Coltivare 40 piante di marijuana contenenti 8,960 di THC puro (358 dosi singole) è reato.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 luglio – 22 settembre 2017, n. 43849
Presidente Blaiotta – Relatore Cappello
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del tribunale capitolino, appellata da S.G. , condannato per il reato di cui all’art. 73 d. P.R. 309/90, per avere coltivato nella sua abitazione 40 piante di marijuana e per aver detenuto gr. 21 di marijuana e gr. 3,3 di hashish, ha ridotto la pena, concedendo al predetto i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, confermando nel resto.
Questa, in sintesi, la vicenda, per come ricostruita nella sentenza impugnata.
Nell’ambito di una più ampia indagine per altro reato, era stata eseguita una perquisizione personale, estesa anche al domicilio del S. , notato uscire dalla sua abitazione insieme a tale F.A. , entrambi intenti a fumare marijuana. Nell’occorso, gli operanti avevano rinvenuto una bustina di plastica negli slip del S. e, in casa del predetto, due serre, dotate di lampade e di sistema di ventilazione, contenenti alcune piante di cannabis, altre più giovani in un armadio illuminato e riscaldato, materiale per la coltivazione, un bilancino elettronico, un barattolo contenente hashish e uno contenente marijuana, oltre a materiale per fumare.
La Corte d’appello ha precisato che, contrariamente a quanto contestato, dal verbale di sequestro era emerso che le piantine in vaso erano 14 e che 21 ramoscelli erano inseriti in spugne per la riproduzione.
Gli esiti dell’indagine tossicologica avevano consentito comunque di accertare che nei contenitori erano conservati modesti quantitativi di hashish e marijuana, laddove le piante avevano un contenuto in THC del 5%, per gr. 179,3 di prodotto essiccato, pari a gr. 8,960 di THC puro, da cui potevano trarsi 358 dosi singole.
2. L’imputato ha proposto ricorso personale, formulando un unico motivo, con il quale ha contestato la decisione di non riconoscere alla condotta la minima offensività, assumendo un travisamento del fatto, del quale propone una diversa ricostruzione, anche in termini di numero di piantine e dimensioni della coltivazione, sotto altro profilo invocando la destinazione esclusivamente personale della droga, avuto riguardo alla sua condizione di tossicodipendenza e rilevando la contraddittorietà delle motivazioni con le quali la Corte di merito ha escluso la ricorrenza dei presupposti per applicare l’istituto di cui all’art. 131 bis cod. pen., contestando infine la valutazione in ordine alle allegate condizioni psichiche correlate all’abuso di sostanze stupefacenti.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Con la sentenza impugnata, la Corte romana, a fronte della linea difensiva con cui si era prospettata la destinazione ad uso personale della droga, ne ha ritenuto la irrilevanza in concreto alla luce della condotta contestata (quella, cioè, di coltivazione) per la quale il legislatore ha introdotto una evidente anticipazione della tutela penale, richiamando in sentenza l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla rilevanza penale della coltivazione c.d. domestica.
In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto sussistente una offensività in concreto della condotta, ricavandola dal quantitativo, giudicato considerevole, di principio attivo ricavabile dalle piante e dalla circostanza che l’imputato aveva dimostrato di saper padroneggiare la tecnica di coltivazione, essendo attrezzato per una produzione continuativa, suscettibile quindi di futuro sviluppo, come tale scarsamente conciliabile con la mera occasionalità della condotta e con una destinazione al consumo personale, anche da parte di un forte consumatore.
Sotto altro profilo, quel giudice ha pure stigmatizzato la circostanza che l’imputato era stato trovato in possesso di altre sostanze, già pronte all’uso e che al momento del controllo egli aveva già ceduto a titolo gratuito della droga al F. , escludendo l’ipotesi di minima offensività di cui all’art. 73 co. 5 d.P.R. 309/90 e, a maggior ragione, anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen..
Infine, con riguardo alla prospettata incapacità d’intendere e volere, la Corte romana ha ritenuto che gli elementi allegati non fossero neppure idonei a far sorgere il dubbio di una tale condizione, osservando come i disturbi della personalità cui rimandavano alcune relazioni prodotte non potessero considerarsi di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità d’intendere e volere, escludendola o facendola grandemente scemare, rilevando che il S. da anni aveva una vita personale e lavorativa autonoma del tutto inconciliabile con disturbi incidenti in maniera rilevante su tale capacità, neppure riconoscendo un nesso eziologico tra il disturbo mentale menzionato nelle relazioni allegate ("disturbo schizo-affettivo in paziente con abuso di sostanze", "disturbo affettivo bipolare, con ansia generalizzata e depressione, da cui discendeva una possibile diminuzione delle capacità cognitive e volitive") e il fatto di reato per cui si procede, il cui disvalore penale ha ritenuto di immediata ed elementare percepibilità anche da parte di soggetto di scarsa dotazione intellettuale.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
3.1. Questa Corte ha già più volte ribadito che è condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (cfr. Sez. U. n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920 (in cui si fa espresso rinvio ai principi formulati dal giudice delle leggi nelle decisioni n. 360 del 1995 e n. 296 del 1996); conf. Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta, non massimata).
Sebbene, anche successivamente a tali fondamentali arresti, si sia continuato a discutere in sede di legittimità della necessità che il giudice valuti in concreto la offensività di una condotta di coltivazione "domestica" di stupefacente e si siano - in taluni casi - ratificate decisioni di assoluzione, anche in ipotesi di piantine in grado di produrre sostanza con effetto drogante (cfr. sez. 4, n. 25674 del 17.2.2011, Rv. 250721, sez. 6, n. 33385 dell’8.4.2014, Rv. 260170; sez. 6, n. 22110 del 2.5.2013, Rv. 255733), tuttavia, ritiene il Collegio che non possa prescindersi dal valutare il problema alla luce dei principi formulati dalla Consulta nella sentenza n. 360 del 1995.
In quella sede, infatti, il giudice delle leggi ha riconosciuto la legittimità costituzionale della previsione di persistente illiceità penale della coltivazione, anche qualora univocamente destinata all’uso personale ed indipendentemente dalla quantità di principio attivo prodotto, essa resistendo anche alla verifica condotta (ex artt. 25 e 27 Cost.) alla stregua del principio di offensività, ben potendo detta condotta valutarsi come pericolosa "...ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga", non mancando di precisare, tuttavia, come costituisca "questione meramente interpretativa, rimessa altresì al giudice ordinario, la identificazione, in termini più o meno restrittivi, della nozione di coltivazione che, sotto altro profilo, incide anch’essa sulla linea di confine del penalmente illecito".
Sulla scorta di tale arresto, e del dictum rinvenibile nella sentenza delle Sezioni Unite del 2008, Di Salvia, si è così affermato che la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga (cfr. sez. 6 n. 51497 del 04/12/2013, Rv. 258503, in fattispecie relativa alla coltivazione di una pluralità di piantine di cannabis indica all’interno di una serra rudimentale); escludendola invece qualora il giudice accerti l’inoffensività in concreto della condotta, per essere questa di tale minima entità da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (cfr. Sez. 6 n. 5254 del 10/11/2015 Ud. (dep. 09/02/2016), Rv. 265641; n. 33835 dell’08/04/2014, Rv. 260170; n. 22110 del 02/05/2013, Rv. 255733, in fattispecie in cui, rispettivamente, la S.C. ha escluso il reato per la coltivazione di due piante di canapa indiana e la detenzione di 20 foglie della medesima pianta, in presenza di una produzione che, pur raggiungendo la soglia drogante, era "assolutamente minima"; o in cui la Corte ha ritenuto penalmente irrilevante la coltivazione di due piantine di marijuana contenenti un principio attivo inferiore al quantitativo massimo detenibile; o, ancora, in cui si è esclusa l’idoneità offensiva della condotta di coltivazione domestica di tre piantine di marijuana poste in distinti vasetti e dotate di potere drogante).
Analogamente, questa stessa sezione ha ritenuto la condotta di coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana (con principio attivo pari a mg. 16) inoffensiva ex art. 49 cod. pen. e tale da non integrare il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (cfr. Sez. 4 n. 25674 del 17/02/2011, Rv. 250721), altrove precisando come, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, il dato ponderale possa sì assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull’offensività della condotta, la quale però non può essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall’art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. Sez. 4 n. 43184 del 20/09/2013, Rv. 258095).
Tali principi si rinvengono anche in altre pronunce, nelle quali la verifica della concreta offensività della condotta è stata parimenti tarata sulla concreta attitudine della produzione ad incrementare il mercato della droga (in tal senso, cfr. sez. 3 n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174 (in fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il reato relativamente alla coltivazione n.43 piantine di "cannabis" - che all’atto dell’accertamento avevano un contenuto di sostanza ricavabile inferiore sia al valore di una dose singola che alla dose soglia - per la presenza di semi e di impianti di innaffiamento e riscaldamento dei locali, finalizzati a favorire la crescita e lo sviluppo della coltivazione), essendosi anche affermato che il dato ponderale può assumere rilevanza, al fine di fornire indicazioni sull’offensività in concreto della condotta, soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, l’effetto psicotropo (cfr. sez. 4 n. 44136 del 27/10/2015, Rv. 264910)).
3.2. Nel caso all’esame, la Corte di merito ha ampiamente motivato in ordine al disvalore del fatto, rilevandone la non lievità alla luce di elementi che attengono allo scrutinio affidato al giudice del merito, al quale incombe unicamente di darne congrua, logica e non contraddittoria motivazione, come si ritiene aver fatto la Corte territoriale con la sentenza censurata.
4. Quanto al profilo che riguarda il dedotto vizio di mente, la Corte territoriale ha altrettanto congruamente e logicamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il disturbo attestato dalle prodotte certificazioni non aveva consistenza, intensità e gravità tali da incidere sulla capacità d’intendere e volere dell’imputato, sì da escluderla o scemarla grandemente, tenuto conto delle condizioni di vita personale e lavorativa dell’uomo, altresì rilevando l’insussistenza di un collegamento tra i predetti disturbi e la condotta di reato. Trattasi, ancora una volta, di apprezzamento di merito, insuscettibile di scrutinio da parte di questa Corte, siccome sorretto da motivazione esente dalle censure dedotte, oltre che del tutto allineata ai principi più volte affermati da questa Corte (cfr., ex multis, Sez. U. n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317; sez. 1 n. 17853 del 17/02/2009, Rv. 244538; sez. 6 n. 43285 del 27/10/2009, Rv. 245253; sez. 1 n. 14808 del 04/04/2012, Rv. 252289; sez. 3 n. 1161 del 20/11/2013 Ud. (dep. 14/01/2014), Rv. 257923; sez. 1 n. 52951 del 25/06/2014, Rv. 261339).
5. Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.