In tema di misure cautelari, la disposizione contenuta nell’art. 275 c.p.p., comma 4, u.p., - che impedisce l’applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti della persona ultrasettantenne salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - trova applicazione non soltanto in fase c.d. genetica di applicazione della misura cautelare, ma anche nello sviluppo dinamico della cautela.
I provvedimenti in materia cautelare sono fisiologicamente provvisori, in quanto sempre modificabili e revocabili, perché destinati a valere sino a quanto rimangano invariate le condizioni di fatto e di diritto su cui si fondano. Ne discende che i presupposti della cautela devono sussistere non solo al momento costitutivo del vincolo imposto alla libertà personale, ma anche nel corso dell’esecuzione del provvedimento cautelare.
Corte di Cassazione
sez. VI Penale
sentenza 3 – 10 novembre 2020, n. 31418
Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma, Sezione specializzata per il riesame, ha confermato il provvedimento di rigetto della richiesta, avanzata nell’interesse di V.H.T.G. , di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Viterbo in data 2 marzo 2019 in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e art. 80, comma 2, per avere detenuto a fine di spaccio 12 chili di cocaina (dalle quali erano ricavabili 69.815 singole dosi), fatto per il quale egli è stato condannato con sentenza del 27 febbraio 2020, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni sei di reclusione e 20.000 Euro di multa.
1.1. A fondamento del provvedimento di rigetto, il Tribunale ha innanzitutto escluso la sussistenza di una situazione di incompatibilità dello stato di salute dell’imputato con il regime carcerario, così come la necessità di nominare un perito, avendo fra l’altro l’imputato rinunciato all’indagine strumentale già fissata per il 24 febbraio 2020.
Il Collegio capitolino ha, poi, evidenziato come non vi sia spazio per applicare il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4, atteso che, all’atto dell’applicazione della misura cautelare, l’imputato non aveva ancora compiuto settant’anni, notando infine come il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, ponga a carico del pubblico ministero procedente, e non del giudice, l’obbligo di trasmettere la decisione cautelare all’Autorità competente dello Stato membro.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia Avv. Nicola Canestrini, V.H.T.G. chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 275 c.p.p. con specifico riguardo l’omessa valutazione delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza carico dell’imputato in quanto soggetto attualmente ultrasettantenne.
2.2. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato con riferimento al rifiuto dell’accertamento sanitario, all’omessa considerazione dell’intervenuta attenuazione delle esigenze cautelari ed alla comunicazione ai sensi del D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, art. 5.
2.3. Violazione di legge in relazione all’omessa valutazione dell’intervenuto affievolimento delle esigenze cautelari, alla luce del tempo trascorso in custodia cautelare (18 mesi), della collaborazione del ricorrente con la giustizia (là dove ha fatto i nomi dei fornitori), dell’età avanzata e della situazione patologica che avrebbe imposto un approfondimento peritale. D’altra parte, la difesa evidenzia come il Tribunale abbia errato nel ritenere che la richiesta di esecuzione della misura cautelare in uno Stato diverso da quello di origine debba essere rivolta al pubblico ministero e non al giudice funzionalmente competente per la decisione alle modifiche sul regime cautelare.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato con limitato riguardo al primo motivo concernente l’eccepita violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4, mentre deve essere disatteso in relazione alle ulteriori deduzioni.
2. Rinviando oltre la trattazione del primo motivo, non coglie nel segno il secondo motivo con il quale il ricorrente censura la motivazione del provvedimento sui punti concernenti la conoscenza della lingua italiana da parte del V. in relazione al rifiuto dell’accertamento diagnostico fissato per il 24 febbraio 2020, l’omessa valutazione dell’affievolimento delle esigenze cautelari e la contraddittorietà della motivazione in relazione al D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, art. 5.
2.1. Quanto alla questione linguistica, il Tribunale ha convincentemente evidenziato - con considerazioni solidamente ancorate alle emergenze fattuali e processuali nonché scevre da illogicità manifesta - come V. sia in Italia dal febbraio 2020, abbia dimostrato di parlare italiano in altri snodi procedimentali e, soprattutto, non abbia rappresentato il difetto di comprensione all’atto della sottoscrizione del documento di rinuncia all’accertamento diagnostico in oggetto.
2.2. D’altra parte, il Collegio ha ineccepibilmente notato come il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, art. 5, sia netto nel porre a carico del "pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la decisione sulle misure cautelari" la "trasmissione della decisione sulle misure cautelari all’Autorità competente dello Stato membro in cui l’interessato ha la propria residenza legale e abituale, quando l‘interessato abbia manifestato la volontà di fare rientro in quello Stato".
3. Nessuna violazione di legge, con particolare riguardo al disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4-bis, è riscontrabile nell’ordinanza in verifica nella parte in cui il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente una situazione di incompatibilità delle condizioni di salute del V. con la detenzione carceraria e non indispensabile la nomina di un perito al fine di una più approfondita verifica sul punto.
3.1. Nell’argomentare tale assunto, il Collegio del merito cautelare ha esaustivamente evidenziato, in primo luogo, che - a sostegno dell’istanza - non risulta essere stato delineato un quadro patologico del V. non trattabile nel circuito sanitario penitenziario, nè tale da imporre la nomina di un perito, avendo fra l’altro l’imputato rinunciato all’indagine strumentale già fissata per il 24 febbraio 2020 (rifiuto stimato non imputabile ad un difetto di comprensione della lingua italiana, per le ragioni già disaminate supra); in secondo luogo, che la comunicazione della casa circondariale di Viterbo dell’11 marzo 2020 all’ufficio di sorveglianza di Viterbo non evidenzia alcuna situazione di incompatibilità con la detenzione carceraria delle condizioni di salute del ricorrente, essendosi in essa soltanto sottolineata la necessità di un periodico ricorso a strutture ospedaliere esterne; infine, che non può ravvisarsi una situazione di incompatibilità neanche in considerazione della pandemia da COVID-19, risultando essere stata adottata all’interno della struttura penitenziaria una serie di cautele finalizzate a fronteggiare eventuali criticità, così come risulta da nota del DAP del 13 marzo 2020.
3.2. D’altra parte, nel rilevare la non indispensabilità di un accertamento peritale, il Tribunale del riesame ha fatto ineccepibile applicazione della costante lezione ermeneutica di questa Corte, alla stregua della quale la previsione di cui all’art. 299 c.p.p., comma 4-ter, impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile fumus e cioè se risulta formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque prospettata una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere (da ultimo Sez. 2, n. 25248 del 14/05/2019, Ramondo, Rv. 27696901).
Fumus nella specie congruamente escluso da parte del Giudice distrettuale.
4. Come anticipato, è invece fondata la prima deduzione.
Erra invero il Collegio della cautela nell’affermare che la norma dell’art. 275 c.p.p., comma 4, trova applicazione soltanto in sede di applicazione della misura cautelare e non anche durante la relativa esecuzione.
4.1. In linea generale, mette conto di rilevare come i provvedimenti in materia cautelare siano fisiologicamente provvisori, in quanto sempre modificabili e revocabili, perché destinati a valere sino a quanto rimangano invariate le condizioni di fatto e di diritto su cui si fondano. Ne discende che i presupposti della cautela devono sussistere non solo al momento costitutivo del vincolo imposto alla libertà personale, ma anche nel corso dell’esecuzione del provvedimento cautelare.
Il legislatore del 1988 ha cristallizzato il principio di continuità del controllo di legalità sulle misure coercitive e, quindi, della necessaria verifica circa la persistente adeguatezza e proporzionalità della cautela rispetto all’attuale intensità delle esigenze cautelari nel disposto dell’art. 299, disposizione che, letta in unione all’art. 275, stabilisce infatti che la misura cautelare deve essere revocata nel caso in cui venga meno taluno dei presupposti della misura ovvero sostituita con altra, meno o più afflittiva, al variare dell’intensità dei pericula libertatis o al modificarsi delle condizioni personali contemplate dallo stesso art. 275. Le indicate norme impongono, dunque, la verifica della perdurante legittimità della restrizione personale durante tutto il corso di esecuzione della misura cautelare, attraverso un costante adeguamento dello status libertatis agli eventuali fatti sopravvenuti, alle possibili modifiche della situazione processuale, dei presupposti o delle condizioni di legge nonché a fatti preesistenti non conosciuti o non valutati dal giudice (Sez. 4, n. 37527 del 21/06/2017, Sciacovelli, Rv. 270795).
Si deve, pertanto, ribadire che i presupposti della misura cautelare - che rendono appunto legittima la restrizione della libertà personale - devono sussistere non soltanto all’atto dell’adozione della cautela, cioè nella fase c.d. genetica, ma devono perdurare anche in itinere, cioè durante il corso di esecuzione della misura, imponendo il costante adeguamento dello status libertatis al diverso atteggiarsi degli elementi di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p., così che anche nella fase dinamica sia garantita l’osservanza delle condizioni fondanti il provvedimento limitativo nonché il rispetto dei principi di adeguatezza e di proporzionalità fissati dall’art. 275 c.p.p..
4.2. D’altronde, il principio del c.d. giudicato cautelare applicabile in relazione alle decisioni assunte nel procedimento incidentale de libertate associa la preclusione processuale in oggetto alla reiterazione di istanze fondate sui medesimi elementi già delibati, opera, dunque, rebus sic stantibus, a condizione che permangano in termini invariati i requisiti in presenza dei quali la misura cautelare è stata disposta. Da che discende che nessun sbarramento processuale ad una rivalutazione della quaestio libertatis sussiste, invece, nell’ipotesi in cui sia sopravvenuta una modificazione del quadro degli elementi su cui si è basata l’originaria limitazione della libertà personale.
5. Tanto premesso in linea generale e passando ad affrontare la questione che viene in rilievo nella specie, l’art. 275 c.p.p., comma 4, stabilisce che "non può essere disposta la custodia in carcere salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando l’imputato sia persona che ha superato l’età di settanta anni".
5.1. L’art. 275 c.p.p., comma 4, fa derivare dal superamento del settantesimo anno di età una presunzione di ridotta pericolosità sociale connessa all’inevitabile scadimento delle facoltà fisiche e psichiche dell’uomo, affidando al giudice il compito di stabilire, caso per caso, se la situazione di fatto, valutata complessivamente, sia di tale gravità da giustificare, anche in tale ipotesi, l’applicazione di una misura cautelare.
Conseguentemente, ai fini della verifica di legittimità del provvedimento restrittivo adottato in tal caso, è necessario accertare se il giudice che lo ha emesso o confermato si sia dato carico di motivare congruamente, anche in relazione all’età, il suo convincimento dell’esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (Sez. 1, n. 2342 del 18/05/1994, Abbate ed altri, Rv. 19832701).
5.2. Quanto all’ambito di operatività dell’art. 275, comma 4, è proprio il sopra delineato principio di continuità del controllo di legalità sulle misure coercitive e della persistente adeguatezza della cautela rispetto al variare di intensità delle esigenze cautelari a rendere applicabile l’indicata norma - rectius a renderne doverosa l’applicazione - non soltanto all’atto dell’adozione della misura cautelare, ma anche durante il corso della relativa esecuzione.
D’altronde, la presunzione - in bonam partem - di una più affievolita pericolosità sociale del soggetto legata all’età anagrafica, in quanto connessa ad un fattore - fisiologicamente - in costante divenire, non può non giustificarne una valutazione diacronica ed aggiornata al maturare della condizione. Con l’effetto che, al compimento dei settanta anni, l’interessato detenuto in carcere potrà legittimamente avanzare un’istanza de libertate volta a far rivalutare la persistente adeguatezza della misura di maggior rigore in ragione di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, della cui sussistenza il giudice che confermi la custodia in carcere dovrà dare motivatamente conto.
5.3. Deve dunque essere affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari, la disposizione contenuta nell’art. 275 c.p.p., comma 4, u.p., - che impedisce l’applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti della persona ultrasettantenne salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - trova applicazione non soltanto in fase c.d. genetica di applicazione della misura cautelare, ma anche nello sviluppo dinamico della cautela.
6. Conclusivamente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata per violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4.
In sede di rinvio, il Tribunale dovrà verificare se, nei confronti del ricorrente ormai ultrasettantenne, persistano i presupposti per il mantenimento della misura cautelare carceraria, con particolare riguardo alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 7.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.