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Condanna ai fini civili con reato prescritto? Presunzione di innocenza violata (Corte EDU, 2020)

20 ottobre 2020, Corte EDU

Presunzione di innocenza violata quando in assenza di un accertamento di colpevolezza la sentenza del GiudicePenale rifletta comunque la convinzione di colpevolezza del giudice, con condanna al risarcimento dei danni proprio sulla base di questa dichiarazione di responsabilità penale seppure ai soli fini civili.

La presunzione di innocenza mira a proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato.

Senza una tutela che garantisca il rispetto dell'assoluzione o della decisione di sospensione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie processuali eque di cui all'articolo 6, § 2, rischiano di diventare teoriche e illusorie: una volta terminato il procedimento penale, è anche la reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal pubblico. In una certa misura, la protezione offerta dall'articolo 6 § 2 a questo riguardo può sovrapporsi alla protezione offerta dall'articolo 8.
La presunzione di innocenza sarà violata nei casi riguardanti le dichiarazioni dopo la cessazione del procedimento penale se, senza che l'imputato sia stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge e, in particolare, senza che egli abbia avuto la possibilità di esercitare i diritti della difesa, una decisione giudiziaria che lo riguarda riflette un'opinione di colpevolezza: il linguaggio utilizzato dal decisore sarà di fondamentale importanza per valutare la compatibilità della decisione e la sua motivazione con l'articolo 6, § 2.

Nei casi di richieste di risarcimento civile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il procedimento penale si sia concluso con l'interruzione o con l'assoluzione, la Corte ha sottolineato che, sebbene l'esonero dalla responsabilità penale debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento civile, non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilità civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base di un onere della prova meno rigoroso. Tuttavia, se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione di responsabilità penale della parte convenuta, ciò solleverebbe una questione che rientra nell'ambito dell'articolo 6 § 2 della Convenzione.
 Anche se l'uso di un linguaggio infelice può non essere necessariamente incompatibile con l'articolo 6 § 2, a seconda della natura e del contesto del particolare procedimento, la Corte ha ritenuto che la presunzione di innocenza sia stata violata in situazioni in cui i tribunali civili hanno ritenuto "chiaramente probabile" che il richiedente abbia commesso un reato o hanno espressamente indicato che le prove disponibili erano sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato.

 (traduzione informale canestriniLex.com)

Corte europea dei diritti dell'Uomo

TERZA SEZIONE

CASO DI PASQUINI v. SAN MARINO (n. 2)

(Applicazione n. 23349/17)

20 ottobre 2020



Art. 6 § 2 - Presunzione di innocenza - Osservazioni del giudice dell'impugnazione penale nel decidere il risarcimento alla vittima dopo la prescrizione delle accuse - Dichiarazioni che non si limitano all'uso di un linguaggio infelice e che equivalgono all'imputazione di una responsabilità penale - Particolare attenzione da esercitare nella formulazione del ragionamento in una sentenza civile dopo la cessazione del procedimento penale


STRASBURGO 20 ottobre 2020

Questa sentenza diverrà definitiva nelle circostanze previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può essere soggetta a revisione editoriale.

Nella causa Pasquini contro San Marino (n. 2),
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Terza Sezione), che si riunisce come Sezione composta da:
Paul Lemmens, Presidente,
Georgios A. Serghides,
Alena Poláčková,
María Elósegui,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Ana Maria Guerra Martins, giudici,
e Olga Chernishova, vice cancelliere della sezione,
Avendo deliberato in privato l'8 settembre e il 22 settembre 2020,
Emette la seguente sentenza, adottata in data odierna:

PROCEDURA

1. La causa ha avuto origine da un ricorso (n. 23349/17) contro la Repubblica di San Marino depositato presso il Tribunale ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da un cittadino italiano, Enrico Maria Pasquini ("il ricorrente"), il 20 marzo 2017.

2. Il ricorrente era rappresentato dagli avv.ti A. Pagliano e L. Conti, avvocati con sede in Napoli e San Marino, rispettivamente. Il Governo di San Marino ("il Governo") era rappresentato dal loro agente, sig. L. Daniele.

3. Il ricorrente ha sostenuto che la presunzione di innocenza era stata violata nei suoi confronti, in quanto, in assenza di un accertamento di colpevolezza, la sentenza del Giudice di Appello Penale rifletteva comunque la convinzione di colpevolezza del giudice. Inoltre, egli è stato condannato al risarcimento dei danni proprio sulla base di questa dichiarazione di responsabilità penale, senza che ciò sia stato accertato nel procedimento penale.
4. Il 4 settembre 2017 è stato notificato al Governo il reclamo relativo all'articolo 6 § 2 e il resto del ricorso è stato dichiarato irricevibile ai sensi dell'articolo 54 § 3 del Regolamento del Tribunale.
5. 5. Il Governo italiano, al quale era stato notificato il diritto di intervenire nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione e articolo 44 del Regolamento), non ha indicato che intendeva farlo.
I FATTI

LE CIRCOSTANZE DEL CASO
6. Il richiedente è nato nel 1948 e vive a San Marino.
Il procedimento di primo grado
7. In data 1° giugno 2011, a seguito di un sopralluogo presso la sede della società S.M.I. (società fiduciaria operante a San Marino), la Banca Centrale di San Marino (Banca Centrale) ha presentato al giudice istruttore (Commissario della Legge Inquirente) una relazione riguardante, tra l'altro, alcune operazioni finanziarie sospette effettuate dal ricorrente (all'epoca dei fatti il presidente e socio unico della società S. M.I.) e da un altro soggetto, B. (all'epoca materiale l'amministratore della società S.M.I.), nei rispettivi ruoli all'interno della società. La relazione accusava la commissione di vari reati da parte del richiedente e di B.
8. In particolare, il ricorrente è stato accusato: i) del reato di "esercizio di attività fiduciaria senza licenza"; ii) di tre capi d'accusa per il reato di "ostacolo all'esercizio dell'attività di vigilanza"; iii) del reato di "falsa comunicazione ai soci e agli organi di controllo"; iv) del reato di continuazione della malversazione (aggravata per il suo ruolo di amministratore). Per quanto riguarda quest'ultimo capo di imputazione, secondo l'accusa il ricorrente, tra aprile 2009 e il 10 marzo 2010, avrebbe prelevato personalmente 2.633.055,77 euro (EUR) da un conto fiduciario aperto dalla società S. e amministrato dalla società S.M.I. Secondo l'accusa il ricorrente era titolare effettivo della società S., e aveva prelevato tali fondi per il pagamento di fatture emesse per servizi inesistenti e fittiziamente forniti alla società S.M.I. dalla società S. e da altre società estere nominate. In tal modo, a parere dell'accusa, il ricorrente aveva sottratto le suddette somme di denaro, a danno della società S.M.I..
9. In data non meglio precisata la società S.M.I., rappresentata dai suoi liquidatori, essendo nel frattempo entrata in liquidazione coatta amministrativa, si è costituita parte civile nel procedimento penale.
10. Con sentenza dell'8 aprile 2014 il giudice di primo grado (Commissario della Legge Decidente) ha dichiarato il ricorrente (e B.) colpevole di tutti i reati di cui è accusato, condannandolo a quattro anni di reclusione e a una multa, e condannandolo altresì a risarcire la società S.M.I. versandogli una somma di denaro da quantificare in un separato procedimento civile. Il giudice ha tuttavia emesso un provvedimento provvisorio di risarcimento (provvisionale) di 2.633.055,77 euro a favore della parte civile.
11. Per quanto riguarda la malversazione aggravata, secondo il giudice di primo grado, l'indagine condotta dalla Banca Centrale aveva dimostrato che gli imputati avevano istituito un sistema complesso consistente nella creazione di molteplici società estere (che fungono da intermediari) attraverso le quali avevano sottratto fondi [appartenenti alla società S.M.I.] mediante operazioni di intermediazione commerciale simulata. Tutte queste operazioni irregolari erano riconducibili ai rappresentanti della società S.M.I. in qualità di persone fisiche, come dimostra chiaramente il fatto che i pagamenti erano stati ripetuti ogni anno, mentre normalmente i servizi di intermediazione commerciale erano pagabili come una somma forfettaria pagata tutta in una volta, non in parte per un periodo di tempo. Secondo il giudice, i pagamenti non erano state commissioni [reali] come sostenuto dal richiedente, dato che, da un lato, la società S.M.I. aveva pagato ingenti somme di denaro e, dall'altro, non vi erano stati rapporti d'affari reali e documentati tra i broker e la società S.M.I. Secondo il giudice, [il pagamento di] tali ingenti somme di denaro avrebbe richiesto che i servizi fossero svolti da società di brokeraggio ben organizzate e, soprattutto, attive. Ciò non era avvenuto, alla luce del fatto che le società di intermediazione coinvolte avevano sede in paesi noti come paradisi fiscali (paesi a fiscalita' privilegiata) e che non avevano la corrispondente struttura amministrativa. Inoltre, le prove avevano dimostrato che il richiedente e B. avevano depositato il denaro (che avevano ottenuto attraverso il pagamento di commissioni indebite) su conti bancari che, pur essendo formalmente registrati a nome delle società di intermediazione, erano in realtà riconducibili al richiedente e a B., e quest'ultimo aveva ripetutamente prelevato denaro da loro.
12. 12. Secondo il Giudice, la Banca Centrale aveva indicato dettagliatamente nella sua relazione l'ammontare dei movimenti illeciti [di denaro], i bonifici bancari, le loro motivazioni (causali), le date in cui erano stati effettuati, e il ruolo individuale del ricorrente e di B. A parere del Giudice, tali elementi avevano dimostrato sia la commissione del reato di appropriazione indebita sia l'esistenza delle circostanze aggravanti (queste ultime, alla luce del ruolo di gestione dell'imputato nella società S.M.I., che era incontestabile).
13. 13. A parere del giudice, la giustificazione addotta dal ricorrente (secondo il quale, essendo egli l'unico azionista della società S.M.I. aveva di fatto stanziato fondi propri) derivava da un'errata interpretazione del termine società come persona giuridica distinta. In qualità di azionista, il ricorrente avrebbe potuto appropriarsi di tali fondi attraverso la riscossione di dividendi. Al contrario, egli aveva scelto di pagare commissioni fittizie per impoverire il patrimonio della società S.M.I., cioè il patrimonio di una diversa persona giuridica [separata dal ricorrente come persona fisica], avente un patrimonio economico distinto da quello che gli azionisti detenevano a proprio nome. Fatture fittizie e motivazioni di pagamento fittizie (causali) erano state utilizzate per manipolare ed abusare del patrimonio della società, in modo da ottenere benefici a esclusivo vantaggio del richiedente e di B. L'interesse della società era stato completamente subordinato agli interessi del richiedente e, in misura minore, di B., che effettuava pagamenti privi di qualsiasi logica commerciale.
Il procedimento di appello e il procedimento dinanzi alla giurisdizione costituzionale
14. La ricorrente ha presentato ricorso, sostenendo, tra l'altro, che nel frattempo era scaduto il termine di prescrizione del reato di appropriazione indebita previsto dalla legge.
15. Con decisione del 1° dicembre 2015 il Giudice d'Appello Penale ha riconosciuto che il termine di prescrizione per il reato di appropriazione indebita era scaduto. Tuttavia il giudice, d'ufficio, ha d'ufficio sottoposto alla Corte Costituzionale (Collegio Garante della Costituzionalita' delle Norme) la questione della costituzionalita' dell'art. 196 del Codice di Procedura Penale (riguardante la competenza del giudice in appello - si veda il diritto interno pertinente di seguito). A parere del giudice, quest'ultima disposizione è in contrasto con l'art. 15 §§ 1, 2, e 3 della Carta sammarinese dei diritti fondamentali dell'uomo (Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell'ordinamento sammarinese) e con l'art. 6 § 1 della Convenzione, in quanto non prevede che, in caso di prescrizione di un reato, il giudice d'appello possa comunque decidere nel merito delle domande civili di risarcimento e di restituzione (alla parte civile). Secondo il giudice tale lacuna violava i principi di ragionevole durata del procedimento e di economia processuale e i diritti della difesa della parte civile.
16. Il 27 dicembre 2015 è entrata in vigore la legge 22 dicembre 2015, n. 189. Essa ha introdotto l'articolo 196 bis del Codice di procedura penale, che prevedeva che il giudice dell'impugnazione penale, dichiarando la prescrizione di un reato, potesse comunque decidere sugli obblighi civili derivanti da tale reato. Con sentenza del 26 gennaio 2016 la Corte Costituzionale ha ordinato la restituzione del fascicolo al Giudice dell'Appello Penale, affinché quest'ultimo possa decidere se, a suo avviso, alla luce della nuova legge sopra citata, sussistano ancora i motivi della denuncia costituzionale contro l'articolo 196 del Codice di Procedura Penale.
17. Con sentenza del 19 settembre 2016, pubblicata il 22 settembre 2016, il Giudice dei ricorsi penali ha respinto l'argomento del ricorrente secondo cui la nuova disposizione non poteva essere applicata nel caso di specie. A parere del giudice, la nuova disposizione aveva un chiaro carattere procedurale, in quanto autorizzava il giudice a deliberare il risarcimento del danno derivante da un reato. Pertanto, in base al principio del tempus regit actum, la nuova disposizione doveva essere applicata in tutti i procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore.
18. 18. Inoltre, il Giudice dell'Appello Penale (i) ha assolto il ricorrente e B. del reato di "esercizio di attività fiduciaria senza licenza", per mancanza di prove relative al dolo (dolo); (ii) ha assolto l'attore da uno dei capi d'accusa di "ostacolo alla sorveglianza" per mancanza di prove relative all'elemento soggettivo (ma ha confermato gli altri); (iii) ha dichiarato caduti in prescrizione i reati di "ostruzione alla sorveglianza" (gli altri capi d'accusa), "falsa dichiarazione ai soci e agli organi di vigilanza" e malversazione aggravata e ha rinunciato a questi ultimi capi d'accusa; (iv) ha confermato le restanti parti della sentenza di primo grado, compreso l'ordine di risarcimento.
19. In particolare, secondo la sentenza, in relazione alle imputazioni cadute in prescrizione (compresa quella di malversazione), in linea con le esigenze di diritto interno (si veda il successivo punto 24), il Giudice di primo grado ha ritenuto che il ragionamento della sentenza di primo grado non avesse indicato che i fatti contestati non fossero mai avvenuti o che l'imputato non li avesse commessi, per cui non vi era spazio per nessun altro accertamento se non quello di dichiarare la cessazione delle imputazioni.
20. 20. Il Giudice dell'Appello Penale ha poi esaminato le restanti accuse non cadute in prescrizione e ha formulato le sue conclusioni nel merito di tali accuse (si veda il precedente paragrafo 17).
21. 21. Infine, il Giudice dell'Appello Penale ha precisato di dover esaminare gli elementi sui quali si era basata la prima condanna del ricorrente per il reato di malversazione aggravata continuata, esclusivamente per decidere sul risarcimento del danno (statuizioni civili), alla luce del fatto che le relative imputazioni (per malversazione aggravata) erano state sospese.
22. 22. Pertanto, per quanto riguarda la fondatezza delle pretese civili, il Giudice dell'Appello Penale, dopo aver esaminato le istanze presentate in appello, ha accolto la prima constatazione del giudice di primo grado che il ricorrente e B. avevano creato più società estere attraverso le quali avevano sottratto i fondi della società S.M.I. In particolare, avevano simulato servizi di intermediazione che di fatto non erano mai stati forniti. Secondo il Giudice dell'Appello Penale, gli elementi di seguito indicati avevano dimostrato che il pagamento di tali provvigioni (provvigioni) copriva l'appropriazione indebita dei fondi della società S.M.I. - che a parere del Giudice aveva permesso al ricorrente di ottenere una considerevole somma di denaro in modo non trasparente. In particolare, il giudice ha considerato: (i) l'ammontare delle somme dovute, che era di gran lunga superiore alla percentuale ordinariamente dovuta in commissioni, e che in alcuni casi era stata pari a circa il 50% delle somme che erano state [nozionalmente] pagate dai clienti fittizi; (ii) il fatto che i pagamenti fossero ripetuti annualmente, mentre l'intermediazione commerciale era normalmente un servizio una tantum; (iii) l'assenza di rapporti d'affari reali e documentati tra la società S.M.I. e la società S.M.I.. M.I. e le società di intermediazione, che si trovavano in giurisdizioni a bassa imposizione fiscale e non disponevano di strutture amministrative adeguate; e (iv) il fatto che le società di intermediazione erano, in realtà, riconducibili al richiedente e a B., nella misura in cui quest'ultimo aveva effettuato prelievi multipli [di denaro] dai conti bancari delle società. Tali prelievi sono stati talvolta effettuati più o meno negli stessi periodi dei pagamenti effettuati dalla società S.M.I., come indicato, in dettaglio, nella relazione della Banca Centrale (tra l'altro, i prelievi effettuati dal richiedente sul conto intestato alla società S.). Secondo il giudice, tutti i pagamenti che erano stati effettuati alle società di intermediazione e che erano stati indicati nell'atto d'accusa avevano celato il trasferimento di denaro dalla società S.M.I. ad altre società riconducibili al richiedente e a B. Gli imputati, che avrebbero potuto legittimamente trattenere gli utili e i compensi per la loro attività (registrati nei conti come pagamenti a loro favore da parte della società S.M.I.), avevano invece disposto irregolarmente i fondi della società S.M.I., registrando ingenti somme di denaro a nome di società di intermediazione straniere, al fine di evadere le tasse e non lasciare traccia dell'origine del denaro in questione. In questo modo, la società S.M.I. (e non i broker) aveva subito un danno per il reato di appropriazione indebita. Secondo il giudice, tale condotta doveva essere indiscutibilmente caratterizzata come tale (pacificamente configurabile come tale), dato che il patrimonio di una società è distinto dal patrimonio personale dell'azionista. Il giudice ha rilevato che, per poter disporre dei fondi di una società, era necessario documentare, in modo legittimo e trasparente, i vari movimenti finanziari e le ragioni di tali movimenti, al fine di tutelare i creditori e i terzi. A parere del Giudice, era evidente che gli imputati non avevano utilizzato le somme in questione a vantaggio, o nell'interesse, della società S.M.I.
23. Il fatto che gli imputati si siano appropriati di tali somme e le abbiano disposte come se fossero proprie equivaleva quindi ad atti di appropriazione indebita, cioè alla condotta di cui erano stati accusati (integra agevolmente gli estremi della condotta appropriativa contestata). Inoltre, non vi era alcun dubbio sull'esistenza di un intento deliberato (dolo), in quanto l'intero piano (meccanismo) era stato messo in atto al fine di compiere atti abusivi in relazione ai fondi della società. Né era credibile che il richiedente e B. avessero veramente creduto di avere il diritto di utilizzare le somme come se fossero proprie, poiché, se così fosse stato, non avrebbero orchestrato i vari trasferimenti ma avrebbero semplicemente ritirato direttamente il denaro. Ne consegue che, mentre le accuse penali dovevano essere sospese in quanto cadute in prescrizione, le pretese civili accolte in primo grado sul presupposto della responsabilità penale [dell'attore] dovevano essere mantenute ai sensi dell'art. 196 bis del Codice di Procedura Penale.

DIRITTO E PRASSI NAZIONALE PERTINENTE

Codice penale
24. Gli articoli 54, 59 e 140 del codice penale recitano, per quanto rilevanti, come segue:
Articolo 54

"Un reato è prescritto:

(2) entro tre anni se è punito con la reclusione di secondo grado, con l'interdizione di terzo o quarto grado, con una multa...".

Articolo 59

"In ogni fase del procedimento e grado di giurisdizione il giudice applica l'amnistia o la prescrizione, a meno che non sia già accertato che i fatti contestati non siano mai avvenuti (il fatto non sussiste), che l'imputato non li abbia commessi, o che i fatti contestati non costituiscano reato, nel qual caso il giudice deve assolvere l'imputato con la formula prescritta".

Articolo 140

"L'imputato è responsabile dei seguenti obblighi con tutto il suo patrimonio presente e futuro:

...

(2) Risarcimento di danni fisici o morali, patrimoniali o meno, e restituzione dei beni di cui è entrato in possesso o di cui ha abusato;

...

(5) spese processuali".

Articolo 143

"La scadenza del relativo termine di prescrizione in relazione ad un reato estingue esclusivamente l'obbligo derivante dall'articolo 140, paragrafo 5".

Articolo 146

"La persona civilmente responsabile è responsabile degli obblighi derivanti dall'articolo 140, paragrafi 1, 2 e 3 ...".

Codice di procedura penale
25. Gli articoli 1 e 3 del codice di procedura penale recitano come segue:
"1. L'azione civile può essere intentata separatamente, nel qual caso è regolata dalle norme di procedura civile, o contestualmente all'azione penale. In quest'ultimo caso la richiesta di risarcimento del danno è registrata nel procedimento penale, e il giudice che decide deciderà in merito come stabilito dal capo XX1 del presente Codice.

3. 3. Ogni reato dà luogo ad un'azione penale. L'azione civile sorge anche quando il reato provoca un danno, fisico o morale, al soggetto passivo del reato [la vittima] e l'azione civile può essere perseguita da chiunque abbia interesse ad ottenere un risarcimento".

26. L'articolo 196 del Codice di procedura penale recita, per quanto rilevante, quanto segue:
Art. 196

"Il giudice d'appello è competente a decidere solo sulle parti della sentenza [di primo grado] a cui si riferiscono i motivi addotti".

27. 27. Secondo la giurisprudenza interna consolidata (prima dell'entrata in vigore dell'art. 196 bis, v. infra), in caso di prescrizione di un reato durante il procedimento d'appello, tutte le parti di una sentenza di primo grado relative agli effetti civili (v. supra art. 140) derivanti dalla constatazione della responsabilità penale dell'imputato in primo grado dovevano essere revocate (caducazione). Pertanto, un giudice di appello penale non poteva determinare gli effetti civili derivanti da un reato prescritto (cfr., tra le altre autorità, le sentenze del giudice di appello penale dell'11 luglio 1994, del 13 settembre 1994, del 12 gennaio 1995, del 30 novembre 1995, del 30 luglio 1997, dell'8 agosto 1997, del 18 febbraio 1998, del 16 giugno 1999, del 23 agosto 2000).
28. 28. L'articolo 196 bis del codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 78 della legge 22 dicembre 2015, n. 189, recita come segue:
L'articolo 196 bis

"Quando l'imputato è stato condannato a reintegrare le cose o a risarcire alla parte civile i danni causati da un reato - anche se il danno è ancora da quantificare - il giudice dell'appello, che dichiara il reato prescritto, decide sulle eccezioni relative agli obblighi derivanti dal reato, ai sensi dell'articolo 140 del codice penale".

LA LEGGE

PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE
29. Il ricorrente ha denunciato una violazione della presunzione di innocenza, come previsto dall'articolo 6 § 2 della Convenzione, che recita come segue:
"2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la legge non ne provi la colpevolezza".

30. Il Governo ha contestato tale argomentazione.
Ammissibilità
31. 31. La Corte osserva che il Governo non ha sollevato alcuna obiezione ratione materiae. Tuttavia, ribadisce che l'applicabilità di una disposizione riguarda la competenza della Corte ratione materiae a valutare un reclamo, e quindi è una questione che rientra nella competenza della Corte e che non le è impedito di esaminare d'ufficio (v., mutatis mutandis, Pasquini c. San Marino, no. 50956/16, § 86, 2 maggio 2019).
Principi generali
32. L'articolo 6 § 2 tutela "il diritto alla presunzione di innocenza fino a prova contraria". Considerata come una garanzia procedurale nel contesto di un processo penale, la presunzione di innocenza impone requisiti relativi, tra l'altro, all'onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto, al privilegio contro l'autoincriminazione, alla pubblicità preprocessuale e alle espressioni premature, da parte della corte processuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di un imputato (cfr. Allen c. Regno Unito [GC], n. 25424/09, § 93, CEDU 2013 e la giurisprudenza ivi citata per esempi delle situazioni di cui sopra).
33. Tuttavia, in linea con la necessità di assicurare che il diritto garantito dall'articolo 6 § 2 sia pratico ed effettivo, la presunzione di innocenza ha anche un altro aspetto. Il suo scopo generale, in questo secondo aspetto, è quello di proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato (ibidem, § 94).
34. 34. Come espressamente indicato nell'articolo stesso, l'articolo 6 § 2 si applica quando una persona è "accusata di un reato". La Corte ha ripetutamente sottolineato che si tratta di un concetto autonomo e che deve essere interpretato secondo i tre criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, vale a dire la classificazione del procedimento nel diritto interno, la sua natura essenziale e il grado e la severità della potenziale sanzione (si veda, tra molte altre autorità sul concetto di "accusa penale", Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, Serie A n. 22, e Phillips c. Regno Unito, n. 41087/98, § 31, ECHR 2001-VII). Per valutare qualsiasi denuncia ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, che insorga nell'ambito di un procedimento giudiziario, è innanzitutto necessario accertare se il procedimento contestato comportasse la determinazione di un'accusa penale, ai sensi della giurisprudenza della Corte (cfr. Allen, citato, § 95).
35. Tuttavia, nei casi che riguardano il secondo aspetto della protezione offerta dall'articolo 6 § 2, che si verifica quando il procedimento penale è terminato, è chiaro che l'applicazione di tale criterio è inappropriata. In questi casi, il procedimento penale si è necessariamente concluso e, a meno che il successivo procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale ai sensi della Convenzione, se l'articolo 6 § 2 è impegnato, deve essere impegnato per motivi diversi (ibidem, § 96).
36. 36. In passato la Corte è stata chiamata a considerare l'applicazione dell'articolo 6 § 2 alle decisioni giudiziarie prese a seguito della conclusione del procedimento penale, a titolo di sospensione o dopo un'assoluzione, in un procedimento riguardante, tra l'altro, l'imposizione di una responsabilità civile per il pagamento di un risarcimento alla vittima (vedi Ringvold c. Norvegia, no. 34964/97, § 36, CEDU 2003-II; Y. c. Norvegia, n. 56568/00, § 39, CEDU 2003-II; Orr c. Norvegia, n. 31283/04, §§ 47-49, 15 maggio 2008; Erkol c. Turchia, n. 50172/06, §§ 33 e 37, 19 aprile 2011; Vulakh e altri c. Russia, n. 33468/03, § 32, 10 gennaio 2012; Diacenco c. Romania, n. 124/04, § 55, 7 febbraio 2012; Lagardère c. Francia, n. 18851/07, §§ 73 e 76, 12 aprile 2012; Constantin Florea c. Romania, no. 21534/05, §§ 50 e 52, 19 giugno 2012; Vella c. Malta, n. 69122/10, § 44, 11 febbraio 2014; N.A. c. Norvegia, n. 27473/11, § 42, 18 dicembre 2014; Fleischner c. Germania, n. 61985/12, § 62, 3 ottobre 2019).
37. 37. In Allen (citato sopra, §§ 103-04) la Grande Camera ha formulato il principio della presunzione di innocenza nel contesto del secondo aspetto dell'articolo 6 § 2 come segue:
"La presunzione di innocenza significa che, in presenza di un'accusa penale e di un procedimento penale conclusosi con un'assoluzione, la persona che è stata oggetto del procedimento penale è innocente agli occhi della legge e deve essere trattata in modo coerente con tale innocenza. In tal senso, pertanto, la presunzione di innocenza permarrà anche dopo la conclusione del procedimento penale, al fine di garantire che, per quanto riguarda qualsiasi accusa non provata, l'innocenza della persona in questione sia rispettata. Questa preoccupazione prioritaria è alla base dell'approccio della Corte in merito all'applicabilità dell'articolo 6, paragrafo 2, in questi casi.

Ogniqualvolta la questione dell'applicabilità dell'articolo 6, paragrafo 2, si pone nel contesto di un procedimento successivo, il richiedente deve dimostrare l'esistenza di un legame, come sopra indicato, tra il procedimento penale concluso e il procedimento successivo. Tale legame è probabile che sussista, ad esempio, quando il procedimento successivo richiede l'esame dell'esito del procedimento penale precedente e, in particolare, quando obbliga il giudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o a una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale; a valutare la partecipazione del richiedente ad alcuni o a tutti gli eventi che hanno portato all'accusa penale; o a commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente".

Applicazione al caso di specie

38. La Corte rileva che nel caso di specie il procedimento penale si è concluso in appello con l'interruzione del procedimento per prescrizione. In conseguenza della nuova legge, lo stesso Giudice dell'Appello Penale che aveva determinato l'imputazione penale era anche competente a decidere il risarcimento dovuto alla vittima. Secondo il Tribunale, mentre il procedimento era un unico procedimento, la determinazione del risarcimento alla vittima era una fase successiva all'interruzione del procedimento penale. In quella fase, il Giudice dell'Appello Penale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad avviare una revisione o una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale. Egli doveva anche valutare la partecipazione del richiedente ad alcuni o a tutti gli eventi che hanno portato all'accusa penale e commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. Ne consegue che non vi è alcun dubbio sull'esistenza di un nesso tra le due determinazioni (cfr., a contrario, Martìnez Agirre e altri contro la Spagna, (dicembre), nn. 75529/16 e 79503/16, § 52, 25 giugno 2019), che nel caso di specie si sono verificate nello stesso insieme di procedimenti, e che pertanto l'articolo 6 § 2, al suo secondo arto, è applicabile al presente procedimento.
39. 39. La Corte rileva che tale denuncia non è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione. Essa rileva inoltre che non è inammissibile per altri motivi. Essa deve pertanto essere dichiarata ammissibile.

Merito


Le osservazioni delle parti

a) Il richiedente

40. La ricorrente ha sostenuto che, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, una sentenza di rigetto di una causa per scadenza di un termine di prescrizione è paragonabile ad una sentenza di assoluzione nel merito, e che nessuno dei due tipi di sentenza può contenere una dichiarazione della responsabilità penale del convenuto, in astratto o in pratica. La ricorrente ha osservato che, ai fini dell'articolo 6 § 2, nella causa Lagardère c. Francia (n. 18851/07, 12 aprile 2012) la Corte aveva distinto tra sentenze di condanna e sentenze di licenziamento, mentre nella causa Allen (citata, § 94) aveva paragonato un'assoluzione nel merito all'archiviazione di una causa. In particolare, nella causa Allen, citata, la Corte aveva ritenuto che il fatto che una sentenza di assoluzione che aveva deciso anche il risarcimento contenesse una dichiarazione di responsabilità penale avesse violato la presunzione di innocenza. Inoltre, nella causa Ringvold e Y. contro la Norvegia (entrambe citate), la Corte aveva ritenuto che il fatto che una decisione interna sul risarcimento contenesse una dichiarazione che imputava la responsabilità penale ad un richiedente potesse sollevare una questione in relazione all'articolo 6 § 2.
41. Secondo il ricorrente, il Giudice dell'Appello Penale, pur sospendendo le accuse per la scadenza del relativo termine di prescrizione (quindi, in assenza di una sentenza di condanna definitiva), non solo aveva sollevato un mero sospetto riguardo alla sua responsabilità penale, ma aveva chiaramente dichiarato di aver commesso il reato di appropriazione indebita a danno della società S.M.I. Quest'ultima constatazione era stata il risultato di una valutazione effettuata da quel tribunale, nello stesso procedimento penale, mentre decideva sul risarcimento del danno. Così, come nel caso Garycki c. Polonia (n. 14348/02, § 67, 6 febbraio 2007) la dichiarazione di responsabilità penale del ricorrente da parte del giudice era stata fatta al di fuori del contesto di una condanna, che aveva quindi violato l'articolo 6 § 2.

b) Il Governo

42. 42. Il Governo ha sottolineato che sia nel primo che nel secondo caso i tribunali nazionali avevano pienamente stabilito la responsabilità penale del ricorrente per il reato di appropriazione indebita e che, in appello, il caso del ricorrente era stato parzialmente interrotto solo perché il relativo termine di prescrizione era scaduto.
43. 43. Il Governo ha rilevato che, ai sensi dell'articolo 59 del Codice Penale (cfr. paragrafo 24), quando il termine di prescrizione era scaduto, in qualsiasi fase del procedimento, il giudice doveva applicare la prescrizione, a meno che, fino a quel momento, non fosse già chiaramente stabilito che l'imputato era innocente. Solo in quest'ultimo caso il giudice era obbligato ad assolvere il convenuto nel merito, senza che la causa fosse respinta per la scadenza del termine di prescrizione. Pertanto, secondo il Governo, una sentenza di rigetto della causa per scadenza del termine di prescrizione non equivaleva ad un'assoluzione nel merito, ma, al contrario, equivaleva ad un "ipotetico giudizio di condanna in ipotesi", in quanto quest'ultima sentenza aveva valutato in astratto la responsabilità penale dell'imputato per un determinato reato (anche senza applicare la relativa pena).
44. A parere del Governo, il fatto che il Giudice di condanna penale avesse deciso di sospendere le accuse in base alla scadenza del termine di prescrizione e non avesse assolto l'attore nel merito (in assenza delle condizioni richieste dalla legge per un'assoluzione in quella fase) implicava che il giudice, di fatto, avesse dichiarato l'attore colpevole del reato contestato, anche senza applicare la relativa sanzione ai sensi della prescrizione.
45. Secondo il Governo, ne consegue che, alla luce del citato art. 59 c.p.p., la presunzione di innocenza non era stata violata (e non poteva neppure essere applicata alla sentenza di appello) in quanto l'innocenza del ricorrente era stata chiaramente esclusa dal giudice dell'appello penale.
46. Inoltre, il Governo ha rilevato che, ai sensi dell'art. 196 bis del Codice di Procedura Penale (cfr. punto 26) (disposizione analoga a quella dell'art. 578 del Codice di Procedura Penale), il Giudice dell'Appello Penale ha valutato e respinto tutti i motivi presentati dalla ricorrente solo per decidere sul risarcimento del danno derivante dal reato.
47. 47. Il Governo, basandosi su Allen, e Y. c. Norvegia (entrambi citati), ha riconosciuto che la Corte ha riconosciuto una violazione della presunzione di innocenza se, in assenza di una sentenza di condanna definitiva, una decisione giudiziaria aveva dato l'idea della colpevolezza dell'imputato e, analogamente, se una sentenza che accertava una negligenza extracontrattuale aveva contenuto dichiarazioni che attribuivano responsabilità penale all'imputato. Tuttavia, essi hanno ritenuto che la Corte avesse operato una distinzione tra i casi in cui il procedimento penale era stato semplicemente interrotto e i casi in cui era stata pronunciata una sentenza definitiva di assoluzione (cfr. Sekanina c. Austria, 25 agosto 1993, serie A n. 266-A). Inoltre, il Governo ha sottolineato che la Corte non aveva adottato un unico approccio per accertare una presunta violazione dell'articolo 6 § 2, poiché molto dipendeva dalla natura e dal contesto del procedimento in cui era stata adottata la decisione contestata (come la Corte aveva stabilito nella sentenza Allen, citata, § 125).

La valutazione della Corte

a) Principi generali

48. Il secondo aspetto della tutela offerta dalla presunzione di innocenza mira a proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato (cfr., in generale, Allen, citato, §§ 93-94, e G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e 2 altri, § 314, 28 giugno 2018).
49. 49. Il secondo aspetto della tutela della presunzione di innocenza entra in gioco quando il procedimento penale si conclude con un risultato diverso da una condanna (cfr., ad esempio, Tendam c. Spagna, n. 25720/05, §§ 35-41, 13 luglio 2010, e Vlieeland Boddy e Marcelo Lanni c. Spagna, nn. 53465/11 e 9634/12, §§ 38-49, 16 febbraio 2016). Senza una tutela che garantisca il rispetto dell'assoluzione o della decisione di sospensione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie processuali eque di cui all'articolo 6, § 2, rischiano di diventare teoriche e illusorie (cfr. Allen, citato, § 94). La Corte ha ritenuto che "in seguito all'interruzione del procedimento penale la presunzione di innocenza richiede che la mancanza di una condanna penale di una persona sia preservata in qualsiasi altro procedimento di qualsiasi natura" (cfr. Allen, citato, § 102). Ciò che è in gioco, una volta terminato il procedimento penale, è anche la reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal pubblico. In una certa misura, la protezione offerta dall'articolo 6 § 2 a questo riguardo può sovrapporsi alla protezione offerta dall'articolo 8 (si veda, ad esempio, Zollman c. Regno Unito (dicembre), n. 62902/00, CEDU 2003-XII, e Taliadorou e Stylianou c. Cipro, nn. 39627/05 e 39631/05, §§ 27 e 56-59, 16 ottobre 2008).
50. 50. La Corte ribadisce che, nel definire i requisiti per il rispetto della presunzione di innocenza, ha precedentemente operato una distinzione tra i casi in cui era stata emessa una sentenza di assoluzione definitiva e quelli in cui il procedimento penale era stato interrotto. Nei casi relativi a dichiarazioni rese dopo che una sentenza di assoluzione era diventata definitiva, ha ritenuto che la formulazione di sospetti relativi all'innocenza di un imputato non fosse più ammissibile (cfr. Sekanina, citata, § 30, per le norme in materia, e Allen, citata, § 122 con ulteriori riferimenti). Per contro, la Corte ha precedentemente ritenuto che la presunzione di innocenza sarà violata nei casi riguardanti le dichiarazioni dopo la cessazione del procedimento penale se, senza che l'imputato sia stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge e, in particolare, senza che egli abbia avuto la possibilità di esercitare i diritti della difesa, una decisione giudiziaria che lo riguarda riflette un'opinione di colpevolezza (si veda, tra l'altro, Minelli c. Minelli v. Svizzera, 25 marzo 1983, § 37, serie A n. 62, e Englert c. Germania, 25 agosto 1987, § 37, serie A n. 123; cfr. anche, da ultimo, G.I.E.M. S.R.L. e altri, già citati, §§ 315-16, e Stirmanov c. Russia, no. 31816/08, § 45, 29 gennaio 2019).
51. 51. Nei casi riguardanti il rispetto della presunzione di innocenza, il linguaggio utilizzato dal decisore sarà di fondamentale importanza per valutare la compatibilità della decisione e la sua motivazione con l'articolo 6, § 2. Tuttavia, se si tiene conto della natura e del contesto del particolare procedimento, anche l'uso di un linguaggio non appropriato può non essere decisivo (cfr. Allen, già citato, §§ 125-26 con ulteriori riferimenti).
52. 52. Nei casi di richieste di risarcimento civile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il procedimento penale si sia concluso con l'interruzione o con l'assoluzione, la Corte ha sottolineato che, sebbene l'esonero dalla responsabilità penale debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento civile, non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilità civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base di un onere della prova meno rigoroso. Tuttavia, se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione di responsabilità penale della parte convenuta, ciò solleverebbe una questione che rientra nell'ambito dell'articolo 6 § 2 della Convenzione (cfr. Allen, sopra citato, § 123 e la giurisprudenza ivi citata, e più recentemente N.A. contro la Norvegia, sopra citata, § 30).
53. 53. È necessario prestare particolare attenzione nel formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo l'interruzione del procedimento penale (cfr. Fleischner, sopra citato, §§ 64 e 69). Anche se l'uso di un linguaggio infelice può non essere necessariamente incompatibile con l'articolo 6 § 2, a seconda della natura e del contesto del particolare procedimento (cfr. paragrafo 51), la Corte ha ritenuto che la presunzione di innocenza sia stata violata in situazioni in cui i tribunali civili hanno ritenuto "chiaramente probabile" che il richiedente abbia commesso un reato o hanno espressamente indicato che le prove disponibili erano sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato (cfr. Allen, citato sopra, §§ 125-26, con ulteriori riferimenti ai precedenti pertinenti, tra cui Y. v. Norvegia, citata, § 46, e Diacenco, citata, § 64).

54. Nel valutare le affermazioni contestate, la Corte deve determinare il loro vero senso, tenendo conto delle particolari circostanze in cui sono state fatte (cfr. Bikas c. Germania, n. 76607/13, § 46, 25 gennaio 2018). Nemmeno l'uso di espressioni provenienti dalla sfera del diritto penale ha portato la Corte a constatare una violazione della presunzione di innocenza laddove, letto nel contesto della sentenza nel suo complesso, l'uso di tali espressioni non avrebbe potuto ragionevolmente essere inteso come un'affermazione di responsabilità penale (cfr. Fleischner, sopra citato, §§ 64-65).

b) Applicazione al caso di specie

55. Il Tribunale rileva che, a seguito della cessazione delle relative imputazioni, compresa quella di appropriazione indebita aggravata, il Giudice dell'Appello Penale, nel decidere il risarcimento, ha confermato l'ordine di risarcimento che si basava sul presupposto della responsabilità penale del ricorrente come risulta dalla sentenza di primo grado che ha condannato il ricorrente. Il Giudice Penale d'Appello ha ritenuto, tra l'altro, che la società S.M.I. abbia subito un danno per il reato di appropriazione indebita; che la condotta del ricorrente sia da ricondursi agli atti di appropriazione indebita, di cui era stato accusato, e che non sussistano dubbi circa l'esistenza del dolo (cfr. precedenti punti 22 e 23).
56. La Corte prende atto dell'affermazione del Governo secondo cui, secondo il diritto interno, il giudice non avrebbe potuto pronunciare l'archiviazione della causa se il ricorrente fosse stato innocente (si veda il precedente paragrafo 43). Tuttavia, fatta salva la compatibilità o meno dell'articolo 59 del Codice penale con l'articolo 6 § 2 della Convenzione, la Corte rileva che la formulazione contestata nel caso di specie non si riferisce alla conclusione raggiunta ai fini dell'interruzione del procedimento penale, ma alla formulazione pronunciata ai fini dell'aspetto civile del procedimento, vale a dire il risarcimento spettante alla vittima. Pertanto, la discutibile difesa del Governo che si basa sull'art. 59 del Codice Penale non ha alcuna attinenza con la denuncia presentata dal ricorrente.
 57. La questione per la Corte nel presente caso è se la formulazione usata dal Giudice dell'Appello Penale in quella fase (si vedano i precedenti paragrafi 22 e 23) debba essere interpretata come imputazione di responsabilità penale al richiedente. Di conseguenza, la Corte esaminerà il contesto del procedimento nel suo complesso e le loro peculiarità al fine di determinare se, utilizzando tale dichiarazione, il giudice che determina la domanda civile abbia violato l'articolo 6 § 2 della Convenzione (confrontare Fleischner, citato sopra, § 65).
 58. In primo luogo, la Corte osserva che la causa civile è stata trattata nell'ambito del procedimento penale (confrontare Lagardère, sopra citato, § 46 e vedere, a contrario, Fleischner, sopra citato, § 66). Pertanto, mentre il giudice dell'appello penale doveva determinare la richiesta di risarcimento sulla base della responsabilità civile del richiedente e quindi del diritto civile applicabile, essa non è stata intrapresa in un quadro diverso da quello del procedimento penale (cfr., a contrario, Fleischner e Vella, entrambi citati, §§ 66 e 60 rispettivamente).
 59. In secondo luogo, la determinazione del Giudice dell'Appello Penale che riguardava proprio gli stessi fatti imputati al ricorrente nel corso del procedimento penale (v., a contrario, Fleischner, citato, § 68) - ossia se il ricorrente avesse o meno sottratto fondi a danno della S.M.I. - è stata effettuata senza alcuna distinzione circa la qualificazione giuridica di tali atti (v., a questo proposito, il precedente paragrafo 22 con riferimento al "reato di appropriazione indebita").
60. In terzo luogo, il Giudice dell'Appello Penale ha dovuto basarsi sulle stesse prove esistenti nel fascicolo penale e non sono state presentate nuove prove (cfr., al contrario, Fleischner e Vella, entrambi citati, rispettivamente §§ 67 e 59).
61. Inoltre, il Giudice dell'Appello Penale, pur facendo una propria valutazione di tali fatti, ha infine confermato la constatazione di fatto del giudice penale in prima istanza e ha proceduto a confermare l'ordine di risarcimento provvisorio (che originariamente doveva essere deciso in via definitiva in un tribunale civile separato) senza intraprendere alcuna considerazione rilevante per quanto riguarda l'ammontare di tale danno che ora veniva assegnato in via definitiva (v., a contrario, Fleischner, citato, §§ 67). Pertanto, su questa materia il giudice dell'appello penale si è basato interamente sulla sentenza di primo grado.
62. Inoltre, nell'ambito della decisione sulle cause civili, il Giudice dell'Appello Penale ha basato la sua decisione su una chiara constatazione che lo S.M.I. aveva subito un danno per il reato di appropriazione indebita e che la condotta degli imputati (il ricorrente e B.) equivaleva agli atti di appropriazione indebita di fondi di cui erano stati accusati. Pertanto, il Giudice dell'Appello Penale ha stabilito in modo inequivocabile che le azioni del ricorrente corrispondevano agli atti criminali di cui era stato accusato (cfr. Lagardère, cit., § 46), andando ancora oltre, dichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti con dolo (dolo) (cfr. precedente paragrafo 23). In altre parole, il Giudice dell'Appello Penale non si è limitato a determinare l'actus reus, ma si è spinto oltre, affermando che gli atti del ricorrente sono stati compiuti con la mens rea richiesta - che in questo caso ha ritenuto dolo.
63. E' vero che, nel caso di specie, il ricorrente era già stato dichiarato colpevole in prima istanza. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte non distingue tra i casi in cui le accuse vengono sospese (perché cadute in prescrizione) prima di qualsiasi accertamento penale, e quelli che vengono sospesi (per lo stesso motivo) dopo una prima constatazione di colpevolezza. Ne consegue che le constatazioni di prima istanza, che non sono definitive, non possono condizionare le determinazioni successive e la Corte ribadisce che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo l'interruzione del procedimento penale (cfr. Fleischner, citato, § 64).
64. Nel caso di specie, le affermazioni contestate non possono essere considerate esclusivamente come l'uso di un linguaggio infelice. La Corte ritiene che le parole usate dal Giudice dell'Appello Penale nel decidere in materia di risarcimento, ritenendo che il comportamento del ricorrente fosse riconducibile ad atti di appropriazione indebita di fondi di cui era stato accusato, e che non vi fosse alcun dubbio sull'esistenza del dolo (dolo), si siano spinte troppo oltre e siano state dichiarazioni che imputano a lui una responsabilità penale (confrontare, Y. v. Norvegia, citata, § 46; Diacenco, citata, § 64, Panteleyenko c. Ucraina, n. 11901/02, § 70, 29 giugno 2006, e Farzaliyev c. Azerbaijan, n. 29620/07, § 67, 28 maggio 2020). In effetti, tale terminologia andava oltre il riferimento agli elementi costitutivi di un reato - che poteva essere rilevante sia per la responsabilità civile che per quella penale - ma rilevava espressamente che le azioni del ricorrente erano pari agli atti di cui era stato accusato. Queste parole equivalgono quindi ad una dichiarazione inequivocabile che il ricorrente ha commesso un reato (cfr. Lagardère, citato, § 81, Farzaliyev, citato, § 67 e, al contrario, Fleischner, citato, § 63). Pertanto, tali constatazioni non erano coerenti con la cessazione delle relative imputazioni a causa della scadenza di un termine di prescrizione. Ne consegue che la formulazione utilizzata dal Giudice dell'Appello Penale ha violato il diritto della ricorrente alla presunzione di innocenza.
65. 65. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'articolo 6 § 2.

II. APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

66. L'articolo 41 della Convenzione prevede:
"Se il Tribunale constata una violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente interessata consente un risarcimento solo parziale, il Tribunale, se necessario, dà giusta soddisfazione alla parte lesa".

A. Danni

67. Il ricorrente ha chiesto la restituzione di tutte le somme di denaro che era stato condannato a pagare a titolo di danno pecuniario, e una somma compresa tra EUR 10.000 e EUR 20.000 a titolo di danno non pecuniario, a causa del disagio e delle sofferenze morali derivanti dalla violazione dei suoi diritti della Convenzione.
68. 68. Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte, il Governo ha rilevato che il danno deve essere in relazione di causa ed effetto con la violazione accertata. Secondo il Governo, nel caso in questione non vi era, a suo avviso, alcun nesso causale tra la presunta violazione e il danno pecuniario asserito dal ricorrente. Inoltre, il ricorrente aveva presentato le sue richieste in modo generico. Il ricorrente non aveva neppure indicato l'importo esatto del denaro che aveva chiesto a titolo di danno pecuniario, né aveva fornito la prova di aver effettivamente restituito alla società S.M.I. il denaro che era stato condannato a pagare. Inoltre, per quanto riguarda il danno morale, il ricorrente aveva basato la sua richiesta su una generica e non comprovata "sofferenza e sofferenza morale" e non aveva indicato in base a quali parametri aveva calcolato l'importo del danno presunto.
69. 69. Il Tribunale ritiene di non poter ipotizzare quale sarebbe stato l'esito del procedimento relativo alla domanda civile se il Giudice dell'Appello Penale non avesse ignorato il diritto del ricorrente alla presunzione di innocenza. Ritiene, pertanto, che non si possa dare seguito alla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale del ricorrente. Il Tribunale, tuttavia, assegna al ricorrente 10.000 euro a titolo di danno morale.
B. Costi e spese

70. Il richiedente ha chiesto EUR 139.360,35 per le spese legali e le spese del procedimento dinanzi ai tribunali nazionali e EUR 20.000 per il procedimento dinanzi alla Corte.
71. 71. Per quanto riguarda la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute a livello nazionale, il governo ha ritenuto che il richiedente non avesse fornito alcuna prova dell'effettivo pagamento di tali spese. Inoltre, quest'ultimo si riferiva a servizi che sarebbero stati comunque forniti per l'assistenza legale del richiedente nel procedimento nazionale. A tale riguardo, il Governo ha rilevato che in tale procedimento la ricorrente è stata accusata non solo di appropriazione indebita aggravata, ma anche dei reati di esercizio illecito dell'attività fiduciaria, di false comunicazioni sociali e di ostacolo all'esercizio delle funzioni fiduciarie. Pertanto, la pretesa del ricorrente non era direttamente connessa all'asserita violazione, non avendo egli specificato quale parte di tali somme fosse stata destinata a porre rimedio all'asserita violazione. In ogni caso, era incontestabile che l'asserita violazione aveva riguardato esclusivamente il procedimento di appello e non il procedimento nella sua interezza, mentre le somme reclamate dal ricorrente sembravano riferirsi alla sua assistenza legale in entrambi i casi.
72. 72. Il Governo ha inoltre respinto la richiesta di rimborso delle spese del procedimento dinanzi al Tribunale perché il ricorrente non aveva fornito alcuna prova di averle effettivamente pagate.
73. 73. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui è stato dimostrato che queste sono state effettivamente e necessariamente sostenute e che sono ragionevoli quanto al loro ammontare. Tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri di cui sopra, la Corte respinge la domanda di rimborso delle spese e dei costi del procedimento interno che sarebbero comunque stati sostenuti e non sono sorti in conseguenza della violazione come confermato, e ritiene ragionevole concedere la somma di 5.000 euro per il procedimento ai sensi della Convenzione.
C. Interessi di mora

74. La Corte ritiene opportuno che il tasso di interesse di mora sia basato sul tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, al quale vanno aggiunti tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

Dichiara, all'unanimità, la domanda ammissibile;
Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata una violazione dell'articolo 6 § 2 della Convenzione;
è approvata, con sei voti a favore e uno contro uno,
a) che lo Stato convenuto paghi all'istante, entro tre mesi dalla data in cui la decisione diventa definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:
(i) 10.000 euro (diecimila euro), oltre alle imposte eventualmente dovute, per i danni non patrimoniali;
(ii) 5.000 euro (cinquemila euro), più le imposte eventualmente dovute al richiedente, per costi e spese;
(b) che a partire dalla scadenza dei tre mesi sopra indicati e fino al regolamento saranno dovuti interessi semplici sugli importi di cui sopra ad un tasso pari al tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea durante il periodo di inadempienza, maggiorato di tre punti percentuali;
2) La domanda del ricorrente è respinta all'unanimità, per il resto, per giusta soddisfazione.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 20 ottobre 2020, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Olga ChernishovaPaul Lemmens
Vicepresidente della segreteria


Ai sensi dell'articolo 45 § 2 della Convenzione e dell'articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, il parere separato del giudice Felici è allegato alla presente sentenza.

P.L.
O.C.

PARERE DISSENZIENTE DEL GIUDICE FELICI

1. Rispetto il ragionamento della Camera e la decisione che ha preso, con la quale - tuttavia - non sono d'accordo. Le ragioni, che illustrerò molto brevemente, riguardano sia l'applicazione dei principi in vigore in questo caso, sia l'interpretazione data in termini generali del cosiddetto secondo aspetto dell'articolo 6 § 2 della Convenzione.
2. 2. La sentenza (ai punti 48-54) contiene un'accurata panoramica dei principi stabiliti dalla Corte in relazione al secondo aspetto della tutela offerta dalla presunzione di innocenza. Il riferimento principale è alla sentenza della Grande Camera nella causa Allen c. Regno Unito ([GC], n. 25424/09, CEDU 2013).
L'obiettivo è quello di proteggere le persone che sono state prosciolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali il procedimento penale è stato interrotto, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato accusato. Senza una tutela che garantisca il rispetto dell'assoluzione o della decisione di archiviazione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie di equità di cui all'articolo 6, paragrafo 2, rischiano di diventare teoriche e illusorie. Una volta concluso il procedimento penale, ciò che è in gioco è anche la reputazione della persona e il modo in cui essa è percepita dal pubblico in generale. L'espressione di sospetti sulla possibile colpevolezza di un imputato non è più ammissibile una volta che sia stata emessa una sentenza definitiva di assoluzione; il diritto alla presunzione di innocenza sarà violato nei casi relativi a dichiarazioni rese dopo la cessazione del procedimento penale quando, senza che la persona sia stata precedentemente provata colpevole secondo la legge e, in particolare, senza che abbia avuto la possibilità di esercitare i diritti della difesa, una decisione giudiziaria che la riguarda riflette un'opinione di colpevolezza (si veda, tra l'altro, Minelli v. Svizzera, 25 marzo 1983, § 37, Serie A n. 62). Nei casi riguardanti il rispetto della presunzione di innocenza, il linguaggio usato dal decisore sarà di importanza critica; ma occorre anche considerare la natura e il contesto del particolare procedimento. In considerazione di tale natura e contesto, talvolta anche l'uso di un linguaggio "infelice" può non essere decisivo. Il fatto che l'esonero dalla responsabilità penale debba essere rispettato nei procedimenti di risarcimento civile non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilità civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base di un onere della prova meno rigoroso: se la decisione interna sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione di responsabilità penale nei confronti dell'imputato, si porrebbe una questione che rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 6 § 2 della Convenzione. Nemmeno l'uso di espressioni provenienti dalla sfera del diritto penale ha portato la Corte a constatare una violazione del diritto alla presunzione di innocenza laddove, letto nel contesto della sentenza nel suo complesso, l'uso di tali espressioni non avrebbe potuto ragionevolmente essere inteso come un'affermazione di responsabilità penale (cfr. Fleischner c. Germania, n. 61985/12, §§ 64-65, 3 ottobre 2019).
3. 3. Nel caso di specie, l'attore era stato giudicato colpevole in primo grado in un procedimento al quale aveva partecipato a pieno titolo e al quale erano stati garantiti i suoi diritti di difesa (cfr. Didu c. Romania, n. 34814/02, §§ 40-42, 14 aprile 2009; Giosakis c. Grecia (n. 3), no. 5689/08, § 41, 3 maggio 2011; e G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, §§ 317-318, 28 giugno 2018, in cui la Corte ha ritenuto che l'articolo 6 § 2 della Convenzione fosse stato violato dal fatto che le corti d'appello avevano annullato precedenti assoluzioni mentre avevano contemporaneamente dichiarato il procedimento caduto in prescrizione; cfr. anche Farzaliyev c. Azerbaigian, n. 29620/07, § 62, 28 maggio 2020). In secondo grado, il giudice di appello penale ha confermato l'ordine di risarcimento emesso dal tribunale di primo grado che aveva condannato il ricorrente. Per quanto riguarda l'accusa di appropriazione indebita, il giudice ha dichiarato che doveva essere archiviata in quanto il procedimento era prescritto. Ha inoltre affermato che il comportamento del ricorrente poteva essere qualificato come atto di appropriazione indebita di fondi di cui era stato accusato e che non sussistevano dubbi sull'esistenza di un intento intenzionale (dolo). Per la precisione, ha sostenuto: "in tal modo, la società S.M.I. [anziché gli intermediari] aveva subito un danno per il reato di appropriazione indebita - tale condotta doveva essere indiscutibilmente qualificata come tale, dato che il patrimonio di una società è distinto dal patrimonio personale dell'azionista"; ritenendo inoltre che "il fatto che gli imputati si fossero appropriati di tali somme e le avessero smaltite come se fossero proprie, equivaleva quindi ad atti di appropriazione indebita di fondi, i. e. la condotta di cui erano stati accusati"; e infine che "non vi era alcun dubbio sull'esistenza di dolo".
4. Se i principi di cui sopra devono essere applicati al presente caso, è mia opinione che la decisione più appropriata sarebbe quella di non commettere alcuna violazione.
5. In primo luogo, si deve considerare che, a seguito di una prima constatazione di colpevolezza, il ricorrente ha scelto di sollevare l'obiezione che le relative accuse erano cadute in prescrizione, rinunciando così al suo diritto di difendersi nel merito di tali accuse nella fase di appello. Ancora più importante, il ricorrente ha scelto di adottare tale approccio, anche se egli, o il suo rappresentante legale, era o avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che, secondo il diritto nazionale, un giudice non sarebbe stato in grado di dichiarare la prescrizione di un'accusa se il giudice fosse stato del parere che l'imputato fosse innocente di tale accusa (cfr. paragrafo 24 della sentenza). Di conseguenza, tenuto conto del diritto nazionale nella sua versione attuale, il ricorrente era o avrebbe dovuto sapere che, per accogliere la sua eccezione di prescrizione, il giudice avrebbe dovuto considerare la possibilità che non fosse innocente, e quindi che il giudice avrebbe sollevato esplicitamente un sospetto di colpevolezza. Scegliendo di procedere di sua spontanea volontà, il ricorrente era quindi disposto a mettere in dubbio la sua innocenza, nella misura in cui ciò gli consentiva di evitare la punizione. A questo proposito, la Corte riconosce che, nell'ambito di qualsiasi procedimento penale, si deve decidere come presentare al meglio la difesa dell'imputato al processo. In molti casi saranno disponibili diverse opzioni ed è responsabilità dell'imputato scegliere, con il parere di un avvocato, la difesa che desidera presentare alla corte (cfr. Ebanks c. Regno Unito, n. 36822/06, § 82, 26 gennaio 2010). Tuttavia, egli deve poi assumersi le conseguenze di tali scelte. Si tratta di un elemento che caratterizza sia il contesto sia la natura del procedimento alla luce delle specificità del quadro giuridico nazionale. È il ricorrente che ha consapevolmente scelto di non far esaminare nel merito l'accusa penale a suo carico, anche se ciò avrebbe consentito al ricorrente, se la sua colpevolezza non fosse stata provata, di evitare qualsiasi considerazione di natura civile.
6. In tali casi, quando il procedimento viene interrotto a seguito di una sentenza di primo grado che accerta la colpevolezza e nel cui ambito sono stati rispettati i diritti di difesa dell'imputato, può essere ipotizzabile una mera espressione di sospetto che non solleva necessariamente una questione ai sensi dell'articolo 6 § 2.
7. Un'attenta analisi delle parole usate nella sentenza dal giudice di appello penale dimostra che egli non ha mai dichiarato esplicitamente che il richiedente era colpevole del reato di appropriazione indebita, ma ha piuttosto affermato che il richiedente si era materialmente comportato nel modo asserito nell'atto d'accusa. In particolare, l'affermazione secondo cui S.M.I. avrebbe subito un danno da reato di appropriazione indebita deve essere letta in tutto il contesto della motivazione, dalla quale si evince chiaramente che il Giudice ha inteso sottolineare la distinzione tra i beni della società e quelli del socio, al fine di affermare il divieto di appropriazione indebita da parte di quest'ultimo dei beni della società. L'appropriazione indebita era quindi la parte materiale dell'accusa e il Giudice si è riferito esclusivamente ad essa quando ha menzionato "la condotta di cui essi [il ricorrente e il sig. B, coimputato nel procedimento interno] erano stati accusati". In altre parole, non esiste un'affermazione chiara e incontestabile che attribuisca al sig. Pasquini una responsabilità penale nel senso pieno del termine.
8. Come già detto, la giurisprudenza della Corte ritiene che tali dichiarazioni debbano essere considerate nel loro contesto. Infatti, le dichiarazioni sono state rese dal Giudice dei ricorsi penali nel suo esame dei fatti, ed in particolare della condotta in questione, al solo fine di determinare la responsabilità civile del ricorrente e non la sua responsabilità penale.
9. 9. Nelle specifiche circostanze del caso di specie, ed in particolare in considerazione dei rapporti tra la S.M.I. ed il ricorrente all'epoca della condotta contestata (all'epoca materiale il ricorrente era il presidente della società S.M.I.) era difficile determinare la responsabilità civile del ricorrente per i danni subiti dalla S.M.I. senza determinare che le sue azioni fossero suscettibili, almeno nella misura necessaria in un procedimento civile, di costituire una sottrazione di fondi; infatti, a causa di tale sottrazione, il danno in questione esisteva.
10. In realtà, secondo il diritto nazionale, il giudice doveva esaminare la condotta imputata al ricorrente, nella misura in cui ciò fosse necessario o utile a determinare la sua responsabilità civile, ma l'esame non richiedeva un accertamento della colpevolezza. Ancora più importante, secondo il diritto interno, il risarcimento del danno civile è previsto dall'actio ex lege Aquilia. L'actio prevede il risarcimento del danno che l'attore sostiene di aver subito a causa di un comportamento illecito dell'imputato. Gli elementi soggettivi di tale azione sono il dolo (dolo) o la negligenza (colpa), che devono sussistere insieme al nesso causale tra l'evento e la condotta della parte lesa (damnum e iniuria). È quindi compito del giudice che ha il compito di valutare l'esistenza di tale responsabilità accertare l'atteggiamento mentale del convenuto (l'elemento soggettivo), che può essere intenzionale o colposo. Nel caso di specie, quindi, la valutazione dell'atteggiamento mentale dell'attore (in quanto convenuto), era in ogni caso necessaria per accertare l'esistenza o meno della sua responsabilità civile.
Non si tratta di una nuova posizione, anzi, anche se la responsabilità civile, anche se levissima culpa venit, raramente assume la forma di una responsabilità meramente oggettiva. Nel caso di specie, quindi, spettava al giudice stabilire se l'azione che ha causato il danno derivava da un atteggiamento mentale, sia esso negligenza o dolo (dolo). Il quadro giuridico di cui sopra non dispensa lo Stato convenuto, e in particolare i giudici che si pronunciano in materia, dal rispetto dei diritti derivanti dall'articolo 6 § 2 della Convenzione. Pertanto, la Corte deve comunque valutare il linguaggio utilizzato dal decisore, che è di fondamentale importanza per valutare la compatibilità della decisione e la sua motivazione con l'articolo 6 § 2. Tuttavia, essa deve farlo tenendo conto del contesto pertinente e dei requisiti imposti dal diritto nazionale, nonché del fatto che la determinazione civile è stata effettuata nello stesso procedimento di quello avviato per determinare la responsabilità penale.
11. In primo luogo, nel decidere sulla domanda civile, il giudice ha ritenuto che lo S.M.I. avesse subito un danno per il reato di appropriazione indebita e che la condotta contestata fosse chiaramente costituita da atti di appropriazione indebita di fondi di cui il ricorrente era stato accusato (elemento oggettivo). Si escludeva inoltre la buona fede del ricorrente, ritenendo che vi fosse stata la necessaria dolo (elemento soggettivo). Entrambi questi elementi, pur essendo rilevanti ai fini della valutazione della responsabilità penale, hanno avuto un'incidenza diretta anche sulla valutazione della responsabilità civile, e si inquadravano quindi nel normale esercizio del dovere del giudice di determinare sia l'esistenza della responsabilità civile sia l'ammontare dei danni dovuti (l'an e il quantum). Inoltre, il Giudice dell'Appello Penale non ha mai esaminato la colpevolezza del ricorrente per il reato di appropriazione indebita e non si è mai pronunciato sulla sua colpevolezza (vedi sopra, paragrafo 7). Inoltre, nella sua conclusione, il Giudice di Appello Penale ha dichiarato esplicitamente che, mentre le relative accuse penali (inclusa l'appropriazione indebita) dovevano essere sospese in quanto cadute in prescrizione, le richieste civili accolte nella prima sentenza di primo grado, con la quale il richiedente era stato condannato, dovevano essere mantenute. Ne consegue che, nella lettura integrale della sentenza d'appello, non vi è alcun dubbio che il ricorrente non sia stato dichiarato colpevole, ma che sia stato comunque ritenuto civilmente responsabile del danno subito dalla S.M.I. sulla base delle considerazioni del Giudice di Appello Penale. Questo particolare contesto nel caso di specie costituisce un elemento centrale per una corretta valutazione del provvedimento, che nel suo complesso non contiene alcuna constatazione di colpevolezza. In particolare, va sottolineato che la constatazione di dolo non contiene alcun riferimento alla responsabilità penale: il giudice si riferisce, infatti, al "dolo intenzionale" e non al "dolo penale".
12. 12. La lettura della sentenza non pregiudica la percezione che il pubblico ha della reputazione del ricorrente, ossia di un soggetto che è stato accusato di atti di appropriazione indebita in procedimenti nel frattempo dichiarati decaduti e che è tenuto a risarcire i danni causati dalla sottrazione di fondi altrui. Da questo punto di vista, la stretta vicinanza e la concomitanza dei due esiti - la dichiarazione di prescrizione e il risarcimento dei danni per gli stessi atti - costituiscono una garanzia che nessuno deve essere indotto a credere che il richiedente sia stato giudicato colpevole ai sensi del diritto penale. La rappresentazione del ricorrente risultante dalla sentenza è quella determinata dalla realtà del caso: una persona che non è stata dichiarata penalmente responsabile perché l'accusa è caduta in prescrizione durante il procedimento, e che è stata condannata a risarcire i danni derivanti dall'appropriazione indebita di cui è stata accusata.
13. È necessario ribadire, a questo proposito, che se la mera constatazione della responsabilità per il pagamento dei danni, nonostante l'assoluzione o la cessazione, dovesse sollevare una questione ai sensi dell'articolo 6 § 2, si dovrebbe abolire tali azioni di responsabilità civile, che sono di fatto presenti e comuni in molti sistemi giudiziari e che sono in linea di principio compatibili con la Convenzione, come evidenziato dalla giurisprudenza (cfr., mutatis mutandis, Vella c. Malta, n. 69122/10, § 60, 11 febbraio 2014).
14. 14. Nella presente sentenza, la Camera fa ripetutamente riferimento al caso Fleischner (citato in precedenza). Anche in questo caso le accuse contro il ricorrente sono cadute in prescrizione. In un successivo procedimento civile, tuttavia, il giudice civile ha dichiarato che le azioni del ricorrente avevano "soddisfatto gli elementi costitutivi della privazione della libertà ai sensi dell'articolo 239 del codice penale e della coercizione ai sensi dell'articolo 240 del codice penale". La sentenza prosegue stabilendolo: "non si trattava di una dichiarazione sulla colpevolezza del richiedente", spiegando che "il tribunale distrettuale [aveva] deliberatamente usato il termine tecnico legale "elementi costitutivi" (Tatbestand) per chiarire che aveva valutato solo alcuni elementi di una disposizione penale che poteva essere alla base sia della responsabilità penale che di quella civile. Essa [si era] limitata a tale constatazione e [non aveva] espressamente [constatato] che il ricorrente aveva commesso il reato" (ibidem, § 63). La sentenza sottolinea poi il fatto che l'azione civile non era stata intentata nel procedimento penale, ma separatamente e successivamente davanti ad un altro giudice. Sarà difficile per le autorità giudiziarie nazionali in generale comprendere il motivo per cui una dichiarazione diretta relativa al compimento degli elementi - oggettivi e soggettivi - del reato non debba essere equiparata alle dichiarazioni rese nella sentenza del Giudice dell'Appello Penale; non vi è neppure una dichiarazione diretta di responsabilità penale nella sentenza di quest'ultimo (come spiegato sopra al paragrafo 7). L'atto di appropriazione indebita, e l'esistenza di un certo atteggiamento mentale, sono elementi costitutivi di responsabilità sia civile che penale anche nel sistema sammarinese (come spiegato nel precedente paragrafo 10). Anche il Giudice di Appello Penale si è limitato ad affermare che il richiedente ha sottratto le somme (come si evince dal successivo riferimento alla necessità di distinguere i beni della società da quelli del socio; si veda il precedente paragrafo 3), e ad accertare il suo atteggiamento mentale nel farlo, senza alcuna caratterizzazione criminale ("dolo intenzionale", non "dolo criminale"). Non vi era alcun ragionamento che suggerisse che il tribunale considerasse l'imputato "colpevole" (cfr. Bikas c. Germania, n. 76607/13, 25 gennaio 2018). La richiesta di risarcimento civile e la relativa valutazione facevano in realtà parte dello stesso procedimento penale. Tuttavia, come menzionato al precedente paragrafo 12, questa circostanza può essere considerata piuttosto un elemento che rafforza l'impressione che il ricorrente non abbia commesso alcun reato, proprio perché, parallelamente al riconoscimento civile del risarcimento dei danni, è stata stabilita la cessazione del procedimento penale. Al punto 62 della sentenza si legge che "[i]n altre parole, il Giudice dell'Appello Penale non si è limitato a determinare l'actus reus, ma si è spinto oltre, affermando che gli atti del ricorrente sono stati compiuti con la necessaria mens rea - che in questo caso ha ritenuto dolo". La stessa cosa si può trovare nel paragrafo 63 della sentenza Fleischner (citata), dove si fa riferimento agli "elementi costitutivi" al plurale. Pertanto, l'elemento oggettivo, con l'elemento soggettivo (Tatbestand, nella fattispecie della legge sammarinese), non è sufficiente a comportare la colpevolezza penale in entrambi i casi. La valutazione di una violazione del principio della presunzione di innocenza dovrebbe forse considerare se la sentenza in questione imputi la responsabilità penale in modo più globale e meno sofisticato. L'impatto sulla reputazione di una persona e sulla percezione pubblica sono gli elementi più importanti, che la giurisprudenza della Corte ha da tempo identificato, a questo proposito. Alla luce di quanto sopra, a mio parere, la presente sentenza non sembra essere del tutto coerente con la precedente giurisprudenza della Corte.
15. 15. Da un punto di vista generale, quindi, il tipo di atteggiamento mentale tenuto dalla parte lesa, già a livello puramente logico, non costituisce una circostanza neutra rispetto all'esistenza e alla quantificazione del danno non patrimoniale. Le conseguenze per la parte lesa, da questo punto di vista, cambiano significativamente se il danno è stato inflitto con la volontà di provocare il danno o per mera negligenza. Ad esempio, l'impatto morale e le sofferenze causate da un pugno deliberato sul volto di una persona saranno diverse se lo stesso colpo proviene da un movimento improvviso e involontario. È quindi rilevante, anche per il giudice civile, effettuare una valutazione, anche dettagliata, dell'atteggiamento mentale dell'imputato.
16. Occorre anche tener conto del fatto che le leggi di alcuni Paesi - si veda, ad esempio, il combinato disposto dell'art. 2059 c.c. e dell'art. 185 c.p.p. - prevedono che il danno non patrimoniale possa essere risarcito solo nel caso in cui sia accertata la commissione di un reato. In tali casi, il giudice civile non solo ha il diritto di accertare l'esistenza del reato, ma deve farlo ogni volta che non si è verificato un procedimento penale, nonché quando non si è giunti ad una decisione nel merito. È importante che il giudice si pronunci anche su quest'ultimo aspetto. Il giudice civile può legittimamente, a mio avviso, e senza incorrere in alcuna violazione dell'articolo 6, comma 2, stabilire, nel rispetto di alcune garanzie procedurali, che una persona ha commesso o non ha commesso un reato, al fine di decidere - tra l'altro - sull'esistenza e sul risarcimento dei danni derivanti da tale reato. Si tratta di una conclusione che non appare in contrasto con quanto stabilito dalla Grande Camera nella causa Allen (citata) - che non contiene alcun divieto per il giudice civile di procedere ad una verifica dell'esistenza del reato in quanto tale - ma sulla quale non sembra esserci una posizione chiara nella giurisprudenza della Corte, che tende piuttosto ad una valutazione molto dettagliata del linguaggio utilizzato.