In materia di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, la confisca delle cose che costituiscono il profitto (guadagno) del reato di immediata derivazione causale dal reato presupposto. Di conseguenza, la confisca rimane preclusa quando il reato per cui si procede sia una mera detenzione, a fini di spaccio, e non una vendita di sostanze stupefacenti.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(data ud. 19/04/2022) 24/05/2022, n. 20130
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.C., nato a (OMISSIS);
difeso di fiducia dall'avvocato S;
avverso la sentenza del 26/02/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Dott. PRATOLA Gianluigi, nel senso dell'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la statuizione di condanna di D.C. per la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990, art. 73, con riferimento alla detenzione illecita di marijuana e cocaina (accertata il 24 luglio 2019), escludendo l'ipotesi di "lieve entità" di cui al comma 5 del medesimo articolo.
2. Avverso la prefata sentenza di secondo grado l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore di fiducia, articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att./coord./trans. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo di ricorso, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), d) ed e), (in riferimento agli artt. D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 192 c.p.p.), per aver la Corte territoriale formulato un giudizio di responsabilità "senza che emerga alcun momento di originalità in relazione all'analisi delle argomentazioni sostenute nei motivi di ricorso".
In particolare, la Corte territoriale si sarebbe limitata a argomentare dal dato quanti-qualitativo della cocaina rinvenuta (30 gr. con principio attivo superiore all'80%) e dalla disponibilità di un bilancino che, invece, di per sè considerato, non costituirebbero elemento idone¢ ai fini di un giudizio di responsabilità, peraltro in capo a soggetto tossicodipendente. A fronte di un più cospicuo quantitativo di marijuana rinvenuto nella disponibilità dell'imputato, a detta del ricorrente, "la certa destinazione all'uso personale di parte della cocaina permetterebbe di ritenere che l'ipotizzabile attività di spaccio di tale tipo di sostanza non abbia assunto dimensioni talmente ragguardevoli da impedire la qualificazione della condotta ai sensi del, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma V. 2.2. Con il secondo motivo, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), si deducono contraddittorietà ed illogicità della motivazione in merito alla commisurazione giudiziale della pena che, al ricorrente, "appare ictu oculi sproporzionata,.. in ragione della natura e delle modalità del fatto", con riferimento anche al mancato riconoscimento della sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, in merito al quale la Corte territoriale avrebbe fatto riferimento a mere clausole di stile.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), si deducono "violazione di legge e difetto di motivazione" in relazione alla mancata restituzione del denaro in sequestro.
3. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale presso la Suprema Corte (Gianluigi Pratola), ex D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. art. 23, ha depositato requisitoria scritta, nel senso dell'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il solo terzo motivo di ricorso merita accoglimento, nei termini di seguito specificati.
2. Con il primo motivo di ricorso, al di là della tecnica redazionale utilizzata tanto nella formulazione della rubrica quanto nell'articolazione della censura, si sindaca la sentenza impugnata (in termini di violazione di legge e vizi motivazionali) per l'assenza di valutazioni proprie circa la responsabilità dell'imputato e per la mancata sussunzione della fattispecie concreta nell'ipotesi di "lieve entità", a causa dell'annessa valutazione globale del fatto e della destinazione di parte della cocaina all'uso personale, trattandosi di soggetto tossicodipendente.
2.1. Il motivo in esame è infondato.
2.2. Al riguardo deve ribadirsi che, in riferimento alle condizioni per l'applicabilità dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 5, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa); potendo comunque ritenersi non configurata l'ipotesi in esame quando anche uno solo di detti elementi porti ad escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (ex plurimis: Sez. 4, n. 15490 del 22/03/2022, Gonzales, in motivazione; Sez. 4, n. 17674 del 09/04/2019, Abazi, non massimata; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Riccio, Rv. 278615-01; Sez. 6, n. 3616 del 15/11/2018, dep. 2019, Capurso, Rv. 275044-01; Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, Porcheddu, Rv. 246649-01).
La Corte regolatrice ha in particolare considerato che il riconoscimento del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, richiede un'adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell'azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all'affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena. La configurabilità dell'ipotesi lieve non può essere esclusa sulla base di singoli parametri, quali la diversa tipologia delle sostanze cedute o lo svolgimento non occasionale dell'attività di spaccio, astraendo tali elementi dalla ricostruzione fattuale nella sua interezza, fondata su una razionale analisi riguardante la combinazione di tutte le specifiche circostanze (Sez. 4, n. 15490 del 22/03/2022, Gonzales, in motivazione; Sez. 4, n. 17674 del 09/04/2019, Abazi, non massimata; Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01).
In argomento si registra altresì l'intervento delle Sezioni Unite per le quali la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sè ostativa alla configurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, proprio in quanto l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-01).
La Corte costituzionale, peraltro, con la sentenza n. 40 del 2019, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevede la pena minima edittale nella misura di otto anni di reclusione anzichè di anni sei, si è soffermata sulla fattispecie di cui al comma 5 del citato art. 73, sviluppando considerazioni di certa conducenza ai fini di interesse e sulla base del diritto vivente in materia. Nell'evidenziare la divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto dal comma 1 dell'art. 73 cit. il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo, il Giudice delle leggi ha rilevato che "il costante orientamento della Corte di cassazione è nel senso che la fattispecie di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, può essere riconosciul:a solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione".
Le considerazioni che precedono inducono conclusivamente a confermare che, secondo diritto vivente, l'ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, risulta qualificata dalla minima offensività penale della condotta e che, al riguardo, il giudice di merito deve procedere ad una valutazione complessiva dei parametri indicati dalla citata norma incriminatrice pur potendo, all'esito, uno solo di essi essere ritenuto tale da escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (Sez. 4, n. 15490 del 22/03/2022, Gonzales, in motivazione).
2.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha dato corso ad una complessiva valutazione dei termini di fatto della vicenda in esame, in conformità all'indirizzo ora richiamato, giungendo ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di "lieve entità".
Il giudice di secondo grado, all'esito di valutazioni di merito non sindacabili in questa sede in quanto congruamente, coerentemente e logicamente motivate, ha in particolare escluso la minima offensività penale della condotta dell'imputato collocandola in una "valutazione globale del fatto" tale da considerare mezzi, modalità e circostanze dell'azione nonchè quantità e qualità della sostanza stupefacente e, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, anche le deduzioni difensive circa il paventato uso personale.
E' stato difatti argomentato dall'apprezzabile entità del dato ponderale della sostanza sequestrata, 30 gr di cocaina, con un principio attivo pari all'80%, oltre che dal rinvenimento di sette piante di marijuana, di 8,874 kg di marijuana (ed altri 10,6 gr della detta ultima sostanza presso l'officina nella disponibilità dell'imputato). Gli elementi di cui innanzi sono stati poi letti alla luce anche del confezionamento della marijuana in più involucri di "cellophan" sottovuoto e dei 30 gr di cocaina in due involucri di "cellophan", nonchè della disponibilità di "sostanza da taglio" e di strumenti tanto per il confezionamento delle dosi quanto per la pesatura.
Le valutazioni espresse dalla Corte d'appello, nell'apprezzare la non sussumibilità del fatto nell'ambito applicativo dell'ipotesti di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, oltre ad ancorarsi all'osservanza ed alla corretta applicazione della fattispecie penale, nei termini innanzi evidenziati, non presentano quindi le dedotte aporie di ordine logico, così soddisfacendo l'obbligo motivazionale afferente alla qualificazione giuridica del fatto ed al mancato riconoscimento dell'autonoma fattispecie di lieve entità, sviluppando un percorso argomentativo ancorato agli elementi probatori acquisiti.
3. L'iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale nell'escludere l'ipotesi di "lieve entità", innanzi analizzato, dà altresì piena contezza degli elementi fondanti la commisurazione giudiziale della pena, con conseguente rigetto anche del secondo motivo di ricorso (con il quale, invece, si deducono vizi motivazionali).
3.1. Con particolare riferimento al profilo di censura del secondo motivo di ricorso, inerente il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rileva altresì evidenziare che il giudice d'appello non è tenuto a motivare in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all'attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (ex plurimis: Sez. 4, n. 15492 del 22/03/2022, Ferro, in motivazione; Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallone, Rv. 281999-02; Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Nargisio, Rv. 262249-01; Sez. 4, n. 86 del 27/09/1989, dep. 1990, Amarante, Rv. 182959-01).
Sotto tale aspetto, quindi, la censura si mostra inammissibile, per difetto di specificità, laddove, peraltro in ipotesi di c.d. "doppia conforme", neanche prospetta che i motivi d'appello non abbiano riproposto, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli stessi elementi già sottoposti all'attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi, mostrando così di aver insistito per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione.
4. Con il terzo motivo si deducono "violazione di legge e difetto di motivazione" in relazione alla mancata restituzione del denaro in sequestro.
4.1. Il motivo è fondato, non avendo la Corte d'appello motivato in merito al capo della sentenza di primo grado relativo alla confisca del denaro in sequestro.
Il vizio motivazionale rileva maggiormente in considerazione della circostanza per la quale nella specie, trattandosi di condanna per detenzione illecita di stupefacente, pur non trattandosi di ipotesi di "lieve entità" di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 5, è applicabile solo l'ipotesi particolare di confisca di cui all'art. 240-bis c.p., in forza del rinvio ad esso operato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 85-bis, inserito dal del D.Lgs. n.21 del 1 marzo 2018, art. 6, comma 5, (decreto che ha abrogato la disposizione in materia di ipotesi particolari di confisca di cui al D.L. n. 306 del 8 giugno 1992, art. 12-sexies, conv., con nnodif., dalla L. n. 356 del 7 agosto 1992).
Trattandosi, g fattispecie per la quale è intervenuta condanna, di possesso illecito di stupefacente, non sono difatti applicabili nè l'art. 240 c.p. nè, per medesimezza di ratio, la disposizione specifica in materia di stupefacenti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7-bis (introdotto dal del D.Lgs. n.202 del 29 ottobre 2016, art. 4, comma 1, lett. a).
L'art. 240 c.p., in particolare e per quanto rileva nella fattispecie, prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato che è costituito dal lucro, cioè dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto (ex plurimis: Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436-01; Sez. 2, n. 53650 del 06/10/2016, Maiorno, Rv. 268854-01Sez. 6, n. 33226 del 14/07/2015, Azienda Agraria Greenfarm, Rv. 264941-01). E' pertanto certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca provento (cioè profitto) del reato di vendita di sostanze stupefacenti quando tale sia il reato per cui si procede. Tuttavia, nel caso che ci occupa, è contestata una mera detenzione, a fini di spaccio, e non una vendita di sostanze stupefacenti. L'imputazione di vendita di sostanza stupefacente, cui sarebbe correlabile il possesso della somma sequestrata all'imputato, è dunque del tutto estranea alla regiudicanda. Ne deriva che la somma rinvenuta nella disponibilità dell'imputato, anche ad ammettere che sia provento di spaccio di sostanze stupefacenti non costituirebbe il profitto del reato in contestazione ma di altre, pregresse, condotte illecite di cessione di droga, con l'introito del relativo corrispettivo. Viene quindi a mancare il nesso tra il reato ascritto all'imputato e la somma di danaro rinvenuta nella sua disponibilità, che non può pertanto essere confiscata, ex art. 240 c.p., potendo costituire oggetto della statuizione ablatoria esclusivamente il provento del reato per il quale l'imputato è stato condannato e non di altre condotte illecite, estranee alla declaratoria di responsabilità (circa la necessità del detto nesso tra possesso di stupefacente e reato sequestrato, si vedano Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 26790001, in motivazione; Sez. 2, n. 41778 del 30/09/2015, Scivoli Di Domanico, Rv. 265247-01, in motivazione).
Mutatis mutandis, per medesimezza di ratio, deve argomentarsi nei medesimi termini, circa la fattispecie di possesso illecito di stupefacenti, con riferimento all'ipotesi di confisca di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 7 bis, anch'essa facente riferimento al profitto o al prodotto ovvero, salva l'ipotesi di cui al comma 5 del medesimo articolo, alla confisca di beni dei quali il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente (al profitto o al prodotto).
4.2. Ne consegue che, in relazione al reato di (sola) detenzione di sostanza stupefacente, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 può procedersi alla confisca del danaro, trovato in possesso dell'imputato, solo quando non si tratti di ipotesi di "lieve entità", di cui al comma 5 del citato articolo, e ricorrano le condizioni per la confisca in casi particolari, prevista dall'art. 240-bis c.p. (applicabile in forza del rinvio ad esso operato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 85-bis), non essendo ipotizzabile una confisca ex art. 240 c.p. ovvero ai sensi del comma 7-bis del citato art. 73 per la mancanza del necessario nesso tra il denaro oggetto della statuizione ablatoria e il reato per cui interviene declaratoria di responsabilità.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla confisca della somma di denaro in sequestro, con rinvio, per nuovo giudizio sul puto, ad altra sezione della Corte d'appello di Messina che farà applicazione del principio di cui al precedente paragrafo 4.2, con rigetto nel resto del ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca della somma di denaro in sequestro e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Rigetta nel resto il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2022