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Difensore di ufficio fannullone può essere sostituito (Cass. 3444/18)

24 gennaio 2018, Cassazione penale

È legittima la sostituzione del difensore d'ufficio, a condizione che il designato non abbia svolto alcuna incombenza difensiva e non si sia attivato in favore del proprio assistito, non operando, in tal caso, il principio dell'immutabilità della difesa sino all'eventuale dispensa dall'incarico o nomina fiduciaria.

E' valida la notificazione dell'estratto contumaciale della sentenza effettuata al condannato latitante presso il difensore d'ufficio che aveva assunto la difesa nel procedimento, sebbene in precedenza fosse intervenuta la designazione di altro difensore d'ufficio - implicitamente revocato per effetto della nomina del secondo - che non aveva svolto alcuna attività durante il periodo di formale titolarità dell'incarico.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

 (data ud. 21/11/2017) 24/01/2018, n. 3444

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico - Presidente -

Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -

Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -

Dott. BINENTI Roberto - rel. Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.A. nato il (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 05/04/2017 del TRIBUNALE di PADOVA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO BINENTI;

lette le conclusioni del PG, nella persona del Sostituto Procuratore Generale PAOLO CANEVELLI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Padova, per quanto qui rileva, rigettava l'istanza nell'interesse di B.A. tendente ad ottenere l'inefficacia del titolo esecutivo costituito dalla sentenza di condanna emessa dal medesimo Tribunale il 16 novembre 2012, divenuta irrevocabile poichè non impugnata nei termini; dichiarava altresì inammissibile l'istanza contestualmente avanzata di restituzione nel termine per appellare la predetta sentenza.

2. Soffermandosi sulle ragioni del rigetto della richiesta ex  art. 670 cod. proc. pen., il Tribunale rilevava che rituale era stata la notifica presso il difensore della sentenza di condanna in ragione del decreto di latitanza del B., emesso il 20 maggio 2010 dopo le informazioni acquisite in data 10 maggio 2010 che avevano consentito di accertare che il predetto si era allontanato dall'Italia già il 25 marzo 2010. Nè vi era nel prosieguo l'onere di procedere a nuove ricerche. Il B. si era volontariamente posto nelle condizioni di irreperibilità avendo contezza, stante le pregresse attività di indagini, che un provvedimento di applicazione di misura cautelare personale poteva essere emesso nei suoi confronti. La notifica dell'estratto contumaciale era stata correttamente effettuata presso il difensore di ufficio che aveva assunto la difesa nel procedimento, posto che altro difensore, precedentemente nominato di ufficio ed implicitamente revocato con la nuova designazione, non aveva svolto alcuna attività difensiva nell'arco di appena due mesi in cui soltanto formalmente si era esteso il suo incarico. Le iniziali indagini che avevano dato luogo ad informazione di garanzia, perquisizione, sequestro e prelievo volontario di campione salivare per estrazione di DNA nei confronti del B. e all'esecuzione di misura cautelare nei riguardi di un coindagato per lo stesso fatto, avevano consentito al medesimo B. di acquisire tutte le informazioni richieste dal "giusto processo" prima di allontanarsi volontariamente dall'Italia, sottraendosi all'esecuzione della misura. 

L'inammissibilità della richiesta ex  art. 175 cod. proc. pen., veniva ritenuta dal Tribunale osservando che essa era stata presentata solo il 9 marzo 2017 e dunque ben oltre il termine di giorni trenta previsto dall'art. 175
 c.p.p., comma 2 bis. Termine che doveva farsi decorrere dalla effettiva conoscenza del provvedimento da parte del B. avutasi almeno dal 4 novembre 2016, quando lo stesso, a seguito di esecuzione di mandato di arresto europeo, aveva fatto ingresso in Italia venendo ristretto presso la Casa di reclusione di Sanremo. 

3. Propone ricorso per cassazione il B. tramite il difensore.

3.1. Con un primo motivo, denunziando violazione dell' art. 111
Cost., art. 6 CEDU e artt. 175 , 295  e 296 cod. proc. pen., nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, rileva che il decreto di latitanza era stato irritualmente emesso sulla base della sola notizia che circa due mesi prima il B. si era imbarcato su un volo aereo che lo aveva condotto fuori dall'Italia. Ciò era comunque avvenuto non già per una volontaria scelta, trattandosi di straniero in condizioni di clandestinità già raggiunto da provvedimento di espulsione e condannato per l'inottemperanza allo stesso. Non si era pertanto inteso sfuggire all'esecuzione del provvedimento cautelare emesso nel procedimento per il reato di violenza sessuale, tanto è vero che dagli atti di indagine indicati dal Tribunale erano trascorsi ben venti giorni. Le ricerche cui aveva fatto seguito il decreto di latitanza erano insufficienti, poichè, limitandosi il relativo verbale a dare atto della mera notizia dell'allontanamento dall'Italia con volo aereo circa due mesi prima, non risultava essersi accertato se nel frattempo il B. fosse rientrato nello Stato clandestinamente, posto peraltro che neppure erano state rappresentate ricerche svolte presso l'abitazione della madre ove il predetto in precedenza aveva fissato la dimora ed era stato rintracciato. 

2.2. Con un secondo motivo, con riferimento ad erronea applicazione degli artt. 24 e 11 Cost., art. 6 CEDU, artt. 165 , 97 e 106 cod. proc. pen., si censurano le osservazioni svolte dal Tribunale in ordine alla rilevanza della posizione di inerzia del difensore di ufficio inizialmente nominato, non tenendo esse conto del principio della immutabilità e unicità della difesa autorevolmente affermato in giurisprudenza, delle possibili attività di quel difensore non rappresentate dagli atti processuali, della mancanza di conoscenza da parte del B. della nomina di altro difensore diverso da quello indicatogli e presso il cui studio aveva eletto domicilio all'atto dell'informazione di garanzia, della posizione di acquiescenza assunta dal nuovo difensore rispetto a violazioni nel prosieguo del procedimento. 

2.3. Con un terzo motivo, con riferimento alla violazione ed erronea applicazione degli  artt. 24 e 111  Cost., art. 6 CEDU e art. 175  cod. proc. pen., si deduce che il termine di cui all'art. 175  cod. proc. pen., non poteva nella specie garantire i diritti dell'imputato, avuto riguardo ad un processo celebrato in absentia, come riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte EDU, essendo mancate informazioni in merito anche nel corso della procedura estradizionale e ricorrendo altri seri fattori ostativi, fra cui la detenzione del B. in luogo, ove concordare la linea difensiva, lontano da quello di celebrazione del processo. 

3. Con requisitoria depositata il 18 luglio 2017, il Procuratore Generale chiede il rigetto del ricorso illustrando osservazioni sull'infondatezza dei rilievi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto al primo motivo, occorre premettere, in linea con le stesse osservazioni svolte nel ricorso, che l'invalidità del decreto di latitanza può essere fatta valere in sede di incidente di esecuzione proposto ai sensi dell' art. 670 cod. proc. pen., al solo fine di contestare la validità della notifica dell'estratto contumaciale della sentenza e dunque l'avvenuta formazione del titolo esecutivo. 

La questione della validità di detto decreto è stata correttamente esaminata dai giudici di merito, in primo luogo dando conto dei convergenti elementi noti al B. (informazione di garanzia, perquisizione, sequestro, prelievo volontario di campione salivare per estrazione di DNA, esecuzione di misura cautelare nei riguardi del coindagato per il concorso nel grave reato di violenza sessuale) idonei a generare nel predetto almeno la consapevolezza che il provvedimento cautelare restrittivo potesse essere emesso in seguito anche nei suoi confronti.

Diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, il tempo di appena venti giorno decorso fra dette indagini e l'allontanamento dal territorio dello Stato, che consentiva al B. di porsi permanentemente nella condizione di irreperibilità protrattasi fino al suo arresto all'estero diversi anni dopo in esecuzione di mandato di arresto europeo, non si pone in contraddizione con i ragionamenti seguiti dal Tribunale, tanto più che si trattava di meditare non all'istante risolutive decisioni comportanti l'abbandono di consolidate condizioni di vita, le indagini non apparivano foriere di esiti da conseguire nell'immediatezza ed era comunque necessario avere il tempo di individuare i mezzi e la destinazione per l'allontanamento dal territorio dello Stato optando all'uopo per il trasporto aereo.

Il B. era rimasto a lungo esposto in Italia alle conseguenze delle violazioni della disciplina sull'immigrazione senza rendersi tuttavia irreperibile e allontanarsi dallo Stato, mentre solo in quel momento si profilavano più gravi ripercussioni giudiziarie legate al procedimento per il reato di violenza sessuale; sicchè correttamente si è ritenuto che in ragione della possibile esecuzione del provvedimento relativo a tale ultimo procedimento sia intervenuto proprio in quella data l'abbandono del territorio italiano in forza di una risolutiva opzione.

Ad ogni modo, poco sposterebbe il fatto che al momento di tale abbandono si siano al contempo considerate le pendenze per le violazioni della disciplina sull'immigrazione, poichè ciò di per sè non si presta ad escludere la volontaria e consapevole irreperibilità prevedendo la misura per i fatti di violenza sessuale.

Nè l'esaustività delle ricerche che hanno preceduto il decreto di latitanza può essere posta in discussione, come fattosi nel ricorso, per non essersi considerata l'irragionevole ipotesi che il B. dopo essersi allontanato dall'Italia con il mezzo aereo per motivi non associabili ad ordinarie condizioni di vita, sarebbe potuto rientrare di nuovo clandestinamente in Italia solo appena poco tempo dopo, per rendersi rintracciabile proprio ove era stato prima più agevolmente individuato.

Ne discende l'infondatezza delle doglianze che contestano la decisione impugnata laddove questa ha ritenuto la validità del decreto di latitanza quale presupposto della ritualità della notifica dell'estratto contumaciale della sentenza.

3. Parimenti infondato si rivela il secondo motivo.

Si invoca infatti il principio della immutabilità e unicità della difesa anche se assegnata al difensore di ufficio, con la conseguente impossibilità della sua sostituzione in assenza di quelle condizioni che ne consentono la dispensa; ma in tal modo non ci si rapporta con le considerazioni svolte dai giudici di merito che, richiamando in proposito la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 24584 del 28/05/2009, Rv. 243820; Sez. 3, n. 25812 del 07/06/2005, Rv. 23186; Sez. 1, n. 1616 del 02/12/2004, dep. 2005, Rv. 230651), correttamente evidenziano che proprio perchè si tratta dell'assicurazione di effettive garanzie di difesa quanto sopra può valere solamente allorquando l'originario difensore di ufficio si sia attivato nell'effettivo svolgimento dell'incarico che gli è stato demandato.

Alla giusta esclusione di tali condizioni sulla base delle evidenze degli atti è stata opposta l'ipotetica possibilità di relazioni ed iniziative difensive tuttavia non processuali. Ma se esse fossero state davvero intraprese, ci si sarebbe mossi nell'ambito di una reale assunzione dell'incarico difensivo che non avrebbe poi potuto vedere permanente inerte e disinteressato quello stesso difensore, prima e dopo la sostituzione. E si consideri che la nomina del primo difensore è del 4 marzo 2010, appena 20 giorni dopo il B. si allontanava dall'Italia rendendosi così irreperibile fino al suo arresto del 2016, mentre la revoca implicita di quella prima nomina, attraverso la nuova nomina, avveniva già 20 maggio 2010. Sicchè, davvero non si comprende quale garanzie difensive avrebbe potuto assicurare la notifica della decisione tramite il primo difensore piuttosto che il secondo che risulta invece essere in seguito comparso durante il procedimento.

Ogni altra questione interna alle vicende del processo come descritta nel motivo in questione non può rilevare ai fini della regolarità della notifica dell'estratto contumaciale che consente l'esecutiva della pronunzia di condanna.

4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Tramite esso in definitiva si lamenta l'esiguità del tempo concesso per chiedere la restituzione nel termine ai sensi dell' art. 175 c.p.p., comma 2 bis, facendosi a tal riguardo riferimento alla difficoltà nella fattispecie di approntare la difesa a causa del luogo di detenzione del B.. Ma, si tratta soltanto di più laboriose condizioni di incontro che ben potevano essere superate nel non breve periodo di trenta giorni a decorrere dalla incontestata conoscenza della sentenza come verificatasi almeno il 4 novembre 2011, mentre l'istanza è stata proposta solamente il 9 marzo 2017, cioè ben oltre quattro mesi dopo. 

5. Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle ulteriori spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2018