La violazione dell'obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame testimoniale comporta l'inutilizzabilità di tale fonte di prova solo quando dal teste si richiede un contributo di conoscenza contenente un quid pluris rispetto a quanto descritto nel capo di imputazione, ma non quando questi è chiamato a confermare la sussistenza del fatto storico ivi enunciato: poichè la ratio della norma è quella di tutelare le parti del processo contro l'introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni, l'obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni è necessario solo quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandone così la tematica che si intende proporre nell'istruttoria dibattimentale.
Ne deriva che l'obbligo stesso è rispettato non solo quando le circostanze sono indicate nella lista testimoniale con richiamo diretto al capo di imputazione, ma anche quando la richiesta di audizione consenta di individuare in modo inequivoco la tematica che la parte deducente intenda proporre nell'istruttoria dibattimentale: il che è possibile, ad esempio, quando vi siano delle indicazioni per relationem ovvero il nominativo del testimone sia associabile palesemente in una o più circostanze descritte dalle imputazioni .
Non sussiste alcuna illiceità nell'eventuale predisposizione da parte del relatore ed estensore di una "bozza" su cui si è poi discusso in camera di consiglio.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
(ud. 23/09/2008) 10-10-2008, n. 38526
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Giuseppe Maria - Presidente
Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere
Dott. CURZIO Pietro - Consigliere
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) S.L. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 08/02/2005 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Carmine Stabile che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv. LA che ha concluso per l'inammissibilità o, comunque, per il rigetto del ricorso, con la conferma della sentenza impugnata in ogni sua parte e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese in proprio favore come da nota specifica;
udito il difensore avv. CM, quale sostituto dell'avv. SF, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
OSSERVA
1.1. Con sentenza in data 8-2-2005 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza in data 19-11-2003 del Tribunale di Milano, appellata dal P.G. presso la Corte di appello, dalla parte civile FT O.N.L.U.S. e in via incidentale dall'imputato, dichiarava S.L. responsabile del reato di appropriazione indebita ad esso ascritto ex art. 646 c.p. e art. 61 c.p., n. 11 e - concesse le attenuanti generiche prevalenti - lo condannava alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa, pena sospesa e non menzione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre statuizioni accessorie.
La vicenda per cui è processo scaturisce dall'esecuzione del testamento di N.C., la quale aveva nominato quale esecutore testamentario lo S., persona di sua fiducia, disponendo, tra l'altro, un legato destinato alla s.c.r.l. FT O.N.L.U.S., avente ad oggetto il contenuto dell'abitazione (mobili, quadri, arredi). Il testamento conteneva una postilla destinata alla legataria, che veniva invitata, prima di sbarazzarsi dei mobili, a procedere ad una valutazione degli stessi, trattandosi di cose di grande valore. Deceduta la N., l'esecutore testamentario aveva provveduto alla vendita dei beni in questione (vi è controversia tra la difesa e la parte civile sul fatto che la vendita fosse stata autorizzata) e aveva, quindi, offerto alla O.N.L.U.S. la somma di L. 20.000.000 che assumeva di avere ricavato dalla vendita. La legataria, resa edotta da un'amica della defunta che nell'appartamento vi erano beni di ingente valore, aveva presentato denuncia-querela, ritenendo che lo S. avesse trattenuto o sottratto parte dei beni.
La Corte territoriale, andando di contrario avviso rispetto al Tribunale che aveva assolto l'imputato perchè il fatto non sussiste, riteneva decisiva la deposizione della teste G., già domestica per trent'anni in casa della defunta, la quale aveva fornito un elenco dettagliato dei beni presenti nell'abitazione, ben più ampio di quello dedotto dall'imputato e precisato che tutti questi beni erano presenti nell'abitazione alla morte della N.. La Corte di appello evidenziava che anche la teste F. M.L., amica della N., aveva riferito dell'esistenza di quadri e mobili antichi e che altra teste C.T.A. aveva parlato di 25 quadri a olio e mobili tutti di valore; sulla base delle indicate deposizioni testimoniali, riteneva, dunque, smentiti i contenuti dell'elenco redatto dall'imputato, quanto all'entità e al valore dei beni legati, concludendo che lo S. si era indebitamente appropriato di parte di detti beni, anche perchè non era autorizzato a procedere alla vendita;
precisava di non condividere l'argomentazione del primo Giudice, secondo cui il valore dei beni non avrebbe potuto essere così elevato, perchè altrimenti sarebbe stato troppo alto il valore del legato, osservando che, in primo luogo, non vi era ragione che il Giudice sostituisse la sua valutazione a quella della testatrice in ordine alla ripartizione dei beni tra eredi e legatari e, in secondo luogo, che la teste C.T. aveva riferito che la testatrice era "affezionata" alla O.N.L.U.S.. Anche la considerazione del Tribunale, secondo la quale lo S. avrebbe avuto ben altre strade per appropriarsi di danari non suoi non era considerata valida dalla Corte di appello, la quale osservava che non spetta al Giudice di indicare le modalità di perpetrazione dei reati; peraltro la strada prescelta non era affatto ingenua, tant'è che aveva convinto il primo Giudice dell'insussistenza del fatto.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.L., personalmente, formulando tre motivi.
- Abnormità della sentenza emessa dalla Corte di appello perchè "pre-confezionata" - Con il primo motivo si deduce l'abnormità della sentenza, che sarebbe stata redatta prima della conclusione del dibattimento: ciò in quanto la sentenza consta di n. 11 pagine ed è stata depositata unitamente alla lettura del dispositivo, dopo 25-30 minuti di camera di consiglio, nel corso della quale la Corte di appello avrebbe deliberato anche su altri due procedimenti.
- Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità (art. 606 c.p.p., lett. c). Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 468 c.p.p., comma 1, in quanto la lista testi del pubblico ministero non conteneva l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame; si sostiene che erroneamente la Corte di appello ha rigettato l'eccezione perchè, nel caso di specie, la lista non conteneva neppure un generico riferimento ai fatti di cui al capo di imputazione.
- Vizio di motivazione, illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine alla mancata assoluzione dell'imputato perchè il fatto non sussiste. Con il terzo motivo si deduce che la Corte di appello ha omesso di considerare tutta una serie di argomenti svolti dalla difesa, dei quali dava, invece, conto la sentenza di primo grado: quali il problema del valore dei beni, del mandato a vendere conferito o meno dalla M. allo S., della presenza del notaio che assisteva l'imputato, del negligente disinteresse della O.N.LU.S., dell'esatto adempimento da parte dell'esecutore di altro lascito in favore della Croce Rossa ecc..
Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione carente e contraddittoria; ciò in quanto si sarebbe limitata ad evidenziare una mera differenza quantitativa tra i beni presenti nell'elenco e quelli descritti dalla testimoni, senza chiarire le ragioni per cui il ricavato della vendita fosse inferiore a quello reale dei beni; non avrebbe considerato l'illogicità del lascito di ingente valore in favore di una cooperativa, frequentata solo per poco tempo della de cuius; avrebbe ritenuto smentito l'assunto difensivo, secondo cui la defunta aveva cominciato a vendere i beni presenti nell'abitazione, senza considerare che - come riportato nella stessa sentenza - la teste G. aveva riferito della vendita di quadri ad alcuni antiquati; non avrebbe fatto alcun riferimento alla deposizione del notaio, che affiancava l'imputato, fugando ogni dubbio sull'intento doloso. L'illogicità della motivazione, del resto, sarebbe palese nel momento in cui la Corte di appello non aveva accolto la richiesta di provvisionale, rilevando di non essere in grado di quantificare il valore dei beni.
2.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Invero - premesso che l'art. 544 c.p.p. prevede, in via principale, la redazione "immediata dei motivi in camera di consiglio" - ritiene il Collegio che ogni apprezzamento in ordine ai tempi di stesura del provvedimento (che, peraltro, contrariamente a quanto assume il ricorrente, non è redatto "a macchina", ma con sistema di videoscrittura) sarebbe del tutto opinabile. A tacere del fatto che non si vede alcuna illiceità nell'eventuale predisposizione da parte del relatore ed estensore di una "bozza" su cui si è poi discusso in camera di consiglio; peraltro la parte motiva della sentenza (esclusi, quindi epigrafe, sintesi della sentenza di primo grado, esposizione degli atti di appello e dispositivo) occupa solo tre pagine e mezza e non undici, come lascia intendere il ricorrente.
E' appena il caso di aggiungere che il precedente di questa S.C. (n. 45459 del 2004), cui fa riferimento parte ricorrente, non è pertinente, riguardando un caso nel quale il presidente di un collegio, immediatamente dopo la chiusura del dibattimento, aveva dato lettura del dispositivo, nonchè della motivazione contestuale a sostegno della decisione, senza previamente ritirarsi per deliberare sulle singole questioni insieme con gli altri giudici in camera di consiglio e senza, comunque procedere alla consultazione degli stessi.
2.2. E' manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso.
Invero la Corte territoriale ha già esaminato l'eccezione di inutilizzabilità dei testi, rilevando che la lista testi del P.M. era contenuta nel decreto di citazione a giudizio, per cui "era evidente il collegamento tra i testi indicati ed i fatti oggetto di imputazione".
Si tratta di argomentazione in linea con la consolidata giurisprudenza di questa S.C., secondo cui la violazione dell'obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame testimoniale, previsto dell'art. 468 c.p.p., comma 1, comporta l'inutilizzabilità di tale fonte di prova solo quando dal teste si richiede un contributo di conoscenza contenente un quid pluris rispetto a quanto descritto nel capo di imputazione, ma non quando questi è chiamato a confermare la sussistenza del fatto storico ivi enunciato (ex plurimis Cass. pen., Sez. 5^, 05/10/2005, n. 43361).
Invero poichè - come osserva lo stesso ricorrente - la ratio della norma è quella di tutelare le parti del processo contro l'introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni, l'obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni, imposto dall'art. 468 c.p.p., comma 1 è necessario solo quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandone così la tematica che si intende proporre nell'istruttoria dibattimentale. Ne deriva che l'obbligo stesso è rispettato non solo quando le circostanze sono indicate nella lista testimoniale con richiamo diretto al capo di imputazione, ma anche quando la richiesta di audizione consenta di individuare in modo inequivoco la tematica che la parte deducente intenda proporre nell'istruttoria dibattimentale: il che è possibile, ad esempio, quando vi siano delle indicazioni per relationem ovvero il nominativo del testimone sia associabile palesemente in una o più circostanze descritte dalle imputazioni (cfr. Cass. pen., Sez. 5^, 26/11/2003, n. 8664; Cass. pen., Sez. 3^, 19/10/2005, n. 4169). Ed è ciò che deve ritenersi nel caso all'esame, dal momento che l'inserimento della lista nel decreto di citazione rendeva chiaro alla difesa che i fatti su cui i testi dovevano essere interrogati erano quelli per cui oggetto dell'imputazione.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, pur formalmente denunciando il vizio di difetto di motivazione, svolge, nella sostanza, argomenti che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; il che non è consentito in questa sede.
Le questioni sollevate da parte ricorrente attengono, invero, a profili di fatto che non possono essere valutati da questa Corte di legittimità, il cui esame sul punto deve arrestarsi alla verifica - nel caso di specie largamente positiva - del buon governo da parte del giudice di appello dei criteri di valutazione della prova. Le stesse questioni trovano, del resto, compiuta risposta nel percorso argomentativo seguito dal giudice di appello, in maniera esplicita o implicita, attesa la loro inconciliabilità logica con la ricostruzione della vicenda operata dalla Corte territoriale, risultando inidonee a sovvertire l'ordine logico prescelto e a giustificare una diversa soluzione, più favorevole al ricorrente.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente i Giudici di appello hanno congruamente spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto di discostarsi dalle valutazioni del primo Giudice, evidenziando l'assenza di forza dimostrativa degli argomenti difensivi accolti dal Tribunale; hanno, altresì, dato atto, in maniera scrupolosa, del percorso decisionale seguito, inquadrando nel paradigma normativo precisi e univoci elementi fattuali della condotta tenuta dall'imputato e, a tal fine, hanno segnatamente evidenziato: la notevole differenza, sia qualitativa, che quantitativa tra i beni indicati nell'elenco prodotto dall'imputato e quelli contenuti nell'elenco "ben più ampio", descritti dalla teste G. e indicati come presenti nell'appartamento al momento del decesso della N.; l'attendibilità di siffatta deposizione testimoniale, per la puntualità dei contenuti e il disinteresse della teste, nonchè i riscontri rinvenibili nelle deposizioni T. e F.;
la detenzione dei beni in questione da parte dell'imputato in ragione dell'ufficio di esecutore testamentario, con conseguente obbligo di consegna alla legataria; la smentita sia dell'esistenza di una precedente vendita da parte della stessa testatrice (teste G.), sia del conferimento di un mandato a vendere all'esecutore testamentario (teste M.); in ultimo, ma non per ultimo, l'assenza di riscontri anche della stessa effettività della vendita da parte dell'imputato, posto che (quali che fossero i consigli del notaio sulla procedura più o meno "informale" da seguire) "ad oggi l'imputato non ha ancora indicato chi siano gli acquirenti dei beni asseritamente (e comunque illecitamente) venduti" (pag. 10 sentenza impugnata).
Da tali premesse fattuali discendono in termini logicamente consequenziali sia l'affermazione dell'elemento materiale della condotta di cui all'art. 646 c.p., per aver l'imputato indebitamente sottratto parte dei beni (anche perchè - come si legge a pag. 10 della sentenza - "quand'anche li avesse venduti", ciò non avrebbe potuto fare per essere la legataria FRANCIS TODAY divenuta proprietaria dei beni al momento dell'apertura della successione), sia il convincimento della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, desunto dalla consapevole indicazione da parte dell'imputato di beni di numero e valore inferiori a quelli effettivamente oggetto del legato.
La ricostruzione del fatto storico non è suscettibile di sindacato da parte di questa S.C., non ravvisandosi vizi di applicazione delle regole della logica o dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro. Si rammenta che il novellato art. 606 c.p.p., lett. e - pur ampliando il novero degli atti utilizzabili per il controllo della motivazione, comprendendovi gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" - non autorizza incursioni nelle risultanze fattuali, ponendo a carico del ricorrente l'onere di specifica indicazione di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della decisione, ovvero, per il caso in cui l'esame sia stato compiuto, della manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto (Cass. pen., Sez. 2^, 21/06/2006, n. 30711), restando, in ogni caso, estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa. (Cass. pen., Sez. 5^, 24/05/2006, n. 36764).
Inoltre occorre che la contraddittorietà della motivazione rispetto agli "altri atti del processo" sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Cass. pen., Sez. 4^, 28/04/2006, n. 20245).
Nel caso all'esame il ricorrente è rimasto assolutamente inadempiente all'onere a suo carico di "individuare" e "rappresentare" la decisività di un'informazione probatoria idonea minare dalle radici la struttura logica del ragionamento del giudice.
Invero le censure proposte, per lo più in fatto, non dimostrano affatto la pretesa illogicità della motivazione e si risolvono, al di là dei vizi denunciati, nella prospettazione di elementi di dubbio, frutto di una lettura assolutamente parziale delle risultanze processuali.
In particolare il Collegio non ravvisa alcuna contraddizione tra la smentita dell'assunto dello S. circa una pretesa vendita di parte dei beni (mobili, arredi e quadri) antecedente alla morte della testatrice, rinvenuta dai Giudici di appello nella deposizione della G. e la circostanza della vendita di "due o tre quadri" da parte della N., riferita - come si legge nell'impugnata sentenza - dalla medesima testimone, trattandosi di circostanze che non sono incompatibili. Del resto la Corte di appello ha avuto cura di precisare che "la G. ha ... escluso che, vivente la N. fossero mai venuti antiquari ad acquistare beni, a parte i due o tre quadri venduti" (pag. 9 della sentenza).
Anche l'altro argomento, svolto dal ricorrente, rappresentato dal rigetto della domanda di provvisionale formulata dalla parte civile, non possiede alcuna efficacia "scardinante" dell'impianto motivazionale, anche perchè una cosa è il convincimento dell'esistenza di una sproporzione qualitativa tra i diversi elenchi dei beni e altra cosa è il raggiungimento della prova della concreta entità del danno o di una parte di essa.
In definitiva le censure proposte incorrono nella sanzione di inammissibilità o perchè non riconducibili alla tipologia di cui all'art. 606 c.p.p. o perchè, comunque, manifestamente infondate.
A mente dell'art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità - determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Per il principio di soccombenza a carico dell'imputato vanno poste anche le spese sopportate dalla parte civile e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende; condanna altresì l'imputato alla rifusione delle spese sopportate dalla parte civile, liquidate in Euro 2.500,00 oltre rimborso forfetario, I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2008