E' concorso nel reato di coltivazione di marijuana aiutare ad innaffiare piante che si sa essere di sostanza stupefacente.
In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 giugno – 18 luglio 2018, n. 33455
Presidente Ciampi – Relatore Capello
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 309 codice di rito, il Tribunale di Reggio Calabria ha parzialmente accolto il riesame proposto nell’interesse di A.G. avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Palmi, applicativa della misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di coltivazione di n. 13.000 piante di canapa indiana, in concorso con il figlio G. , rinvenute all’interno di un terreno di proprietà, suddivise in tre serre (delle cinque presenti sul fondo), confermando la sussistenza della gravità indiziaria e sostituendo la misura con quella degli arresti domiciliari, ritenuta più adeguata a perimetrare il residuo pericolo di reiterazione della condotta criminosa alla luce del ruolo secondario svolto dall’indagato rispetto al figlio G. .
2. Questa in sintesi la vicenda, sulla scorta della ricostruzione operata dal Tribunale nel provvedimento impugnato.
Il giorno 01/06/2017, dopo un servizio di osservazione e controllo, la P.G. ha tratto in arresto il figlio dell’indagato, A. G. , cogliendolo in flagrante detenzione della sostanza stupefacente. L’arrestato, nell’occorso, ha ammesso di aver realizzato la piantagione, dotata anche di un sofisticato impianto di irrigazione, e di essersi servito della condotta dell’acqua prelevata da un pozzo realizzato all’interno del fondo. L’esame tossicologico ha confermato la natura drogante delle piante.
Successivi accertamenti hanno, tuttavia, consentito di rilevare la presenza sul fondo di dispositivi "foto trappola", sofisticati sistemi di videoripresa in grado di registrare i passaggi delle persone nel loro raggio di azione, informandone al contempo gli installatori.
L’esame delle immagini registrate, oltre a confermare la presenza dell’arrestato sui luoghi, a fini di controllo e in più occasioni, ha consentito di appurare che il padre di costui, odierno indagato, si era recato sui luoghi il 25 maggio 2017, fermandosi brevemente a guardare il fondo e che il successivo 28 maggio, ivi giunto alle ore 14:34, si era introdotto nel fondo, aprendone con le chiavi il cancello e rimanendo al suo interno sino alle ore 15:06.
3. Il difensore di A.G. ha proposto ricorso censurando l’ordinanza, sia sotto il profilo della violazione di legge che dell’apparenza ed evidente illogicità della motivazione, ritenendo che il quadro probatorio evidenzierebbe in capo all’indagato unicamente gli estremi di una connivenza non punibile.
In particolare, parte ricorrente rileva che le argomentazioni usate dal Tribunale sarebbero apodittiche, oltre che prive di efficacia dimostrativa dell’assunto, cosicché anche il relativo ragionamento risulterebbe fittizio. La circostanza che l’A. , odierno ricorrente, fosse a conoscenza dell’esistenza della piantagione non giustificherebbe automaticamente la successiva operazione logica, in base alla quale egli sarebbe anche concorrente nel reato. Quanto alla disponibilità delle chiavi del cancello, inoltre, la difesa rileva che trattasi di circostanza neutra, atteso che dalla piantagione si accede anche a un terreno coltivato a mandarineto.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
2. Il Tribunale ha ritenuto, sulla scorta della ricostruzione fattuale sopra richiamata e non contestata con il ricorso, che l’esame delle fotografie e delle immagini registrate dai dispositivi "foto trappola" costituissero elementi gravemente indizianti il concorso del padre nella coltivazione gestita dal figlio. A tal proposito, quel giudice ha rilevato che l’odierno indagato aveva posto in essere condotte sostanzialmente assimilabili a quelle contestate al figlio (parimenti osservato in più occasioni mentre controllava la piantagione). Come il figlio, infatti, anche il padre, A.G. , era stato osservato mentre camminava nei pressi della piantagione, guardandola dall’esterno. Inoltre, il 28 maggio 2017 alle ore 14:34 egli, agendo con accortezza, era giunto con l’autovettura davanti all’appezzamento di terreno, superandolo, per poi parcheggiare più avanti e, dopo avere verificato, con atteggiamento accorto, l’assenza di passanti o delle forze dell’ordine, aveva prelevato dalla tasca posteriore destra dei pantaloni qualcosa (evidentemente la chiave del lucchetto), con la quale aveva poi aperto il cancello, entrando all’interno dell’area interclusa. Qui egli, pur non indossando abiti tipici di chi intenda dedicarsi alla coltivazione, era rimasto sino alle ore 15:06. La stessa accortezza l’uomo aveva mantenuto all’uscita dal fondo e durante il percorso per raggiungere la propria auto, con ciò manifestando l’adesione all’attività illecita posta in essere all’interno del fondo dal quale si era allontanato.
Da tali elementi, il Tribunale ha tratto la sussistenza di plurimi e gravi indizi del fatto che A.G. abbia fornito al figlio un contributo non solo morale, ma anche materiale, nella conduzione della piantagione, adoperandosi per vigilare sul buon andamento della coltivazione e svolgendo funzioni assimilabili a quelle di un "custode" che si adoperi per impedire che terzi possano scoprire l’illecita attività.
Quel giudice, inoltre, esaminando le argomentazioni a difesa, ha precisato che le immagini estrapolate dalle registrazioni non avevano carattere neutro, poiché esse erano avvalorate dalle consistenti dimensioni della piantagione, tali da fondare la consapevolezza della sua esistenza, ma anche dalla condotta in concreto tenuta, tipica - per l’atteggiamento dell’indagato - di chi sta ponendo in essere un’attività di controllo del sito utilizzato per quell’illecito scopo.
3. Le censure sono infondate.
In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (cfr. sez. 2 n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; sez. 4 n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884; sez. 6 n. 11194 dell’08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; sez. 5 n. 46124 dell’08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).
Nel caso in esame, il Tribunale ha ricostruito i fatti in termini neppure contestati nel loro storico accadimento e ad essi ha dato una spiegazione del tutto logica e non contraddittoria, rispetto alla quale parte ricorrente ha sollecitato una rilettura in sede di legittimità, sminuendone il significato della condotta registrata, in termini di mera connivenza non punibile.
Tuttavia, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito (cfr. sez. 6 n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127 (in fattispecie nella quale è stata qualificata come concorso nel reato la condotta dell’imputato che aveva aiutato altro soggetto ad innaffiare piante che sapeva essere di sostanza stupefacente); sez. 5 n. 2805 del 22/03/2013 Ud. (dep. 21/01/2014), Grosu, Rv. 258953; sez. 6 n. 47562 del 29/10/2013, P.M. in proc. Spinelli, Rv. 257465; sez. 4 n. 4055 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Benocci, Rv. 258186; sez. 3 n. 41055 del 22/09/2015, Rapushi e altro, Rv. 265167).
4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.