Sia l'induzione, che lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione prescindono dal fatto che le persone offese siano già dedite alla prostituzione.
Ai fini della sussistenza del reato di induzione alla prostituzione non è necessario che il soggetto passivo sia una persona non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo. Pertanto il reato ricorre non solo quando si induca una donna a prostituirsi per la prima volta, ma anche quando si rafforza la sua determinazione a fare commercio del proprio corpo ed allorché, inoltre, si agisca su di lei per farla persistere nella turpe attività dalla quale più volte abbia apertamente manifestato la volontà di allontanarsi.
Vi è possibilità di concorso dei reati di induzione, sfruttamento e di favoreggiamento dell'altrui prostituzione, in quanto hanno per oggetto condotte autonome e distinte.
E' preclusa la possibilità di eccepire l'inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all'art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato.
Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 9 maggio – 16 luglio 2019, n. 31198
Presidente Lapalorcia – Relatore Miccoli
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19 settembre 2016 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto l'imputata Si. DE. dal reato di gestione di una casa di prostituzione (art. 3 n. 1 della legge n. 75 del 1958), riducendo conseguentemente la pena per le residue imputazioni di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
La Corte territoriale, inoltre, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di MO. Pi. e PA. Si. per essere il reato loro ascritto (di tolleranza abituale dell'altrui prostituzione) estinto per intervenuta prescrizione.
2. La Corte territoriale ha dato atto dell'errore in cui era incorso il giudice dell'udienza preliminare laddove, pur correttamente motivando in ordine all'insussistenza della fattispecie di gestione di una casa di prostituzione per quanto concerne la DE., aveva omesso nel dispositivo la pronuncia assolutoria per tale addebito.
3. Le vicende relative ai residui addebiti nei confronti della medesima imputata sono state ricostruite dai giudici di merito nei seguenti termini.
La DE., titolare di un locale notturno denominato "Camilla Club", assumeva donne in qualità di bariste o cameriere e le induceva all'attività di meretricio, prospettando consistenti guadagni, procurando loro i clienti, in particolare tra i frequentatori del circolo, e indirizzandoli presso un motel di nome "Iris".
4. Avverso la predetta sentenza l'imputata propone ricorso per cassazione, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato in tre motivi.
4.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione agli articoli 192 e 407, comma terzo, cod. proc. pen. e 132, 133 e 62 bis cod. pen.
Il difensore censura la ricostruzione dei fatti operata in primo luogo dal giudice di primo grado e poi dalla Corte territoriale, in quanto basata soltanto su una parziale valutazione delle emergenze processuali, con omissione di significative risultanze a discarico dell'imputata.
Si sottolinea, invero, che i clienti frequentavano le ragazze indipendentemente dall'operato della DE. ed al di fuori del locale dalla stessa gestito, come dimostrato dal fatto che talune praticavano attività di meretricio prima di conoscere l'imputata ed anche dopo aver lasciato il suo club. Tali circostanze sarebbero dirimenti ai fini dell'insussistenza del reato di induzione alla prostituzione.
Quanto allo sfruttamento della prostituzione, emerge dagli atti che l'imputata non riceveva alcun provento derivante dall'attività di meretricio esercitata dalle cameriere del suo circolo.
Non può ritenersi configurata nemmeno l'ipotesi di favoreggiamento poiché l'imputata si limitava ad invitare i suoi interlocutori a frequentare il locale da lei gestito.
La difesa deduce, inoltre, violazione degli articoli 132, 133 e 62 bis cod. pen., lamentando l'eccessività del trattamento sanzionatorio rispetto ai fatti contestati e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, erroneamente motivata sulla base del comportamento processuale dell'imputata.
Viene riproposta altresì l'eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine preliminare anteriori all'iscrizione nel registro degli indagati della DE., avvenuta il 24 aprile 2008, nonché di quelli compiuti in epoca successiva ad agosto 2007, cioè sei mesi dopo l'emersione di indizi di reità a carico degli indagati.
4.2. Il secondo motivo di ricorso è collegato a tali ultime deduzioni, dal momento che l'uso di atti inutilizzabili ai fini della decisione degli atti di indagine ha inficiato la dichiarazione di responsabilità a carico dell'odierna ricorrente.
4.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, sia sotto il profilo della carenza di motivazione, che sotto quello della illogicità e/o contraddittorietà della stessa.
In primo luogo, la ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe risposto al motivo di appello con il quale si denunziava la mancanza di alcun significativo collegamento tra talune delle persone indicate come prostitute nel capo di imputazione e la DE.. La decisione oggetto di impugnazione non indicherebbe dunque quali siano le donne asseritamente sfruttate o avviate alla prostituzione.
Inoltre, -secondo la deducente- dalle risultanze processuali non emerge che ella abbia ricevuto compensi sfruttando l'altrui prostituzione, né che abbia indotto donne a prostituirsi, né che abbia indirizzato i clienti verso il motel "Iris". Pertanto le emergenze processuali sono radicalmente incompatibili con la tesi ritenuta in sentenza.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è versato in fatto e finalizzato alla rivalutazione delle prove.
Peraltro, in ordine alle stesse censure proposte con l'atto di appello, la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato, ritenendo irrilevante la circostanza che talune delle ragazze assunte dalla DE. esercitassero attività di meretricio prima di conoscere l'imputata o abbiano continuato a svolgere tale attività anche dopo.
Sia l'induzione, che lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione prescindono dal fatto che le persone offese siano già dedite alla prostituzione.
E' incontroverso, infatti, che, ai fini della sussistenza del reato di induzione alla prostituzione, di cui all'art. 3, n. 5 legge 20 febbraio 1958, n. 75, non è necessario che il soggetto passivo sia una persona non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo. Pertanto il reato ricorre non solo quando si induca una donna a prostituirsi per la prima volta, ma anche quando si rafforza la sua determinazione a fare commercio del proprio corpo ed allorché, inoltre, si agisca su di lei per farla persistere nella turpe attività dalla quale più volte abbia apertamente manifestato la volontà di allontanarsi (Sez. 1, n. 24806 del 26/05/2010, T., Rv. 24780501; Sez. 3, n. 4948 del 17/02/1982, Leo, Rv. 15367101; Sez. 3, n. 2287 del 27/01/1984, Canullo, Rv. 16311201).
Va inoltre ricordato che nessun dubbio può nutrirsi pure sulla possibilità di concorso dei reati di induzione, sfruttamento e di favoreggiamento dell'altrui prostituzione, in quanto hanno per oggetto condotte autonome e distinte (Sez. 3, n. 40539 del 27/09/2007, Pietrobelli e altri, Rv. 23800501; Sez. 3, n, 8463 del 05/10/1972, Di Niccoli, Rv. 12270701).
2. Quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, va rilevato che la Corte territoriale ha articolatamente motivato sulle ragioni del diniego, non limitandosi a valutare l'assenza dell'imputata nel processo (Sez. 4, n. 1950 del 24/12/1995, Fichera ed altro, Rv. 20444901) ma apprezzando negativamente una serie di ulteriori elementi, quali anche quello di non aver mai reso dichiarazioni nel corso delle indagini. Ha peraltro correttamente escluso che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche potesse fondarsi sulla scelta da parte dell'imputata di definire il processo nelle forme del rito abbreviato, che implica "ex lege" l'applicazione di una predeterminata riduzione della pena (Sez. 2, n. 24312 del 25/03/2014, Diana e altri, Rv. 26001201).
3. Sull'eccezione di inutilizzabilità degli atti, va rilevato che l'imputata ha scelto di definire il processo con il rito abbreviato, sicché le è preclusa la possibilità di eccepire l'inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all'art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato (ex multis, Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, Picone e altri, Rv. 27219601; Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011, Inzitari, Rv. 25258001).
Va inoltre richiamato lo stesso principio già valorizzato dalla Corte territoriale, secondo il quale il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 24437601).
4. Inammissibile è anche il terzo ed ultimo motivo.
Invero, la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato sulle stesse censure proposte con l'atto di appello (pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata), sicché risulta manifestamente infondata la deduzione difensiva sui vizi motivazionali e, sotto altro profilo, le argomentazioni svolte nel ricorso si riducono a questioni di fatto e finiscono per sollecitare una rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
5. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà- al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.