In tema di mandato di arresto europeo, in pendenza del ricorso per cassazione ex art. 22 legge 22 aprile 2005, n. 69, avverso la decisione che ha ritenuto sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna, la competenza a provvedere sulle istanze di revoca o di sostituzione delle misure coercitive applicate nel corso della procedura, a seguito delle modifiche alla disciplina dell'euromandato introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, spetta alla Corte di appello che ha emesso il provvedimento impugnato e non alla Corte di cassazione.
La novella legislativa del 2 febbraio 2021, il cui art. 6, comma 1, lett. b), ha sostituito la L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 5, prevedendo un espresso richiamo, nella disciplina della procedura passiva di consegna, all'applicabilità della disposizione di cui all'art. 299 c.p.p. (in tema di revoca e sostituzione delle misure coercitive personali), ed escludendo, al contempo, l'applicazione della regola prevista dall'art. 279 c.p.p., in tema di individuazione della competenza a provvedere sull'applicazione e sulla revoca e modificazione delle misure coercitive in capo al giudice che procede, trattandosi di una disposizione del tutto eccentrica rispetto al sistema di competenze configurato per i provvedimenti cautelari successivi alla ricezione del mandato e per i correlativi adempimenti.
Secondo la vigente formulazione del richiamato art. 9, comma 5, infatti, "Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi 1^, 2^, 4^ e 8^ del titolo I del libro 4^ del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per l'art. 273 c.p.p., art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a) e c), art. 280 c.p.p., art. 275 c.p.p., comma 2-bis, artt. 278, 279, 297 c.p.p., nonchè le disposizioni dell'art. 299 c.p.p. e art. 300 c.p.p., comma 4, e del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 19, commi 1, 2 e 3".
Nell'ipotesi in cui il provvedimento genetico subisca, nelle more della definizione della procedura di consegna, dei mutamenti determinati dall'evoluzione del quadro cautelare, troverà dunque applicazione, per quel che attiene alle ipotesi di revoca e sostituzione della misura, unicamente il disposto di cui all'art. 299 c.p.p. cit., che consente alla corte di appello, una volta applicata la misura coercitiva, di esaminare tutte le possibili evenienze legate all'aggravamento o all'attenuazione del quadro cautelare, con riferimento all'esigenza di garantire che la persona richiesta in consegna non si sottragga alla stessa (art. 9, comma 4, L. cit.).
La corte d'appello, pertanto, potrà attivarsi d'ufficio ovvero su istanza del procuratore generale o della persona in vinculis e il relativo procedimento si svolgerà de plano, nel rispetto delle previsioni che garantiscono l'intervento degli interessati.
Resta fermo, infatti, anche all'interno di tale impostazione ricostruttiva, il riferimento al meccanismo previsto dalla regola generale fissata dall'art. 91 disp. att. c.p.p. per la individuazione del giudice competente in ordine alle misure cautelari, lì dove si stabilisce che "durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato".
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sent., (data ud. 21/02/2023) 22/02/2023, n. 7862
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VILLONI Orlando - Presidente -
Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -
Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere -
Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
visti gli atti;
udita la relazione del Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, Avv. GA, che ha chiesto l'accoglimento dell'istanza.
Svolgimento del processo
1. Con istanza del 7 febbraio 2023 il difensore di A.A. - persona richiesta in consegna per effetto di un mandato di arresto Europeo emesso a fini esecutivi il 10 ottobre 2021 dalle competenti Autorità della Repubblica francese, a seguito di una sentenza del Tribunale di Parigi del 14 dicembre 2018, divenuta irrevocabile in pari data, che lo condannava in contumacia alla pena di trenta mesi di reclusione per delitti di importazione, detenzione, acquisto, trasporto offerta o cessione di stupefacenti, commessi dal (Omissis) - ha chiesto la revoca della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, applicatagli con ordinanza emessa il 19 dicembre 2022 dalla Corte di appello di Roma in sede di convalida dell'arresto eseguito il 17 dicembre 2022 dalla Polizia di frontiera aerea di Fiumicino, o, in subordine, la sua sostituzione con quella degli arresti domiciliari, eventualmente con l'applicazione dello strumento del braccialetto elettronico.
Assume al riguardo l'istante: a) che una precedente istanza di sostituzione della misura custodiale è stata rigettata dalla Corte di appello di Roma con sentenza pronunciata all'esito dell'udienza fissata per la consegna il 10 gennaio 2023; b) che tale sentenza disponeva, al contempo, la sua consegna alle Autorità francesi; c) che avverso tale decisione è stato presentato il 15 gennaio 2023 un ricorso per cassazione, la cui trattazione è stata fissata per l'udienza del 7 marzo 2023; d) che non sussistono i presupposti per la consegna, nè quelli per il mantenimento della misura custodiale in atto, così come dedotto nel primo motivo di ricorso; e) che in ogni caso ricorrono, per l'assenza del pericolo di fuga, i presupposti per la richiesta sostituzione della misura custodiale, attraverso l'applicazione della meno afflittiva misura cautelare degli arresti domiciliari presso un'abitazione affittata alla sorella e al cognato nella città di Viareggio, la cui proprietaria ha manifestato il suo consenso all'ospitalità.
2. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 15 febbraio 2023 il difensore, Avv. Guardone Alessandro, ha richiamato quanto già dedotto nel ricorso e nella successiva istanza di revoca o sostituzione della misura custodiale, insistendo nella richiesta di accoglimento sulla base del rilievo che dal mandato di arresto Europeo non si evincerebbero con certezza i dati relativi alla corretta informazione dell'avvio del processo e alla volontaria sottrazione ad esso, nè le indicazioni relative alle modalità di riapertura del processo e di esercizio del diritto di difesa.
Motivi della decisione
1. La su indicata istanza cautelare è stata presentata sull'erroneo presupposto della competenza di questa Suprema Corte a provvedere in ordine alle richieste di revoca e sostituzione delle misure cautelari personali applicate alla persona richiesta in consegna in pendenza del ricorso per cassazione ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22.
2. Nell'assetto normativo antecedente le modifiche introdotte alla disciplina del mandato di arresto Europeo con il D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, che ha adeguato la normativa nazionale in attuazione della delega prevista dalla L. 4 ottobre 2019, n. 117, art. 6, la competenza della Corte di cassazione, pur non espressamente prevista dalla speciale disciplina dettata per la procedura di consegna relativa al mandato di arresto Europeo, è stata generalmente ritenuta sulla base del richiamo ad una disposizione prevista in generale per la normativa estradizionale (art. 718 c.p.p.), il cui comma 1 consente di provvedere sulle istanze di revoca e sostituzione delle misure coercitive "nel corso del procedimento davanti alla Corte di cassazione" (v., ex multis, Sez. 6, n. 40631 del 21/10/2009, Wrzeszczynski; Sez. 6, n. 49329 del 22/12/2009, S.C.M: Sez. 6, n. 49327 del 22/12/2009, Lazurca; Sez. 6, n. 25870 del 05/07/2010, El Moustaid; Sez. 6, n. 7205 del 13/02/2013, Petraru).
L'applicazione di tale disposizione è stata ritenuta compatibile con il previgente assetto normativo della disciplina relativa al mandato di arresto Europeo in forza del generale richiamo operato dalla L. n. 69 del 2005, art. 39, comma 1, alle disposizioni del codice di procedura penale, per quanto in essa non espressamente previsto.
Una soluzione interpretativa, questa, che è apparsa pienamente in linea con il principio della prevalenza della normativa codicistica (ex art. 696 c.p.p., comma 3) nell'ipotesi in cui il diritto dell'Unione Europea, ovvero la normativa convenzionale e il diritto internazionale generale manchino o non dispongano diversamente.
3. Il quadro normativo di riferimento, tuttavia, è stato profondamente modificato a seguito della richiamata novella legislativa del 2 febbraio 2021, il cui art. 6, comma 1, lett. b), ha sostituito la L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 5, prevedendo un espresso richiamo, nella disciplina della procedura passiva di consegna, all'applicabilità della disposizione di cui all'art. 299 c.p.p. (in tema di revoca e sostituzione delle misure coercitive personali), ed escludendo, al contempo, l'applicazione della regola prevista dall'art. 279 c.p.p., in tema di individuazione della competenza a provvedere sull'applicazione e sulla revoca e modificazione delle misure coercitive in capo al giudice che procede, trattandosi di una disposizione del tutto eccentrica rispetto al sistema di competenze configurato per i provvedimenti cautelari successivi alla ricezione del mandato e per i correlativi adempimenti.
Secondo la vigente formulazione del richiamato art. 9, comma 5, infatti, "Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi 1^, 2^, 4^ e 8^ del titolo I del libro 4^ del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per l'art. 273 c.p.p., art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a) e c), art. 280 c.p.p., art. 275 c.p.p., comma 2-bis, artt. 278, 279, 297 c.p.p., nonchè le disposizioni dell'art. 299 c.p.p. e art. 300 c.p.p., comma 4, e del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 19, commi 1, 2 e 3".
Nell'ipotesi in cui il provvedimento genetico subisca, nelle more della definizione della procedura di consegna, dei mutamenti determinati dall'evoluzione del quadro cautelare, troverà dunque applicazione, per quel che attiene alle ipotesi di revoca e sostituzione della misura, unicamente il disposto di cui all'art. 299 c.p.p. cit., che consente alla corte di appello, una volta applicata la misura coercitiva, di esaminare tutte le possibili evenienze legate all'aggravamento o all'attenuazione del quadro cautelare, con riferimento all'esigenza di garantire che la persona richiesta in consegna non si sottragga alla stessa (art. 9, comma 4, L. cit.).
La corte d'appello, pertanto, potrà attivarsi d'ufficio ovvero su istanza del procuratore generale o della persona in vinculis e il relativo procedimento si svolgerà de plano (Sez. F, n. 33545 del 07/09/2010, Trzeciak, Rv. 248155), nel rispetto delle previsioni che garantiscono l'intervento degli interessati.
Resta fermo, infatti, anche all'interno di tale impostazione ricostruttiva, il riferimento al meccanismo previsto dalla regola generale fissata dall'art. 91 disp. att. c.p.p. per la individuazione del giudice competente in ordine alle misure cautelari, lì dove si stabilisce che "durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato".
Una regola, questa, la cui applicazione all'interno della procedura di consegna può opportunamente misurarsi anche sotto il diverso, ma strettamente connesso, profilo della contrazione dei tempi delineati dalla richiamata novella legislativa per l'assunzione, da parte della corte di appello, della decisione sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna: si tratta di cadenze temporali particolarmente stringenti, che il nuovo art. 17, comma 2, L. cit. fissa, a seguito della modificazione apportatavi dall'art. 13, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit. "...nel più breve tempo possibile e, comunque, entro quindici giorni dall'esecuzione della misura cautelare di cui all'art. 9 o, nel caso previsto dall'art. 11, dall'arresto della persona ricercata".
I termini dianzi indicati possono essere prorogati, con decreto del presidente della corte di appello, non oltre il periodo di dieci giorni, e solo quando non sia possibile rispettarli per la necessità di acquisire le informazioni integrative di cui all'art. 16 L. cit., o per altre circostanze oggettive, ai sensi della disposizione di nuovo conio prevista dall'art. 17, comma 2-bis, L. cit., come inserita nel sistema dall'art. 13, comma 1, lett. b), D.Lgs. cit..
All'interno di tali ristrette sequenze temporali è la corte d'appello, dunque, l'organo competente ad esprimere valutazioni sul "merito" della procedura di consegna e sulla verifica della persistenza delle correlate esigenze cautelari, tanto che, nella conseguente fase di cognizione, la misura coercitiva applicata deve essere immediatamente revocata, ai sensi dell'art. 17, comma 5, L. cit., qualora la corte non accolga la richiesta di consegna.
4. Il legislatore delegato, nel rispetto del principio stabilito dall'art. 111 Cost., comma 7, e ponendosi in linea di continuità con la normativa dettata per la procedura estradizionale, ha mantenuto fermo, anche a seguito della riforma del 2021, il rinvio diretto alla disposizione codicistica in materia di impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari: l'art. 9, comma 7, L. cit., infatti, rimanda alla possibile applicazione della norma generale di cui all'art. 719 c.p.p. e consente di impugnare le decisioni de libertate con ricorso per cassazione, delimitando l'area delle censure alla sola ipotesi della violazione di legge.
L'iter procedimentale che conduce alla decisione sulla richiesta di consegna a seguito di un mandato di arresto Europeo registra, come si è visto, numerosi interventi della corte di appello idonei a riverberare effetti sullo status libertatis.
Proprio per tale ragione il legislatore ha consentito ai soggetti legittimati di accedere al giudizio di legittimità proponendo ricorso per cassazione all'esito dell'incidente cautelare attivato contro il provvedimento genetico e contro tutti gli altri provvedimenti de libertate (siano essi coercitivi o negativi circa la necessità della coercizione) che la corte di appello abbia adottato nel corso della procedura di consegna, ivi compresi quelli aventi ad oggetto le istanze di revoca e sostituzione della misura formulate ai sensi dell'art. 299 cit..
Nessuna competenza in ordine alla decisione da assumere sulle istanze di revoca e sostituzione delle misure cautelari è stata invece attribuita alla Corte di cassazione in pendenza del ricorso proponibile, esclusivamente per le violazioni di legge individuate nell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b) e c), avverso la sentenza di consegna emessa dalla corte di appello ai sensi dell'art. 17 L. cit.: nulla infatti si prevede, al riguardo, nella pertinente disposizione di cui all'art. 22 L. cit., pur a seguito delle rilevanti modifiche operate dall'art. 18, comma 1, D.Lgs. cit. in relazione alla tipologia dei motivi deducibili, ai termini e alle modalità di presentazione del ricorso.
Una scelta, quella del legislatore, che può ritenersi giustificata anche in ragione della rilevante contrazione dell'arco temporale generalmente delineato per l'avvio e la definizione del giudizio di legittimità.
Particolarmente serrati, infatti, appaiono i ritmi che scandiscono la relativa procedura, poichè il giudice a quo è tenuto a trasmettere gli atti alla Corte di cassazione con precedenza su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo. Il giudice di legittimità, a sua volta, deve decidere entro il termine ordinatorio - di dieci giorni dalla ricezione degli atti, procedendo nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p., mentre le parti hanno il diritto di ricevere l'avviso di fissazione dell'udienza con un anticipo di almeno tre giorni.
Si tratta di cadenze temporali che appaiono difficilmente compatibili con gli incombenti legati ad una, in tesi concomitante, gestione dei tempi di un sindacato medio tempore esercitabile sul merito di istanze cautelari eventualmente formulate in pendenza della decisione definitiva da assumere secondo le nuove regole che governano la esperibilità del ricorso ex art. 22 L. cit..
Ulteriori accelerazioni, parimenti legate alle esigenze di semplificazione e rapidità della procedura di consegna, sono previste sia nell'art. 22, comma 4, che impone di depositare la decisione al termine dell'udienza e di redigere contestualmente la motivazione (adempimento, questo, che può essere posticipato non oltre il secondo giorno dalla pronuncia), sia nel comma 5-bis della testè richiamata disposizione, che a sua volta disciplina il ricorso proposto avverso l'ordinanza che definisce la procedura consensuale.
In tale ultima ipotesi, infatti, si delinea una procedura estremamente celere, nella quale il ricorso per cassazione deve essere depositato entro tre giorni e deve essere trasmesso da parte della cancelleria della corte d'appello alla Corte di cassazione immediatamente e comunque entro il giorno successivo. Il giudice di legittimità, a sua volta, deve decidere entro il termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, assumendo la decisione all'esito di una Camera di consiglio nella quale non è previsto l'intervento dei difensori.
Ancor più stringenti, infine, appaiono i tempi entro i quali deve celebrarsi il giudizio di rinvio, poichè gli atti devono essere trasmessi immediatamente, con precedenza assoluta su ogni altro affare e, comunque, entro il giorno successivo al deposito della motivazione, al giudice competente, il quale, a sua volta, deve decidere entro il termine di dieci giorni dalla ricezione, avvisando le parti con decreto comunicato o notificato entro quattro giorni prima.
5. Ulteriori, e decisive, conferme della validità di tale impostazione ricostruttiva emergono da altro versante di analisi dell'attuale disciplina normativa, là dove si delinea il sistema delle comunicazioni degli eventuali ritardi allo Stato emittente e, al contempo, dei termini che scandiscono la procedura di adozione della decisione definitiva e dei provvedimenti in ordine alle misure cautelari, secondo quanto previsto dal nuovo art. 22-bis L. cit., sì come inseritovi dall'art. 19, comma 1, D.Lgs. cit..
La principale finalità che il legislatore delegato ha inteso perseguire in materia cautelare è stata quella volta ad eliminare qualsiasi automatismo tra l'inutile spirare del termine previsto per la decisione sulla richiesta di consegna e la rimessione in libertà del destinatario del mandato di arresto Europeo: un automatismo che si poneva in contrasto sia con il disposto di cui all'art. 17, par. 5, della decisione quadro 2002/584/GAI (secondo cui "(f)intanto che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non prende una decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto Europeo, essa si accerterà che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva"), sia con la giurisprudenza al riguardo elaborata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (Corte giust. UE, Grande Sezione, 16 luglio 2015, Lanigan, C-237/15 PPU), secondo cui l'autorità giudiziaria dell'esecuzione rimane tenuta ad adottare la decisione sull'esecuzione del mandato d'arresto Europeo anche dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 17 cit., sempre che la durata della detenzione non risulti eccessiva alla luce delle caratteristiche del caso concreto, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti al fine di valutare la giustificazione della durata del termine, ivi compresa l'eventuale inerzia da parte delle autorità degli Stati membri interessati e, se del caso, il contributo della persona ricercata al prolungamento di tale durata.
Nella Relazione illustrativa si pone in rilievo, sotto tale profilo, la finalità di costruire "...un'autonoma disciplina dei termini di durata della misura custodiate eventualmente applicata nei confronti della persona richiesta, che pur assumendo a riferimento quelli dettati per l'assunzione della decisione sulla consegna da parte della corte d'appello, elimina qualsiasi automatismo tra il superamento di detti termini e la perdita di efficacia di detta misura".
Ora, la disposizione di cui all'art. 21 L. cit. (abrogata dall'art. 27, comma 1, D.Lgs. cit.) prevedeva, in particolare, che la persona richiesta in consegna dovesse essere rimessa in libertà qualora la corte d'appello non avesse deciso entro i termini indicati dagli artt. 14 e 17.
Nulla invece prevedeva il legislatore in relazione alla successiva, eventuale, progressione procedimentale (in conseguenza dell'avvio del giudizio di legittimità e del possibile giudizio di rinvio), poichè alcun limite di ordine cronologico veniva posto alla privazione della libertà personale nel corso di tali fasi del giudizio di consegna.
Sebbene tale disciplina fosse stata ritenuta rispettosa del precetto costituzionale di cui all'art. 13Cost., comma 5, in ragione del ristretto arco temporale entro il quale era destinata a concludersi la procedura (Sez. 6, n. 39770 del 05/10/2012, Agu, Rv. 253398), il legislatore delegato ha preferito porre rimedio alla rilevata discrasia interna al microsistema della nuova procedura di consegna, introducendo, nel nuovo art. 22-bis, commi 3 e 4 L. cit., un meccanismo di caducazione della misura custodiate calibrato sui tempi di svolgimento dell'intera procedura di consegna, senza individuare, tuttavia, alcun meccanismo di automatica perenzione della misura nel caso di un eventuale superamento dei nuovi termini di durata della procedura di consegna.
In particolare, nella richiamata disposizione di cui al comma 3 s'impone alla corte di appello di compiere una prima valutazione circa la necessità della restrizione cautelare qualora la decisione definitiva sulla consegna non sia intervenuta entro i novanta giorni successivi all'emissione del provvedimento genetico (quaranta nel caso della procedura consensuale).
Più precisamente, essa è tenuta a verificare se la custodia cautelare è ancora assolutamente necessaria per scongiurare il pericolo di fuga e se la sua durata è proporzionata rispetto all'entità della pena irrogata ovvero irrogabile per i fatti posti alla base dell'Euromandato. In caso contrario, la misura viene dalla medesima corte revocata ovvero, qualora sia necessario per garantire che la persona ricercata non si sottragga alla consegna, sostituita con altre, meno afflittive, misure coercitive, se del caso applicabili anche in via cumulativa.
Nella disposizione racchiusa nel successivo comma 4 si prevede un'ulteriore forma di controllo de libertate da parte della corte di appello, qualora il ritardo nell'adozione della decisione definitiva sulla richiesta di consegna si protragga ingiustificatamente oltre la scadenza del termine di novanta giorni (quaranta nel caso di procedura consensuale) e, comunque, nell'ipotesi in cui siano decorsi novanta giorni dalla scadenza di detti termini senza che sia intervenuta la decisione definitiva sulla consegna.
A fronte di tale evenienza, infatti, la corte di appello deve necessariamente revocare la misura della custodia cautelare. Tuttavia, se persiste l'esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, la predetta corte può decidere di applicare, anche cumulativamente, le meno afflittive misure coercitive di cui agli artt. 281, 282 e 283 c.p.p. e, nei confronti della persona minorenne, la misura di cui al D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 20.
Si tratta, evidentemente, di apprezzamenti di merito che, in relazione alla definizione delle questioni incidenti sulla materia de libertate, vengono dal legislatore affidati esclusivamente alla competenza della corte di appello, in pendenza dei termini fissati per l'adozione della decisione definitiva sulla richiesta di consegna.
Una competenza, dunque, specificamente riservata alla corte d'appello, che, per un verso, non potrebbe irragionevolmente sovrapporsi ad un'altra, non prevista, competenza del giudice di legittimità, e che il legislatore, per altro verso, ha inteso scindere da quella - del tutto diversa e genericamente attribuita alla "corte davanti alla quale pende il procedimento", quindi anche alla Corte di cassazione - legata all'assolvimento dei concorrenti oneri informativi in ordine alle ragioni del mancato rispetto dei termini di durata massima della procedura deliberativa.
Nell'art. 22-bis, comma 1, infatti, si stabilisce che, quando sulla richiesta di consegna - in assenza di consenso da parte dell'interessato - non sia stata emessa la decisione definitiva entro il termine di 60 giorni (decorrenti dall'esecuzione della misura cautelare o dall'arresto della persona ricercata o dalla deliberazione di non applicare alcuna misura), la corte dinanzi alla quale pende il procedimento (dunque, sia la corte distrettuale che la Corte di cassazione) informi immediatamente del ritardo e delle sue ragioni il Ministro della giustizia, al fine di darne comunicazione all'autorità giudiziaria richiedente.
Analoga situazione, poi, si registra nell'ulteriore evenienza in cui, decorso l'iniziale termine di sessanta giorni, non intervenga nei trenta giorni successivi la decisione definitiva, poichè è la corte dinanzi alla quale pende il procedimento che deve informare immediatamente del ritardo e delle ragioni che vi hanno dato causa il Ministro della giustizia, il quale a sua volta ne dà urgente comunicazione all'Eurojust, secondo la previsione di cui all'art. 22-bis, comma 2, L. cit..
Di contro, nella diversa, e residuale, ipotesi in cui sia stato validamente manifestato il consenso alla consegna da parte della persona interessata, è la sola corte di appello l'organo competente ad informare il Ministro della giustizia dei motivi che hanno impedito l'adozione della decisione nel termine di dieci giorni dalla data in cui il consenso è stato espresso (ex art. 22-bis, comma 1, secondo inciso, legge cit.).
6. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, la declaratoria di incompetenza, da parte di questa Suprema Corte, a provvedere sulla richiamata istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare custodiale in essere, con la contestuale trasmissione degli atti alla Corte di appello in dispositivo indicata.
P.Q.M.
Dichiara la propria incompetenza a decidere in ordine all'istanza presentata nell'interesse di A.A. e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2023