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Conoscenza del processo deve essere effettiva anche per accuse di tortura (Cass.5675/23)

9 febbraio 2023, Cassazione penale

La legge, in continuità con la progressiva introduzione nel sistema processuale penale di regole di maggiore effettività di partecipazione al processo sotto la spinta determinante di decisioni della Corte EDU, ha superato definitivamente il procedimento in contumacia -basato sul mero apprezzamento della regolarità formale delle notifiche prevedendo un modello lineare sul piano generale, secondo il quale il giudice procede solo se gli risulti con certezza che l'imputato non si è presentato in udienza per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse, la data ed il luogo del processo, ovvero la volontà dello stesso imputato di sottrarsi alla conoscenza del procedimento o di suoi atti.

Il presupposto per ogni processo equo è che il giudice proceda avendo certezza che l'imputato sia a conoscenza delle accuse e della vocatio in iudicium.

Il perseguimento delle condotte criminose deve passare, in uno Stato di diritto, attraverso il rispetto delle regole del giusto processo regolato dalla legge, che si svolga nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti.

La problematica che incide sulla cooperazione tra Stati e sulla ingiustificata mancanza di collaborazione dell'Autorità giudiziaria estera è estranea all'esercizio dell'attività giudiziaria che si esplica applicando correttamente il diritto positivo, sulla base di una interpretazione conforme a diritto e vincolante, quale è quella espressa dalla Corte di cassazione italiana nella sua più alta formazione.

La giurisdizione italiana è tenuta ad applicare senza strappi il tessuto normativo, garantista e rispettoso dei diritti di tutte le parti processuali secondo le coordinate interpretative consegnate, in tema di giudizio in assenza, dalle Sezioni Unite, appartiene alle competenti Autorità di governo, anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione per le stesse discendenti dalle Convenzioni internazionali, e, tra queste più specificamente, da quella contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New York il 10 dicembre 1984, ratificata dall'Italia con legge del 3 novembre 1988, n. 498, e dall'(Omissis) il 25 gennaio 1986.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

 (data ud. 15/07/2022) 09/02/2023, n. 5675

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano - Presidente -

Dott. TERDIO Angela - rel. Consigliere -

Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -

Dott. MANCUSO Luigi F.A. - Consigliere -

Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma;

nel procedimento a carico di A.A., nato in (Omissis);

B.B., nato in (Omissis);

C.C., nato in (Omissis);

D.D., nato in (Omissis);

e nei confronti di:

Presidenza del Consiglio dei Ministri E.E.;

F.F.;

G.G.;

avverso l'ordinanza del 11/04/2022 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma;

visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;

lette le richieste scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella de Masellis, che ha concluso chiedendo:

- l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza di sospensione emessa dal Giudice dell'udienza preliminare di Roma in data 11 aprile 2022 e del presupposto provvedimento della Corte di assise di Roma del 14 ottobre 2021, con trasmissione degli atti alla Corte di assise di Roma per l'ulteriore corso;

- in via subordinata, rimettere il ricorso delle Sezioni Unite per la soluzione della seguente questione di diritto: "se sia affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice, pur in presenza di indicatori certi di volontaria sottrazione dell'imputato alla conoscenza del procedimento o di suoi atti e dell'accertata impossibilità di raggiungere l'interessato con gli ordinari strumenti di notifica, ordini la sospensione del processo, ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., così determinandosi una situazione non rimediabile di paralisi processuale";

- in via ulteriormente gradata, di dichiarare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 111 e 117 della Costituzione, dell'art. 420-bis, comma 2, ultimo periodo, c.p.p. - in relazione all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e alla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato - e dell'art. 420-quater c.p.p., nella parte in cui l'art. 420-quater c.p.p. prevede la sospensione del processo, anche in caso di impossibilità non reversibile di notificare l'avviso dell'udienza all'imputato, che abbia comunque acquisito conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo ai sensi dell'art. 420-bis, comma 2, ultimo periodo, c.p.p., cui consegue una situazione di paralisi processuale per un tempo indefinito;

lette le conclusioni scritte dell'avv. AB per F.F. e E.E., che ha chiesto, in accoglimento del ricorso presentato dalla Procura di Roma, dichiararsi, ex art. 606 lett. b) c.p.p., la nullità dell'impugnata ordinanza del Gup dichiarativa della sospensione del procedimento, e di tutti gli atti presupposti, per aver erroneamente richiesto la prova della notifica della vocatio in iudicium e delle specifiche imputazioni elevate ai fini dell'applicazione dell'art. 420-bis, comma 2, ultima ipotesi, c.p.p.;

lette le conclusioni scritte dell'Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si è associata alle difese e alle richieste formulate dal Pubblico ministero;

lette le conclusioni scritte dell'avv. PA, difensore di ufficio di A.A., che ha chiesto l'inammissibilità o, in via subordinata, il rigetto del ricorso proposto dal Pubblico ministero;

lette le conclusioni scritte dell'avv. TS, difensore di ufficio di B.B., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso proposto dal Pubblico ministero o comunque rigettarlo in quanto infondato;

lette le conclusioni scritte dell'avv. GV, difensore di ufficio di C.C., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso presentato dal Pubblico ministero ritenendo non abnorme l'ordinanza con la quale il Gup del Tribunale di Roma ha sospeso il processo per aver chiesto la prova della vocatio in iudicium di C.C.;

lette le conclusioni scritte dell'avv. ALT, difensore di ufficio di D.D., che ha chiesto dichiararsi infondato ovvero inammissibile il ricorso, non costituendo la sospensione del processo disposta dal Gup un'ipotesi di atto abnorme essendo stata emessa ai sensi dell'art. 28 c.p.p. a seguito dell'ordinanza emessa dalla Corte di assise il 14 ottobre 2021, la quale, a sua volta, è stata emessa nel rispetto delle norme e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

Svolgimento del processo
1. In data 20 gennaio 2021 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma chiedeva il rinvio a giudizio di

A.A., B.B., C.C. e D.D., cittadini egiziani dichiarati irreperibili con decreti del 28 gennaio 2020, in relazione alla seguente imputazione:

"a) delitto di cui agli artt. 110, 605, primo e comma 2, n. 2), 61 n. 1), e 4), c.p. perchè, in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, a seguito della denuncia presentata, negli uffici della National Security, da I.I., rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti de (Omissis), dopo avere osservato e controllato, direttamente ed indirettamente, dall'autunno 2015 alla sera del (Omissis), Giulio Regeni, dottorando italiano della Cambridge University, abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all'interno della metropolitana de (Omissis) e, dopo averlo condotto contro la sua volontà ed al di fuori da ogni attività istituzionale, dapprima presso il Commissariato di (Omissis) e successivamente presso un edificio a (Omissis), lo privavano della libertà personale per nove giorni.

In (Omissis), (Omissis), dal (Omissis)".

Per il solo D.D. la richiesta riguardava anche le seguenti imputazioni:

"b) delitto di cui agli artt. 110, 582, 583, n. 2, 585, in relazione all'art. 576 n. 2), e 61 n. 1), 4) e 9), c.p. perchè, dopo aver posto in essere il delitto di cui al capo che precede, in concorso con soggetti allo stato non identificati, per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni, che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni nonchè comportato l'indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo, con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni:

- attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente, con cui gli cagionavano numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori;

- attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e/o l'uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche con cui gli cagionavano: frattura degli elementi dentari 11, 12, 31, 41 e 42; frattura della scapola di sinistra e di destra; frattura dell'omero di destra; frattura composta di ossa del trapezio e del trapezoide capitato e dell'uncinato polso destro; frattura della falange prossimale del II dito di destra; frattura della base del I metacarpo di sinistra; frattura del III medio della falange prossimale del I dito di sinistra; frattura base del V metatarso di destra; frattura del III distale del V metatarso di destra; frattura della falange prossimale del V dito di destra; frattura della testa del perone di destra; distacco corticale dell'apice del perone di sinistra.

In (Omissis), (Omissis), dal (Omissis) c) delitto di cui agli artt. 110, 575, 576 n. 2), 61 n. 1), 2), 4), e 9), c.p., perchè, nelle circostanze di tempo e di luogo di cui ai precedenti capi e dopo aver posto in essere i delitti di cui sopra, in concorso con soggetti allo stato non identificati, al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati, abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva, esercitata sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte. Il corpo veniva, poi, rinvenuto il (Omissis) lungo la (Omissis).

In (Omissis), (Omissis), in epoca ricompresa tra il (Omissis)".

2. Il 25 maggio 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell'udienza preliminare (d'ora in poi Gup), verificata la regolarità delle notifiche eseguite ai sensi dell'art. 159 c.p.p., disponeva, con ordinanza ex art. 420-bis c.p.p., di procedere in assenza degli imputati, dichiarati irreperibili con decreti del Pubblico ministero del 28 gennaio 2020, e, ritenute la giurisdizione dello Stato italiano, la competenza del Tribunale di Roma, la corretta identificazione degli imputati e l'idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, disponeva, con decreto ex art. 429 c.p.p., il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi alla Corte di assise di Roma per l'udienza del 14 ottobre 2021.

A ragione della dichiarazione di assenza, il Giudice, in particolare, riteneva che fosse desumibile con assoluta certezza da specifiche illustrate evidenze che gli imputati, agenti della National Security egiziana, avessero acquisito piena consapevolezza dell'esistenza del procedimento a loro carico per il sequestro e l'uccisione di Giulio Regeni, dei suoi sviluppi terminativi e della data dell'udienza preliminare, già fissata per il 29 aprile 2021 e rinviata con invito alle parti di interloquire in merito alla verifica della regolare costituzione delle parti, e si fossero volontariamente sottratti alla conoscenza formale degli atti assunti nel corso del procedimento, non rendendo possibili le relative notifiche.

Annotava, in particolare, che:

a) a seguito di rogatoria attiva del Pubblico ministero procedente, gli indagati erano stati sentiti più volte dalla magistratura egiziana come persone informate sui fatti e, in quelle sedi, avevano acquisito contezza dell'esistenza di un procedimento penale instaurato in Italia a seguito della morte di Giulio Regeni;

b) la notizia della pendenza del procedimento, e principalmente degli atti terminativi assunti dal Pubblico ministero procedente, comprese la conclusione delle indagini preliminari e l'emissione degli avvisi ex art. 415-bis c.p.p., prodromici alla richiesta di rinvio a giudizio del 20 gennaio 2021, nonchè della qualità di "indagati" rivestita dai supposti responsabili, degli elementi di prova raccolti a loro carico e della data fissata per l'udienza preliminare, era stata oggetto di una copertura mediatica internazionale, oggettivamente straordinaria e capillare, tale da attingere alla nozione del "notorio", secondo le puntuali informative del 14 aprile 2021 e del 26 aprile 2021 dei Carabinieri del ROS;

c) gli apparati investigativi egiziani erano a conoscenza degli sviluppi e dell'esito del procedimento italiano, come comprovato dalle numerosissime riunioni espletate al riguardo, nel corso del tempo, dal cd. "team investigativo congiunto" italo-egiziano, e dal contenuto del "memorandum" redatto dalla Procura generale egiziana in data 26 dicembre 2020, contenente la descrizione e la confutazione degli elementi di prova raccolti dalla Procura di Roma;

d) gli indagati, inoltre, erano stati ripetutamente invitati, senza che vi fosse stato alcun seguito, ad eleggere domicilio in Italia, secondo la previsione dell'art. 169 c.p.p., per via rogatoriale (con istanza di rogatoria trasmessa il 30 aprile 2019 dal Pubblico ministero procedente alla Procura generale egiziana, ripetutamente sollecitata oralmente e a mezzo posta elettronica il 22 gennaio 2020, il I luglio 2020, il 17 settembre 2020 e il 20 novembre 2020) e per via diplomatica (con missiva inviata il 21 gennaio 2020 alla stessa Procura generale egiziana dall'ambasciatore italiano, contenente il fermo appello affinchè la Procura di Roma fosse messa in condizione di "ricevere l'informazione relativa all'indirizzo (...) ove inviare gli atti di notificazione agli ufficiali della National Security inclusi nella lista degli indagati").

3. La Corte di assise di Roma il 14 ottobre 2021 dichiarava nulli la declaratoria di assenza e il conseguente decreto che dispone il giudizio, adottati nei confronti degli imputati all'udienza preliminare del 25 maggio 2021, ordinando la restituzione degli atti al Gup.

3.1. La Corte, che richiamava il quadro normativo interno e sovranazionale sul processo in absentia, come delineatosi negli approdi della giurisprudenza costituzionale, di legittimità e della Corte Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in poi Corte EDU), si soffermava in particolare sull'esame dei contenuti, che condivideva, della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, n. 23949 del 2020, Ismail, e sulla loro lettura alla luce delle argomentazioni, che indicava essere puntuali, della sentenza, che ne costituiva la premessa, della Corte EDU, Sejdovic c. Italia, del 10 novembre 2004.

Sottolineava la necessità, per procedere in assenza, della certezza dell'effettiva conoscenza da parte degli imputati della vocatio in iudicium sulle specifiche imputazioni, e il particolare rigore da riservarsi nel valutare la procedibilità in assenza per garantire un processo giusto a ogni imputato; rappresentava che, fuori dalle ipotesi di cui agli artt. 420-bis e 420-ter c.p.p., la sola forma utile, ai fini di una conoscenza effettiva del processo e del corretto instaurarsi del rapporto processuale, era da ritenere la notifica a mani proprie, come previsto dall'art. 420-quater c.p.p.; evidenziava, inoltre, che l'unica ipotesi per procedere in absentia, senza che l'imputato avesse ricevuto la notifica a mani proprie e che vi fosse la conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, era la volontaria sottrazione "alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento", tratta da condotte positive non tipizzate e da accertarsi in fatto.

3.2. In punto di fatto, la Corte annotava che gli indici fattuali, valorizzati in udienza preliminare per trarre in via indiziaria l'effettiva conoscenza del procedimento da parte degli imputati e dichiararne l'assenza, e gli elementi ulteriori rappresentati dal Pubblico ministero con memoria, e sviluppati in udienza, che ripercorreva argomentativamente e criticamente, non erano idonei, pur congiuntamente considerati, a dare prova certa dell'effettiva conoscenza da parte degli imputati, neppure specificamente individuati e non raggiunti da alcun atto ufficiale, dell'accusa, della pendenza di un processo a loro carico e della vocatio in iudicium davanti al Gup prima, e davanti alla Corte di assise dopo, per specifiche imputazioni afferenti a plurimi reati, diversamente ascritti, nei termini imposti dal quadro costituzionale e convenzionale, indispensabili ai fini della dichiarazione di assenza.

Si era in presenza invece, ad avviso della Corte, di dati presuntivi, dai quali era possibile inferirsi soltanto la generica conoscenza, da parte degli imputati, dell'esistenza di un procedimento penale nei loro confronti per gravi reati in danno del ricercatore Giulio Regeni, e, senza la dimostrazione con ragionevole grado di certezza di una conoscenza sufficiente dell'azione penale e delle accuse, non si poteva neanche concludere che gli imputati avessero tentato di sottrarsi alla giustizia o avessero rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto di partecipazione al giudizio.

Erano indubbiamente dimostrativi di assenza di leale collaborazione dell'Autorità giudiziaria egiziana, e in particolare della Procura egiziana costituente un'articolazione del potere esecutivo secondo l'ordinamento interno, alcuni dati fattuali prospettati dal Pubblico ministero, che aveva anche lamentato omissioni, ritardi, rifiuti opposti dalle stesse nel corso della prestata cooperazione, l'interruzione di detta cooperazione dopo l'iscrizione degli imputati nel registro delle notizie di reato e il rifiuto dalla stessa opposto di dar corso alla richiesta di rogatoria della magistratura italiana.

Tali doglianze, tuttavia, rimanevano assorbite dai limiti della insufficiente prova della conoscenza da parte degli imputati dei contenuti dell'accusa, poichè, in difetto di prova piena, non era possibile valutare alcun comportamento "come espressione di volontaria sottrazione, non potendo volersi sottrarre da un processo i cui contenuti non siano sufficientemente noti".

Neppure, in violazione del principio di non colpevolezza, poteva pervenirsi a detta conclusione sulla base del presunto coinvolgimento degli imputati nei fatti di reato ascritti.

3.3. La Corte, pur riconoscendo la peculiarità del caso, la sistematica inerzia delle autorità egiziane a dar seguito alle richieste italiane, non portate a conoscenza dei singoli indagati/imputati, e il dato che gli imputati per essere, all'epoca dei fatti, appartenenti ad apparati di polizia governativi fossero nelle condizioni di conoscenza privilegiata delle fonti informative e delle interlocuzioni tra gli Stati, italiano ed egiziano, sottolineava che non vi era alcuna evidenza che gli imputati avessero avuto un ruolo, anche solo morale, nelle eventuali determinazioni delle massime autorità egiziane di prestare una collaborazione sleale ovvero nel negare la collaborazione, sì da addebitare loro i contestati comportamenti in sede di cooperazione.

La carenza dei presupposti per incardinare il processo comportava un insanabile pregiudizio per i diritti di difesa e a un equo processo degli imputati, ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost e 6 Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in poi Convenzione EDU), e dava luogo alla nullità per violazione del contraddittorio di carattere assoluto, ai sensi dell'art. 179 c.p.p., dell'udienza preliminare e dell'emesso decreto che dispone il giudizio, rimanendo assorbita ogni altra eccezione difensiva in ordine alla eccepita nullità delle notificazioni.

4. Nel corso della nuova udienza preliminare, svoltasi il 10 gennaio 2022, il Gup, in esito alla disposta restituzione degli atti con l'ordinanza della Corte di assise, che giudicava "non (...) discutibile in questa sede, perchè in caso di "contrasto" tra il giudice dell'udienza preliminare e il giudice del dibattimento prevale la decisione di quest'ultimo ex art. 28 c.p.p.", disponeva la notifica personale agli imputati dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e della richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero, ritenuta passaggio imprescindibile per evitare la sospensione del processo, e nuove ricerche ex art. 420-quater c.p.p., rinviando il procedimento all'11 aprile 2022.

5. In data 11 aprile 2022 il Gup disponeva "la sospensione del processo" N. 52239/18 R.G.N. R. - N. 16307/19 GIP, ritenuta integrata la fattispecie prevista dall'art. 420-quater, comma 2, c.p.p., per il perdurante stato di irreperibilità degli imputati, in quanto non era stato possibile rintracciarli per procedere alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e degli allegati (richiesta di rinvio a giudizio e verbale dell'udienza preliminare del 10 gennaio 2022), come risultava dalla nota del Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia del 7 aprile 2022 e della nota del R.O.S. Carabinieri Reparto antiterrorismo 4 sezione del 31 marzo 2022 n. 195/1-416-1 prot. 2016, delle quali dava lettura alle parti.

Il procedimento era rinviato contestualmente all'udienza in prosecuzione del 10 ottobre 2022, disponendosi la citazione per detta udienza del Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia per la sua audizione in ordine agli esiti dei chiarimenti richiesti il 22 marzo 2022 alla Procura generale della Repubblica Araba d'(Omissis), lo svolgimento, a mezzo del R.O.S. Carabinieri-Reparto antiterrorismo 4 sezione, di nuove ricerche degli imputati, secondo quanto indicato nell'ordinanza del 10 gennaio 2022, e l'esecuzione eventuale anche della notifica nei loro confronti degli indicati atti presso i luoghi di residenza o di dimora all'estero (in (Omissis)).

Secondo il Giudice:

- non poteva disporsi il rinvio dell'udienza preliminare senza sospensione del procedimento perchè l'attesa risposta della Procura generale della Repubblica Araba d'Egitto atteneva non "agli accertamenti di p.g. volti a superare la irreperibilità degli imputati, bensì alla mancata collaborazione dell'Autorità giudiziaria egiziana rispetto alla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale avanzata dalle Autorità italiane";

- erano pretestuose le argomentazioni della Procura generale egiziana, che aveva evocato l'applicazione del principio del ne bis in idem per avere adottato un provvedimento di chiusura delle indagini ovvero di archiviazione denominato "Memorandum della Procura generale sulla scomparsa e la morte della vittima italiana, Giulio Regeni.", datato 26 dicembre 2020, avuto riguardo alla mancata indicazione della normativa di riferimento e all'antecedenza della rogatoria del Pubblico ministero del 30 aprile 2019 rispetto all'adozione dell'indicato Memorandum;

- non era tuttavia superabile il dato di fatto, ormai accertato, del rifiuto di collaborazione dell'Autorità giudiziaria egiziana solo respingendo le argomentazioni della Procura generale egiziana;

- non poteva neppure procedersi alla notificazione degli atti agli imputati presso i luoghi di lavoro indicati in modo presuntivo, poichè, mentre uno di essi era allo stato in pensione, si sarebbe trattato di un tentativo che avrebbe potuto non definirsi con la notificazione degli atti a mani proprie, in mancanza di certezze circa il soggetto ricevente l'atto, l'effettiva consegna al destinatario e la sua individuazione.

6. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma proponeva ricorso per cassazione avverso l'indicata ordinanza in data 11 aprile 2022, e i provvedimenti presupposti di cui si era data lettura nel corso dell'udienza preliminare, deducendo con unico articolato motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 420-bis c.p.p. e nullità dell'ordinanza di sospensione del procedimento perchè atto abnorme, avendo determinato, unitamente ai provvedimenti di cui costituiva effetto consequenziale, la stasi del procedimento e l'impossibilità di proseguirlo.

6.1. Il ricorrente, ripercorso in via preliminare l'articolato iter del procedimento, approfondiva, nel contesto di un ampio sviluppo argomentativo, il concetto giuridico di abnormità, seguendo l'evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite, e si soffermava, in particolare, sulla contrastante giurisprudenza di legittimità delle Sezioni semplici, che si era pronunciata sulla questione della qualificazione come atto abnorme dell'ordinanza di sospensione del procedimento, ex art. 420-quater c.p.p., che sottoponeva ad analisi critica.

Ritenuto centrale, in ordine alla qualificazione dell'ordinanza sospensiva quale atto abnorme, l'esame degli effetti prodotti, in diritto e in fatto, dall'ordinanza resa ex art. 420-quater c.p.p., rilevava che le previsioni di detta disposizione e dell'art. 420-quinquies c.p.p. - introduttive della possibilità di acquisire, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e di rinnovare, da parte del giudice, con cadenza almeno annuale, le ricerche degli imputati ad opera della polizia giudiziaria - non erano sufficienti per escludere la stasi del procedimento e l'abnormità dell'ordinanza, da apprezzarsi sotto il profilo funzionale in relazione alla "situazione di stallo non rimediabile se non attraverso la rimozione dell'atto".

L'idoneità delle disposizioni in tema di ricerche periodiche degli imputati a essere d'impulso al procedimento doveva essere, quindi, esaminata in fatto, secondo il ricorrente, dipendendo la stessa dalla concreta e ragionevole possibilità di avere un esito positivo delle ricerche, non rilevabile in presenza dell'assoluta certezza del contrario risultato, per le circostanze concrete (tra cui il diniego alla collaborazione dello Stato in cui risiedevano gli imputati all'attività rogatoriale, già effettuata).

Era, peraltro, di macroscopica evidenza, a sostegno dell'astratta ammissibilità, quale atto abnorme, dell'ordinanza di sospensione del processo, come dalla ingiustificata sospensione sine die del processo potesse derivare una gravissima lesione al diritto alla celebrazione del processo a carico degli imputati delle costituende parti civili, familiari della persona offesa e Presidenza del Consiglio dei ministri, dovendo l'atto qualificarsi fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti, oltre ad avere alterato l'ordinata sequenza logico-cronologica del processo provocandone la stasi, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

6.2. Sussistevano, ad avviso del ricorrente, i presupposti di ammissibilità del ricorso per essere impugnabile la ridetta ordinanza in data 11 aprile 2022, che era stata il primo provvedimento a determinare la stasi del procedimento, a differenza dell'ordinanza della Corte di assise di Roma del 14 ottobre 2021, che aveva, invece, causato una regressione del procedimento alla fase dell'udienza preliminare e, come tale, non era impugnabile in assenza di una esplicita previsione legislativa.

Tuttavia, detta ultima ordinanza aveva stabilito il principio di diritto, cui il Gup doveva attenersi e che lo stesso, in assenza di fatti nuovi rilevanti, aveva ritenuto vincolante ai sensi dell'art. 28c.p.p., determinandosi "una abnormità consequenziale bifasica perchè posta in essere in due momenti distinti (di cui il primo non autonomamente impugnabile) e che, pur cronologicamente separati, sono strettamente connessi, quanto agli effetti prodotti, perchè risultato della somma degli stessi".

Essendo, in definitiva, impugnabile solo l'atto finale abnorme emesso dal Gup in esito all'udienza svoltasi in data 11 aprile 2022, il ricorso proposto era da ritenere l'unico rimedio esperibile avverso detto atto nel termine di legge di cui all'art. 585 c.p.p. (nella specie di quindici giorni), applicabile, per consolidata giurisprudenza, anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso un atto abnorme.

6.3. L'ordinanza del 14 ottobre 2021, ritenuta dal Gup presupposto interpretativo vincolante della sua decisione, aveva, secondo il ricorrente, erroneamente applicato l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., accomunando le due diverse ipotesi previste - quella della certa conoscenza del procedimento e quella della volontaria sottrazione - e ritenendo necessaria per entrambe, invece autonome, la conoscenza dell'accusa e della vocatio in iudicium.

Ripresi gli elementi di fatto e illustrati gli argomenti sviluppati in udienza dal Pubblico ministero, l'ordinanza aveva, infatti, ritenuto che, solo in presenza della "prova certa della conoscenza, da parte degli imputati della pendenza di un processo e della vocatio in iudicium", fosse possibile affermare che l'imputato si fosse "volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo", apprezzando la sentenza della Corte EDU Sejdovic c. Italia del 2006 come unico parametro interpretativo nell'ambito della giurisprudenza sopranazionale, non procedendo a una lettura complessiva delle disposizioni e di tale giurisprudenza, astenendosi da una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 420-bis c.p.p. e da un equo bilanciamento dei valori coinvolti, incorrendo in insanabile contraddizione logica e negando ogni rilevanza processuale alla riconosciuta conoscenza, nel caso in esame, dell'esistenza di un procedimento penale a loro carico da parte degli imputati, da inquadrarsi quali "finti inconsapevoli".

Una corretta interpretazione della ridetta norma doveva, invece, procedere dal riconoscimento di autonoma rilevanza all'ultima ipotesi del suo comma 2 rispetto all'ipotesi della certezza della conoscenza del procedimento, in linea con la sua reale natura giuridica rappresentata dall'essere "la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento" una clausola ‘santi-abusiva", di ispirazione costituzionale (art. 111 Cost.) e di derivazione sovranazionale, volta a evitare un uso distorto da parte dell'imputato del suo diritto di avere notizia del processo e in particolare che un soggetto, avendo avuto "notizia, per le più diverse vie, della pendenza di un procedimento penale, a proprio carico per gravi fatti", potesse "sottrarsi alla giurisdizione, alla potestà punitiva dello Stato".

Alla luce di tali considerazioni, e in presenza dei requisiti per definire l'atto come abnorme, affermati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni), vi sarebbe stato, da parte della Corte di assise, "l'esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma utilizzato al di fuori dell'area che ne individua la funzione ed in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge".

6.4. Posto l'inquadramento della natura giuridica dell'indicata disposizione, era necessario un approfondimento del contenuto della condotta di sottrazione, da intendersi, anche alla luce dell'art. 12 preleggi, come condotta omissiva rispetto a un atto dovuto, fondata sul "generalissimo principio della sottomissione di tutti i cittadini alla giurisdizione", e più in generale sui "principi di dottrina generale secondo cui il diritto soggettivo - in questo caso alla conoscenza degli atti attraverso il sistema di notifica degli stessi - arriva fin dove comincia la sfera di azione della solidarietà, non rientrando nel contenuto del diritto soggettivo gli atti non rispondenti alla correttezza e alla solidarietà".

In tale contesto, secondo il ricorrente, gli imputati, in quanto soggetti qualificati dall'essere ufficiali di Polizia giudiziaria e, quindi, esperti dei meccanismi processuali, avrebbero potuto attivarsi per rendersi presenti al processo a loro carico, avuta notizia della sua esistenza, anche in assenza di collaborazione da parte della autorità egiziane e, perciò, di una formale notifica di invito ad eleggere domicilio, determinandosi autonomamente e alternativamente al compimento di specifiche attività, quali "nominare un difensore di fiducia (esercente avanti la giurisdizione italiana), con contestuale elezione di domicilio attraverso uno dei numerosi studi internazionali esistenti a n (Omissis); depositare presso il Consolato italiano in Egitto una elezione di domicilio ed una nomina di difensore; inviare una raccomandata o un telegramma, con firma autenticata, per nominare un difensore e/o eleggere un domicilio; chiedere un visto presso l'Ambasciata italiana per venire in Italia e partecipare al processo; chiedere al Console italiano in Egitto di raccogliere la propria elezione di domicilio ai sensi dell'art. 37 della legge Consolare".

6.5. In via conclusiva il Procuratore ricorrente rilevava che la Corte di assise di Roma, mentre aveva riconosciuto, in fatto, che dagli atti processuali emergevano "dati presuntivi dai quali (...) inferirsi con ragionevole certezza la conoscenza, da parte degli imputati, dell'esistenza di un procedimento penale a loro carico avente ad oggetto gravi reati ai danni del ricercatore Giulio Regeni", era incorsa, in diritto, in almeno quattro errori logico-giuridici: "l'avere elevato a diritto tiranno il diritto alla notifica degli atti, basandosi su una sola, risalente, pronuncia della Corte EDU; la contraddizione intrinseca dell'interpretazione; la mancata individuazione della esatta natura giuridica della disposizione; il mancato rispetto del significato semantico delle espressioni della norma"; era giunta a ritenere erroneamente che, alla luce del quadro costituzionale e convenzionale, gli imputati dovessero essere raggiunti da un "atto ufficiale" che desse la prova certa della loro conoscenza della pendenza di un processo a loro carico e della vocatio in iudicium con riferimento alla specifiche imputazioni a loro carico, in contrasto con recenti arresti delle Sezioni Unite, aveva erroneamente interpretato, quanto alla natura giuridica e quanto ai presupposti di applicabilità, l'ultima parte dell'art. 420-bis c.p.p., chiara nell'affermare che "il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che (...) si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo".

In conseguenza di detta errata interpretazione della legge penale da parte della Corte di assise, il Gup, vincolato alla stessa ex art. 28 c.p.p., aveva posto in essere, sospendendo il procedimento ex art. 420-quater c.p.p., un atto abnorme, produttivo della stasi del procedimento.

7. Assegnato il ricorso alla Sezione prima penale e fissata per la sua trattazione l'odierna udienza camerale ai sensi dell'art. 611 c.p.p. si dava rituale avviso alle parti.

8. Il Sostituto Procuratore generale depositava requisitoria scritta, recante la data del 27 giugno 2022, con la quale, svolti ampi richiami all'ordinanza impugnata in data 11 aprile 2022, all'iter procedimentale in cui la stessa si inseriva e in particolare alla memoria depositata dal Pubblico ministero con i relativi allegati all'udienza del 14 ottobre 2021, al ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e alle deduzioni e censure svolte, che ripercorreva specificamente e condivideva, evidenziava la sussistenza della denunciata abnormità del provvedimento di sospensione, derivata da quello della Corte di assise del 14 ottobre 2021, indefettibile presupposto del primo sul piano logico e giuridico, e delle condizioni di applicabilità dell'art. 420-bis, comma 2, ultima parte, c.p.p., sul rilievo della volontaria sottrazione degli imputati alla conoscenza del procedimento.

Rappresentava al riguardo che:

- vi era la prova, evincibile dagli elementi acquisiti agli atti, della condotta elusiva posta in essere dagli imputati, pienamente consapevoli del processo a loro carico e della data e del luogo della prima udienza per i contatti plurimi e ravvicinati avuti da loro e prima ancora dallo Stato egiziano con l'iter procedimentale, con conseguente irrilevanza, ai fini del procedere, della "incapacità dell'ordinamento di raggiungere direttamente gli imputati per motivi oggettivi ed incontrovertibili";

- il provvedimento di sospensione aveva determinato una stasi non rimediabile del processo, che ledeva l'efficienza del sistema e rendeva impossibile perseguire i gravissimi reati commessi all'estero contro H.H., cittadino italiano;

- assumeva rilievo, ai fini della valutazione dell'abnormità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti, anche la lesione derivante alle ragioni della vittima e alle finalità di difesa sociale sottese al processo, in una situazione in cui lo Stato di appartenenza degli imputati si era concretamente adoperato, in violazione della Convenzione di New York del 10 dicembre 1984, per consentire agli stessi di rimanere estranei al processo e garantire loro in tal modo l'impunità;

- la sospensione del processo si poneva in rapporto di diretta derivazione con l'ordinanza della Corte di assise di declaratoria della nullità della dichiarazione di assenza e del decreto che dispone il giudizio, emessi dal Giudice dell'udienza preliminare il 25 maggio 2021.

Rilevava, in via conclusiva, che:

- ricorrevano i presupposti per l'accoglimento del ricorso proposto dal Pubblico ministero e per il conseguente annullamento senza rinvio sia dell'ordinanza di sospensione emessa dal Gup in data 11 aprile 2022 sia del presupposto provvedimento emesso dalla Corte di assise il 14 ottobre 2021, con trasmissione degli atti alla Corte di assise per l'ulteriore corso;

- era necessario, ove tale conclusione non fosse condivisa, rimettere il ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione del contrasto di giurisprudenza insorto tra le Sezioni semplici, ed evidenziato nel ricorso, in merito all'abnormità dell'ordinanza di sospensione del processo, adottata ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p.;

- erano prospettabili, in via ulteriormente gradata, la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità degli artt. 420-bis, comma 2, ultimo periodo, e 420-quater c.p.p., nella parte in cui, il secondo articolo, prevedeva la sospensione del processo, anche in caso di impossibilità non reversibile di notificare l'avviso dell'udienza all'imputato, che avesse comunque acquisito conoscenza del procedimento o si fosse volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo ai sensi dell'art. 420 bis, comma II, ultimo periodo c.p.p., cui conseguiva una situazione di paralisi processuale per un tempo indefinito;

- la questione di costituzionalità concerneva la compatibilità delle richiamate disposizioni con gli artt. 3, 111 e 117 Costituzione, ma coinvolgeva, anche e preliminarmente, l'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione EDU, quale parametro nell'applicazione dell'art. 420-bis c.p.p., quanto alla richiesta conoscenza certa del procedimento in capo all'imputato, informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, quando lo stesso avesse comunque acquisito conoscenza del procedimento o si fosse volontariamente sottratto alla conoscenza del medesimo o di suoi atti, anche in relazione alla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

9. Le parti civili F.F. e E.E., genitori di Giulio Regeni, depositavano memoria difensiva per mezzo del loro difensore e procuratore speciale, con la quale, condivise e fatte proprie le motivazioni poste dalla Procura ricorrente a fondamento dell'eccezione di abnormità del provvedimento impugnato e di quello presupposto della Corte di assise, deducevano la nullità dell'impugnata ordinanza, dichiarativa della sospensione del processo, e di tutti gli atti presupposti, per l'incorsa erronea interpretazione, quanto alla natura giuridica e ai presupposti di applicabilità, dell'art. 420-bis, comma 2, ultima ipotesi, c.p.p..

10. La Presidenza del Consiglio dei Ministri depositava memoria per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, richiamando le deduzioni, osservazioni e argomentazioni rassegnate nella dichiarazione di costituzione di parte civile, e associandosi alle difese e alle richieste formulate dal Pubblico ministero.

11. I difensori di ufficio degli imputati A.A., B.B., C.C. e D.D. depositavano distinte memorie, con le quali, sulla base di concordanti argomenti e rilievi, ricondotti alla non abnormità dell'ordinanza del Gup che aveva disposto la sospensione del processo e alla correttezza dell'ordinanza emessa dalla Corte di assise nel rispetto delle norme e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, chiedevano che il ricorso del Pubblico ministero venisse dichiarato inammissibile, ovvero in via subordinata, o comunque, rigettato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, perchè proposto avverso provvedimento non impugnabile.

2. La preliminare questione indotta dal ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma attiene all'impugnabilità con ricorso per cassazione dell'ordinanza resa in data 11 aprile 2022 dal Gup dello stesso Tribunale, ex art. 420-quater, comma 2, c.p.p., e dei provvedimenti ad essa presupposti.

Il ricorrente, espressamente correlando il presupposto della sua scelta processuale alla ritenuta abnormità del provvedimento, ha rimarcato che, per l'effetto, il ricorso per cassazione è l'unico rimedio esperibile per impugnare l'ordinanza, altrimenti non suscettibile di autonoma e tipica impugnazione.

2.1. Contrariamente agli assunti del Pubblico ministero ricorrente, l'ordinanza impugnata non è affetta da abnormità. Anzi, essa - al pari del provvedimento della Corte di assise di Roma in data 14 ottobre 2021, che ha dichiarato nulla la precedente declaratoria di assenza, e il decreto che dispone il giudizio adottati nei confronti degli imputati all'udienza preliminare del 25 maggio 2021 - va esente da qualsivoglia rilievo di legittimità, per essere conforme a diritto l'accertamento delle condizioni giustificative della disposta sospensione del processo.

2.2. Giova preliminarmente ricordare le condivise regulae iuris, frutto di una lunga elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni unite (da ultimo, Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, Fenucci, Rv. 282807, e precedenti arresti ivi richiamati), che hanno chiarito e progressivamente affinato le caratteristiche della categoria, rimasta non tipizzata, della "abnormità", introdotta e mantenuta per l'esigenza di legittimare il ricorso immediato per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., derogando alla regola della tassatività dei mezzi d'impugnazione, per rimuovere gli effetti, non altrimenti eliminabili, di atti processuali di volta in volta accertati e apprezzati, affetti da anomalie così radicali o singolari sotto il profilo strutturale da risultare estranei al sistema organico della legge processuale, ovvero tali da determinare sul piano funzionale, pur senza essere estranei al sistema normativo, la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.

L'indicata operazione d'integrazione normativa, dipesa da una precisa scelta del legislatore, desumibile anche dalla "Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale", di non dare - a fronte della "rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione" - una definizione legislativa dei provvedimenti abnormi, nè di prevederne espressamente l'impugnazione, si è tradotta, nella giurisprudenza di legittimità all'uopo richiesta, nella individuazione e delimitazione degli elementi distintivi degli atti abnormi, valorizzandosene il carattere di eccezionalità e residualità, evocandosi la valenza degli effetti pregiudizievoli da essi derivanti per le posizioni soggettive delle parti ed evidenziandosi la necessità della loro interpretazione restrittiva per non aggirare la preclusione correlata al principio di tassatività delle nullità, stabilito dall'art. 177 c.p.p., e alla tipicità dei mezzi d'impugnazione, secondo le previsioni degli artt. 568 e 586 c.p.p..

2.3. Ebbene, l'ordinanza in esame appare immune da qualsivoglia anomalia ed in particolar modo da quelle che perimetrano la sopra delineata categoria dell'abnormità, in ragione dalla deviazione radicale dal potere attribuito al giudice o dal modello legale del provvedimento - e insuscettibile di determinare una irreversibile stasi del procedimento.

Punto di partenza dell'analisi è l'apprezzamento della formulazione dell'art. 420-bis c.p.p. - nel testo vigente a seguito della L. 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto il processo in assenza - e segnatamente del suo comma 2, che, dopo l'affermazione nel comma 1 del principio generale, secondo cui il giudice procede in assenza dell'imputato, libero o detenuto, non presente in udienza ovvero rinunciatario, benchè non impedito, ad assistervi, è così, per l'intero, formulato: "Salvo quanto previsto dall'art. 420-ter (n.d.r.: che riguarda l'impedimento a comparire dell'imputato o del difensore), il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonchè nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo".

La corrispondenza delle condizioni per procedere in assenza anche quando l'imputato non abbia ricevuto personalmente la notifica della sentenza, indicate in detta disposizione, a una situazione di piena conoscenza personale (o comprovato rifiuto) della chiamata in giudizio e del processo esprime una regola portante della riforma di cui alla richiamata L. n. 67 del 2014.

La legge, invero, in continuità con la progressiva introduzione nel sistema processuale penale di regole di maggiore effettività di partecipazione al processo sotto la spinta determinante di decisioni della Corte EDU (Somogyi c. Italia del 18 maggio 2004; Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004; Cat Berro c. Italia del 25 novembre 2008), ha superato definitivamente il procedimento in contumacia -basato sul mero apprezzamento della regolarità formale delle notifiche prevedendo un modello lineare sul piano generale, secondo il quale il giudice procede solo se gli risulti con certezza che l'imputato non si è presentato in udienza per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse, la data ed il luogo del processo, ovvero la volontà dello stesso imputato di sottrarsi alla conoscenza del procedimento o di suoi atti.

2.4. Il presupposto che il giudice proceda avendo certezza che l'imputato sia a conoscenza delle accuse e della vocatio in iudicium, sul quale si basa l'art. 420-bis c.p.p., trova conferma sistematica in plurime disposizioni del codice di rito.

In primo luogo, l'art. 420-quater, comma 1, c.p.p., "Sospensione del processo per assenza dell'imputato", dispone che, non ricorrendo i casi previsti dall'art. 420-bis c.p.p., "(...) se l'imputato non è presente il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria".

Ma anche altre disposizioni si basano sul medesimo presupposto nel prevedere regole relative alla mancata presenza e al ripristino delle condizioni iniziali, e in particolare:

- il comma 4 dello stesso art. 420-bis c.p.p., che, con riguardo alla possibile comparizione successiva dell'imputato, prevede il caso della sua scelta consapevole e il caso in cui egli fornisca "la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo" ovvero alla "assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento" e gli riconosce la possibilità di fare richieste istruttorie e chiedere la rinnovazione di prove già assunte;

- l'art. 489, comma 2, c.p.p., che prevede la rimessione nel termine per formulare richiesta di riti alternativi dell'imputato, che fornisce la prova che "l'assenza nel corso dell'udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall'art. 420-bis, comma 4";

- l'art. 604, comma 5-bis, c.p.p., inserito dalla stessa L. n. 67 del 2014, che, per la fase di appello, prevede che la sentenza di primo grado è annullata con rinvio degli atti al giudice di primo grado, "se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell'art. 420-ter o dell'art. 420-quater" e "nel caso in cui l'imputato provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado";

- l'art. 629-bis c.p.p., inserito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che, confermando per quanto qui d'interesse l'istituto della rescissione già previsto dall'abrogato art. 625-ter c.p.p. (pure inserito dalla predetta L. n. 67 del 2014), dispone che il condannato, nella cui assenza si è proceduto per tutta la durata del processo, "può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo", con trasmissione degli atti, in caso di accoglimento della richiesta, al giudice di primo grado.

Il delineato quadro normativo rende conto della peculiare valenza che riveste il comma 2 dell'art. 420-quater c.p.p., alla cui stregua, "quando la notificazione ai sensi del comma 1 non risulta possibile (...), il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente (...)", richiedendosi, nel vigente sistema, la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio, in netta discontinuità rispetto al processo in contumacia che valorizzava soprattutto la regolarità formale delle notifiche e prevedeva lo svolgimento comunque del processo salva la rimessione in termini, ex art. 175, comma 2, c.p.p., con onere della prova della "non conoscenza" a carico dell'imputato, per l'esercizio del solo diritto d'impugnazione.

2.5. Le problematiche relative al processo in absentia sono state recentemente esaminate dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420).

Attraverso un articolato iter argomentativo che ha attinto le fonti normative e la giurisprudenza interna ed Europea, le Sezioni Unite hanno dapprima esaminato l'evoluzione normativa delle garanzie della partecipazione effettiva dell'imputato al processo penale; dopo aver ripercorso la riforma di cui alla L. n. 67 del 2014, hanno poi analizzato le previsioni normative portanti del processo in assenza, del quale hanno sottolineate ratio normativa e differenze dei contenuti in discontinuità rispetto a quello pregresso della contumacia e degli istituti che lo esprimevano.

Le Sezioni Unite, fatte queste premesse, si sono diffusamente espresse sulla valutazione della complessiva portata delle ipotesi di cui all'art. 420-bis c.p.p. e, considerato il contesto complessivo della disposizione, hanno rimarcato che, oltre all'ipotesi in cui vi sia stata la notifica personale all'imputato della vocatio in ius:

- "l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. indica i casi in cui, sul presupposto ovviamente della regolarità delle notifiche, il giudice in fase di costituzione delle parti, verificati gli avvisi, possa procedere al processo ritenendo che vi sia assenza "volontaria"";

- "il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, (...), il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell'imputato";

- l'art. 420-quater c.p.p. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica "personalmente ad opera della polizia giudiziaria";

- "l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. (...), ha tipizzato dei casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell'imputato", sì che, senza potersi invocare alcuna presunzione di conoscenza del processo, "l'aver eletto domicilio, l'essere stato sottoposto a misura cautelare, l'aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare ma non a mani proprie alla effettiva conoscenza del processo", in quanto nelle indicate condizioni "è ragionevole ritenere che l'imputato abbia effettivamente conosciuto l'atto regolarmente notificato secondo le date modalità";

- "alcun effetto, invece, conseguirà ad una impossibilità di regolare notifica: (...); risultare irreperibile non consentirà che la pur valida notifica ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. prevalga sul dato sostanziale della non conoscenza; aver nominato un difensore di fiducia che ha poi rinunciato al mandato o che sia stato revocato parimenti non consentirà di procedere senza certezza della conoscenza".

Le Sezioni Unite hanno poi puntualmente rilevato che l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., "per la difesa dai "finti inconsapevoli", valorizz(a), quale unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la "volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento"". Hanno a tale riguardo sottolineato che "evidentemente, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta", senza che la disposizione indicata "tipizzi" o consenta di tipizzare alcuna condotta particolare; sicchè "non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza di diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sè determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della "volontaria sottrazione"". Ciò perchè "se si e Sas pera il concetto di "mancata diligenza" sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio di nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un'operazione non consentita".

2.6. Detti condivisi snodi argomentativi, significativi ed esaustivi nella coordinata lettura e interpretazione letterale e sistematica del testo normativo, si pongono in diretta continuità con le decisioni della Corte EDU che hanno riguardato l'ordinamento italiano e alle quali, determinanti nell'evoluzione normativa di progressivo adeguamento ai principi del giusto processo, le Sezioni Unite hanno fatto puntuali riferimenti.

La rilevanza delle valutazioni espresse è data dalla peculiare funzione di nomofilachia svolta dalle Sezioni Unite, cui è demandato di superare i contrasti insorti nella giurisprudenza di legittimità e di stabilire i principi di diritto per la corretta portata e lettura della normativa di riferimento rispetto a casi analoghi o simili, anche intervenendo di ufficio, a prescindere dall'iniziativa di parte.

Rimane evidente che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite vincola l'interpretazione giudiziaria successiva, avuto riguardo alle congiunte esigenze di certezza del diritto e di regolazione e stabilizzazione della giurisprudenza su problematiche che involgono principi costituzionali e convenzionali e fonti normative interne e sovranazionali.

Nè sono esposti in ricorso argomenti dotati di particolare valenza dimostrativa che possano giustificare una rivisitazione, sotto alcun profilo, dell'arresto delle Sezioni Unite Ismail, essendo anzi mancato un confronto critico e argomentato con i contenuti della sentenza e con le ragioni a essi sottese, di fatto ignorate.

2.7. L'ordinanza del GUP del Tribunale di Roma oggetto di impugnazione e il più volte citato provvedimento della Corte di assise di Roma in data 14 ottobre 2021, puntualmente richiamato nell'impugnata ordinanza, hanno fatto buon governo degli insegnamenti delle Sezioni Unite.

Hanno infatti correttamente escluso che, a fondamento della pretesa effettiva conoscenza da parte degli imputati del contenuto dell'accusa e della vocatio in iudicium, possano essere addotti gli elementi valorizzati dal Pubblico ministero ricorrente nel corso del procedimento, e ancora dinanzi a questa Corte.

Immune da vizi logici o giuridici deve, infatti, ritenersi la valutazione, giustificata in modo assai ampio e articolato dalla Corte di assise, secondo la quale le qualifiche soggettive degli imputati all'interno delle forze di polizia o degli apparati di sicurezza egiziani, la partecipazione di alcuni di essi al team egiziano incaricato di collaborare con gli inquirenti italiani nel caso Giulio Regeni, il fatto che alcuni di loro siano stati in quella sede sentiti quali persone informate dei fatti circa le indagini svolte in (Omissis), e la rilevanza mediatica, anche internazionale, del processo italiano non sono concludenti al fine di ritenere raggiunta la certezza della conoscenza da parte degli imputati del processo a loro carico.

Corretta, congrua e priva di profili di illogicità appare al riguardo la motivazione di detti provvedimenti là dove, tra l'altro, indica che i primi elementi sono precedenti all'esercizio dell'azione penale in Italia a carico degli imputati e ritiene congetturali e basate su indimostrate presunzioni le opposte valutazioni del Pubblico ministero circa una necessaria e generalizzata osmosi informativa all'interno dei servizi di sicurezza egiziani, ovvero in ordine alla necessaria conoscenza che i medesimi imputati avrebbero in ogni caso tratto dai media internazionali, in particolare da quelli in lingua inglese o araba, circa le precise cadenze del processo instaurato in Italia nei loro confronti.

Specularmente, non può in alcun modo ritenersi che la certa conoscenza delle accuse e della vocatio in iudicium possa annettersi a quegli stessi dati fattuali, che l'ordinanza del 25 maggio 2021 del Gup di Roma aveva posto a base della dichiarata assenza degli imputati ai fini del loro rinvio a giudizio.

L'analisi svolta, correttamente inquadrata nel quadro normativo, interno e convenzionale, relativo al procedimento in assenza, è del tutto coerente con gli illustrati principi fissati dalle Sezioni Unite Ismail, esattamente interpretati e applicati, e la cui lettura non è stata oggetto nel ricorso di argomentata critica, appuntatasi, invece, sul richiamo operato nell'ordinanza alla sentenza Corte EDU Sejdovic c. Italia, ritenuta in ricorso risalente, riferita alla disciplina della contumacia ed espressiva di un "diritto tiranno" dell'imputato.

Non si considera, nelle svolte censure, che l'ordinanza e prima ancora le Sezioni Unite hanno fatto riferimento all'indicata decisione quale premessa degli approdi della successiva giurisprudenza di legittimità e soprattutto per l'operato espresso condizionamento della ulteriore evoluzione normativa, con l'affermata esistenza di un "obbligo, derivante dalla Convenzione, di procedere solo nei confronti di chi abbia l'effettiva conoscenza del processo", e non una conoscenza vaga e non ufficiale, e di un "obbligo di prevedere un meccanismo riparatorio consistente nell'assicurare al soggetto giudicato in contumacia un nuovo grado di giurisdizione di merito".

2.8. Lo stesso può dirsi quanto alla Vvolontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo" predicata dal Pubblico Ministero ricorrente.

Movendo, invero, dalla corretta premessa che, nella sua ultima parte, il comma 2 dell'art. 420-bis valorizza, per la difesa dai "finti inconsapevoli", la volontaria sottrazione quale unica ipotesi in cui si può procedere, nonostante l'ignoranza della parte circa la propria vocatio in iudicium, il ricorrente non considera che le Sezioni Unite, con una interpretazione attenta alla tutela dell'effettività del contraddittorio e del diritto di partecipazione personale dell'imputato al processo, hanno fissato specifiche coordinate ermeneutiche, in coerenza con lo spirito riformatore, volto al superamento del sistema di presunzioni legali e a impedire "situazioni che, in termini di automaticità, possano rappresentare casi di "volontaria sottrazione" alla conoscenza del processo".

In tale condivisa prospettiva, la sentenza delle Sezioni Unite Ismail ha puntualmente rimarcato (p. 28 e s.) che si deve trattare all'evidenza di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al relativo coefficiente psicologico. Il ricorso evoca, invece, come anti-doverose delle condotte meramente omissive - quali la mancata elezione di domicilio dinanzi all'autorità giudiziaria italiana, la mancata nomina di un difensore di fiducia, ecc. - che, se da un lato presuppongono esse stesse l'effettiva conoscenza del processo da parte degli imputati, risultando comunque tutt'altro che doverose, dall'altro esulano per loro natura dal perimetro di rilevanza disegnato dalle Sezioni Unite ai fini del riconoscimento della sussistenza della "volontaria sottrazione".

Sicchè le testuali parole della sentenza Ismail possono applicarsi direttamente alle argomentazioni del Pubblico ministero ricorrente, nel senso che "se si esaspera il concetto di "mancata diligenza" sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un'operazione non consentita".

3. L'ordinanza impugnata non evidenzia i caratteri distintivi dell'atto abnorme nemmeno ove si apprezzi sul piano funzionale, non determinando essa una irreversibile stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.

3.1. L'ordinanza, sì come sintetizzato sub 5 del "ritenuto in fatto", ha disposto la sospensione del processo, ai sensi dell'art. 420-quater, comma 2, c.p.p., dopo avere rilevato: che gli imputati erano rimasti in stato di irreperibilità perchè non potuti rintracciare per la notifica personale dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare; il rinvio contestuale del procedimento all'udienza in prosecuzione del 10 ottobre 2022, con audizione in detta udienza del Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale degli affari internazionali e della cooperazione giudiziaria sugli esiti dei chiarimenti richiesti alla Procura generale della Repubblica Araba d'Egitto da detto Dipartimento; lo svolgimento di nuove ricerche degli imputati, a mezzo del R.O.S. Carabinieri-Reparto antiterrorismo 4 sezione; l'esecuzione eventuale anche della notifica degli indicati atti nei confronti degli imputati presso i luoghi di residenza o di dimora all'estero (in (Omissis)).

Con detta ordinanza, che il ricorrente afferma genericamente essere incorsa in violazione di legge, il Giudice ha certamente esercitato in potere, a lui spettante perchè espressamente a lui riconosciuto dal richiamato art. 420-quater c.p.p., di sospendere il processo ricorrendone le relative condizioni, di cui ha dato conto richiamando compiutamente le fonti di conoscenza acquisite agli atti.

L'ordinanza neppure ha determinato la denunziata stasi insuperabile del procedimento, avendo anzi disposto specifici atti di propulsione processuale, inerenti sia ad attività informativa sugli esiti dei chiarimenti richiesti alla Procura generale della Repubblica Araba d'(Omissis) dal Dipartimento per gli affari di giustizia, sia all'espletamento di nuove ricerche, sia all'eventuale notifica agli imputati dei necessari avvisi, tanto che la difesa di ufficio di B.B. ha rilevato che l'ordinanza, che non ha sospeso per il suo contenuto "nella sostanza" l'udienza preliminare, andrebbe considerata "solo formalmente una ordinanza di sospensione".

Nè il Giudice ha prescisso dal confrontarsi con il rifiuto allo stato di fatto opposto dall'Autorità giudiziaria egiziana di prestare collaborazione a quella italiana, pronunciandosi anche sulle argomentazioni, apprezzate motivatamente come pretestuose, espresse dal Procuratore generale della Repubblica Araba d'Egitto con il Memorandum del 26 dicembre 2020 sulla "scomparsa e la morte della vittima italiana, Giulio Regeni", e concludendo, coerentemente con le proprie prerogative giurisdizionali che si esercitano nell'attività di interpretazione e applicazione delle norme e di valutazione delle prove, che non poteva superarsi il predetto rifiuto con una non consentita scorciatoia giudiziaria, solo respingendo le indicate argomentazioni.

Non conforta, inoltre, in alcun modo la qualificazione come abnorme dell'ordinanza l'affermazione che dalla stessa derivano una "ingiustificata sospensione sine die del processo" e un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti, tradotto nella lesione del diritto delle costituende parti civili, familiari della persona offesa e Presidenza del Consiglio dei ministri, alla celebrazione del processo a carico degli imputati.

La sospensione, invero, mentre non è ingiustificata, perchè motivata in relazione alla rilevata sussistenza delle condizioni che normativamente la determinano, non è neppure sine die alla luce delle cadenze procedimentali previste dal codice di rito proprio in vista di una sua possibile revoca, indicate motivatamente nell'ordinanza.

3.2. Nè deve trascurarsi di rilevare - con valenza che, ad avviso del Collegio, non appare secondaria - che il diritto delle parti offese alla celebrazione del processo non si esprime nel diritto allo svolgimento "di un processo", ma in quello, che si coniuga con i principi della convenzione EDU e con i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata, alla celebrazione "del processo" che, in applicazione delle norme vigenti di diritto positivo, coerentemente interpretate in linea con condivise regulae iuris, possa svolgersi, e pervenire alla sua conclusione, senza essere tendenzialmente esposto a interventi riparatori, nel rituale contraddittorio e nell'ordinata sequenza logico-cronologica dei momenti processuali che lo compongono.

Tali considerazioni non trascurano le deduzioni delle parti civili F.F. e E.E., che hanno evocato nella memoria scritta il pregiudizio prodotto dal provvedimento impugnato a diritti garantiti in loro favore dall'obbligo procedurale degli Stati di garantire il diritto alla vita e il divieto di tortura derivante dal combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3 Convenzione EDU, oltre che dalla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, recepita dall'Italia con D.Lgs. n. 212 del 2015, che prevede anche per la vittima del reato, intesa non solo come vittima diretta ma anche come familiare di una persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato (art. 2, comma 1, lett. a), il), il diritto di partecipare ai procedimenti penali e il conseguente diritto di ottenere, da essi, l'accertamento dei fatti e le statuizioni risarcitorie.

Neppure il collegio disconosce le richiamate decisioni della Corte EDU, che hanno affermato che, "laddove nelle indagini siano coinvolte accuse di gravi violazioni dei diritti umani, il diritto alla verità sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene solo alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche ad altre vittime di violazioni simili e al pubblico in generale, che ha il diritto di sapere cosa è successo. Una risposta adeguata da parte delle autorità nelle indagini sulle denunce di gravi violazioni dei diritti umani può essere generalmente considerata essenziale per mantenere la fiducia del pubblico nella sua adesione allo Stato di diritto e per prevenire qualsiasi apparenza di impunità, collusione o tolleranza di atti illeciti. Per le stesse ragioni, deve esserci un elemento sufficiente di controllo pubblico dell'indagine o dei suoi risultati per garantire la responsabilità sia in pratica che in teoria" (Corte EDU, nei casi Abu Zubaydah c. Lituania, 31 maggio 2018, p. 610, e Al Nashiri c. Romania, 31 maggio 2018, p. 641), e quelle più direttamente pertinenti al reato di tortura e alla necessità che l'indagine porti all'identificazione e alla punizione dei responsabili per evitare l'inefficacia pratica dell'interdizione inderogabile della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti e l'impunità degli autori (tra le altre, Saba c. Italia, 1 luglio 2014, p. 76; Alberti c. Italia, 24 giugno 2014, p. 62; Dembele c. Svizzera, 24 settembre 2013, p. 62).

Deve, tuttavia, ribadirsi che sono proprio le esigenze rappresentate a dimostrare la correttezza di quanto rilevato, dovendo il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione, passare, in uno Stato di diritto, attraverso il rispetto delle regole del giusto processo regolato dalla legge, che si svolga nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti.

4. Quanto precede consente dunque di escludere che nel caso di specie possa ipotizzarsi, e comunque ritenersi sussistente, la dedotta abnormità dell'ordinanza impugnata e dei provvedimenti che ne costituiscono il presupposto, che risultano pertanto insuscettibili di impugnazione.

5. Risulta in ciò assorbito il rilievo che prima il Pubblico ministero ricorrente e poi il Procuratore generale in sede hanno attribuito alla presenza di due orientamenti contrastanti della giurisprudenza di legittimità in tema di configurabilità in astratto dell'abnormità dell'ordinanza di sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p..

Si tratta, infatti, di un tema che risulta superato nel caso che ci occupa dalla riconosciuta insussistenza di qualsivoglia abnormità di tale provvedimento. Sicchè, anche applicando al caso in esame l'orientamento condiviso dal Pubblico ministero ricorrente, non si perverrebbe a diverse conclusioni. Ciò rende la questione non rilevante nel caso di specie e preclude perciò la sua rimessione alle Sezioni Unite.

6. La problematica che incide sulla cooperazione tra Stati e sulla ingiustificata mancanza di collaborazione dell'Autorità giudiziaria egiziana, che fa da sfondo alle censure svolte, è estranea, come già detto, all'esercizio dell'attività giudiziaria che si esplica applicando correttamente il diritto positivo, sulla base di una interpretazione conforme a diritto e vincolante, quale è quella espressa dalla Corte di cassazione italiana nella sua più alta formazione.

Il superamento della rappresentata situazione, impeditiva della partecipazione degli imputati al processo, per il cui svolgimento sussiste la giurisdizione italiana, tenuta ad applicare senza strappi il tessuto normativo, garantista e rispettoso dei diritti di tutte le parti processuali secondo le coordinate interpretative consegnate, in tema di giudizio in assenza, dalle Sezioni Unite, appartiene alle competenti Autorità di governo, anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione per le stesse discendenti dalle Convenzioni internazionali, e, tra queste più specificamente, da quella contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New York il 10 dicembre 1984, ratificata dall'Italia con legge del 3 novembre 1988, n. 498, e dall'(Omissis) il 25 gennaio 1986.

7. Per completezza, infine, si annota che, alla stregua di quanto fin qui esposto, deve ritenersi non rilevante e manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità proposto dal Procuratore generale requirente in riferimento agli artt. 420-bis, comma 2, ultimo periodo, e 420-quater c.p.p. (rispetto agli artt. 3, 111 e 117 Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione EDU e alla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), nella parte in cui l'art. 420-quater c.p.p. prevede la sospensione del processo, si sostiene, anche in caso di impossibilità non reversibile di notificare l'avviso dell'udienza all'imputato, che abbia comunque acquisito conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo ai sensi dell'art. 420-bis, comma 2, ultimo periodo, c.p.p., cui consegue una situazione di paralisi processuale per un tempo indefinito.

La questione, infatti, da un lato presuppone che gli imputati abbiano comunque acquisito conoscenza del procedimento o si siano sottratti alla conoscenza dello stesso procedimento o di suoi atti, dato questo escluso nel presente giudizio. D'altro lato, tende a provocare il superamento dell'attuale sistema, frutto di lunga e progressiva elaborazione normativa e di consolidata interpretazione giurisprudenziale, anche in sede Europea, maturate proprio al fine di renderlo conforme alle esigenze convenzionali e costituzionali.

Così facendo, prefigura il superamento, in via giudiziaria, di una pretesa "paralisi processuale", che, nel caso di specie, non deriva dai provvedimenti giudiziari esaminati ma da fattori esterni al processo.

8. Il ricorso per cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma deve essere, conseguentemente, dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2023