Italia condannata per violazione dell'art 6 della Convenzione europea per i diritti dell'Uomo per non aver garantito al condannato inconsapevole in contumacia una effettiva possibilità di ottenere un nuovo accertamento del merito delle accuse a suo carico da parte di un tribunale che lo ascolti nel rispetto dei suoi diritti di difesa.
Al condannato inconsapevole va garantita la possibilità di riaprire il procedimento ab initio, e non solo di appellare la sentenza di primo grado, con tutte le limitazioni inerenti al procedimento di appello.
Gli argomenti invocati dai tribunali nazionali per sostenere la validità del decreto di latitanza - ossia la consapevolezza del ricorrente dell'arresto di altre persone coinvolte nel traffico di droga, il mero timore della possibilità di essere arrestato egli stesso e il fatto che non avesse un indirizzo fisso - non possono essere ritenuti sufficienti per dimostrare, in modo inequivocabile, che il ricorrente abbia cercato di sfuggire al processo o abbia rinunciato al suo diritto di comparire al processo.
Traduzione automatica non ufficiale canestriniLex.com, originale qui https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-226388.
Corte europea per i diritti dell'Uomo
PRIMA SEZIONE
CASO SHALA c. ITALIA
(Ricorso n. 71304/16)
SENTENZA
STRASBURGO
31 agosto 2023
La presente sentenza è definitiva ma può essere soggetta a revisione editoriale. traduzione non ufficiale canestriniLex.com.
Nel caso Shala contro Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in Comitato composto da:
Péter Paczolay, Presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto della sezione,
visto quanto segue:
il ricorso (n. 71304/16) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") il 23 novembre 2016 da un cittadino kosovaro[1], il sig. Sami Shala, nato nel 1963 e detenuto a Saluzzo ("il ricorrente") che è stato rappresentato dalla sig.ra M.S. Mori, avvocato che esercita a Milano;
la decisione di notificare il ricorso al Governo italiano ("il Governo"), rappresentato dal suo agente L. D'Ascia;
le osservazioni delle parti;
dopo aver deliberato in privato il 27 giugno 2023,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
OGGETTO DELLA CAUSA
1. La questione del caso è se il ricorrente - che è stato dichiarato "latitante" e processato in contumacia - abbia avuto un processo equo ai sensi dell'articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, dato che, nel procedimento riaperto dopo il suo arresto, gli è stata negata la possibilità di esercitare alcuni diritti di difesa.
2. Il 4 ottobre 1999, nell'ambito di un procedimento penale a carico del ricorrente per reati in materia di stupefacenti, le autorità giudiziarie hanno disposto la sua custodia cautelare. Poiché il ricorrente - che già negli atti dell'inchiesta risultava vivere a Bratislava a un indirizzo sconosciuto - era considerato irrintracciabile, il 25 ottobre 1999 è stato dichiarato latitante e gli è stato assegnato un avvocato ufficialmente nominato.
3. È stato processato in contumacia e condannato a ventisei anni di reclusione dal Tribunale di Milano con sentenza del 24 ottobre 2001, divenuta definitiva il 26 marzo 2002. Tutti gli atti processuali, compresa la sentenza, sono stati notificati all'avvocato del ricorrente.
4. Il 28 agosto 2013, dopo essere stato arrestato dalla polizia albanese, il ricorrente è stato estradato in Italia. Egli ha chiesto, ai sensi dell'articolo 175 § 2 del codice di procedura penale, come applicabile all'epoca dei fatti, di poter impugnare la sentenza fuori termine.
5. Dopo averla ottenuta, ha presentato ricorso contro la sentenza. Ha chiesto, tra l'altro, la riapertura del procedimento ab initio, in quanto era stato dichiarato latitante pur non essendo a conoscenza del procedimento e non essendosi volontariamente sottratto ad esso. Ha inoltre contestato la competenza territoriale del tribunale di Milano e ha chiesto, in ogni caso, l'adozione del rito abbreviato.
6. Con sentenza del 27 ottobre 2014, la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado, respingendo tutte le richieste del ricorrente. Ha ritenuto che la volontaria sottrazione del ricorrente al procedimento fosse stata provata (non aveva un domicilio fisso; alcune intercettazioni telefoniche avevano dimostrato che era a conoscenza dell'arresto di altre persone coinvolte nel traffico di stupefacenti e che temeva di essere arrestato anche lui) e che non avesse diritto alla riapertura del procedimento ab initio. Ha inoltre ritenuto che il ricorrente non fosse più in tempo per chiedere l'adozione del procedimento sommario e che l'avvocato ufficialmente nominato avrebbe dovuto contestare la competenza territoriale nel processo di primo grado.
7. Con sentenza del 10 maggio 2016, il cui testo è stato depositato in cancelleria il 1° giugno 2016, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'appello di Milano.
8. Il ricorrente lamentava, ai sensi dell'articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, di essere stato condannato in contumacia senza aver avuto una reale ed effettiva possibilità di presentare la propria difesa davanti ai giudici italiani. Nonostante fosse venuto a conoscenza del procedimento solo al momento dell'arresto, gli era stata negata la possibilità di riaprire il procedimento ab initio. Ha inoltre lamentato che, in ogni caso, non è stato ascoltato personalmente e gli è stato negato il diritto di contestare la competenza territoriale e di essere giudicato con procedura sommaria.
LA VALUTAZIONE DELLA CORTE
LA RICHIESTA DEL GOVERNO DI ANNULLARE IL RICORSO AI SENSI DELL'ARTICOLO 37 § 1 DELLA CONVENZIONE
9. Il Governo ha presentato una dichiarazione unilaterale che non offre una base sufficiente per ritenere che il rispetto dei diritti umani, così come definiti dalla Convenzione, non imponga alla Corte di proseguire l'esame del caso (articolo 37 § 1 in fine). La Corte respinge la richiesta del Governo di cancellare il ricorso e proseguirà di conseguenza l'esame del merito del caso (cfr. Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003-VI).
PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
10. Il diritto e la prassi nazionali pertinenti (in vigore all'epoca) sono stati riassunti in Huzuneanu c. Italia, no. 36043/08, §§ 27-32, 1° settembre 2016.
11. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione o irricevibile per altri motivi. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
12. La Corte fa riferimento alle sue sentenze nella causa Sejdovic c. Italia [GC], no. 56581/00, §§ 81-95, CEDU 2006-II, e Huzuneanu, sopra citata, §§ 47-48, per una sintesi dei principi pertinenti applicabili nel caso di specie.
13. In applicazione di tali principi, la Corte osserva che non è stato contestato che il ricorrente sia stato processato in contumacia e che prima del suo arresto non abbia ricevuto alcuna informazione ufficiale sulle accuse o sulla data del suo processo. Inoltre, non è contestato il fatto che già durante le indagini preliminari era stato scoperto che viveva fuori dall'Italia, in una località non specificata di Bratislava. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal Governo nelle sue osservazioni, non vi sono elementi nel fascicolo che dimostrino inequivocabilmente che il ricorrente fosse a conoscenza del procedimento a suo carico e che quindi abbia rinunciato a comparire in tribunale o abbia cercato di sottrarsi al processo. Infatti, gli argomenti invocati dai tribunali nazionali per sostenere la validità del decreto di latitanza - ossia la consapevolezza del ricorrente dell'arresto di altre persone coinvolte nel traffico di droga, il mero timore della possibilità di essere arrestato egli stesso e il fatto che non avesse un indirizzo fisso - non possono essere ritenuti sufficienti per dimostrare, in modo inequivocabile, che il ricorrente abbia cercato di sfuggire al processo o abbia rinunciato al suo diritto di comparire al processo (cfr. Sejdovic, sopra citata, § 87).
14. Avendo così stabilito, la Corte è quindi chiamata a esaminare se il ricorrente, condannato in contumacia, abbia successivamente avuto un'effettiva possibilità di ottenere un nuovo accertamento del merito delle accuse a suo carico da parte di un tribunale che lo avesse ascoltato nel rispetto dei suoi diritti di difesa (si vedano Sejdovic, sopra citata, § 105, e Rizzotto c. Italia (n. 2), n. 20983/12, §§ 53-54, 5 settembre 2019).
15. Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto la possibilità di riaprire il procedimento ab initio, ma solo di appellare la sentenza di primo grado, con tutte le limitazioni inerenti al procedimento di appello. Dal fascicolo non risulta che ci sia stata alcuna attività di assunzione di prove davanti alla Corte d'appello, né che il ricorrente sia stato ascoltato personalmente da tale tribunale. Gli sono stati negati i diritti di contestare la competenza territoriale dei tribunali e di ottenere di essere giudicato con procedura sommaria, che avrebbe potuto esercitare, se fosse stato presente, nel processo di primo grado, quando in effetti era assente e rappresentato da un avvocato ufficialmente nominato.
16. La Corte ribadisce che essere rappresentati da un avvocato ufficialmente nominato in un procedimento tenuto in contumacia non è di per sé una garanzia sufficiente contro il rischio di iniquità (si veda Huzuneanu, sopra citato, §§ 47-49). Inoltre, il fatto di essere giudicati da un tribunale competente in base al diritto interno è una questione rilevante al fine di stabilire l'equità complessiva del procedimento ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (si veda Richert c. Polonia, no. 54809/07, § 41, 25 ottobre 2011, e Jorgic c. Germania, no. 74613/01, § 64, CEDU 2007-III).
17. Queste considerazioni sono sufficienti per concludere che l'equità complessiva del procedimento è stata viziata e che, contrariamente a quanto sostenuto dal Governo, il ricorrente non ha ottenuto un nuovo accertamento effettivo del merito delle accuse a suo carico in conformità ai requisiti dell'articolo 6.
18. Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 6 della Convenzione.
APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
19. Il ricorrente non ha presentato una richiesta di danni, ritenendo la riapertura del processo una giusta soddisfazione. Tuttavia, ha chiesto 15.387,28 euro (euro) per le spese sostenute davanti alla Corte e 10.636,98 euro (euro) per le spese che sarebbero state sostenute davanti ai tribunali nazionali in caso di riapertura del processo. Ha chiesto che le somme che gli saranno riconosciute dalla Corte siano versate direttamente al suo avvocato, che le ha anticipate.
20. Il Governo ha sostenuto che le somme richieste erano eccessive e ha chiesto che venissero ampiamente ridotte.
21. Dal momento che il ricorrente non ha avanzato alcuna richiesta di danni, la Corte non effettua alcun risarcimento a questo titolo.
22. Tenuto conto dei documenti in suo possesso, la Corte ritiene ragionevole concedere 7.000 euro per il procedimento dinanzi alla Corte, più eventuali imposte a carico del ricorrente. Tale somma dovrà essere versata direttamente al rappresentante del ricorrente.
23. La Corte respinge la richiesta nella misura in cui riguarda i costi e le spese che sarebbero sostenuti in caso di riapertura del processo, in quanto sono meramente ipotetici.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
respinge la richiesta del Governo di escludere il ricorso dal suo elenco di casi ai sensi dell'articolo 37 § 1 della Convenzione sulla base della dichiarazione unilaterale da esso presentata;
Dichiara il ricorso ricevibile;
Dichiara che vi è stata una violazione dell'articolo 6 della Convenzione;
Dichiara
(a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, l'importo di 7.000 euro (settemila euro), più eventuali imposte a carico del ricorrente, da versare direttamente al rappresentante del ricorrente, a titolo di spese e costi;
(b) che, a partire dalla scadenza dei suddetti tre mesi e fino al saldo, sull'importo di cui sopra saranno dovuti interessi semplici a un tasso pari al tasso di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante il periodo di mora, maggiorato di tre punti percentuali;
respinge il resto della domanda di equa soddisfazione del ricorrente.
Fatto in inglese e notificato per iscritto il 31 agosto 2023, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del Regolamento della Corte.
Liv Tigerstedt Péter Paczolay
Cancelliere aggiunto Presidente