Il difensore ha diritto incondizionato ad accedere alle registrazioni intercettate, cn correlativo obbligo del pubblico ministero di assicurarlo.
L’inottemperanza a tale obbligo può comportare responsabilità disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme processuali richiamato dall’art. 124 c.p.p., e, ove ne sussistano le condizioni di legge, anche penali
In caso il diritto ad ottenere cpia dei files audio delle intercettazioni non venga soddisfatto, vi è lesione del diritto di difesa: si tratta di una nullità generale, ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), da qualificare "a regime intermedio" a norma del combinato disposto degli artt. 179 e 180 c.p.p. (con eventuali sanatoria di cui agli artt. 180, 182 e 183 c.p.p.).
Tale lesione, che il giudice della impugnazione cautelare deve verificare ed eventualmente dichiarare, deriva da un fatto omissivo (mancato rilascio di copia) che non può, per sua natura, essere dichiarato nullo.
Ove peraltro al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal P.M.; non comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271 c.p.p., comma 1; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300, 301, 302, 303 c.p.p., art. 309 c.p.p., comma 10).
Il macnato rilascio delle copia dei files delle intercettazioni determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati.
Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la sua decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle intercettazioni riportato in forma cartacea, in mancanza della denegata possibilità di riscontrarne la sua effettiva conformità alla traccia fonica.
Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata patologia, non potrà utilizzare quel dato nel procedere alla valutazione della prova: in tal senso ed a tali fini quel dato, perciò, rimane in quella sede inutilizzabile.
Il giudice del riesame dovrà però procedere alla c.d. prova di resistenza e valutare, cioè, se quel dato non assuma rilevanza decisiva nel contesto della intera evidenza procedimentale rinvenibile, che gli consenta di egualmente esprimere il suo conclusivo divisamento riguardo alla sussistenza del richiesto grave quadro indiziario. Se, invece, il provvedimento cautelare si fondi decisivamente su quel dato, quella nullità tempestivamente e ritualmente dedotta comporta l’annullamento della ordinanza cautelare, proprio perché la verifica effettuata nel giudizio di riesame induce ad una valutazione di insussistenza del richiesto grave quadro indiziario. E lo stesso è da dirsi, mutatis mutandis, nel caso di appello cautelare, ex art. 310 c.p.p. L’eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testè indicate, non preclude al pubblico ministero la possibilità di reiterare la richiesta ed al G.I.P. di accoglierla, se la nuova richiesta sia, questa volta, corredata dal relativo supporto fonico, e non più solo cartaceo.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 11 febbraio – 14 aprile 2020, n. 12043
Presidente Di Nicola – Relatore Di Stasi
Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 25/07/2019, il Tribunale di Catanzaro accoglieva la richiesta di riesame proposta, nell’interesse di T.M. , avverso l’ordinanza resa in data 27/06/2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con la quale era stata applicata al predetto la misura cautelare dell’obbligo di dimora in relazione al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; per l’effetto, il Tribunale annullava l’ordinanza impugnata e dichiarava cessata la misura cautelare.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, articolando un unico motivo con il quale deduce erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 268, 293 e 178 c.p.p. e vizio di motivazione.
Il ricorrente espone che il Pm aveva autorizzato la difesa dell’indagato all’ascolto delle tracce audio delle conversazioni intercettate, accesso di fatto mai avvenuto, e, poi, successivamente anche ad ottenere il rilascio di copia integrale degli atti.
Argomenta, poi, che l’autorizzazione all’accesso alle registrazioni per il tramite dell’ascolto diretto non costituiva vulnus al diritto di difesa, potendo lo stesso essere ampiamente esercitato in concreto dal difensore mediante accesso all’Ufficio ed alla strumentazione ivi messa a disposizione; il diritto alla copia degli atti era in posizione gradata rispetto al diritto alla visione degli stessi tramite ascolto delle fonie.
Era, dunque, erronea la decisione del Tribunale del riesame che aveva ritenuto integrata una compromissione del diritto di difesa per la mancata autorizzazione del rilascio di copie dei file delle intercettazioni, e, quindi l’inutilizzabilità a fini cautelari delle intercettazioni; si profilava, invece, un concreto rischio di uso arbitrario del diritto di difesa ove esercitato quale mero strumento di paralisi o di ritardo e per il solo scopo di difesa dal processo e non nel processo.
Inoltre, la decisione del Tribunale era viziata anche sotto il profilo motivazionale perché il Collegio aveva erroneamente ritenuto che l’impianto accusatorio era basato solo sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche; essa, invero, trovava riscontro anche nelle attività di osservazione degli organi di polizia giudiziaria, quali pedinamenti, controlli su strada, sequestri ed arresti.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente dell’ulteriore doglianza proposta, secondo le argomentazioni che seguono.
2. Deve osservarsi che, secondo il dictum delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala Rv. 246907), in tema di riesame, l’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 4 l’accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati.
Ne consegue che, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all’art. 309 c.p.p., comma 9, le suddette trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel giudizio de libertate.
In particolare, si è osservato che il "diritto incondizionato" del difensore di accedere alle registrazioni di conversazioni o comunicazioni e di ottenerne copia "allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali" è stato riconosciuto da Corte Costituzione con sentenza n. 336 del 10 ottobre 2008, a "tutela del diritto di difesa anche in relazione ad una misura restrittiva della libertà personale già eseguita"; ed ancora che "la Corte Costituzionale dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 268 c.p.p., (nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione della ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate) ha stabilito il diritto della parte ad accedere alle registrazioni effettuate, utilizzate ai fini cautelari, anche prima del loro deposito ai sensi del comma 4 cit. norma; così stabilendo, in sostanza, un obbligo per il pubblico ministero, a richiesta della parte, di completa discovery del mezzo di prova utilizzato ai fini della imposizione della misura cautelare, con l’effetto, tra l’altro, di configurare, sia pure limitatamente alla sola materia delle intercettazioni, il diritto previsto dall’art. 293 c.p.p., comma 3, non più solo come strumento di conoscenza degli elementi su cui è fondata l’ordinanza cautelare, ma come diritto alla piena conoscenza degli elementi che il giudice ha utilizzato nell’emettere il provvedimento restrittivo della libertà personale.
E, si è precisato, che al diritto del difensore di accedere alle registrazioni corrisponde un obbligo del pubblico ministero di assicurarlo. La Corte, difatti, ha configurato tale diritto come "incondizionato", rilevando che, come si è già ricordato, "le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria".
E proprio da tanto è stata tratta la conclusione che la pregressa normativa, che tale accesso in quella fase e stato del procedimento non assicurava, ledeva il diritto di difesa costituzionalmente presidiato dall’art. 24 Cost., comma 2, ed il principio di parità delle parti nel processo sancito dall’art. 111, comma 2 Carta fondamentale.
L’inottemperanza a tale obbligo, si è detto, può comportare responsabilità disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme processuali richiamato dall’art. 124 c.p.p., e, ove ne sussistano le condizioni di legge, anche penali (si veda il principio affermato da Sez. Un., 24 settembre 2009, n. 40538, a proposito della tardiva iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., ivi statuendosi che "gli eventuali ritardi sono privi di conseguenze" in quel caso, "fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale").
Ne deriva - si è quindi osservato - che, se questo diritto non viene soddisfatto, la conseguente lesione del diritto di difesa integra, appunto, una nullità generale, ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), da qualificare "a regime intermedio" a norma del combinato disposto degli artt. 179 e 180 c.p.p..
Tale lesione, che il giudice della impugnazione cautelare deve verificare ed eventualmente dichiarare, deriva da un fatto omissivo (mancato rilascio di copia) che non può, per sua natura, essere dichiarato nullo.
Le Sezioni Unite hanno, poi, chiarito che, "ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal P.M.; non comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271 c.p.p., comma 1; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300, 301, 302, 303 c.p.p., art. 309 c.p.p., comma 10).
Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. Esso comporta, quindi, una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c), soggetta al regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180, 182 e 183 c.p.p..
Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la sua decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle intercettazioni riportato in forma cartacea, in mancanza della denegata possibilità di riscontrarne la sua effettiva conformità alla traccia fonica. Esso, difatti, è stato, bensì, legittimamente considerato, nella sua forma cartacea, al momento della emissione del provvedimento cautelare; ma, dovendo, poi, il tribunale distrettuale (ri)esaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti quel provvedimento, la difensiva richiesta di accesso depriva quel dato di definitiva valenza probatoria, nella sua presunzione assoluta di conformità, che rimane non verificata prima che si dia ingresso e concreta attuazione alla espressa richiesta della parte in tal senso formulata. In sede di riesame il dato assume tale connotazione di definitività probatoria solo quando la parte sia stata posta in condizione di verificare quella conformità, esercitando il richiesto diritto di accesso. Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata patologia, non potrà utilizzare quel dato nel procedere alla valutazione della prova: in tal senso ed a tali fini quel dato, perciò, rimane in quella sede inutilizzabile. Del resto, ed in diverso ambito, tale regola è rinvenibile nel sistema: difatti, ai sensi dell’art. 195 c.p.p., comma 3, in tema di testimonianza indiretta, nel caso di mancato esame della fonte di riferimento nonostante la richiesta di parte, le dichiarazioni de relato sono espressamente dichiarate inutilizzabili. Egli dovrà, semmai, procedere alla c.d. prova di resistenza e valutare, cioè, se quel dato non assuma rilevanza decisiva nel contesto della intera evidenza procedimentale rinvenibile, che gli consenta di egualmente esprimere il suo conclusivo divisamento riguardo alla sussistenza del richiesto grave quadro indiziario. Se, invece, il provvedimento cautelare si fondi decisivamente su quel dato, quella nullità tempestivamente e ritualmente dedotta comporta l’annullamento della ordinanza cautelare, proprio perché la verifica effettuata nel giudizio di riesame induce ad una valutazione di insussistenza del richiesto grave quadro indiziario. E lo stesso è da dirsi, mutatis mutandis, nel caso di appello cautelare, ex art. 310 c.p.p. L’eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testè indicate, non preclude al pubblico ministero la possibilità di reiterare la richiesta ed al G.I.P. di accoglierla, se la nuova richiesta sia, questa volta, corredata dal relativo supporto fonico, e non più solo cartaceo".
Nel solco della predetta sentenza si collocano le successive Sez. 6, n. 45880 del 10/10/2011, Rv. 251182; Sez.6 n. 45984 del 10/10/2011, Rv.251274;; Sez. 1, n. 37366 del 06/06/2014, Rv.261240; Sez. 6, n. 56990 del 06/11/2017, Rv. 271746; Sez.6 n. 50760 del 26/09/2017, Rv. 271510; Sez. 6 n. 32391 del 22/05/2019, Rv.276476 - 01, che hanno ribadito il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
3. Tanto esposto in punto di diritto, va osservato che, nella specie, risultavano agli atti tempestive e specifiche richieste di rilascio di copia dei file audio delle intercettazioni poste a fondamento della misura cautelare eseguita nei confronti del ricorrente, richieste depositate in data 3.7.2019 (prot. n. 2313) e 8.7.2019 (prot. n. 2359) nell’ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ed in relazione alle quali il Pm, in pari data, autorizzava solo l’ascolto delle tracce audio 8.7.2019.
Tali provvedimenti sono stati correttamente valutati dal Tribunale come lesivi del diritto di difesa, in linea con i principi di diritto suesposti e, sotto tale profilo, risultano infondate le doglianze mosse dal ricorrente.
Il ricorrente ha, però anche rimarcato che la difesa dell’indagato aveva depositato presso gli uffici della Procura in data 8.7.2019 ulteriore istanza di rilascio di copia integrale degli atti posti a sostegno dei provvedimenti di fermo e della richiesta della misura cautelare (prot. n. 2358) e che in relazione a tale istanza il Pm, in pari data, aveva autorizzato il rilascio di copia degli atti.
Tale ultimo provvedimento autorizzativo, richiamato in ricorso ed allegato allo stesso, non è stato preso in considerazione dal Tribunale del riesame, che ha focalizzato la sua attenzione, come detto, solo sulle prime due richieste di autorizzazione menzionate, in relazione alle quali l’autorizzazione del Pm era stata effettivamente limitata al solo ascolto delle tracce audio.
4. Ne consegue che risulta integrato il dedotto vizio motivazionale, avendo il Tribunale pretermesso la valutazione di un atto processuale rilevante ai fini della decisione della questione esaminata in via preliminare.
5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catanzaro, Sezione riesame.