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Contestazione tardiva di aggravante rende il reato procedibile di ufficio (Cass. 41171/24)

8 novembre 2024, Cassazione penale

L'impianto della novella legislativa introdotta con la riforma Cartabia conferma che il PM non solo può, ma deve - anche ove richiesto dal giudice - procedere, alla prima udienza utile, alla contestazione suppletiva dell'aggravante che, nella specie, rende il reato procedibile d'ufficio, avendone il potere e l'occasione (offerta dal segmento processuale dell'udienza nel contraddittorio delle parti, che deve sempre precedere l'assunzione della decisione); una volta formulata la contestazione, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l'ostacolo processuale al prosieguo dell'azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di improcedibilità, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia "ora per allora", dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità - a differenza dell'ipotesi di estinzione di un reato che, essendo venuto meno nella dimensione sostanziale, non può rivivere - anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e la decisione deve verificare la situazione al momento in cui è resa.

Il potere di contestazione suppletiva ex art. 517 c.p.p. non soffre alcuna preclusione legata al decorso del termine per presentare la querela, dal momento che la pronuncia non opera «ora per allora», come per le cause estintive, ma è riferibile al momento in cui la causa di improcedibilità deve essere accertata, con conseguente rilevanza dei fatti sopravvenuti. 

Operata, quindi, la contestazione suppletiva della circostanza aggravante, il thema decidendum del processo si estenderà ad essa, facendo così venir meno ogni ostacolo al proseguimento dell'azione penale.


Corte di Cassazione

Sez. IV penale

 ud. 3 ottobre 2024 (dep. 8 novembre 2024), n. 41171

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.P. - in relazione al reato contestato ai sensi degli artt. 624 e 625, n.2, cod.pen. - per mancanza della necessaria condizione di procedibilità costituita dalla querela.

Il Tribunale ha osservato che, all'esito dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150, la fattispecie contestata rientrava tra quelle divenute perseguibili a querela, disposizione da intendersi applicabile retroattivamente; ha rilevato che, in riferimento al regime transitorio dettato dall'art.85 del d.lgs. citato e alla conseguente decorrenza del termine per proporre querela dalla data di entrata in vigore della riforma, non era stata presentata alcuna effettiva istanza di punizione da parte di soggetti effettivamente legittimati per conto della persona offesa; ha altresì rilevato che non poteva attribuirsi alcuna valenza processuale alla contestazione suppletiva operata dal P.m. e avente a oggetto la circostanza aggravante prevista dall'art. 625, n.7, cod.pen., in quanto tardivamente operata dopo che doveva intendersi emersa l'insussistenza sopravvenuta della condizione di procedibilità e quindi avvenuta all'interno di un segmento processuale al cui interno l'esercizio della relativa facoltà doveva intendersi ormai precluso.

2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso immediato per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata, articolando un unitario motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Ha censurato la decisione del Tribunale di ritenere quale tamquam non esset la richiesta modifica del capo di imputazione in riferimento alla circostanza aggravante prevista dall'art.625, n.7, cod.pen., da operare ai sensi dell'art.517 cod.proc.pen., ritenendo che non si trattasse di un'attività processuale ulteriore rispetto a quelle effettivamente consentite e tanto pure in presenza dell'avvenuta decorrenza - alla luce della disciplina transitoria contenuta nel d.lgs. n. 150/2022 - del termine per la proposizione della querela.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e con trasmissione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Parte ricorrente ha proposto un unitario motivo di doglianza, con il quale ha dedotto la violazione della legge processuale derivante dall'avere ritenuto irrilevante la contestazione suppletiva di una ulteriore circostanza aggravante - ai sensi dell'art. 517 cod.proc.pen. - tale da determinare la procedibilità d'ufficio del reato contestato.

3. Va quindi premesso che la fattispecie contestata all'odierno imputato (artt. 624 e 625, n.2 cod.pen.), è divenuta procedibile a querela a seguito della modifica dell'art.624, comma 3, cod.pen., intervenuta per effetto dell'art. 2, comma 1, lett.i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150, applicabile a decorrere dal 30 dicembre 2022; in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l'art.85 dello stesso decreto ha stabilito che «Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».

In particolare, questa Corte ha altresì chiarito che il nuovo regime di procedibilità introdotto dal d.lgs. n.150 del 2022 trova applicazione anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore (Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 - 01), come già affermato in continuità con il principio sancito anche in occasione di precedenti interventi legislativi di analogo segno (Sez. 2, n. 21700 del 17/04/2019, Sibio, Rv.276651 - 01; Sez. 5, n. 22143 del 17/04/2019, D., Rv. 275924 - 01).

Va quindi rilevato che, nel termine previsto dalla disposizione transitoria, il giudice di primo grado ha espressamente dato atto che non è stato presentato da parte della persona offesa un atto di querela valutabile ai sensi degli artt. 336 e 337 cod.proc.pen..

4. Ciò posto, il motivo di ricorso è fondato.

La questione posta nel motivo di impugnazione attiene alla legittimità della decisione del Tribunale ove ha ritenuto tamquam non esset la contestazione suppletiva operata dal p.m. e attinente a circostanza idonea a ritenere la persistente perseguibilità d'ufficio del reato ascritto.

Sulla questione - divenuta di stretta attualità a seguito della cd. riforma Cartabia, in relazione ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - si riscontrano due diversi orientamenti da parte della giurisprudenza di legittimità.

5. Secondo un primo orientamento (risalente, per quanto consta, a Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, Rv. 285216 - 01), è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all'art. 85 del d.lgs. citato, modificare l'imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un'aggravante che rende il reato procedibile d'ufficio (cfr. successivamente, fra le tante, Sez. 4, n. 50258 del 22/11/2023, Rv. 285471 - 01, in una fattispecie relativa a furto di energia elettrica, in cui la Corte ha annullato la decisione di proscioglimento sul rilievo che il Tribunale non aveva consentito al pubblico ministero di contestare, in via suppletiva, l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., già descritta nell'imputazione, che avrebbe reso il delitto, avente ad oggetto un bene funzionalmente destinato a pubblico servizio, procedibile d'ufficio).

Tale orientamento, in sintesi, valorizza il disposto di cui all'art. 517 cod. proc. pen., per affermare che il Pubblico ministero è sempre legittimato ad effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che modifichi il regime di procedibilità del reato, indipendentemente dall'avvenuto decorso del termine per proporre querela in relazione al reato originariamente contestato. Tale facoltà dell'accusa, espressamente prevista dal codice di rito, impone al Giudice di decidere sulla rimodulata regiudicanda, onde verificare la sussistenza dei presupposti della contestata circostanza aggravante, traendone le relative conseguenze in tema di procedibilità del reato. D'altra parte - prosegue tale orientamento - il giudicante, a norma del codice di rito, non può esercitare alcun sindacato preventivo sull'ammissibilità della contestazione del fatto diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio o del reato concorrente o della circostanza aggravante non menzionati in tale decreto, dovendo invece provvedere sul capo d'imputazione come modificato, stabilendo se sussiste o meno la responsabilità penale dell'Imputato (cfr. Sez. 2, n. 9039 del 17/01/2023, Rv. 284289 - 01).

6. Un secondo orientamento, invece, ha stabilito che, in tema di reati divenuti procedibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ove sia decorso il termine previsto dall'art. 85 d.lgs. citato senza che sia stata proposta la querela, il giudice è tenuto, ex art. 129 cod. proc. pen., a pronunciare sentenza di improcedibilità, non essendo consentito al pubblico ministero la modifica dell'imputazione ex art. 517 cod. proc. pen. mediante contestazione di un'aggravante che renda il reato procedibile d'ufficio (cfr. Sez. 4, n. 44157 del 03/10/2023, Rv. 285647 - 01; in una fattispecie relativa a furto di energia elettrica, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di improcedibilità, sul rilievo che il contestato furto con violenza sulle cose fosse divenuto procedibile a querela).

Tale orientamento, in sintesi, valorizza i principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, in base ai quali l'accertato difetto - originario o sopravvenuto - di una condizione di procedibilità, preclude lo svolgimento di qualsiasi attività processuale di parte e di qualsiasi ulteriore accertamento in punto di fatto, comportando quindi l'obbligo in capo al giudice, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., di dichiarare l'immediata improcedibilità dell'azione penale (cfr. Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, Martinenghi, Rv. 245163; Sez. 2, n. 45160 del 22/10/2015, Gioia, Rv. 265098).

Facendo poi riferimento al parallelo filone interpretativo, secondo cui l'avvenuto decorso del termine prescrizionale preclude la successiva contestazione della circostanza aggravante (da cui deriverebbe un termine più lungo di prescrizione), in quanto il reato si sarebbe già estinto e la nuova contestazione non potrebbe avere l'effetto di farlo rivivere, residuando unicamente l'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione codificato dall'art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, Rv. 271745'; Sez. 6 n. 47499 del 22/09/2015, Rv. 265560 ed altre), il citato orientamento ha affermato che il potere del PM, sancito dall'art. 517 cod. proc. pen. sarebbe da ritenersi precluso o comunque esaurito, allorché la nuova contestazione intervenga in un momento in cui il reato sia già estinto ovvero quando l'azione penale non sia più proseguibile, stante l'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità (fra cui quelle di improcedibilità) ex art. 129 cod. proc. pen.

A conforto di tale ricostruzione, veniva anche richiamata la notizia di decisione delle Sezioni Unite di questa Corte in data 28.9.2023, le quali, all'epoca, avevano reso noto di avere adottato una soluzione negativa al quesito: "Se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale rilevi anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato". Si tratta della nota sentenza delle Sez. Unite "Domingo", secondo cui, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato (cfr. Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, Rv. 285517 - 01).

Il detto orientamento è stato ribadito (cfr. Sez. 5, n. 13775 del 24/01/2024, Rv. 286224 - 01) anche a seguito del deposito delle motivazioni delle S.U. Domingo, sostanzialmente equiparando l'esigenza, affermata dalle citate S.U., di immediata declaratoria della causa di non punibilità derivante dall'intervenuta estinzione del reato (in data antecedente alla contestazione suppletiva del PM), con quella di immediata declaratoria della causa di improcedibilità del reato derivante dalla mancanza della querela al momento della (successiva) contestazione della circostanza aggravante che renderebbe il reato procedibile d'ufficio.

7. Il Collegio ritiene di dover condividere il primo orientamento, sulla scorta di argomentazioni in parte diverse da quelle dianzi accennate, adeguatamente sviluppate in una recente sentenza di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 17532 del 11/04/2024), la quale ha svolto alcune importanti precisazioni sulla questione in disamina, valutando il rapporto esistente fra l'art. 129 cod. proc. pen. e l'art. 517 cod. proc. pen.

In primo luogo, è stata convincentemente esclusa la validità dell'operata equiparazione fra l'istituto della estinzione del reato (per prescrizione) con quello della improcedibilità del reato per mancanza di querela, ribadendosi la facoltà del PM ex art. 517 cod. proc. pen. di formulare la contestazione suppletiva della circostanza aggravante che rende il reato procedibile d'ufficio.

In proposito, è stato acutamente osservato come la pronuncia delle Sezioni Unite Domingo, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione del reato per prescrizione, non abbia escluso i poteri di cui il PM è titolare ai sensi del citato art. 517, ma abbia costruito il rapporto fra contestazione suppletiva e causa di estinzione precedentemente perfezionatasi in termini di prevalenza della seconda che, per effetto della sentenza, acquisisce forza giuridica "ora per allora" con riferimento non al momento della sua dichiarazione formale ma a quello della sua maturazione.

Per contro, Sez. 5 n. 17532/2024 ha opinato che, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all'art. 85 del d.lgs. citato, è consentito al pubblico ministero di modificare l'imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un'aggravante che renda il reato procedibile d'ufficio, non essendosi realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga al giudice una pronuncia "ora per allora", dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità, a differenza dell'ipotesi di estinzione del reato, anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e i requisiti della pronuncia vanno accertati nel momento in cui la stessa deve essere resa (cfr. Sez. 5, n. 17532 del 11/04/2024, Rv. 286448 - 01).

A supporto di tale interpretazione, sono state valorizzate le recenti modifiche normative introdotte dalla riforma Cartabia, con particolare riguardo all'art. 554-bis cod. proc. pen., il quale, fra le altre cose, regolamenta le modalità attraverso le quali è possibile (ma anche doveroso) operare una modifica dell'imputazione al fine di consentire che la stessa contenga la descrizione del fatto e delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra "chiesto" e "pronunciato".

Il comma 6 dell'art. 554-bis cit., infatti, dispone: "Al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d'ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero. Quando il pubblico ministero modifica l'imputazione, procede alla relativa contestazione e la modifica dell'imputazione è inserita nel verbale di udienza".

La contestazione suppletiva della aggravante, come riconosciuto dall'art. 517 cod. proc. pen., non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l'elemento di fatto aggravatore fosse emerso già prima dell'esercizio della azione penale. Pertanto, tenuto conto del momento in cui, per effetto della novella, si è posto il tema della nuova procedibilità del reato, e della durata del conseguente regime transitorio disegnato per l'iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, la eventuale inattività processuale durante tale periodo impedisce di fatto al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato. Sicché non appare ragionevole inibirgli il potere di contestazione suppletiva della aggravante nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023 (così, in motivazione, Sez. 5, n. 17532 del 11/04/2024).

In altri termini, l'effetto di improcedibilità del reato, maturato dopo la data indicata a seguito della mancata presentazione della querela, si realizza indiscutibilmente con riferimento all'originario capo di imputazione, ma nulla vieta al PM di operare, alla prima udienza utile successiva e nel contraddittorio delle parti, una modifica dell'imputazione a mezzo della contestazione suppletiva della circostanza aggravante risultante dagli atti (nel caso, art. 625, n. 7, cod. pen., in relazione al furto di cose destinate a pubblico servizio).

8. In definitiva, l'impianto della novella legislativa introdotta con la riforma Cartabia conferma che il PM non solo può, ma deve - anche ove richiesto dal giudice - procedere, alla prima udienza utile, alla contestazione suppletiva dell'aggravante che, nella specie, rende il reato procedibile d'ufficio, avendone il potere e l'occasione (offerta dal segmento processuale dell'udienza nel contraddittorio delle parti, che deve sempre precedere l'assunzione della decisione); una volta formulata la contestazione, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l'ostacolo processuale al prosieguo dell'azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di improcedibilità, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia "ora per allora", dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità - a differenza dell'ipotesi di estinzione di un reato che, essendo venuto meno nella dimensione sostanziale, non può rivivere - anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e la decisione deve verificare la situazione al momento in cui è resa.

9. Dalle superiori considerazioni discende che il Tribunale ha illegittimamente precluso al Pubblico ministero il potere-dovere di esercitare e proseguire l'azione penale per il fatto-reato oggetto della contestazione suppletiva, in tal modo incorrendo nella nullità assoluta di ordine generale ex artt. 178 e 179 cod. proc. pen., concernente la formulazione dell'imputazione ad opera della parte pubblica nell'esercizio delazione penale.

10. A tale nullità consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata, per l'ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Torre Annunziata per il giudizio.