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Coltivazione di marijuana è sempre reato (CA TN, 11.10.2013)

11 ottobre 2013, Corte di Appello

Il reato di coltivazione di marijuana è reato di pericolo presunto e quindi il reato non sussiste solo se "la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente rilevabile": sussiste invece, in tutti gli altri casi, quale che sia il grado (benché minimo) dell'offesa o della messa in pericolo del bene protetto, da individuarsi, nella salute pubblica, nella sicurezza e ordine pubblico, nonché nel normale sviluppo delle giovani generazioni.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO
SEZIONE PENALE
composta dai signori magistrati:
Dott. CARMINE PAGLIUCA - PRESIDENTE
D.ssa IOLANDA RICCHI - CONSIGLIERE
D.ssa ANNA MARIA CREAZZO - CONSIGLIERE
ha pronunciato in Camera di Consiglio la seguente
SENTENZA


nei confronti di
Z.I. nt. a A.(T.) il (...) residente in A.(T.) via F. n. 18 (dom. dich.)
Non sofferta carcerazione preventiva
LIBERO - PRESENTE
IMPUTATO
del reato p. e p. dall' art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, coltivava n. 25 piante di cannabis ancora in fase di crescita 8 delle quali già in fase di infiorescenza. Con la recidiva reiterata.
In Avio, il 18 aprile 2011.
APPELLANTE
L'imputato avverso la sentenza del G.U.P. c/o il Tribunale di Rovereto n. 70/12 del 22/03/2012 che dichiarava Z.I. responsabile del reato a lui ascritto, esclusa la recidiva e ritenuta l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, V comma, D.P.R. n. 309 del 1990 e, concesse le circostanze attenuanti generiche e operata la riduzione di pena per il rito, lo condannava alla pena di mesi 10 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Disponeva la confisca di quanto in sequestro con distruzione dello stupefacente.
Udita la relazione della causa fatta in Camera di Consiglio dal Presidente Dott. Carmine Pagliuca
Sentito il Procuratore Generale dr. Giuseppe Maria Fontana che ha concluso per la conferma, della sentenza impugnata.
Il difensore di fiducia avv. M.R., di Rovereto (TN) non è comparso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Z.I. è stato condannato dal GUP di Rovereto, all'esito di giudizio abbreviato, esclusa la recidiva, riconosciuta l'attenuante di cui all' art. 73 co. V L.Stup. e concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi 10 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, per il reato di coltivazione di 25 piante di canapa indiana.
La Guardia di Finanza di Rovereto, su segnalazione confidenziale, appuntò l'attenzione sull'attuale imputato, indicato come coltivatore di piante di cannabis indica. Da discreti controlli emerse che egli teneva nell'orto di casa una piccola serra e che tra le piante si scorgevano anche quelle di cannabis. Effettuata perquisizione, vennero rinvenuti nell'orto 25 vasi contenenti altrettante piante di canapa indiana, alte dai 10 ai 30 cm., di cui 8 in fase di infiorescenza; in casa, in un cassetto della credenza, all'interno di un contenitore, 40 semi di canapa indiana ed in un deposito tre lampade ad alta potenza con accessori e due tritatori.
Il GUP, richiamata la sentenza delle SS.UU. n. 28605 del 24-4-2008 e ritenuto che il reato in contestazione fosse di pericolo presunto, aveva affermato la penale responsabilità di Z. sul rilievo che l'offensività della condotta esisteva per il fatto che principio attivo era stato rilevato nelle piante fiorite, in misura di dell' 1,6%, idoneo a confezionare tre dosi. Secondo il GUP, insomma, Z. aveva creato una piccola serra, in grado di produrre stupefacente con adeguato principio attivo.
Ha interposto appello il difensore il quale, contrariamente, ritiene che per la limitatissima portata di quelle coltivazioni, peraltro nemmeno riservate esclusivamente alla cannabis e per la naturale destinazione all'uso personale dell'eventuale prodotto finito, non solo non esisteva alcuna possibilità di una circolazione indifferenziata della modesta quantità di droga ricavabile, ma carente era l'offensività stessa di quella condotta, tale da non attingere nemmeno la soglia della rilevanza penale; di qui la richiesta di assoluzione con ampia formula; in subordine, di riduzione della pena al minimo.
L'appello, quanto alla richiesta principale, è infondato è va respinto.
I prospettati problemi della non punibilità della coltivazione domestica di cannabis per uso personale e della irrilevanza penale del fatto per difetto di offensività, sono largamente superati alle stregua della invalsa giurisprudenza di legittimità.
Le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 28605 del 24-4-2008, infatti, come già ricordato dal primo giudice, sulla scia della sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 1995 (per la quale la coltivazione di piante dalle quali sono estraibili principi attivi di stupefacente integra un reato di pericolo presunto, connotato da necessaria offensività in astratto, salva la valutazione del giudice di merito circa la inoffensività in concreto, quando la condotta posta in essere sia stata, nel singolo caso, inidonea a mettere a repentaglio il bene giuridico protetto), hanno stabilito che arbitraria deve ritenersi la distinzione tra coltivazione in senso agrario o imprenditoriale ed in senso domestico e che la norma incriminatrice pone un divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all' art. 14 del D.P.R. n. 309 del 1990, salva specifica autorizzazione ministeriale (per ragioni di studio, scientifiche, didattiche, sperimentali, ecc.), che, però, non sarebbe mai concedibile per la coltivazione domestica ad uso personale.
E ciò perché qualsiasi coltivazione ha il dato distintivo (rispetto alla detenzione) di contribuire ad accrescere la quantità di droga esistente (quale che sia il livello dell'incremento), anche attraverso la auto alimentazione, propria della riproduzione dei vegetali, sì da meritare, perciò stesso, un "trattamento sanzionatorio diverso e più grave".
Sul piano testuale le SS.UU. rilevano che "la condotta di coltivazione, anche dopo l'intervento normativo del 2006, non è stata richiamata nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 co. 1 bis, né nell'art. 75 co. 1, ma solo nel novellato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 co. 1. Il legislatore, pertanto, ha voluto attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti".
Precisano poi che "nel caso in cui il coltivato (o parte di esso) sia stato raccolto, la successiva detenzione del prodotto della coltivazione per finalità di uso personale, non comporta la irrilevanza penale della precedente condotta di coltivazione", perché, così ragionando, si determinerebbe un "inammissibile assorbimento nella fattispecie amministrativa dell'illecito penale, che è autonomo anche sotto il profilo temporale".
Alla stregua, quindi, della autorevole interpretazione giurisprudenziale ora enunciata, in presenza di una accertata coltivazione di piante di cannabis, resta solo da verificare, ai fini della integrazione del relativo reato di pericolo presunto, se sia stata superata o meno la soglia della offensività in concreto, che "non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente rilevabile" e che sussiste, invece, in tutti gli altri casi, quale che sia il grado (benché minimo) dell'offesa o della messa in pericolo del bene protetto, da individuarsi, come evidenziato dallo stesso appellante, nella salute pubblica, nella sicurezza e ordine pubblico, nonché nel normale sviluppo delle giovani generazioni.
Alla luce di tali chiarimenti deve qui solo prendersi atto che dall'accertamento analitico (non contestato) effettuato presso il laboratorio di analisi del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bolzano, il principio attivo riscontrato nelle otto piante fiorite, era stato di gr. 1,6, sufficiente a confezionare tre dosi di stupefacente.
Ciò già basta perché l'offensività debba essere ritenuta ricorrente e, con essa, il reato in contestazione; per il resto va osservato che le piante erano in numero maggiore e che esse, una volta giunte a maturazione, avrebbero prodotto risultati non dissimili quanto a creazione di disponibilità di droga leggera per il possessore, nel che trova riscontro concreto il pericolo presunto cui si accennava.
Trattandosi, comunque, di fatto che si colloca ai livelli di gravità abbastanza modesta, ritiene la Corte che la pena possa essere congruamente ridotta e così ridefinita: pena base un anno di reclusione ed Euro 4.500,00 di multa, ridotta entro il terzo, per le concesse attenuanti generiche, a mesi nove ed Euro 3.000,00, definitivamente ridotta di un terzo, per la diminuente speciale del rito, a mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.
P.Q.M.

Visto l'art. 599 c.p.p. ;
In parziale riforma della sentenza impugnata, riduce la pena inflitta a Z.I. a mesi 6 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.
Conferma nel resto.
Fissa il termine di giorni 30 per il deposito della sentenza.
Così deciso in Trento, il 20 settembre 2013.
Depositata in Cancelleria il 11 ottobre 2013.