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Butta in mare la bici del vigile: è reato (Cass. 22537/18)

21 maggio 2018, Cassazione penale

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Commette il reato di interruzione di pubblico servizio chi butta in mare la bici di un vigile urbano su cui erano collocate le borse laterali contenenti i bollettari delle multe, resi poi inservibili dal contatto con l’acqua marina.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 27/04/2018), sentenza 21-05-2018, n. 22537

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente -

Dott. GIANESINI Maurizio - Consigliere -

Dott. TRONCI Andrea - rel. Consigliere -

Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.C., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 09/11/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDREA TRONCI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Dott. PIETRO MOLINO, che ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il difensore di fiducia di D.C. impugna tempestivamente la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d'appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno, ha mandato assolto l'imputato, con ampia formula, dal reato di oltraggio a pubblico ufficiale, rideterminando in giorni quindici di reclusione la pena a carico del prevenuto per il residuo reato di cui all'art. 340 cod. pen., posto in essere per essersi impossessato per breve lasso di tempo della bicicletta di servizio in dotazione all'agente della Polizia Municipale indicato in rubrica, che poi gettava a mare, così "rendendo inservibili i bollettini di accertamento delle violazioni amministrative custodite all'interno di borse laterali del velocipede" e, per l'effetto, interrompendo o comunque turbando la regolarità del servizio.

2. Quattro sono le doglianze formalizzate nell'interesse dell'imputato:

a) "inesistenza del reato contestato ex art. 340 c.p. - mancanza di dolo generico e dell'elemento oggettivo del reato in questione": tanto alla stregua della "discutibile" plausibilità della ricostruzione della vicenda patrocinata dalla Corte dorica, a fronte delle contraddizioni esistenti fra i testi vigili urbani ed i testi "civili", P. ed A., e della maggiore credibilità di quanto rappresentato da questi ultimi, per le ragioni a tal fine esposte;

b) "mancanza e manifesta illogicità di parte della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e)", in ragione del difetto di credibilità illogicamente attribuito ai già citati testi P. ed A.";

c) "irrilevanza del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p.";

d) "mancata concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di cui alla L. n. 89 del 1981.

Motivi della decisione

1. Non consentiti sono i primi due profili di doglianza, che ben possono essere affrontati congiuntamente, atteso che ineriscono entrambi alla materialità della vicenda, che peraltro confutano alla stregua di considerazioni proprie di un giudizio di merito, ossia ponendo in discussione la pretesa maggiore credibilità propria della prospettazione patrocinata, laddove è notorio che il giudice di legittimità non è certo deputato a verificare la persuasività della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, per eventualmente sostituire ad essa la propria, atteso che il compito ordinamentale affidatogli è unicamente quello di far luogo al controllo giuridico e logico dell'iter delineato dalla sentenza impugnata, passibile di censura - per quanto qui interessa - solo ove si palesi come contraddittorio o manifestamente illogico: il che è escluso all'evidenza dalla stessa prospettazione difensiva, in termini - si ripete - di maggiore plausibilità.

2. Parimenti non consentita deve ritenersi la terza censura, non risultando che la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. sia stata prospettata innanzi al giudice distrettuale, giusta l'insegnamento assolutamente consolidato di questa Corte, secondo cui, appunto, "La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p., non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3" (così, da ultimo e per tutte, sez. 5, sent. n. 57491 del 23.11.2017, Rv. 271877).

Analogamente, in relazione alle attenuanti generiche ed al beneficio della libertà vigilata, ex L. n. 689 del 1981, rileva il Collegio come l'appello a suo tempo proposto sia del tutto silente sul punto, anche in questo caso valendo pertanto la preclusione stabilita dal succitato art. 606 c.p.p., u.c..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2018