cagionato la morte di S.V. provocandogli un politraumatismo contusivo a prevalente applicazione cranio-facciale e anche a carico dei quattro arti, con una corrispondente serie di fratture ed emorragia subaracnoidea e conseguente morte del leso, in (omissis) (capo A); del delitto di lesioni personali aggravate in danno del medesimo S.V. , per averlo colpito con un manico di piccone cagionandogli una ferita lacero-contusa alla regione parietale sinistra, in (omissis) (capo B); e del delitto di cui all’art. 81 c.p. e art. 612 c.p., comma 2, per avere, in occasione del fatto di cui al capo B) e in esecuzione del medesimo disegno criminoso, gravemente minacciato S.V. di ammazzarlo, in (omissis) (capo C).
Il giudice di primo grado aveva dichiarato A. responsabile dei reati ascrittigli, riuniti in continuazione, e, computata la riduzione per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni quattordici, mesi quattro di reclusione, con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale, con sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, e lo aveva anche condannato al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili L.L. , S.C.A. , S.M.A. , S.M.F. , S.G. , S.A.F. , S.S. , S.I. e S.V. , con provvisionali di Euro 15.000,00 in favore di L.L. e di Euro 10.000,00 in favore di S.C.A. , M.A. e M.F. .
La Corte di assise di appello, con la conferma della decisione di primo grado, ha condannato l’imputato a ristorare alle parti civili le ulteriori spese.
La conforme ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito ha desunto - sulla scorta degli elementi obiettivi forniti dalla verifica medico-legale, dagli accertamenti specialistici ulteriori e dal vaglio selettivo delle affermazioni rese dall’imputato nel corso delle varie sessioni dichiarative - la dinamica omicidiaria dell’evento omicidiario del (omissis) . Nella produzione delle lesioni sono stati individuati mezzi appartenenti a quattro differenti tipologie, compatibili con bastoni, aste spigolose o dotate di bordi sottili, sassi di peso anche superiore a un chilo e, per quanto concerne le fratture alle gambe, uno strumento di forma rettangolare allungata, non ulteriormente definibile, che aveva prodotto l’ecchimosi sulla coscia sinistra. Inoltre le lesioni avevano evidenziato caratteri di vitalità e potevano ritenersi coeve, dunque prodotte entro un intervallo di tempo molto ristretto. Stante l’assenza di segni di difesa e l’evidenza di reiterazione delle lesioni, anche seriate, al capo e ai quattro arti, è stato ritenuto che i primi traumi subiti dalla vittima ne abbiano rapidamente determinato l’incapacità di difendersi e reagire, anche per la perdita o la riduzione dello stato di coscienza, sicché, tenuto conto che difficilmente le lesioni agli arti provocano questa condizione, si è dedotto che inizialmente A. aveva attinto S. con i colpi al capo (volta cranica e volto): avendolo reso inerme in tal modo, lo aveva ulteriormente colpito ancora al capo e agli arti sino all’esito letale.
Alla base della condotta produttiva della morte di S. , ascritta pacificamente a A.G. , anche i giudici di appello hanno posto il dolo omicidiario, nella forma del dolo d’impeto, seguito alla vista da parte dell’imputato di S. all’interno della sua azienda di allevamento.
Tale dolo, secondo i giudici di merito, non ha escluso la lucidità dell’agente, il quale aveva agito facendo un uso illimitato della violenza e delle armi che si era procurate, così dando sfogo al precedente e duraturo sentimento di grave inimicizia che nutriva nei confronti di S. . In tale prospettiva sono stati esclusi sia l’eccesso colposo di legittima difesa, sia l’attenuante della provocazione che l’imputato, con l’atto di appello, aveva prospettato come sussistenti.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore di A.G. , chiedendone l’annullamento e formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano erronea applicazione degli artt. 52 e 55 c.p. e manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente, il ragionamento svolto dalla Corte distrettuale è risultato contraddittorio e illogico nella parte in cui ha escluso la sussistenza dei presupposti della legittima difesa ai fini del riconoscimento del corrispondente eccesso colposo, previsto dall’art. 55 c.p..
Il dato di fatto, pacifico, da cui non avrebbe dovuto prescindersi consiste nel rilievo che il fatto si è verificato fra le ore 20:15 e 21:00, alla località (OMISSIS) , all’interno dell’azienda agricola di proprietà dell’imputato, quando quest’ultimo aveva scorto S.V. in flagranza di reato con riferimento alla perpetrazione di un furto di bestiame ai suoi danni: pertanto, l’atteggiamento di S. , il quale era munito di bastone, inizialmente scambiato per un fucile dall’imputato, integrava, almeno nella parte iniziale, il presupposto per la sussistenza della legittima difesa; essendosi mossi i contendenti andando l’uno incontro all’altro, non avendo del resto S. altra via di fuga, lo scontro - inizialmente non voluto dall’imputato - era stato inevitabile.
La reazione di A. , osserva la difesa, era stata indubbiamente eccessiva, siccome indotta da due condizioni fondamentali: i pessimi rapporti intercorrenti tra le due persone coinvolte, con l’imputato che era esacerbato dai precedenti episodi di furto patiti, in ordine ai quali il primo sospettato era sempre stato S. ; l’esplosione della personalità narcisistica di A. , patologicamente rilevante, così da spingerlo all’azione senza gli ordinari freni inibitori, secondo quanto era stato evidenziato dal suo consulente di parte (D.M. ).
Di conseguenza, ha dedotto il ricorrente, l’eccesso colposo era stato determinato da questi fattori, non da una volontà libera dell’imputato, come il giudizio ex ante avrebbe imposto di rilevare: invece, i giudici di appello hanno operato una valutazione ex post dell’accaduto.
In questa prospettiva, la difesa critica la sentenza impugnata per avere negato credibilità alle dichiarazioni dell’imputato inerenti alla ricostruzione dell’episodio oggetto del processo a causa della diversità delle versioni rese, deducendone il tentativo di adeguare la dinamica alle emergenze istruttorie: al contrario, si obietta, A. - che nulla aveva potuto sapere degli sviluppi istruttori in corrispondenza dei tre interrogatori sostenuti, rispettivamente, innanzi al P.m. la sera del fatto, poi innanzi al G.i.p. in sede di convalida e, infine, innanzi al P.m. all’interno della Casa circondariale di Sassari - aveva sempre sostenuto lo sviluppo dei fatti poi rimarcato puntualmente nell’esame sostenuto innanzi al Giudice dell’udienza preliminare nel corso del giudizio abbreviato.
Anche sotto altri aspetti, segnala il ricorrente, la sentenza impugnata ha erroneamente valutato in senso negativo la credibilità di A. : così, ha negato che corrispondesse al vero che il testimone B. aveva detto ai Carabinieri che gli stivali di campagna dell’imputato erano bagnati a causa delle condizioni del terreno, per arrivare a sostenere che A. non era credibile circa gli orari e i suoi spostamenti durante la sera dei fatti e aveva omesso di raccontare di essere andato a cambiarsi e nascondere le armi usate per uccidere S. ; ha collocato l’orario della morte della vittima intorno alle ore 20:40 - 20:45, in spregio alle considerazioni svolte dal medico legale che aveva collocato tale momento alle ore 21:00, con una forbice in eccesso o in difetto di circa 40 minuti.
Per il riscontro di sussistenza dei presupposti della legittima difesa, si era segnalato dall’imputato che egli si era recato in azienda - perché era stato allarmato dallo scampanellio inusuale del bestiame - disarmato, essendo convinto che si trattasse di animali che infastidivano le pecore, e, quindi, contrariamente a quanto ha sostenuto la sentenza impugnata, totalmente inconsapevole del fatto che avrebbe potuto incontrare S. : in tal senso, ribadisce la difesa, sussistendo gli altri presupposti della scriminante, l’imputato aveva ecceduto soltanto nella proporzione della reazione determinata dalla sua condizione patologica e dalla palese provocazione messa in essere dalla vittima.
2.2. Con il secondo motivo, si prospetta, in consecutio, la violazione dell’art. 62 c.p., n. 2, e il corrispondente vizio della motivazione, in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.
Il ricorrente evidenzia che i giudici di appello - negando la sussistenza dei presupposti di tale attenuante per la sproporzione tra i beni giuridici in gioco, ossia la tutela della proprietà privata, da un lato, e il diritto alla vita, dall’altro sono incorsi nel grave errore di confondere l’incontro casuale di S. in una via del paese con la situazione verificatasi in concreto, ossia il rinvenimento da parte dell’imputato di quest’ultimo in atteggiamento furtivo all’interno della propria azienda: l’articolazione dei fatti desumibile dalla sentenza è apparsa impostare l’accaduto in modo tale da far sembrare che A. non avesse fatto altro che attendere S. per l’intera giornata al fine di vendicarsi dei torti subiti, mentre nella realtà l’imputato, impegnato fino a poco prima a lavorare altrove, le) aveva incontrato quella sera in modo del tutto casuale, senza poter ricorrere alla forza pubblica, siccome egli aveva colto la presenza di S. solo quando questi gli era arrivato vicino e gli aveva precluso ogni possibilità alternativa allo scontro; in tale situazione, anche la reiterazione dei colpi e la diversità degli oggetti usati non avevano costituito elementi tali da escludere l’attenuante in esame.
D’altro canto, aggiunge la difesa, i rapporti fra i due contendenti erano da tempo pessimi e improntati a reciproca disistima e anche questo fattore avrebbe dovuto essere considerato per valutare l’esplosione di rabbia di cui era stato preda A. quando aveva avuto la riprova che a perpetrare i furti nella propria azienda fosse proprio S. ; da tale situazione era derivato lo stato d’ira, anche sotto la forma della provocazione per accumulo, sicché del tutto disconnessa dal contesto processuale viene ritenuta la considerazione svolta dai giudici di appello che hanno inquadrato la condotta dell’imputato come una sorta di agguato posto in essere nei confronti di S. , limitandosi a descrivere il fatto nei dettagli, ma omettendo di far emergere la provocazione determinata dal contegno della vittima a monte del reato poi consumatosi.
3. Con memoria successiva, la difesa di A. ha svolto motivi aggiunti segnalando che, il 28 marzo 2019, è stata approvata la legge modificativa degli artt. 52 e 55 c.p.: e, di conseguenza, propone l’applicazione della nuova disciplina al caso di specie, dato che la stessa inquadra perfettamente l’episodio di cui era stato protagonista l’imputato, il quale aveva rinvenuto la vittima nottetempo all’interno della propria azienda in atteggiamento inequivocabilmente diretto alla sottrazione del proprio bestiame, con la conseguenza che per tale ragione si era avuto lo scontro fra A. e S. , nel quale quest’ultimo aveva avuto la peggio.
Secondo la normativa modificata, fa notare il ricorrente, con particolare riferimento all’art. 52 c.p., lett. c), agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o altri mezzi di coazione fisica da parte di una o più persone: e tale situazione di fatto non era stata esclusa dalle sentenze di merito essendo pacifica la condizione in cui l’evento si era verificato, ossia all’interno dell’azienda dell’imputato in ora notturna, con la presenza in essa di una persona che poteva agire in quel luogo solo per perpetrare un furto; in tal senso, si aggiunge, soccorre anche la modifica dell’art. 55 c.p., non potendo escludersi che A. avesse agito in grave stato di turbamento determinato dai pregressi rapporti con la vittima e dall’ultima condotta provocatoria, data la sua particolare condizione psico-fisica.
4. Il Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, per essere i motivi posti a suo sostegno infondati nel loro complesso, non avendo gli stessi offerto argomenti idonei a disarticolare la congrua motivazione della sentenza impugnata in punto di esclusione dell’eccesso colposo di legittima difesa e di diniego della circostanza attenuante della provocazione, essendo determinante l’atteggiamento violento in senso vendicativo dell’imputato, senza che la nuova normativa, modificativa degli artt. 52 e 55 c.p., peraltro non ancora in vigore, abbia mutato i presupposti giuridici inerenti alla legittima difesa, non ricorrenti nel caso in esame.
Considerato in diritto
1. La Corte ritiene l’impugnazione non fondata e, come tale, da rigettarsi.
2. Il primo punto che forma oggetto del thema devoluto dal ricorrente attiene alla causa di giustificazione della legittima difesa, con particolare riferimento alla variante dell’eccesso colposo.
2.1. Le osservazioni svolte dalla sentenza impugnata formano, però, una motivazione adeguata e logicamente coerente nel senso dell’insussistenza delle condizioni legittimanti il riconoscimento dell’eccesso colposo di legittima difesa.
Alla prospettazione difensiva dell’evenienza dell’eccesso colposo di legittima difesa, per essersi mosso l’imputato con lo specifico intento di difendere i suoi beni e la sua proprietà dai furti eventualmente messi in essere dalla vittima, il primo giudice aveva obiettato che erano carenti i presupposti della scriminante, in quanto gli elementi di prova accertati e valutati - in particolare, l’esame autoptico della salma, l’ispezione personale dell’imputato e gli accertamenti tecnici del R.I.S. - avevano dimostrato che la morte di S. era stata conseguenza di una condotta reattiva da parte di A. che aveva determinato il superamento sicuro, cosciente e volontario dei limiti imposti da una - peraltro soltanto eventuale - necessità di difesa, avendo avuto A. la possibilità di evitare lo scontro con la persona offesa, eppure avendo scelto di scontrarsi con S. e di porre in essere la consapevole condotta finalizzata al suo omicidio.
Pertanto, dovendo escludersi le condizioni per ritenere sussistente la legittima difesa, nemmeno l’eccesso colposo poteva considerarsi acclarato, in quanto la sua configurabilità concreta avrebbe richiesto pur sempre la sussistenza dei presupposti dell’esimente con il superamento dei limiti immanenti alla stessa.
Alla critica sollevata dalla difesa avverso la corrispondente statuizione i giudici di appello hanno opposto argomenti consonanti con quelli esposti dal primo giudice, osservando che dalle stesse dichiarazioni dell’imputato esaminate in modo critico per la variazione del loro contenuto a seconda delle varie sedi in cui egli le aveva rese - era emerso che A. , dopo aver avvistato S. nella sua azienda, gli si era avvicinato, gli aveva preso il bastone e aveva iniziato a picchiarlo, tanto che non aveva poi ricordato nemmeno il numero di colpi inferti, e, poi, al di fuori di ogni controllo, lo aveva reiteratamente colpito pur dopo che l’antagonista era finito in terra, inerme.
Di conseguenza - è stato il corollario tratto dai giudici di merito - il fatto che l’imputato avesse sorpreso l’acerrimo nemico S. nel suo terreno non toglieva che egli, a fronte di un pericolo indeterminato per i suoi beni e di un pericolo futuro e meramente eventuale per la sua incolumità personale, aveva preferito farsi giustizia da sé con le modalità più violente, secondo le sue possibilità, aggredendo fino a uccidere un individuo indifeso, dopo averlo sfidato avanzando verso di lui, colpendolo con lanci di pietre, picchiandolo immediatamente con bastoni, calci e sassi, nonché, dopo averlo atterrato, colpendolo ulteriormente con efferata violenza fino a fratturargli anche le mani e gli arti inferiori.
In definitiva, secondo la Corte territoriale, l’imputato aveva agito - non nella convinzione, sia pure erronea, di doversi difendere dall’altrui aggressione, bensì - per ledere l’antagonista senza limiti, mosso da grave risentimento e da pulsione ritorsiva nei riguardi di S. , dovuti sia a pendenze economiche legate a fatti pregressi, sia alle condotte furtive patite da ignoti, sia per le implicazioni relative a questioni per terreni posseduti in comune in un recente passato, sentimenti che avevano indotto A. a compiere contro quello che la stessa difesa aveva definito il "nemico giurato di una vita" la grave azione aggressiva e di pura vendetta alla prima favorevole occasione insorta.
In questa ricostruzione, la Corte di assise di appello ha anche escluso la concreta possibilità di annettere rilievo causale alcuno al disturbo narcisistico della personalità dedotto dalla difesa, sulla scorta di osservazioni contenute nella relazione di consulenza di parte, non essendo risultato dimostrato il disturbo psichico in questione, nè a fortiori essendo stato provato il nesso eziologico fra il dedotto disturbo e l’azione dolosa finalizzata all’uccisione dei S. .
L’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della legittima difesa, anche per gli effetti inerenti al corrispondente eccesso colposo, è stata peraltro ritenuta dalla Corte di merito sottolineando pure la sproporzione evidente tra l’eventuale offesa, costituita dall’ingresso nel terreno altrui al dedotto scopo furtivo, e la reazione messa in essere, consistita nel violento e brutale pestaggio a mano armata, in una situazione agevolmente fronteggiabile in modo diverso, sia con la semplice richiesta di intervento delle forze dell’ordine, sia con la desistenza, lasciando il luogo e chiamando rinforzi per bloccare S. , ritenuto abigeatario sorpreso in loco.
2.2. I giudici di merito hanno, dunque, fatto specifico riferimento a prove reputate in modo argomentato univocamente confermative della volontà aggressiva, e non difensiva, che ha mosso l’azione dell’imputato nel provocare e portare a termine lo scontro con S. , scontro subito tramutatosi in aggressione unilaterale, reiterata, indiscriminatamente violenta e, conclusivamente, letifera.
La motivazione resa dalla Corte di assise di appello sull’insussistenza della legittima difesa e anche del corrispondente eccesso colposo, si rivela congrua, logica e coerente, dal momento che la precisa ricostruzione della dinamica dell’evento omicidiario ha fatto emergere l’ineludibile configurazione del fatto come diretta conseguenza della condotta indiscriminatamente aggressiva perpetrata da A. e determinata da dolo d’impeto, rispetto a cui la presenza di S. nel fondo altrui risulta corrispondentemente degradata a occasione dell’aggressione stessa.
Risulta sostanzialmente svincolata dall’analisi e dalla valutazione del fatto compiute dai giudici di appello la prospettazione del ricorrente di avere risposto in modo necessitato, sia pure eccedendo nella proporzione, all’altrui offesa, egli stesso ammettendo che solo in principio il bastone era stato nelle mani di S. , avendoglielo l’imputato tolto e con quello, ma non soltanto con quello, bensì anche con gli altri corpi contundenti sopra indicati, avendo colpito l’antagonista senza sosta, anche dopo averlo atterrato, inerme, fino a determinarne la morte.
Del pari, sfornito di riscontro adeguato è stato correttamente ritenuto lo stato patologico psichiatrico dedotto, avendo i giudici di appello sottolineato l’assenza di alcuna concreta prova in merito e l’incongruenza delle conclusioni prospettate dal consulente tecnico di parte, partito dalla considerazione che da un trentennio era S. ad avere svolto il ruolo di persecutore narcisistico nei confronti di A. , mentre da nessuna connotazione relativa al profilo psicologico dell’imputato è risultato un disturbo della personalità idoneo a incidere sulla capacità di intendere e di volere.
Questo profilo è stato trattato in consonanza con l’indirizzo di legittimità (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317; Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339) secondo cui, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità (che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali) possono rientrare nel concetto di infermità, purché però essi siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale, con la conseguenza che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità.
Nel resto, posti i punti fermi sopra indicati, le censure mosse alla decisione dal ricorrente sulla scorta di una propria valutazione dei dati di fatto si dedicano alla prospettazione (così, in ordine alla fissazione dell’ora dell’omicidio e alla valutazione della deposizione del teste B. ) di una diversa interpretazione del risultato probatorio che sollecita una ricostruzione della dinamica dei fatti diversa da quella affermata, in modo congruo e logicamente coerente, dai giudici di merito: prospettazione inammissibile in questa sede.
Assodato quanto precede, deve ritenersi che le critiche mosse dal ricorrente alla conclusione negativa espressa dalla Corte territoriale sul punto non abbiano colto nel segno, essendo principio consolidato - e da ribadire senza dubbio quello secondo cui non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui (Sez. 1, n. 56330 del 13/09/2017, La Gioiosa, Rv. 272036; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256016; Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012, dep. 2013, Spano, Rv. 254697).
Oltre a tale, già dirimente, argomento, i giudici di merito hanno congruamente aggiunto la considerazione che nel caso in esame è emersa anche l’assenza del requisito della proporzione, essendo stato leso il bene fondamentale della vita di S. , non commensurabile con il bene della proprietà di A. , violata dall’ingresso in essa da parte del confinante S. , e, almeno nell’idea fattasi dall’imputato, dall’intenzione di S. di compiere abigeato in danno del proprietario.
Anche su questo punto è da ribadire che, nelle ipotesi di ordine generale, il requisito della proporzione tra offesa e difesa viene meno quando emerga il conflitto fra beni eterogenei e la consistenza dell’interesse leso (la vita della persona) sia molto più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (l’integrità della proprietà del fondo e dell’allevamento o anche la mera integrità fisica: Sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv. 245884), e il danno inflitto con l’azione difensiva, vale a dire la morte del ritenuto offensore, abbia un’intensità e un’incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato.
2.3. Nè potrebbe soccorrere la presunzione di proporzionalità stabilita dalla L. n. 59 del 2006 che ha modificato l’art. 52 c.p., come modificato dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, con l’introduzione del secondo e del comma 3: essa, invero, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio dell’aggressore, ossia l’effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza, ma ha lasciato assolutamente ferma la necessità del concorso dei presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità (sul tema v. Sez. 1, n. 50909 del 07/10/2014, Thekna, Rv. 261491; Sez. 1, n. 23221 del 27/05/2010, Grande, Rv. 247571), mentre poi la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza e anzi sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri (Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, Grimoli, Rv. 236502).
Nel caso di specie, è già dirimente la congrua e persuasiva analisi della Corte territoriale nella parte in cui ha condotto in modo netto all’esclusione dell’evenienza del presupposto dell’inevitabilità, nei sensi chiariti.
2.4. Nemmeno può condurre a diversa conclusione il disposto della norma in parola, come ulteriormente modificato dalla L. 28 aprile 2019, n. 36, art. 1, con particolare riferimento, oltre all’inserzione dell’avverbio "sempre" nel tessuto del comma 2, all’aggiunta del comma 4 all’art. 52, in forza del quale, nei casi di cui al secondo e al comma 3, agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.
Si premette che la legge ora citata, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 3 maggio 2019, è entrata in vigore il 18 maggio 2019, ossia in data successiva alla deliberazione della presente decisione.
Tuttavia, le modificazioni dalla medesima apportate - nella parte in cui hanno ampliato l’area della causa di giustificazione della legittima difesa, restringendo quella della fattispecie incriminatrice a cui la stessa in concreto si contrappone sono da ritenersi applicabili, ai fini penali, in favore dell’imputato dopo la sua pubblicazione.
Pur non discutendosi il chiaro disposto dell’art. 73 Cost. e dell’art. 10 preleggi, si è rilevato che la funzione di garanzia per i consociati, che è perseguita dalla previsione del suddetto termine volto a permettere la conoscenza della nuova norma, non comporta anche il perdurante dovere del giudice di applicare una disposizione penale ormai abrogata per effetto di una successiva norma già valida (così, in tema di abolitio criminis, Sez. 1, n. 53602 del 18/05/2017, Carè, Rv. 271639, la quale ha pertanto escluso che, in tale snodo, il giudice abbia solo l’alternativa di rinviare la decisione o di ignorare la norma abrogatrice, infliggendo una condanna che si palesa già inevitabilmente illegale).
La tesi posta a base di questo assunto non potrebbe non valere anche in ipotesi dell’introduzione di una nuova causa di giustificazione o di ampliamento della sfera scriminante della causa di giustificazione, in ragione dell’applicazione anche alla causa di giustificazione del disposto di cui all’art. 2 c.p., comma 2, atteso che la relativa disciplina è applicabile - non soltanto nella ipotesi in cui un’intera figura criminosa sia eliminata dal sistema penale, quando si verifichi l’abolitio criminis in senso proprio, ma anche - allorquando la novazione legislativa si realizzi tramite una diversa e più dettagliata descrizione del fatto di reato, ovvero tramite la previsione di una causa che conduce alla non punibilità, cosi da escludere l’applicabilità della norma incriminatrice in talune delle ipotesi che precedentemente rientravano nella fattispecie generale. Pertanto, è corretto concludere che il principio di cui all’art. 2 c.p., comma 2, trova applicazione anche con riguardo alle cause scriminanti, poiché esse incidono direttamente sulla struttura essenziale del reato e sulla sua punibilità, facendone venir meno il disvalore e, quindi, escludendo l’illiceità penale della condotta (Sez. 6, n. 38356 del 12/06/2014, Traviglia, Rv. 260282).
Tuttavia, anche a voler considerare la legittima difesa, come articolata all’esito dell’indicata innovazione normativa, essa appare tale da non consentire in alcun modo la sussunzione della fattispecie concreta di cui è stato autore A. nel novero di quelle scriminate dall’art. 52 c.p. e, per traslazione, di quelle per le quali possa configurarsi l’eccesso colposo di cui all’art. 55 c.p..
L’incensurabile ricostruzione del fatto perpetrato dall’imputato come aggressione violenta e senza limiti, attuata a scopo ritorsivo, che si è connotata per la sua fase più cruenta, quando la vittima era inerme, a terra, priva di ogni capacità di difendersi e, meno che mai, di reagire, impedisce di ritenere la descritta condotta come messa in essere per legittima difesa, nessuna intrusione con violenza o con la minaccia nel senso previsto dalla nuova disposizione potendo porsi quale antecedente causale specifico con la descritta azione ritorsiva e gratuitamente violenta.
2.5. Occorre poi osservare che i giudici di appello hanno affrontato anche il punto dell’eccesso colposo della legittima difesa di cui all’art. 55 c.p., negandone l’evenienza e giustificando questo approdo con la volontaria e deliberata intenzione di A. di affrontare l’antagonista dirigendosi verso di lui e poi perpetrando la condotta omicidiaria accertata.
La critica mossa dal ricorrente non fornisce, come si è visto, profili di censura idonei a destrutturare la ricostruzione della dinamica del fatto e la valutazione conseguente operate dalla Corte territoriale.
Preso atto dell’inidoneità della censura a confutare la - esaustiva e coerente - analisi argomentativa svolta dai giudici di merito sull’inapplicabilità nel caso concreto dell’art. 55 c.p., va riaffermato il principio secondo cui l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, con precipuo riguardo al bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo: esso, infatti, si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo ed, in relazione ad esso, dell’adeguatezza dei mezzi usati.
È rilevante, dunque, ribadire, in via generale, che non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti (v. Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256017; Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898).
Nè le novità pure introdotte in punto di eccesso colposo dalla L. n. 36 del 2019, art. 2 potrebbero influire sulla conclusione raggiunta, dal momento che l’accertamento del fatto esaurientemente compiuto dai giudici di appello non autorizza in alcun modo a ritenere che l’imputato abbia agito in condizioni di minorata difesa (in relazione al richiamato disposto di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5) oppure si sia trovato in uno stato di grave turbamento, in derivazione causale con una situazione di pericolo in atto, situazione per nulla asseverata dal motivato approdo a cui sono arrivati i giudici dei gradi di merito.
Il primo motivo deve essere, pertanto, disatteso.
3. Trascorrendo all’esame del secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, essa è stata esclusa dai giudici distrettuali, siccome è stata ritenuta configurata da una mera ipotesi di ricostruzione fattuale prospettata nell’appello, ma non fondata sulle circostanze emerse dalle evidenze medico-legali e dalle stesse dichiarazioni rese dall’imputato.
3.1. Si è, in particolare, sottolineato come il fatto che si fossero verificati precedenti furti non ascritti ad alcuno e il fatto che nell’occasione del (omissis) S. fosse stato sorpreso in quel luogo in prospettato atteggiamento furtivo, peraltro a due passi dal luogo in cui anch’egli dimorava, non potessero - pur combinati fra loro nella psiche dell’agente - integrare in alcun modo le caratteristiche legittimanti lo stato d’ira.
Come si è visto, l’azione è stata considerata avere natura ritorsiva, essendosi concretata come manifestazione di mera vendetta e puro risentimento nei confronti dell’aggredito: l’occasione di aver rinvenuto il suo nemico di sempre sul suo fondo non aveva consigliato all’imputato di chiamare le forze dell’ordine per far rilevare il fatto, ma aveva costituito lo spunto affinché egli con una condotta manifestamente sproporzionata lo aggredisse in modo mortale.
La Corte di assise di appello ha offerto una motivazione che, enucleando con chiarezza l’assenza di una qualsivoglia plausibile proporzionalità fra dedotta azione e reazione, conferma la ricostruzione del fatto individuante la genesi dell’aggressione nell’occasione colta da A. per farla finita con l’avversario, e non con l’affioramento nella sua psiche di uno stato d’ira per averlo visto nel fondo, peraltro, senza alcun corpo del reato con sé.
3.2. La doglianza svolta da A. non è, quindi, idonea a confutare la giustificazione offerta dai giudici di appello che - assodata la sproporzione incommensurabile fra la situazione di antigiuridicità ascrivibile, per quanto ascrivibile, a S. e la condotta pervicacemente violenta messa in essere dall’imputato - hanno segnalato che la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, non va riconosciuta ogni qualvolta lo sbilanciamento tra il prospettato fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente marcato da escludere la logica e giuridica configurabilità dello stato d’ira.
In tal senso la Corte territoriale ha applicato rettamente il principio di diritto, che merita di essere riaffermato, secondo cui la circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, n. 604 del 14/11/2013, dep. 2014, D’Ambrogi, Rv. 258678).
Al riguardo, si sottolinea in modo specifico che, fra gli elementi costitutivi della circostanza attenuante della provocazione, rileva - oltre allo stato d’ira, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui, e che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale - anche l’evenienza del rapporto di causalità psicologica, e non di mera occasionalità, tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse: rapporto che però in tanto sussiste in quanto sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, M. C., Rv. 271799; Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454).
I giudici di merito nel caso scrutinato, nell’alveo giuridico così definito, hanno stabilito con argomentazioni congrue e coerenti che, per come ha innescato e realizzato la sua condotta violenta, l’imputato ha colto la mera occasione della presenza indebita di S. nel suo terreno per reagire nel modo descritto, senza alcuna adeguatezza fra quanto commesso da S. , o anche soggettivamente ascrittogli in quel momento, e la distruttiva reazione messa in essere da A. .
La doglianza non può, quindi, ritenersi in alcun modo fondata.
4. In conclusione, l’impugnazione deve essere rigettata.
Tale esito determina, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.