Costituisce violenza sessuale un rapporto sessuale avuto dopo un pestaggio di grande violenza che abbia impedito l'esplicitazione del consenso: integra infatti il delitto di violenza sessuale non solo la violenza che pone il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, realizzando un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta con il compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa, soprattutto se la condotta criminosa si esplica in un contesto ambientale tale da vanificare ogni possibile reazione della vittima.
In tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria.
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa; le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Cassazione penale
sez. III, ud. 4 ottobre 2022 (dep. 31 gennaio 2023), n. 3969
Presidente Andreazza – Relatore Socci
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della Corte di appello di Palermo, del 17 giugno 2021, è stata confermata la decisione del giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Agrigento del 18 luglio 2019 (giudizio abbreviato), che aveva condannato D.P.G. alla pena di anni 5 di reclusione, per i reati unificati dal vincolo della continuazione di cui agli art. 572 c.p. - in danno della moglie C.C. , commesso dal 2010 e fino al 14 ottobre 2018, capo 1 -, 609 bis e 609 ter, comma 1, n. 5 quater c.p. - nei confronti della moglie C.C. , commesso nell'anno 2015, capo 2 -, 582, 585, 576, comma 1, n. 5 e 577, comma 1 n. 1, c.p. - nei confronti della moglie C.C. , commesso il 14 gennaio 2018, capo 3 -.
2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..
2. 1. Violazione di legge (art. 521 c.p.p., 609 septies c.p. e 6, comma 3, CEDU).
La connessione del delitto di violenza sessuale, commesso nel 2015, con il delitto di maltrattamenti, consumato fino al 14 gennaio 2018, avrebbe dovuto essere esplicitata, in forma chiara e precisa, nell'imputazione. La difesa, infatti, non ha potuto vagliare in modo completo la fondatezza della connessione prevista dall'art. 12 c.p.p., al fine della procedibilità d'ufficio del reato di violenza sessuale.
La connessione ove ritenuta solo in sentenza viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.).
L'imputazione non specifica nessuna connessione tra i fatti del capo 2 (violenza sessuale) e quelli del capo 1 (maltrattamenti in famiglia). In conseguenza, il reato di violenza sessuale risulta improcedibile per mancanza della querela.
2. 2. Violazione di legge (art. 609 bis c.p. e 178 c.p.p.) e vizio della motivazione sull'accertamento della responsabilità del reato di violenza sessuale.
A fronte di un rapporto coniugale durato oltre 46 anni il "silente dissenso" ad un solo e specifico atto sessuale non può integrare il delitto di violenza sessuale ove rapportato al consenso manifestato nel corso dei lunghi anni di convivenza matrimoniale.
Il ricorrente non ha percepito l'illiceità dell'atto sessuale in quanto il dissenso non è stato manifestato, solo interiorizzato dalla moglie. Per la configurabilità del delitto occorre pur sempre la consapevolezza di un rifiuto al compimento dell'atto sessuale.
L'imputazione, del resto, non individua neanche il giorno preciso della violenza sessuale, con evidente lesione del diritto di difesa del ricorrente. La sola motivazione sull'attendibilità della persona offesa non può ritenersi sufficiente per la prova del fatto.
2. 3. Violazione di legge (art. 609 bis, comma 3, c.p.) e vizio della motivazione per il mancato riconoscimento della minore gravità. Il ricorrente ha oltre settant'anni e risulta coniugato da cinquant'anni e i suoi rapporti sessuali con la moglie erano compromessi da un intervento chirurgico, invasivo della sfera sessuale, della parte offesa. La Corte di appello ha omesso di valutare che l'atto sessuale compiuto è identico a tutti quelli consensualmente consumati tra i due coniugi. Nessuna violenza o coartazione risulta compiuta, essendo connotata la violenza, eventualmente, solo da un dissenso implicito. La vittima non ha avuto una compromissione eccessiva della sua libertà sessuale.
2. 4. Violazione di legge (art. 572 c.p.) e vizio della motivazione per l'accertamento di responsabilità per il reato di maltrattamenti. Il reato di cui all'art. 572 coda pen. deve essere connotato da condotte plurime, abituali e reiterate, reato di durata. Singole e sporadiche condotte non possono realizzare l'elemento oggettivo del reato di maltrattamenti. Singoli episodi di conflittualità non possono legarsi per la sussistenza del reato. Gli episodi, singoli, distanziati nel tempo potrebbero configurare i reati di minaccia, ingiuria o lesioni.
Nessun regime di vita, mortificante, vessatorio e insostenibile è stato imposto alla donna. È carente, nel caso in giudizio, l'abitualità delle condotte, in direzione di una precisa volontà di determinare una condotta di vita intollerabile alla moglie.
2. 5. Violazione di legge (art. 62 bis e 133 c.p.) e vizio della motivazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio. Solo per la ritenuta assenza di elementi positivi (con una frase di stile) la Corte di appello ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. L'imputato, come specificamente evidenziato nell'appello, è incensurato ed onesto lavoratore, idraulico, anche per 30 anni all'estero. Il rapporto coniugale dura da 46 anni, con amorevole cura del ricorrente da parte della moglie fino al 2016. La condotta processuale del ricorrente è stata connotata anche da rivisitazione critica.
Conseguentemente l'appello non poteva essere ritenuto non specifico sulla richiesta delle circostanze attenuanti generiche.
Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.
4. Manifestamente infondato il primo motivo processuale della omessa specificazione nell'imputazione della connessione tra i reati di violenza sessuale e di maltrattamenti, al fine della procedibilità d'ufficio per il reato di cui al capo 1 dell'imputazione.
Deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione sul punto: "I dati di fatto da cui dipende la procedibilità dell'azione penale non devono essere necessariamente descritti nel capo di imputazione, con la conseguenza che la loro individuazione successiva o la loro variazione non determina una modifica dell'imputazione rilevante ai sensi dell'art. 516 c.p.p. (In motivazione, la Corte ha precisato che la procedibilità di ufficio di un reato può essere desunta anche da fatti emersi nel corso del processo e non dipende esclusivamente dalla formulazione del capo di imputazione)" (Sez. 3 -, Sentenza n. 48829 del 04/05/2018 Cc. (dep. 25/10/2018) Rv. 274833 - 01).
Relativamente alla sussistenza della connessione, che pure viene genericamente contestata, si deve rilevare che sul punto la sentenza della Corte di appello risulta adeguatamente motivata, rilevando come l'episodio di violenza sessuale è avvenuto dopo una furibonda aggressione fisica, subito dopo, quasi contestuale: "In materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'art. 609-septies, comma 4, n. 4 c.p. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (art. 12 c.p.p.), ma anche quando v'è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 c.p.p. " (Sez. 3, Sentenza n. 37166 del 18/05/2016 Ud. (dep. 07/09/2016) Rv. 268313 - 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 10217 del 10/02/2015 Cc. (dep. 11/03/2015) Rv. 262654 - 0).
4. Relativamente all'affermazione di responsabilità per i reati di violenza sessuale e di maltrattamenti (non ci sono motivi per il reato di lesione di cui al capo 3 dell'imputazione) la decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della donna, parte offesa, peraltro con numerosi e convergenti riscontri alle sue dichiarazioni.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
5. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa, moglie dell'imputato sia per la violenza sessuale e sia per gli altri reati.
Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).
5. 1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l'attendibilità della parte offesa, rilevando come la violenza sessuale e i maltrattamenti sono emersi dalle lineari e coerenti deposizioni della donna. La donna aveva riferito della violenza sessuale e delle vessazioni numerose a cui era sottoposta.
Per la violenza sessuale la sentenza impugnata adeguatamente motiva rilevando che la donna riferiva le modalità del rapporto sessuale con l'imputato, rappresentando come, il giorno dei fatti, dopo un pestaggio di grande violenza (con un ematoma all'occhio e fuoriuscita di sangue) era stata costretta ad un rapporto sessuale non voluto, in considerazione della violenza fisica subita.
Infatti, "Integra il delitto di violenza sessuale non solo la violenza che pone il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, realizzando un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta con il compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa, soprattutto se la condotta criminosa si esplica in un contesto ambientale tale da vanificare ogni possibile reazione della vittima" (Sez. 3, Sentenza n. 40443 del 28/11/2006 Ud. (dep. 12/12/2006) Rv. 235579 - 01).
5. 1. Anche il motivo sulla minore gravità risulta manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata adeguatamente motiva rilevando come la violenza sessuale è consistita in una pesante invasione della sfera sessuale della moglie per le modalità di realizzazione, dopo le percosse la donna è stata costretta ad un rapporto sessuale completo, intimorita e umiliata.
Si tratta di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità in quanto adeguatamente motivata, senza contraddizioni e senza manifeste illegittimità (vedi Sez. 3, Sentenza n. 11558 del 01/07/1999 Ud. (dep. 11/10/1999) Rv. 215077; vedi anche Sez. 3 -, Sentenza n. 35695 del 18/09/2020 Ud. (dep. 14/12/2020) Rv. 280445 - 0).
6. Relativamente ai maltrattamenti la Corte di appello ha rilevato, con motivazione adeguata ed immune da contraddizioni e da manifeste illogicità, come le violenze e vessazioni siano state continue per un lungo periodo e si erano manifestate anche con la violenza sessuale, le lesioni e le reiterate ingiurie. I maltrattamenti sono stati anche riscontrati dalle dichiarazioni dei figli e dalle numerose certificazioni mediche. La donna ha riferito di un regime di vita insopportabile causato dalle sistematiche intemperanze dell'imputato, con vessazioni e umiliazioni costanti nel tempo. L'imputato aveva intimidito la moglie anche con lo sparo di tre colpi di pistola, dopo averla picchiata con una sedia, con calci e con pugni.
La condotta dell'imputato è stata reiterata e tale da cagionare la dolorosa e mortificante convivenza coniugale.
Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell'atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimità nei confronti delle articolate e complete motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.
7. Anche i motivi sul trattamento sanzionatorio e sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sono manifestamente infondati. La Corte di appello motiva rilevando la gravità della condotta e l'intensità del dolo nell'infliggere atti di violenza alla moglie. La sentenza valuta tutti gli elementi prospettati dalla difesa nell'appello e li ritiene non idonei a ridurre il trattamento sanzionatorio (comunque al di sotto della media edittale) e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Si tratta di una evidente valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.
8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C.C. che liquida in complessivi Euro 3.500 oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52 del in quanto imposto dalla legge.