Il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III penale
Sent., (data ud. 21/04/2021) 13/09/2021, n. 33795
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente -
Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/06/2020 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;
lette le conclusioni dei difensori di fiducia, AVV RM e MV, che hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8.
Svolgimento del processo
1. Il sig. L.F. ricorre per l'annullamento della sentenza del 09/06/2020 della Corte di appello di Torino che ha confermato la condanna alla pena di quattro anni di reclusione inflitta con sentenza del 24/09/2019 del GIP del Tribunale di Torino, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, per il reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 609-bis c.p., comma 2, commesso ai danni delle (all'epoca) minorenni C.C., F.T. e P.R., che gli erano state affidate per ragioni di istruzione e di educazione.
1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), con riferimento ai reati commessi in danno della C. e della F..
Premette di aver concordato con i genitori delle allora minorenni parti civili il versamento della somma di Euro 32.000,00 a favore della C., della somma di Euro 15.000,00 a favore della F. e della somma di Euro 5000,00 a favore della P. e che il primo Giudice non aveva ritenuto congrui gli importi corrisposti. Con riferimento alle posizioni della F. e della C., la decisione, afferma, è stata confermata dalla Corte d'appello con considerazioni del tutto generiche e non rispettose dell'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di dichiarazione liberatoria della persona offesa, il giudice di merito è tenuto a individuare specificamente le voci di danno patite e procedere alla concreta liquidazione del danno stesso indicando le somme cui la parte offesa avrebbe potuto legittimamente aspirare a titolo risarcitorio. Solo a quel punto il giudice può confrontare la somma in concreto liquidata alla parte offesa e valutarne l'eventuale sproporzione rispetto a quella astrattamente dovuta. La sentenza impugnata, invece, si limita ad indicare in maniera del tutto generica le voci di danno senza approfondirne la natura, senza accertare la effettiva consistenza del pregiudizio derivatone e senza quantificarlo in termini numerici.
1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione in ordine alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), con riferimento ai reati commessi in danno della P.. Osserva che la Corte di appello ha ritenuto congrua la somma versata a titolo di risarcimento del danno in favore della P. e che, tuttavia, non si è tenuto conto nella motivazione delle conseguenze in termini di dosimetria della pena limitatamente alla posizione di quest'ultima.
1.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione con riferimento ai fatti commessi in danno della P. in ordine alla determinazione della pena inflitta per i reati commessi in danno di quest'ultima.
Premette che il risarcimento del danno della P. è stato ritenuto congruo dalla Corte d'appello nonostante la somma di denaro fosse inferiore a quella corrisposta alla F.. Osserva che in tal modo i giudici distrettuali hanno, sia pure implicitamente, effettuato una valutazione di diversa gravità del danno tra i due episodi; di tale diversa valutazione avrebbe dovuto tenersi conto nella determinazione della pena per la frazione relativa ai fatti commessi in danno della P.. Ed invece, contraddittoriamente, la Corte di appello ha confermato la pena inflitta in primo grado.
1.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la mancanza di motivazione sulla determinazione della pena avuto riguardo ai parametri di cui all'art. 133 c.p..
Lamenta che la Corte di appello ha totalmente omesso di motivare sulle produzioni difensive effettuate in limine dell'udienza al fine di dimostrare l'avvio di un percorso terapeutico riabilitativo presso un centro specializzato nella cura della psicopatologia sessuale. Tale circostanza, afferma, benchè documentata in primo grado, non era stata presa in considerazione dal GIP; di qui la devoluzione di uno specifico motivo di appello non esaminato dalla corte territoriale.
2. Con atto trasmesso per via telematica, il difensore di fiducia del ricorrente ha concluso per l'accoglimento del ricorso, ribadendo, quanto all'ultimo motivo, il vizio di omessa motivazione in ordine alla specifica deduzione relativa al percorso terapeutico intrapreso successivamente ai fatti, dedunzione non affrontata dalla Corte di appello che pure ne dà atto nella parte espositiva della vicenda processuale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo (in esso assorbito il terzo) e al quarto motivo; è infondato nel resto.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa. Ciò sul rilievo che la circostanza attenuante ha natura soggettiva, trovando la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, sicchè il risarcimento deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, Rv. 278368 - 02; Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Rv. 268714 - 01; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Rv. 251508 - 01; Sez. 1, n. 11207 del 29/09/1994, Rv. 199623 - 01). In tali casi, il giudice è tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per cui ritenga la dichiarazione inadeguata e il risarcimento, operato dall'imputato, comunque insufficiente (Sez. 6, n. 25264 del 12/05/2015, Rv. 263812 - 01; Sez. 5, n. 26388 del 20/03/2013, Rv. 256322 - 01; cfr., altresì, Sez. 2, n. 202 del 10/02/1965, Rv. 99585, secondo cui, agli effetti dell'art. 62 c.p., n. 6, la sufficienza della somma spontaneamente pagata dal colpevole per il risarcimento del danno morale cagionato dal reato alla persona offesa non può essere esclusa con una valutazione affatto sommaria, basata sulla semplice considerazione della esiguità della stessa somma essendo il giudice tenuto ad accertare la gravità del patema d'animo subito dall'offeso e le ripercussioni del fatto lesivo nell'ambito della vita familiare e della vita di relazione del medesimo).
2.2. E' stato condivisibilmente precisato che quando il giudice penale è investito sia della domanda sull'"an" e sul "quantum debeatur" dalla parte civile sia dell'istanza di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, può, senza incorrere in una pronuncia contraddittoria e purchè vi sia specifica motivazione, pronunciare condanna generica al risarcimento dei danni, rimettendo al giudice civile l'esatta loro quantificazione, e contestualmente negare la riduzione della pena perchè la somma versata non risulta integralmente risarcitoria del danno, e tanto in ragione dei diversi fini ai quali le due statuizioni sono rivolte (Sez. 4, n. 38982 del 08/07/2014, Rv. 261061 - 01).
2.3. Il ricorrente cita a sostegno Sez. 3, n. 18483 del 02/09/2017, n. m., secondo cui "costituisce (...) compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio subito sul piano non patrimoniale individuando, sulla base delle acquisite risultanze istruttorie, quali ripercussioni negative si siano in concreto verificate sulla persona del danneggiato (...) compete (...) al giudice penale, chiamato a valutare la congruità del risarcimento, la specifica individuazione prima di tutto del danno e dunque delle conseguenze pregiudizievoli in concreto subite dalla vittima del reato, per poi procedere alla sua liquidazione che tuttavia, attenendo ad un pregiudizio che attinge la sfera immateriale e perciò sfuggendo ad una precisa stima analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi: va infatti considerato che la riparazione mediante una somma di danaro in materia di danni non patrimoniali assolve ad una funzione non già ristoratrice di una diminuzione patrimoniale bensì compensativa di un pregiudizio non economico, secondo il criterio equitativo ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.. Di conseguenza ben più analitico, a fronte di una dichiarazione liberatoria della parte offesa, si presenta il compito motivazionale del giudice che è tenuto a specificare le ragioni - allorquando non ritenga tale somma ristoratrice dell'effettivo pregiudizio subito dalla vittima e dunque idonea a dimostrare l'effettivo ravvedimento del colpevole - che evidenzino la manifesta sproporzione tra la somma liquidata alla p.o. e quella a cui quest'ultima avrebbe potuto legittimamente aspirare".
2.4. Il Collegio, pur condividendo la necessità che il giudice che intende disattendere l'accordo transattivo è tenuto ad una ben più pregnante motivazione delle ragioni del diniego della applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, prima parte, non ritiene tuttavia necessario che a tal fine debba procedere alla liquidazione del danno astrattamente risarcibile, addirittura mediante l'analisi delle voci che lo compongono, se, come nel caso di specie, la parte civile non ha esercitato l'azione nel processo penale (e dunque non vi è domanda sul punto) oppure se il giudice stesso pronuncia condanna generica al risarcimento del danno. L'analisi delle singoli voci che possono concorrere alla liquidazione del danno risarcibile (patrimoniale e/o non patrimoniale) può essere pretesa se, in ipotesi, l'accordo transattivo le contempli, a sua volta, in modo analitico; in questi casi, certamente il giudice deve spiegare in modo altrettanto analitico le ragioni per le quali ritiene di disattendere l'accordo stesso. In caso contrario, quando cioè l'accordo transattivo si limiti ad indicare puramente e semplicemente la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno, non è compito del giudice penale quantificare il danno risarcibile da contrapporre a quello negoziato tra le parti, nemmeno per indicare un criterio di giudizio al quale informare la decisione sulla applicazione o meno della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, prima parte.
2.5.In sede di appello, peraltro, l'obbligo di motivazione è direttamente proporzionale alla specificità ed analiticità delle questioni dedotte con l'impugnazione della sentenza di primo grado a sostegno della richiesta di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a dedurre l'esistenza degli accordi transattivi e a spiegarne la congruità perchè in linea "con quelle che sono le liquidazioni giudiziali in casi simili e (perchè) teng(o)no conto sia della diversa modalità esecutiva delle condotte nei confronti delle diverse parti offese, sia di quelle che sono state indicate in atti come le conseguenze dalle stesse patite sotto il profilo psicologico".
2.6. In disparte la assoluta genericità (ed aspecificità) del richiamo alle liquidazioni operate in casi simili, correttamente la Corte di appello ha fornito la sua risposta ponendosi sullo stesso solco indicato dal ricorrente, ritenendo cioè non congrua la somma liquidata in favore della C. e della F. proprio "alla luce delle conseguenze pregiudizievoli concretamente subite (...) e degli ulteriori danni riportati alla loro vita di relazione". Tale conclusione si basa, a sua volta, sull'ampia esposizione dei fatti che la supportano: l'intera pagina 3 e un terzo della successiva pagina 4, sono dedicate alla illustrazione delle conseguenze, in termini di sofferenza psichica, di pregiudizio all'equilibrio psicologico e di danno alla vita di relazione, sofferte dalla C. e della F. e delle quali il ricorrente semplicemente si disinteressa nel suo ricorso.
2.7. Sicchè la motivazione offerta dalla Corte di appello è del tutto immune dalle censure mosse con il primo motivo.
3. E' invece fondato il secondo motivo (in esso assorbito il terzo).
3.1. La Corte di appello ha ritenuto congruo il risarcimento del danno liquidato alla P. e dunque applicabile la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, prima parte, negata dal primo Giudice. Ciò nonostante ha mantenuto invariata la pena irrogata in primo grado, senza apportarvi alcuna diminuzione, predicandone la adeguatezza e proporzionalità alla estrema gravità dei fatti, alla reiterazione delle condotte, alla pluralità delle parti offese, alla assenza di scrupoli dell'imputato.
3.2. Come autorevolmente affermato da Sez. U., n. 3286 del 27/11/2008, Chiodi, Rv. 241755-01, in tema di continuazione, la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso. Come successivamente precisato da Sez. 4, n. 4616 del 23/11/2017, Rv. 271947-01, in tema di continuazione, la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, non occorrendo, per il riconoscimento della detta attenuante, che l'integrale riparazione intervenga a favore di tutte le persone offese dei singoli reati avvinti dal vincolo della continuazione; ne deriva che, ove la condotta riparatoria sia intervenuta in riferimento soltanto a taluno dei singoli fatti di reato unificati per continuazione, gli effetti dell'attenuante si producono sulla pena base quando il risarcimento riguardi il reato più grave e sugli aumenti di pena quando riguardi i reati satelliti.
3.3. Nel caso di specie, escluso che il reato commesso ai danni della P. possa essere considerato il più grave (non fosse altro che per l'entità del danno liquidato) e rideterminando la pena base nei termini che saranno indicati nel p. 4 che segue (sette anni e sei mesi di reclusione), è sufficiente innestare sullo stesso calcolo effettuato dai Giudici di merito la ulteriore diminuzione di un terzo per la frazione di pena relativa alla condotta posta in essere ai danni della P., ottenendo il risultato indicato nel dispositivo.
4. Anche il quarto motivo è fondato.
4.1. I criteri per la determinazione della pena indicati dall'art. 133 c.p., forniscono al giudice l'armamentario per forgiare la condanna sulla persona dell'imputato in considerazione della finalità rieducativa della pena stessa. La centralità e l'importanza della sua quantificazione è stata più volte sottolineata dal Giudice delle leggi che ha ribadito che "il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena forma oggetto, nell'ambito del sistema penale, di un principio di livello costituzionale" rimarcando che la finalità rieducativa della pena stessa non è limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma costituisce "una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue" (sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le sentenze n. 129 del 2008, n. 257 del 2006, n. 341 del 1994)" (sentenza n. 183 del 10/06/2011).
4.2. La determinazione della pena, dunque, non può essere frutto di scelte immotivate nè arbitrarie, ma nemmeno di valutazioni esasperatamente analitiche. Quel che conta è che dell'uso del potere discrezionale il giudice dia conto rendendo intellegibili e razionalmente comprensibili (e dunque verificabili) gli elementi e i passaggi logici che giustificano l'uso di tale potere (art. 132 c.p.) non atteggiandosi, la quantificazione della pena, a zona franca dall'obbligo di motivazione imposto dalla Carta costituzionale a tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, comma 6; cfr., sul punto, anche la risalente Sez. 1, n. 5210 del 14/01/1987, Cardile, Rv. 175802, che ha ricordato come nell'irrogazione di una pena, relativa ad un reato circostanziato, analogamente a quanto previsto per un reato semplice, il giudice adempie all'obbligo di motivazione solo allorchè indica in modo specifico i motivi che giustificano l'uso del suo potere discrezionale al riguardo e non già adoperando delle formule stereotipate. Infatti, l'obbligo della motivazione, predisposto dalla legge, è generale, in quanto vale per tutti i provvedimenti per i quali la legge lo prescrive; indisponibile perchè deve essere adempiuto unicamente dall'autore del provvedimento; destinato ad essere pubblicizzato e completo, nel senso che deve essere quantitativamente correlato al dispositivo, con l'effetto che in assenza di queste caratteristiche non può dirsi compiutamente adempiuto).
4.3. A tal fine risulta ancora insuperato l'insegnamento di Sez. U., n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, condiviso dal Collegio, secondo cui è da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorchè sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto il giudice ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda, più recentemente, anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva; cfr., altresì, Sez. 1, n. 12364 del 02/07/1990, Italiano, Rv. 185320, secondo cui se è pur vero che non è richiesto l'analitico esame di ogni elemento del complesso parametro richiamato, resta tuttavia la doverosità della specifica individuazione delle ragioni determinanti la misura della pena, al fine di dar conto dell'uso corretto del potere discrezionale che al giudice di merito è affidato, e di garantire l'imputato della congruità della pena inflitta).
4.4. Quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall'art. 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla "entità del fatto" e alla "personalità dell'imputato (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani).
4.5. Secondo l'insegnamento consolidato di questa Corte, è consentito far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", solo quando il giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 3, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, Gagliano; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorchè nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluto). E' stato anzi precisato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
4.6. In sede di appello, inoltre, è necessario che il giudice si confronti anche con gli argomenti devoluti a sostegno del più mite trattamento sanzionatorio rivendicato dall'imputato purchè tali argomenti siano connotati dal requisito della specificità (Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997, Ingardia, Rv. 209443; Sez. 1, n. 8677 del 06/12/2000, Gasparro, Rv. 218140; Sez. 4, n. 110 del 05/12/1989, Bucali, Rv. 182965).
4.7. In effetti, con il secondo motivo di appello il ricorrente aveva contestato l'eccessiva severità del trattamento sanzionatorio (il primo Giudice aveva sì applicato le circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione ma partendo da una pena base di otto anni, superiore alla media edittale applicabile ratione temporis, per i fatti commessi prima che la L. n. 69 del 2019, art. 13, comma 1, cd. Codice rosso, aggravasse la pena per il reato di cui art. 609-bis c.p.); in particolare, aveva dedotto, quali fattori di possibile ulteriore attenuazione della pena, la sua età (essendo ormai ottantenne), la sua patologia (una malattia mista neurovegetativa e neurovascolare) e la sua sottoposizione ad una terapia riabilitativa in un centro specializzato nella cura della psicopatologia sessuale debitamente autorizzata dal GIP. 4.8. Di quest'ultimo dato, che costituisce comportamento successivo al reato positivamente valutabile ai fini della capacità a delinquere dell'imputato (fondate al riguardo le osservazioni ripotate nelle conclusioni scritte trasmesse per via telematica), non v'è traccia nella motivazione della sentenza, nè esso può ritenersi implicitamente confutato dalle considerazioni in tema di gravità oggettiva dei fatti.
4.9. Il vizio motivazione, dunque, sussiste ed è graficamente evidente.
4.10. Il Collegio, però, non ritiene necessario annullare la sentenza rinviando alla Corte di appello per la rideterminazione della pena, ritenendo possibile, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l), operare direttamente un'ulteriore diminuzione della pena-base riconducendola alla media edittale di sette anni e sei mesi di reclusione e riducendola a cinque anni per l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni tre, mesi otto e giorni tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2021