Spetta al diritto dell'Unione stabilire i livelli di tutela dei diritti fondamentali, al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale: una condanna senza difensore non integra nessuna violazione del diritto inviolabile alla difesa, potendo il processo essere riaperto (senza questione di legittimità costituzionale per attivare i cd. controlimiti).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA VI PENALE
Sent. n. 46360 cc - 12/12/2024 deposito 18/12/2024
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da
LS, nato a Milano il 12/06/1981,
avverso la sentenza del 14/11/2024 emessa dalla Corte di appello di Milano
udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Costanzo;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale Fabio Picuti, che ha chiesto di rimettere la questione alla Corte di Giustizia europea o alla Corte Costituzionale o, in subordine, che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio;
udito l'avvocato Nicola Canestrini del Foro di Rovereto, in difesa di SL, che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Milano ha disposto la consegna di LS alla Autorità giudiziaria del Belgio sulla base di un mandato d'arresto europeo emesso il 4/06/2024 dal Pubblico ministero di * a seguito di sentenza di condanna atre anni e un mese di reclusione pronunziata il 15/10/2018 dal Tribunale di primo grado di *, Dipartimento di *, n. 2018, e relativa a reati di truffa continuata e vendita di prodotti contraffatti in concorso con altri, commessi in Belgio dal 2/10/2014 al 29/04/2019.
2. Nel ricorso presentato dal difensore di L si chiede l'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 2 legge 22 aprile 2005 n. 69 e 1 l, 24 e 111 Cast, perché la sentenza di condanna belga è stata emessa aconclusione di un processo svoltosi non soltanto in contumacia, ma anche senza l'assistenza di un difensore e, quindi, pure con violazione del principio del contraddittorio.
Si osserva che una sentenza così prodotta non potrebbe essere riconosciuta nell'ordinamento italiano ex art. 1 d.lgs. 7 settembre 2010 n. 161, perché incompatibile con i principi costituzionali riguardanti i diritti fondamentali di libertà e il giusto processo, sicché sarebbe contraddittorio riconoscerla come valido titolo per la detenzione e la consegna del condannato.
Si evidenzia che, sul tema, la Corte di cassazione ha sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea il 23 gennaio 2024, nel procedimento penale a carico di GE-C/2024/2141-25/03/2024- Causa C30/24, Derterti, mentre la questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di appello di Roma è stata decisa dalla Prima Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea con ordinanza C 504/2024 PPU Anacco.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 2 legge. 22 aprile 2005 n. 69, 117 Cast., 3 CEDU, 4 CDFUE, perché la Corte di appello non ha verificato se L potrebbe essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti in caso di consegna a causa delle condizioni di detenzione in Belgio.
Si osserva che la Corte di cassazione (Sez 6., n. 30578 del 12/07/2023, non mass.) ha ritenuto che nel caso di grave situazione sistemica delle carceri dello Stato richiedente, riscontrata da plurime e recenti sentenze di legittimità, la Corte di appello, anche in assenza di allegazioni difensive, ha l'onere di accertare la sussistenza della relativa causa ostativa alla consegna. Al riguardo, si indicano alcune della sentenza di questa Corte di cassazione nelle quali la validità di tale principio è stata specificamente riferita alla situazione delle carceri nel Belgio alla luce della dichiarazione pubblica del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio di Europa del 13/0772017 e del rapporto dell'8/08/2018, parzialmente reiterate nel successivo report del 2022.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 18-bis, comma 2, legge n. 69/2005 nel rigetto della istanza di esecuzione della sentenza belga in Italia in considerazionedella cittadinanza italiana di L e valutando che egli è stato condannato in assenza e senza effettuare idonee ricerche per rintracciarlo, privo dell'assistenza di un difensore e senza che lo Stato richiedente abbia garantito la possibilitàper il consegnando di ottenere la riapertura del processo a suo carico.
Sulla base di quanto argomentato/ nel ricorso, si chiede che la Corte di cassazione, ove non annulli la sentenza impugnata, in alternativa:
a) sollevi nuovamente questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea circa la compatibilità dell'art. 4-bis della decisione-quadro 2002/GAI con l'art. 6 TUE,con l'art. 48 CDFUE e 6, par. 3, letto. c), CEDU;
b) sospenda il presente procedimento in attesa della decisione della Corte di giustizia dell'Unione Europea sulla analoga questione sollevata dalla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione con ordinanza del 29/09/2023;
c) sollevi questione di legittimità costituzionale dell'art. 18-bis legge n. 69/2005 in relazione agli artt. 24 e 111 Costi.
Successivamente la difesa del ricorrente ha prodotto una written opinion as amicus curiae redatta dalla European Bar Association and Fair Trials Europe, redatta in lingua inglese, nella quale sono ribadite le argomentazioni a sostegno del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Nella sentenza impugnata si precisa che, con la risposta fornita alla richiesta di informazioni supplementari, l'Autorità del Belgio ha assicurato che, dopo la sua consegna e la notifica della sentenza di condanna, avrà, secondo la legge belga, la possibilità, di proporre, entro 15 giorni, opposizione alla sentenza di condanna e ottenere la celebrazione di un nuovo processo in presenza, con ammissione di nuove prove e con la eventuale revisione della decisione precedente.
La Corte d'appello osserva che risulta così previsto un rimedio analogo alla rescissione del giudicato, che consente al condannato di opporsi alla condanna e di difendersi in un nuovo processo, in sua presenza, e con l'assistenza di un difensore.
Ricorre, pertanto, una delle condizioni alternative - quella prevista dalla lettera d) dell'art. 6, comma 1-bis, legge citata - che possono integrare il mandato di arresto europeo emesso ai fini della esecuzione di una pena applicata all'esito di un processo in cui l'interessato non è comparso personalmente.
Al riguardo, come ricordato dalla Corte di appello, la ordinanza C 504/2024 PPU Anacco della Prima Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, decidendo su un caso identico a quello in esame, ha statuito che:
«L'articolo 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna fra gli Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009, letto alla luce dell'articolo 6 TUE, nonché dell'art. 47 e dell'art. 48, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che non consente l'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna dell'interessato in forza di un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà pronunciata nei confronti di tale interessato nello Stato di emissione, se quest'ultimo non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, senza essere rappresentato da un avvocato da lui incaricato o nominato d'ufficio, e se le condizioni previste dall'art. 4 bis par. 1, lett. d) sono soddisfatte».
Circa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18-bis legge n. 69/2005 in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., deve rilevarsi che la Corte costituzionale si è già pronunciata (Corte cost., ord. n. 216 del 2021), osservando che i diritti fondamentali, al rispetto dei quali la decisione-quadro è vincolata, sono quelli riconosciuti dal diritto dell'Unione europea e, conseguentemente, da tutti gli Stati membri quando attuano il diritto dell'Unione, e alla loro definizione concorrono le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6,par. 3, T.U.E.; art. 52, par. 4, CDFUE), sicché spetta al diritto dell'Unione stabilire i livelli di tutela dei diritti fondamentali, al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale.
Su queste basi, la Corte costituzionale ha precisato che l'esigenza di assicurare l'uniforme e effettiva applicazione della normativa sul mandato di arresto europeo comporta che sia di regola precluso alle autorità giudiziarie dello Stato di esecuzione rifiutare la consegna al di fuori dei casi imposti o consentiti dalla decisione quadro, sulla base di canoni di tutela prettamente nazionali dei diritti fondamentali della persona interessata (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 5 aprile 2016, in cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU, Aranyosi e Caldararu, par. 80).
2. Risulta fondato il terzo motivo di ricorso, ma nei termini che seguono.
2.1. Nel caso in esame deve preliminarmente rilevarsi che L, cittadino italiano, ha chiesto che la pena inflittagli sia eseguita in Italia.
L'art. 18-bis, comma 1, n. 2, legge n. 69/2005 prevede, come motivo di rifiuto facoltativo della consegna, che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna del cittadino italiano (...) sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».
Inoltre, non risulta che SL abbia proposto ricorso contro la sentenza belga, che, pertanto, deve ritenersi sia definitiva che esecutiva.
Ne consegue il motivo di rifiuto facoltativo previsto dall'art. 18-bis, comma 2, legge n. 69/2005, può essere legittimamente opposto perché la predetta facoltà di rifiuto presuppone, ex art. 2 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, la definitività della sentenza (Sez. 6, n.37438 del 09/10/2024, G., Rv. 287029).
Va precisato, per altro verso, che non è necessario accertare l'effettivo radicamento nel territorio nazionale del cittadino italiano ai fini della opponibilità del motivo facoltativo di rifiuto della consegna per l'esecuzione in Italia della pena, perché è sufficiente il formale possesso della cittadinanza (Sez. 6, n. 5233 del 02/02/2023, De Siato, Rv. 284110).
Né, nel caso in esame, emerge che al primario interesse correlato al perseguimento della finalità rieducativa della pena, connesso alla richiesta di esecuzione della stessa in Italia, si contrapponga uno specifico interesse punitivo dello Stato sul cui territorio il reato è stato commesso.
2.2. Su questa base, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Milano per un nuovo giudizio nella linea dei principi di diritto richiamati.
3. Dall'accoglimento del terzo motivo di ricorso deriva la perdita di rilevanza attuale del secondo motivo di ricorso.
P.Q.M.Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge
Così deciso il 12/12/2024