Abusi fisici e verbali, accompagnati dalla privazione del cibo, dell’acqua, del sonno e del vestiario, reclusione in celle prive di adeguato accesso a servizi igienici, riscaldamento, e biancheria da letto: è tortura.
per determinare se una data forma di maltrattamento debba essere qualificata tortura si deve tener conto della distinzione, contenuta nell’articolo 3, tra tale nozione e quella di trattamento inumano e degradante. Nella tortura , oltre alla severità del trattamento, vi è l’elemento intenzionale di torturare, come riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura il cui articolo 1 definisce tortura qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolori o sofferenze acute, al fine, inter alia, di ottenere informazioni, punirla o intimidirla.
Se una persona afferma in modo credibile di essere stata maltrattata dalle autorità statali, in violazione dell'articolo 3, tale disposizione, congiuntamente all’obbligo generale dello Stato ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione, impone implicitamente che sia svolta un'efficace indagine ufficiale.
La sola comminazione di sanzioni disciplinari non possa essere considerata una risposta adeguata da parte delle autorità in casi relativi ad atti gravi che violano uno dei diritti fondamentali della Convenzione. A tale riguardo, essa ribadisce che soltanto l’azione penale è in grado di fornire l'effetto preventivo e la forza dissuasiva necessaria per l’osservanza dei requisiti dell'articolo 3: in casi in cui agenti statali sono accusati di reati di maltrattamento, essi dovrebbero essere sospesi dal servizio nelle more delle indagini o del processo.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
CAUSA CIRINO E RENNE c. ITALIA
(Ricorsi nn. 2539/13 e 4705/13)
SENTENZA
STRASBURGO
26 ottobre 2017
La presente sentenza diverrà definitiva alla condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Cirino e Renne c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, Presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Krzysztof Wojtyczek,
Ksenija Turković,
Armen Harutyunyan,
Jovan Ilievski, giudici,
e Abel Campos, cancelliere di Sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 3 ottobre 2017,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. La causa trae origine da due ricorsi (nn. 2539/13 e 4705/13) proposti contro la Repubblica italiana con i quali due cittadini italiani, il Sig. Andrea Cirino (“il primo ricorrente”) e il Sig. Claudio Renne (“il secondo ricorrente”), hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”), rispettivamente in data 14 e 21 dicembre 2012. Il secondo ricorrente è deceduto in data 10 gennaio 2017. Il 13 giugno 2017 la figlia del secondo ricorrente, Sig.ra Gretel Renne, ha espresso il desiderio di proseguire il procedimento dinanzi alla Corte.
2. Il primo ricorrente è stato rappresentato dagli avvocati A. Ginesi e S. Filippi, che esercitano rispettivamente a Torino e a Roma. Il secondo ricorrente è stato rappresentato dagli avvocati M. Caliendo e A. Marchesi, che esercitano rispettivamente ad Asti e a Roma. La figlia del secondo ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato M. Caliendo. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Sig.ra E. Spatafora.
3. Sono pervenute osservazioni scritte congiunte del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito, dell’associazione “Non c’è pace senza giustizia” e dei Radicali italiani (l’ex Partito radicale italiano), autorizzati dal Presidente di Sezione a intervenire nella procedura scritta (a norma dell’articolo 36 § 2 della Convenzione e dell’articolo 44 § 3 del Regolamento della Corte).
4. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti hanno lamentato che nel corso della detenzione erano stati sottoposti a violenze e maltrattamenti, che ritenevano equivalenti alla tortura. Hanno inoltre sostenuto che i responsabili delle condotte contestate non erano stati appropriatamente puniti in quanto nel corso del procedimento penale i reati contestati erano caduti in prescrizione. Hanno aggiunto, in particolare, che non avendo provveduto a qualificare gli atti di tortura come reato e a sanzionare adeguatamente quest’ultimo, lo Stato non aveva adottato le misure necessarie a prevenire e punire la violenza e gli altri tipi di maltrattamenti che essi lamentavano.
5. Il ricorso è stato comunicato al Governo in data 3 settembre 2015.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
6. Il primo ricorrente è nato nel 1978 e vive a Torino. Il secondo ricorrente è nato nel 1975 ed è stato recluso a Torino fino alla data del suo decesso, avvenuto il 10 gennaio 2017.
A. I fatti avvenuti nel dicembre 2004
7. Nel 2004 i ricorrenti erano reclusi nella Casa circondariale di Asti.
8. Il 10 dicembre 2004 il secondo ricorrente intervenne in una lite scoppiata tra il primo ricorrente e un agente di custodia.
9. Le modalità di svolgimento dei fatti contestati, così come esposte dai ricorrenti e secondo quanto emerge dalla deposizione resa dagli stessi nel corso dei procedimenti interni, possono essere sintetizzate come segue.
1. La versione del primo ricorrente
10. Il 10 dicembre 2004, a seguito di un alterco con un agente di custodia, il primo ricorrente fu convocato a un incontro con il comandante di reparto della polizia penitenziaria. Prima che raggiungesse l’ufficio del comandante, fu fermato da un gruppo di agenti di custodia, che lo picchiarono a turno. Successivamente all’incontro, fu spogliato degli indumenti e condotto in una cella della sezione isolamento.
11. L’unico mobile presente nella cella era un letto privo di materasso, biancheria da letto e coperte. Quanto ai servizi igienici, nella cella era presente un gabinetto alla turca privo di acqua corrente e la stessa non era dotata di lavabo. La finestra della cella era priva di vetri e l’unica fonte di riscaldamento era costituita da un piccolo radiatore, che funzionava male e forniva poca protezione dal freddo di dicembre. Per diversi giorni, che non è possibile quantificare con esattezza, fu lasciato nudo.
12. Nel corso della prima settimana di detenzione in regime di isolamento non gli fu fornito vitto e ricevette soltanto un’insufficiente quantità di acqua. Successivamente gli furono date quantità di vitto razionato.
13. Fu picchiato tutti i giorni, diverse volte al giorno. Fu ripetutamente preso a pugni, a calci e fu picchiato al capo da parte di agenti di custodia, che lo aggredirono in gruppi di dimensioni mutevoli.
14. Fu anche sottoposto alla privazione del sonno, in quanto i pestaggi avvenivano spesso di notte e gli agenti di custodia abusavano di lui verbalmente per tenerlo sveglio.
15. Durante la detenzione in regime di isolamento il ricorrente non ricevette visite del suo difensore o della sua famiglia.
2. La versione del secondo ricorrente
16. Il 10 dicembre 2004, successivamente allo stesso alterco con l’agente di custodia, il secondo ricorrente fu spogliato degli indumenti e condotto in una cella della sezione isolamento della Casa circondariale. Il letto presente nella cella era privo di materasso, lenzuola e coperte, e la cella non era dotata di lavabo. Inizialmente le finestre erano prive di vetri, ed esse furono successivamente chiuse con del cellophane dopo un imprecisato numero di giorni. Per diversi giorni, che non è possibile quantificare con esattezza, fu lasciato nudo. Gli fu successivamente fornito del vestiario leggero.
17. Il vitto del ricorrente era razionato, e talvolta gli furono dati soltanto pane e acqua. Per alcuni giorni non ricevette alcun tipo di vitto.
18. Il ricorrente fu picchiato dagli agenti di custodia, spesso più di una volta al giorno. Fu sottoposto a varie forme di violenza fisica, fu preso ripetutamente a pugni, calci e schiaffi, e a un certo punto un agente di custodia gli immobilizzò la testa a terra per mezzo degli stivali. I pestaggi avvenivano sia durante il giorno che di notte. Il ricorrente fu picchiato da quattro o cinque agenti per volta. Un agente di custodia gli strappò parecchi capelli.
19. Il 16 dicembre 2004 fu ricoverato in ospedale.
20. Durante il periodo trascorso in regime di isolamento gli fu permesso di uscire dalla cella soltanto due volte, una volta per farsi una doccia e un’altra per trascorrere del tempo all’aperto.
B. Il procedimento penale a carico degli agenti di custodia
21. Nel 2005 fu avviata un’indagine penale sul trattamento contestato. Essa iniziò quando emerse, nell’ambito di intercettazioni relative a un’operazione finalizzata a indagare su un traffico di sostanze stupefacenti all’interno della Casa circondariale di Asti, che diversi agenti di custodia avevano discusso delle sevizie inflitte ai ricorrenti.
22. Il 7 luglio 2011 furono rinviati a giudizio cinque agenti di custodia, ovvero C.B., D.B., M.S., A.D., e G.S. Furono accusati di maltrattamenti nei confronti dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 572 del codice penale (“il codice penale”), con l’aggravante prevista dall’articolo 61 comma 9 del codice penale, disposizione che stabilisce che il reato commesso con abuso dei poteri inerenti a una pubblica funzione costituisca una circostanza aggravante.
23. In pari data i ricorrenti si costituirono parti civili nel procedimento.
1. Il procedimento dinanzi al Tribunale di Asti
24. La sentenza del Tribunale di Asti fu pronunciata in data 30 gennaio 2012. Le sue conclusioni possono essere sintetizzate come segue.
25. In ordine all’accertamento dei fatti relativi ai maltrattamenti, il Tribunale ritenne che prove raccolte nel corso delle indagini e prodotte al processo dimostrassero che i fatti si erano svolti nelle modalità descritte dalle vittime nelle osservazioni formulate dalle stesse nel corso del processo. Il Tribunale si basò sulle dichiarazioni che affermavano che i ricorrenti erano stati sottoposti ad abusi fisici e verbali, accompagnati dalla privazione del cibo, dell’acqua, del sonno e del vestiario, e che erano stati reclusi in celle prive di adeguato accesso a servizi igienici, riscaldamento, e biancheria da letto.
26. Il Tribunale ritenne accertato oltre il ragionevole dubbio che i ricorrenti non fossero stati sottoposti soltanto a isolati atti di vessazione e abuso, ma a ripetuti maltrattamenti, posti in essere in modo sistematico.
27. Più specificamente, il Tribunale ritenne accertato oltre il ragionevole dubbio che il primo e il secondo ricorrente fossero stati sottoposti a ripetute violenze fisiche, rispettivamente dal 10 al 29 dicembre 2004 e dal 10 al 16 dicembre 2004. Il Tribunale ritenne che i pestaggi fossero avvenuti regolarmente a tutte le ore del giorno, e in particolare di notte.
28. Il Tribunale osservò che in data 16 dicembre 2004 il secondo ricorrente era stato ricoverato nel Pronto Soccorso dell’Ospedale civile di Asti con lesioni da trauma. In ordine al primo ricorrente, il Tribunale prese atto del suo ricovero in ospedale successivamente ai fatti, senza citare una data o una specifica documentazione medica in tal senso.
29. Il Tribunale ritenne inoltre accertato oltre il ragionevole dubbio che negli anni 2004 e 2005 fosse stato posto in essere all’interno della Casa circondariale di Asti un comportamento che esso ha definito una “prassi generalizzata di maltrattamenti”, che erano stati inflitti in modo sistematico ai detenuti considerati problematici. Erano adottate regolarmente, per punire e intimorire i detenuti problematici e dissuadere da altri comportamenti turbolenti, misure che il Tribunale definisce eccedenti i limiti dei provvedimenti disciplinari o cautelari consentiti. Tale prassi comprendeva che un detenuto fosse condotto in una cella della sezione isolamento, in cui veniva sottoposto a ripetute vessazioni e abusi da parte degli agenti di custodia. Gli abusi consistevano principalmente in violenze fisiche, in quanto i detenuti erano picchiati da gruppi di agenti di custodia, spesso durante la notte. I detenuti erano inoltre sottoposti regolarmente alla privazione del sonno, del vitto e dell’acqua, ed era loro negato anche l’accesso ai servizi igienici.
30. Il Tribunale ritenne inoltre ampiamente provato che gli agenti di custodia operassero in un clima di impunità. Secondo il Tribunale ciò era dovuto all’acquiescenza della Direzione del carcere e alla complicità esistente tra gli agenti di custodia.
31. Emerge che nel corso del processo il Tribunale abbia disposto un’ispezione della Casa circondariale, compreso della Sezione isolamento. Il Tribunale riscontrò che diverse celle della Sezione isolamento della Casa circondariale di Asti non erano idonee a ospitare detenuti. Alcune erano prive di biancheria da letto, materassi, servizi igienici o riscaldamento. Benché le finestre di alcune celle fossero prive di vetri e altre avessero finestre rivestite di lastre metalliche sulle quali erano presenti piccole perforazioni, le celle erano comunque utilizzate nel corso dei mesi invernali. Alcune celle erano dotate di letto e di gabinetto alla turca, ma non erano dotate di altri mobili né di servizi igienici.
32. Successivamente all’accertamento dei fatti, il Tribunale passò a valutare la responsabilità in ordine alla condotta accertata. A tale riguardo G.S. fu prosciolto dall’accusa di partecipazione alle sevizie, e A.D. e D.B. furono prosciolti dall’accusa di partecipazione ai maltrattamenti di cui all’articolo 572 del codice penale. Il Tribunale ritenne tuttavia che, con la loro condotta, A.D. e D.B. avessero cagionato lesioni personali in violazione dell’articolo 582 del Codice penale. Dispose comunque che il procedimento a loro carico fosse archiviato per scadenza del termine di prescrizione applicabile.
33. In ordine a C.B. e M.S. il Tribunale ritenne che esistessero prove sufficienti per concludere che fossero responsabili della maggior parte, se non di tutti, gli atti di abuso fisico, psicologico e “materiale” in questione. Il Tribunale ritenne successivamente che gli atti in questione potessero essere qualificati come tortura a norma della definizione fornita dalla Convenzione delle Nazioni Unite (NU) contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Proseguì osservando che l’Italia non aveva previsto nella legislazione nazionale il reato di tortura, in violazione dei suoi obblighi internazionali. Fu pertanto costretto a concludere che, a norma della legislazione italiana, non esisteva alcuna disposizione di legge che permettesse di qualificare come atti di tortura la condotta contestata.
34. Avendo preso atto delle summenzionate considerazioni, il Tribunale procedette a valutare quale reato esistente fosse più idoneo a qualificare giuridicamente la condotta di C.B. e M.S. Per svolgere la sua valutazione il Tribunale fece affidamento sulla conclusione secondo la quale il trattamento contestato era finalizzato principalmente a punire i ricorrenti, a “mantenere l’ordine” nella Casa circondariale e a trasmettere un chiaro messaggio agli altri detenuti.
35. Il Tribunale ritenne che fosse più appropriato concludere che la condotta dei due agenti di custodia configurasse il reato previsto dall’articolo 608 del codice penale, concernente l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti. Era tuttavia trascorso il tempo necessario a prescrivere tale reato, in quanto il Tribunale non aveva riscontrato alcun atto processuale che avesse l’effetto di interrompere il corso della prescrizione.
Il Tribunale dichiarò C.B. e M.S. responsabili del reato di lesioni personali, ma, dato che la prescrizione era applicabile anche a tale reato, tale conclusione non modificava la sostanza della decisione. Il Tribunale dispose pertanto l’archiviazione del procedimento a carico di C.B. e M.S., in quanto era trascorso il tempo necessario a prescrivere.
2. Il procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione
36. In data 22 febbraio 2012 il pubblico ministero propose ricorso alla Corte di cassazione, deducendo l’erroneità della qualificazione giuridica del reato effettuata dal Tribunale di Asti in relazione a C.B. e M.S. Il pubblico ministero sostenne che il reato più appropriato ai fini della qualificazione giuridica della condotta in questione fosse il reato di maltrattamenti aggravati di cui all’articolo 572 del codice penale italiano ‒ individuato inizialmente nei capi di imputazione ‒ unitamente al reato di cui all’articolo 608 del codice penale.
37. Con sentenza pronunciata in data 21 maggio 2012, e depositata in cancelleria in data 27 luglio 2012, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso del pubblico ministero inammissibile. La Corte convenne con il pubblico ministero per questione di principio, ma, dato che la prescrizione era applicabile anche al reato di maltrattamenti aggravati, una decisione favorevole all’accusa non avrebbe avuto alcun effetto pratico.
3. I successivi procedimenti
38. In data 26 luglio 2012 C.B. propose un incidente di esecuzione al Tribunale di Asti, sostenendo che la sua decisione del 30 gennaio 2012 (si veda il paragrafo 24 supra) non poteva essere considerata irrevocabile né esecutiva per quanto lo riguardava, in quanto la decisione non gli era stata notificata correttamente.
39. Con provvedimento del 31 ottobre il Tribunale di Asti rigettò l’incidente proposto da C.B. in quanto lo stesso doveva essere stato informato della decisione all’epoca in cui il pubblico ministero aveva presentato ricorso alla Corte di cassazione (si veda il paragrafo 36 supra) o, al più tardi quando il suo difensore presentò una memoria nel corso di un’udienza dinanzi alla Corte di cassazione nel maggio 2012.
40. In data 26 luglio 2012 C.B. impugnò la decisione dinanzi alla Corte di cassazione.
41. Con sentenza pronunciata in data 11 luglio 2013, e depositata in cancelleria in data 1 agosto 2013, la Corte di cassazione accolse il ricorso. Ritenne che il vizio di notifica della decisione a C.B. non potesse essere sanata dalla potenziale conoscenza della decisione da parte di C.B. in una fase successiva, come aveva argomentato il Tribunale. La sentenza del Tribunale di Asti del 30 gennaio 2012 non poteva conseguentemente essere considerata irrevocabile ed esecutiva nei confronti di C.B.
42. Sulla base di quest’ultima decisione, in data 10 ottobre 2013 C.B. appellò la sentenza del Tribunale di Asti del 30 gennaio 2012 dinanzi alla Corte di appello di Torino, chiedendo di essere assolto.
43. Le parti non hanno fornito ulteriori informazioni sull’esito del procedimento.
C. I procedimenti disciplinari nei confronti degli agenti di custodia
44. Nelle sue osservazioni del 31 marzo 2016, il Governo ha dichiarato che i quattro agenti di custodia erano stati sottoposti a procedimento disciplinare in relazione ai fatti contestati e, con diversi provvedimenti emessi in data 29 gennaio 2013, erano state inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:
- C.B. fu destituito dal servizio. Egli fu tuttavia reintegrato in data 26 novembre 2013, a seguito della sentenza della Corte di cassazione dell’11 luglio 2013 che sospese l’esecutività della sentenza del Tribunale di Asti (si veda il paragrafo 41 supra);
- M.S. fu destituito dal servizio;
- A.D. fu sospeso dal servizio per un periodo di quattro mesi;
- D.B. fu sospeso dal servizio per un periodo di sei mesi.
45. Secondo un rapporto fornito dal Governo, emesso dal Direttore del Personale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia in data 12 ottobre 2015, i quattro agenti di custodia non furono sospesi dal servizio (sospensione precauzionale dal servizio) nel corso delle indagini o del processo.
D. La documentazione medica
46. Su richiesta della Corte il Governo ha presentato estratti del diario clinico penitenziario del secondo ricorrente relativi al periodo compreso tra il 26 novembre 2004 e il 5 marzo 2005 e copie dattiloscritte della certificazione relativa al suo ricovero in ospedale in data 16 dicembre 2004.
47. Il diario clinico penitenziario indica che in data 13 dicembre 2004 il secondo ricorrente fu sottoposto a visita medica generale (mentre si trovava ancora “dietro le sbarre”). Lamentò dolori al torace e all’orecchio destro. Il medico che redasse il rapporto rilevò la presenza di ecchimosi ed ematomi intorno alla gabbia toracica del paziente. Raccomandò un esame medico più approfondito e/o il trasferimento in infermeria.
48. Il diario indica inoltre che in data 15 dicembre 2004 ebbe luogo un’altra visita medica generale (anch’essa mentre egli si trovava “dietro le sbarre”). Le informazioni contenute in tale annotazione sono uguali a quelle contenute nella precedente annotazione. Fu raccomandato il trasferimento in infermeria al fine di un esame medico.
49. Il diario dimostra che nel pomeriggio del 15 dicembre 2004 il ricorrente fu sottoposto a visita medica. Il medico che redasse il rapporto riferì la presenza di ecchimosi sulla gabbia toracica del paziente e nella regione retro-auricolare. Alla palpazione il paziente rivelava dolori diffusi. Il medico che redasse il rapporto raccomandò l’esecuzione di una radiografia per sospetta frattura. Furono somministrati antidolorifici.
50. Dall’annotazione relativa al 16 dicembre 2004 emerge che il ricorrente fu trasferito al Pronto Soccorso dell’Ospedale civile di Asti in conseguenza della lesione traumatica.
51. Dalla cartella clinica dell’Ospedale civile di Asti emerge che la radiografia dimostrava la frattura di una costola e l’esame medico rivelava diffuse contusioni alla regione toracica e addominale e dolore alla palpazione. Nella cartella clinica risulta che il ricorrente riferì al medico che le lesioni erano state provocate da una caduta accidentale.
52. Dall’annotazione contenuta nel diario clinico penitenziario in ordine alla dimissione del ricorrente dall’ospedale in data 16 dicembre 2004 risulta che gli furono prescritti degli antidolorifici.
53. In ordine al primo ricorrente il Governo non ha presentato alcuna copia del diario clinico penitenziario, nonostante il fatto che la Corte avesse chiesto tali informazioni.
II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
A. I reati pertinenti previsti dal codice penale italiano
54. L’articolo 572 del codice penale italiano (in prosieguo “il codice penale”) prevede che chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione cura o custodia può essere punito con la reclusione fino a cinque anni.
55. L’articolo 582 del codice penale prevede che chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, può essere punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
56. L’articolo 608 del codice penale prevede il pubblico ufficiale che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia può essere punito con la reclusione fino a trenta mesi.
57. L’articolo 61 del codice penale contiene disposizioni generali in materia di circostanze aggravanti. Il comma 9 dell’articolo 61 prevede che l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio costituisce una circostanza aggravante.
B. La prescrizione dei reati
58. Le pertinenti disposizioni della legislazione interna sono esposte nella sentenza Cestaro c. Italia, n. 6884/11, §§ 96-101, 7 aprile 2015.
C. L’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento penale italiano
59. In data 5 marzo 2014 il Senato italiano approvò un disegno di legge che introduceva nell’ordinamento giuridico italiano il delitto di tortura. Il disegno di legge fu successivamente inviato alla Camera dei deputati al fine dell’approvazione. La Camera dei deputati modificò il disegno di legge e in data 13 aprile 2015 il testo fu rinviato al Senato per il riesame. In data 17 maggio 2017 il Senato approvò il disegno di legge, con ulteriori modifiche, e il testo fu trasmesso nuovamente alla Camera dei deputati al fine del riesame. In data 5 luglio 2017 la Camera dei deputati approvò la versione definitiva del disegno di legge, ed esso entrò in vigore in data 18 luglio 2017 con la denominazione di Legge 14 luglio 2017 n. 110.
IN DIRITTO
I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI
60. La Corte ritiene che i ricorsi debbano essere riuniti, data la connessione del loro contesto fattuale e giuridico (articolo 42 § 1 del Regolamento della Corte).
II. SULLA QUESTIONE PRELIMINARE
61. A seguito del decesso del secondo ricorrente, la figlia, Sig.ra Gretel Renne, ha comunicato alla Corte il desiderio di proseguire il ricorso in luogo del padre (si veda il paragrafo 1 supra).
62. In ordine a casi in cui un ricorrente era deceduto successivamente alla presentazione del ricorso, la Corte ha tenuto conto in precedenti occasioni delle dichiarazioni rese dagli eredi o da stretti congiunti del ricorrente, in cui gli stessi avevano espresso il desiderio di proseguire il procedimento dinanzi alla Corte. Al fine della valutazione della legittimazione di una persona a proseguire il ricorso nell’interesse di un defunto, ciò che è importante per la Corte non è se i diritti in questione siano trasmissibili agli eredi, bensì che questi possano in linea di massima affermare di avere un legittimo interesse a chiedere alla Corte di trattare la causa sulla base del desiderio del ricorrente di esercitare il proprio individuale e personale diritto di presentare ricorso alla Corte (si veda Ergezen c. Turchia, n. 73359/10, § 29, 8 aprile 2014). La Corte ha ammesso che un prossimo congiunto o un erede possano in linea di massima succedere nel ricorso, purché abbiano un sufficiente interesse per la causa (si veda Centre for Legal Resources on behalf of Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 97, CEDU 2014). A tale riguardo, la Corte ribadisce che i ricorsi in materia di diritti umani di cui è investita hanno generalmente una dimensione morale e le persone vicine a un ricorrente possono pertanto avere un legittimo interesse ad assicurare che sia fatta giustizia, anche successivamente al decesso del ricorrente (si veda Malhous c. Repubblica ceca (dec.) [GC], n. 33071/96, CEDU 2000 XII).
63. Per quanto sopra esposto, e tenendo conto delle circostanze del caso di specie, la Corte ammette che la figlia del secondo ricorrente abbia un legittimo interesse a proseguire il ricorso. Essa proseguirà pertanto – su richiesta della stessa – la trattazione della causa. Per comodità nella presente sentenza continuerà tuttavia a indicare quale secondo ricorrente il Sig. Renne.
III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ASPETTO SOSTANZIALE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
64. I ricorrenti hanno dichiarato che nel corso della detenzione nella Cara circondariale di Asti nel dicembre 2004 avevano subito violenze e sevizie che ritenevano equivalenti alla tortura. Hanno invocato l’articolo 3 della Convenzione, che prevede:
"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".
A. Sulla ricevibilità
65. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
B. Sul merito
1. Osservazioni delle parti
a) I ricorrenti
66. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati sottoposti a varie forme di maltrattamento nel corso della loro detenzione nella Casa circondariale di Asti nel dicembre 2004.
67. Il primo ricorrente ha ribadito l’asserzione di essere stato tenuto in isolamento per oltre venti giorni, di essere stato privato degli indumenti e di essere stato recluso in una cella dalle finestre prive di vetri, nell’Italia settentrionale, cella che non era dotata di lavabo, così come il letto era sprovvisto di coperte e di materasso. Ha inoltre dichiarato di essere stato sottoposto a privazione del sonno, del cibo e dell’acqua, nonché a violenze fisiche e ad abusi verbali.
68. Ha sostenuto che il trattamento era finalizzato a punirlo e a intimorirlo, in quanto tale trattamento eccedeva di gran lunga le esigenze di sicurezza. Secondo il ricorrente quest’ultimo punto era rafforzato, dato che il trattamento era svolto in un contesto di sevizie sistematiche esistente all’interno della Casa di reclusione, per mezzo del quale i detenuti erano sottoposti a varie forme di maltrattamento, di cui la direzione e il personale del carcere erano informati, ma alle quali rimanevano indifferenti.
69. Ha inoltre sostenuto che, benché fossero trascorsi molti anni dagli eventi contestati, soffriva ancora di ansia e depressione e doveva assumere farmaci.
70. Il secondo ricorrente, basandosi sulla ricostruzione degli eventi esposta nella decisione di primo grado, ha descritto le sevizie inflittegli, consistenti in ripetute violenze fisiche, nel corso delle quali era stato picchiato e gli erano stati strappati dei capelli, ed era anche stato recluso in una cella della sezione isolamento, rimanendo per diversi giorni senza indumenti, e ricevendo cibo razionato.
71. In ordine alla qualificazione giuridica del trattamento, entrambi i ricorrenti hanno ribadito di aver subito atti di tortura ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione.
b) Il Governo
72. Il Governo non ha presentato osservazioni specifiche sull’aspetto sostanziale della doglianza di cui all’articolo 3.
2. La valutazione della Corte
a) Principi generali
73. La Corte rinvia ai principi generali relativi all’aspetto sostanziale dell’articolo 3, esposti nella causa Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09, § 81 90, CEDU 2015 e, recentemente, nella causa Bartesaghi Gallo e altri c. Italia, nn. 12131/13 e 43390/13, § 111-113, 22 giugno 2017.
74. La Corte ribadisce, in particolare, che per determinare se una data forma di maltrattamento debba essere qualificata tortura si deve tener conto della distinzione, contenuta nell’articolo 3, tra tale nozione e quella di trattamento inumano e degradante. Come osservato in precedenti cause, sembra che l’intenzione fosse che, mediante tale distinzione, la Convenzione dovesse stigmatizzare in modo particolare il trattamento inumano che provoca gravi e crudeli sofferenze (si veda, tra numerosi altri precedenti, Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 90, CEDU 2010). Oltre alla severità del trattamento, vi è l’elemento intenzionale di torturare, come riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura il cui articolo 1 definisce tortura qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolori o sofferenze acute, al fine, inter alia, di ottenere informazioni, punirla o intimidirla (si veda, tra numerosi altri precedenti, El-Masri c. Ex Repubblica yugoslava di Macedonia [GC], n. 39630/09, § 197, CEDU 2012).
b) Applicazione dei principi generali al caso di specie
i) L’accertamento dei fatti
75. La Corte osserva innanzitutto che il Tribunale di Asti aveva ritenuto che i fatti contestati si fossero svolti nelle modalità descritte dai ricorrenti nel corso dei procedimenti interni (si vedano i paragrafi 25-31 supra). La Corte non vede motivi convincenti per mettere in dubbio tali conclusioni.
76. La Corte osserva inoltre che il Governo non ha contestato le osservazioni fattuali formulate dai ricorrenti, né ha negato che fossero avvenuti i fatti descritti dai ricorrenti.
77. Per quanto sopra esposto, e alla luce della documentazione di cui è in possesso, la Corte ritiene accertato che i ricorrenti siano stati sottoposti al trattamento lamentato.
ii) La qualificazione del trattamento inflitto ai ricorrenti
78. Resta da determinare se si possa affermare che il trattamento contestato abbia raggiunto il minimo livello di gravità necessario per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 e, in caso affermativo, come debba essere qualificato.
79. La Corte inizierà valutando la gravità del trattamento cui sono stati sottoposti i ricorrenti. La Corte ribadisce che, secondo le conclusioni del giudice nazionale, il primo ricorrente è stato sottoposto a ripetute violenze fisiche per novanta giorni e il secondo ricorrente per sei giorni (si veda il paragrafo 27 supra). Con specifico riguardo al secondo ricorrente, la sua documentazione medica rivela che ha subito lesioni e ha lamentato dolori, ed è stato infine ricoverato in ospedale con una costola fratturata e contusioni diffuse (si vedano i paragrafi 28 e 51 supra).
80. Oltre alle sofferenze fisiche che i ricorrenti devono aver sopportato in conseguenza degli abusi fisici, la Corte ritiene che si possa ritenere che il trattamento sia stato causa di notevole timore, angoscia e sofferenza mentale. Come considerazione generale, la Corte è consapevole del fatto che il trattamento è stato inflitto in un contesto in cui i ricorrenti erano in custodia degli agenti del carcere e pertanto si trovavano già in una situazione di vulnerabilità (si veda Bouyid, sopra citata, § 107). Lo stato di ulteriore isolamento dei ricorrenti, dovuto alla loro collocazione nella sezione isolamento, deve aver intensificato la loro paura, ansia e sensazione di debolezza.
81. La Corte rileva ancora una volta che i ricorrenti sono stati sottoposti ad abusi fisici a tutte le ore del giorno e della notte per molti giorni consecutivi (si veda il paragrafo 27 supra). Gli abusi fisici sono stati inoltre accompagnati da privazioni “materiali” estremamente gravi, che devono aver inevitabilmente accentuato la loro sofferenza. Riguardo a quest'ultimo aspetto, i ricorrenti sono stati sottoposti a privazione e razionamento del cibo e dell’acqua, e sono stati reclusi in celle con limitato accesso, o prive di accesso, a servizi igienici, biancheria da letto e riscaldamento. I ricorrenti sono stati inoltre sottoposti a ulteriori atti gratuiti, quale la privazione degli indumenti, che devono aver comportato sensazioni di umiliazione e svilimento (si veda, mutatis mutandis, Hellig c. Germania, n. 20999/05, §§ 52-57, 7 luglio 2011).
82. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il trattamento subito dai ricorrenti possa essere qualificato come un “trattamento inumano che ha causato una gravissima e crudelissima sofferenza” ai fini dell’articolo 3 (si veda Al Nashiri c. Polonia, n. 28761/11, § 515, 24 luglio 2014).
83. Secondo la Corte il trattamento era deliberato e svolto in modo premeditato e organizzato. A tale proposito, la Corte osserva che il trattamento contestato non è stato limitato a un particolare momento, vale a dire immediatamente dopo la lite avvenuta tra i ricorrenti e gli agenti di custodia. È stato accertato in modo chiaro che i ricorrenti avevano sopportato per diversi giorni ripetute e prolungate aggressioni nonché altre forme di abusi e privazioni. A tale proposito si deve tener conto anche delle conclusioni cui è pervenuto il tribunale interno, che ha constatato che i ricorrenti non erano stati sottoposti a isolati atti di vessazione e abuso, ma a quelle che esso aveva definito misure applicate in modo sistematico (si veda il paragrafo 26 supra).
84. La Corte ritiene inoltre che, ai fini della sua valutazione circa il carattere intenzionale del trattamento, il contesto in cui esso è stato inflitto meriti un esame accurato. Il tribunale interno ha constatato prove dell'esistenza di un più ampio sistema di abusi nella Casa di reclusione in questione, che ha etichettato come una "prassi generalizzata di maltrattamenti" (si veda il paragrafo 29 supra). Dalle constatazioni del tribunale interno risulta che i detenuti "problematici" erano regolarmente esposti a misure punitive che eccedevano i limiti delle misure disciplinari o cautelari consentite, consistenti nella collocazione in celle della sezione isolamento, che si trovavano di per sé in condizioni deplorevoli, in cui erano sottoposti a violenze fisiche e privazioni materiali. Il tribunale interno ha sottolineato l'esistenza di tale situazione nella Casa circondariale di Asti, al di là degli eventi riguardanti i ricorrenti, e ha fornito un resoconto delle prassi sopra descritte nel testo della sentenza (si vedano i paragrafi 29-31 supra).
85. Le considerazioni che precedono indicano anche l'esistenza di un elemento intenzionale alla base del trattamento contestato, vale a dire punire i detenuti, far rispettare la disciplina e dissuadere futuri comportamenti turbolenti nella Casa circondariale (si vedano i paragrafi 29 e 34 supra).
iii) Conclusione
86. Per quanto sopra esposto, la Corte è persuasa del fatto che il trattamento cui sono stati sottoposti i ricorrenti abbia raggiunto il livello di gravità necessario perché l’articolo 3 sia applicabile alla condotta contestata, e che essa equivalesse a tortura.
87. Vi è conseguentemente stata violazione dell’aspetto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione.
IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ASPETTO PROCEDURALE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
88. I ricorrenti hanno lamentato di aver subito un'ulteriore violazione dell'articolo 3, in quanto la pena inflitta ai responsabili degli atti che essi lamentavano era stata inadeguata, in particolare a causa della prescrizione nel corso del procedimento penale. Hanno sottolineato che, non avendo introdotto il reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano e non avendo previsto una pena adeguata per tale reato, lo Stato non aveva adottato le misure necessarie per impedire i maltrattamenti che essi avevano subito.
89. In ordine alle dedotte carenze delle indagini, derivanti, in particolare, dall’assenza del reato di tortura nell'ordinamento giuridico italiano, i ricorrenti hanno invocato anche l'articolo 13 della Convenzione, singolarmente e in combinato disposto con l'articolo 3. La Corte ritiene tuttavia di dover esaminare la questione dell’assenza di indagini efficaci riguardo ai dedotti maltrattamenti esclusivamente ai sensi dell’aspetto procedurale dell'articolo 3 della Convenzione.
A. Sulla ricevibilità
90. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
B. Sul merito
1. Osservazioni delle parti
a) I ricorrenti
91. I ricorrenti hanno sostenuto che, a seguito del procedimento penale, il tribunale di primo grado aveva riconosciuto la gravità dei maltrattamenti cui erano stati sottoposti, ma che i responsabili di tali maltrattamenti non erano stati puniti. Ciò è avvenuto perché nel corso del procedimento penale i reati di cui gli agenti di custodia erano stati accusati a norma del codice penale italiano erano caduti in prescrizione.
92. Hanno sostenuto che le disposizioni di legge italiane si erano dimostrate inadeguate al fine della punizione degli atti di tortura e della previsione del necessario effetto dissuasivo, per impedire che avvenissero in futuro analoghe violazioni. Hanno affermato che l'Italia doveva prevedere disposizioni di legge in grado di tutelare i diritti sanciti dall'articolo 3 della Convenzione e hanno criticato lo Stato italiano per non aver qualificato come reato tutte le forme di maltrattamento che costituiscono tortura o trattamenti inumani o degradanti. Ciò contrastava inoltre con gli impegni internazionali dell'Italia, in particolare quelli derivanti dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
92. Hanno pertanto concluso che lo Stato non aveva adottato le misure necessarie per prevenire gli atti di tortura che essi avevano subito e per criminalizzarli in modo appropriato.
94. Il secondo ricorrente ha osservato in particolare che vi è il rischio che l'impossibilità di punire i responsabili degli atti di tortura a causa delle carenze del sistema italiano sostenga prassi diffuse, e alimenti un sistema che tollera l'impunità.
95 . In ordine ai procedimenti disciplinari a carico degli agenti di custodia, i ricorrenti hanno riconosciuto che erano state adottate misure disciplinari nei confronti di essi. Hanno osservato tuttavia che il materiale probatorio presentato dal Governo rivela che gli agenti non erano stati sospesi dal servizio durante le indagini e il procedimento penale.
96. Alla luce di quanto precede, i ricorrenti hanno sostenuto che lo Stato italiano non aveva osservato i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione, ovvero l’obbligo di condurre un'indagine efficace sugli atti di tortura cui erano stati sottoposti e di infliggere una pena adeguata agli autori dei reati.
b) Il Governo
97. Il Governo ha osservato che la condotta contestata era stata esaminata attentamente dal Tribunale di Asti, che aveva riconosciuto la responsabilità degli agenti di custodia.
98. Il Governo ha sostenuto che sia il procedimento giudiziario che quello disciplinare a carico degli agenti, finalizzati a scoprire l’effettiva portata del trattamento inflitto ai ricorrenti nel corso della detenzione, avevano dimostrato la buona volontà delle autorità italiane di individuare e punire gli agenti responsabili degli atti contestati, nonostante la prescrizione del procedimento penale.
99. Ha contestato le affermazioni dei ricorrenti relative alle sanzioni disciplinari. A tale proposito, il Governo ha dichiarato che la comminazione di sanzioni disciplinari avviene mediante procedimenti soggetti a garanzie processuali simili a quelle applicate nei procedimenti penali. Il Governo ha inoltre osservato che, in caso di procedimento penale svolto contemporaneamente a un procedimento disciplinare, qualsiasi valutazione definitiva in ordine all'applicazione di sanzioni disciplinari e alla scelta della sanzione in questione deve essere rinviata al momento della conclusione del procedimento penale. Il Governo ha sottolineato che, per rispondere degli atti commessi nei confronti dei ricorrenti, gli agenti di custodia erano stati citati davanti a tribunali penali e organi amministrativi interni noti per la loro serietà e imparzialità, e la loro responsabilità in ordine ai fatti contestati era stata accertata in entrambi i procedimenti.
c) I terzi intervenienti: il Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito, l’associazione “Non c’è pace senza giustizia” e i Radicali italiani (l’ex Partito radicale italiano)
100. I terzi intervenienti hanno ritenuto che l’Italia non avesse ottemperato agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Hanno invitato la Corte a tener conto del fatto che l'Italia aveva ratificato quest'ultimo strumento nel 1989, impegnandosi in tal modo a introdurre il reato di tortura nell'ordinamento giuridico italiano. Nonostante tale impegno, a venticinque anni dalla ratifica, non era stata adottata alcuna disposizione di legge che criminalizzasse la tortura.
101. Hanno inoltre fornito una descrizione comparata della criminalizzazione della tortura in diversi ordinamenti europei.
102. I terzi intervenienti hanno sostenuto che, in assenza di uno specifico reato nella legislazione interna italiana, i reati previsti dal codice penale non permettevano di criminalizzare adeguatamente gli atti di tortura, impedendo in tal modo di infliggere sanzioni appropriate, proporzionate alla gravità dei gli atti in questione.
103. I terzi intervenienti hanno inoltre sottolineato che la sentenza Cestaro (sopra citata) aveva invitato l'Italia ad adottare misure generali per fare fronte a una carenza strutturale. Hanno conseguentemente sottolineato la necessità di colmare un vuoto legislativo, nella misura in cui si trattava di criminalizzare la tortura e il trattamento disumano o degradante.
104. In ordine al procedimento disciplinare, i terzi intervenienti hanno infine ribadito, rinviando alle sentenze della Corte relative alle cause Gäfgen c. Germania, sopra citata, e Saba c. Italia, n. 36629/10, 1 luglio 2014, che quando agenti statali sono accusati di reati in materia di maltrattamento, essi dovrebbero essere sospesi dal servizio nelle more delle indagini o del processo.
2. La valutazione della Corte
a) Principi generali
105. Se una persona afferma in modo sostenibile di essere stata maltrattata dalle autorità statali, in violazione dell'articolo 3, tale disposizione, congiuntamente all’obbligo generale dello Stato ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione, impone implicitamente che sia svolta un'efficace indagine ufficiale. I principi generali che si applicano per determinare l’efficacia dell’indagine ai fini dell'articolo 3 sono stati riesposti dalla Corte nella sentenza Cestaro (sopra citata, §§ 205-212) .
b) Applicazione dei principi generali al caso idi specie
106 . La Corte rileva innanzitutto che cinque agenti di custodia sono stati perseguiti e processati in relazione agli eventi contestati, benché in definitiva nessuno sia stato condannato per i maltrattamenti inflitti ai ricorrenti (si vedano i paragrafi 24-35 supra). Un agente è stato assolto da tutti i capi di imputazione e tutti i reati per i quali i rimanenti agenti sono stati perseguiti sono stati dichiarati prescritti nel corso del procedimento di primo grado (si veda il paragrafo 35 supra).
107. Secondo la Corte, a seguito dell’esame di tutto il materiale a sua disposizione, quest'ultimo risultato non può essere attribuibile a ritardi o negligenza imputabili alle autorità giudiziarie interne. Benché la Corte esprima qualche preoccupazione per la durata delle indagini penali, essa osserva che i ricorrenti non hanno lamentato né fornito alcuna prova che indichi ritardi ingiustificati da parte delle autorità inquirenti. In ogni caso, a causa delle sue conclusioni, esposte nel paragrafo 111, la Corte non ritiene necessario esaminare se si possa ritenere che le indagini siano state svolte con ragionevole sollecitudine.
108. In ordine allo svolgimento dei procedimenti interni, la Corte ritiene che non si possa criticare il tribunale interno per aver valutato erroneamente la gravità delle accuse a carico dell'imputato (si veda, per contro, Saba, sopra citata, § 80) o per aver utilizzato le disposizioni legislative e repressive del diritto interno per impedire la condanna degli agenti statali perseguiti (si veda, per contro, Zeynep Özcan c. Turchia, n. 45906/99, § 43, 20 febbraio 2007).
109. La Corte ritiene, piuttosto, che il tribunale interno abbia adottato una posizione molto ferma e non abbia tentato in alcun modo di giustificare o di minimizzare il comportamento contestato. Il tribunale interno ha compiuto un autentico sforzo per accertare i fatti e identificare gli individui responsabili del trattamento inflitto ai ricorrenti. Non si può pertanto negare che il tribunale in questione abbia sottoposto la causa di cui era investito a un "esame scrupoloso", come richiesto dall'articolo 3 della Convenzione (si veda Cestaro, sopra citata, § 206).
110. Il tribunale interno ha tuttavia concluso che, ai sensi della legislazione italiana, all’epoca della decisione non esisteva alcuna disposizione di legge che consentisse di qualificare come tortura il trattamento contestato (si veda il paragrafo 33 supra). Il tribunale è pertanto dovuto ricorrere ad altri reati esistenti, vale a dire le disposizioni del codice penale in materia di abuso di autorità nei confronti di detenuti e di inflizione di lesioni personali (si veda il paragrafo 35 supra). Questi ultimi reati non sembrano, a giudizio della Corte, in grado di fare fronte all'intera gamma di questioni derivanti dagli atti di tortura subiti dai ricorrenti (si veda Myumyun c. Bulgaria, n. 67258/13, § 77, 3 novembre 2015). Essi erano inoltre soggetti a termini di prescrizione, circostanza che di per sé mal si concilia con la giurisprudenza della Corte in materia di torture o maltrattamenti inflitti da agenti statali (si vedano Cestaro, sopra citata, § 208 e Abdülsamet Yaman c. Turchia, n. 32446/96, § 55, 2 novembre 2004).
111. Sulla base delle precedenti considerazioni, la Corte ritiene che il nocciolo del problema non risieda nel comportamento delle autorità giudiziarie interne, ma piuttosto in una carenza sistemica che caratterizzava la legislazione penale italiana in materia, come era già stato individuato nella causa Cestaro (sopra citata, § 225). Nel caso di specie, tale lacuna dell'ordinamento giuridico, e in particolare l'assenza di disposizioni che penalizzassero le prassi di cui all'articolo 3 e che prevedessero, se del caso, la comminazione di sanzioni adeguate, ha comportato che i tribunali interni siano impreparati a svolgere una funzione essenziale, ovvero quella di garantire che un trattamento contrario all'articolo 3 perpetrato da agenti statali non rimanga impunito. Si può ritenere che ciò, a sua volta, abbia il più ampio effetto di indebolire il potere deterrente del sistema giudiziario e il ruolo vitale che esso dovrebbe essere in grado di svolgere per sostenere la proibizione della tortura.
112. La Corte è pertanto giunta alla conclusione che la legislazione penale applicata nel caso di specie si sia dimostrata, come avvenuto nella causa Cestaro (sopra citata, § 225), sia inadeguata per quanto riguarda la capacità di punire gli atti di tortura in questione, che priva di qualsiasi effetto deterrente in grado di impedire analoghe future violazioni dell'articolo 3.
113. Passando alla questione delle misure disciplinari, la Corte riconosce le osservazioni del Governo secondo cui successivamente alla conclusione del procedimento penale è stato svolto un procedimento disciplinare nei confronti di quattro agenti di custodia. A tale riguardo la Corte non contesta il serio esame al quale gli organi disciplinari hanno sottoposto le azioni commesse dagli agenti di custodia e rileva che in conseguenza di ciò sono stati inflitti provvedimenti disciplinari (si veda il paragrafo 44 supra).
114. Pur riconoscendo l'importanza delle misure disciplinari - come ha spesso riconosciuto nella sua giurisprudenza (si vedano Gäfgen, sopra citata, § 121, e Saba, sopra citata, § 76), la Corte ritiene comunque che la sola comminazione di sanzioni disciplinari non possa essere considerata una risposta adeguata da parte delle autorità in casi relativi ad atti gravi come quelli del caso di specie, che violano uno dei diritti fondamentali della Convenzione. A tale riguardo, essa ribadisce che soltanto l’azione penale è in grado di fornire l'effetto preventivo e la forza dissuasiva necessaria per l’osservanza dei requisiti dell'articolo 3.
115. Inoltre, dagli atti contenuti nel fascicolo risulta che gli agenti non sono stati sospesi dal servizio nel corso delle indagini o del processo (si veda il paragrafo 45 supra). La Corte ha spesso ritenuto che, in casi in cui agenti statali sono accusati di reati di maltrattamento, essi dovrebbero essere sospesi dal servizio nelle more delle indagini o del processo (si veda Cestaro, sopra citata, § 210). La Corte sottolinea il particolare significato di tali misure in un contesto carcerario. A tale proposito, essa sottolinea l'importanza delle garanzie che assicurano che le persone che possono essere state vittime di maltrattamenti da parte di funzionari statali mentre erano in custodia - che si trovavano già in uno stato di particolare vulnerabilità - non siano dissuase, direttamente o indirettamente, dal denunciare o segnalare i maltrattamenti.
116. Viste le conclusioni che precedono, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’aspetto procedurale dell’articolo 3.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
117. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
A. Danno
118. In ordine al danno non patrimoniale ciascun ricorrente ha chiesto 100.000 euro (EUR) o la diversa somma che la Corte dovesse ritenere appropriata.
119. Il Governo ha contestato tale importo.
120. Vista la gravità delle violazioni della Convenzione di cui i ricorrenti sono stati vittime, e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene opportuno accordare a ciascun ricorrente EUR 80.000 per il danno non patrimoniale.
B. Spese
121. Ciascun ricorrente ha inoltre chiesto EUR 16.000 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
122. Il Governo ha contestato tale importo.
123. Secondo la giurisprudenza della Corte, il ricorrente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso, la Corte ritiene ragionevole accordare a ciascun ricorrente la somma di EUR 8.000.
C. Interessi moratori
124. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
- Decide di riunire i ricorsi;
- Dichiara i ricorsi ricevibili;
- Ritiene che vi sia stata violazione dell’aspetto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione in quanto i ricorrenti sono stati sottoposti a tortura;
- Ritiene che vi sia stata violazione dell’aspetto procedurale dell’articolo 3 della Convenzione;
- Ritiene
- che lo Stato convenuto debba versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
- EUR 80.000 (ottantamila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
- EUR 8.000 (ottomila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
- che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
- che lo Stato convenuto debba versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
- Rigetta la domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto.
Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 26 ottobre 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente
Abel Campos
Cancelliere