Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Bilancino non è indizio univoco per spaccio (Cass. 26738/20)

25 settembre 2020, Cassazione penale

La destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità, poichè, al contrario, la destinazione della sostanza allo "spaccio" è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa; non spetta, pertanto, all'imputato dimostrare la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso

da annullare la condanna fondanta su elementi fattuali di significato tutt'altro che univoco, tenuto conto che i quantitativi di droga erano esigui, che le modalità di custodia erano ben compatibili con una destinazione delle sostanze al consumo personale e che non era accertata l'esistenza di alcun concreto dato seriamente collegabile ad un'attività di spaccio in favore di terzi, non potendo essere valorizzata la mera disponibilità di un bilancino che ben poteva essere custodito in casa anche da un mero consumatore.

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sent., (data ud. 18/09/2020) 25/09/2020, n. 26738

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo - Presidente -

Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -

Dott. VILLONI Orlando - Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 20/02/2019 della Corte di appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dall'Olio Marco, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso con correzione dell'errore della entità della pena detentiva da determinare in mesi dieci giorni venti di reclusione.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Messina riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, assolvendo l'imputato dal reato di guida in stato di alterazione psicofisica contestato al capo b) e riducendo la pena inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia del 21 settembre 2017 con la quale il Tribunale di Patti aveva condannato C.A. in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 337, 582 e 585 c.p. (capo a); D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, (capo c), per avere, in (OMISSIS), usato violenza nei confronti dei carabinieri del luogo, non fermandosi, mentre era alla guida del ciclomotore, all'alt intimato dalla pattuglia di militari, aumentando la velocità, urtando con il casco un sottufficiale che aveva riportato lesioni personali alla mano, proseguendo la marcia in zig-zag e creando una situazione di pericolo per la circolazione e per l'incolumità dei passati; nonchè per avere illegalmente detenuto e trasportato sostanze stupefacenti, in particolare un grammo di cocaina divisa in due pacchetti, di cui il prevenuto aveva cercato di disfarsi, oltre ad un grammo di marijuana trovata nella sua abitazione.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, ha dedotto i seguenti due motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione alle norme di diritto penale sostanziale contestate al capo a), e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente confermato la prima pronuncia, omettendo di replicare alla specifica doglianza difensiva con la quale era stata posta in dubbio la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale ovvero che l'imputato avesse agito con il dolo di opporsi con violenza al controllo dei carabinieri e di cagionare lesioni personali ad uno di quei militari.

2.2. Violazione di legge, in relazione al D.P.R. cit., art. 73, comma 5, e alle norme di diritto penale sostanziale contestate al capo b), e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso la richiesta difensiva di assoluzione per non essere stata acquisita la prova che le droghe rinvenute fossero destinate allo spaccio in favore di terzi e non anche al consumo personale del C., come lo stesso aveva sostenuto.

Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, sia pur nei limiti di seguito precisati.

2. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

La motivazione contenuta nella sentenza gravata in ordine alla configurabilità in capo all'imputato dei due reati contestatigli al capo a) risulta perspicua, completa e priva di vizi di manifesta illogicità.

La Corte di appello ha spiegato come, per un verso, gli estremi della resistenza a pubblico ufficiale fossero riconoscibili nella condotta tenuta dal C., il quale, mentre si trovava alla guida del suo ciclomotore, anzichè fermarsi all'alt impartitogli dai carabinieri, aveva forzato il posto di blocco dandosi alla fuga, colpendo uno dei militari con il casco e mettendo a repentaglio la sicurezza della circolazione stradale, allo scopo di allontanarsi per cercare di disfarsi dei due pacchetti di cocaina che aveva indosso; per altro verso, come il C., scegliendo di accelerare e di colpire con il casco la paletta del militare che stava provando a bloccarlo, avesse accettato concretamente la possibilità di cagionare al predetto lesioni personali, reato per la cui sussistenza, anche nella forma del dolo eventuale, è sufficiente che l'interessato abbia usato violenza fisica accettando come probabile l'evento lesivo.

In tale impostazione non è ravvisabile alcuna violazione delle norme incriminatrici oggetto di addebito, tenuto conto che le soluzioni proposte risultano in linea con i principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l'elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che, per sfuggire all'intervento delle forze dell'ordine, si dia alla fuga, alla guida di un'autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l'incolumità personale degli altri utenti della strada (così, tra le tante, Sez. 1, n. 41408 del 04/07/2019, Foriglio, Rv. 277137); e integra l'elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che dalla propria azione derivino o possano derivare danni fisici alla vittima (così, ex multis, Sez. 4, n. 28891 del 11/06/2019, Cascio, Rv. 276373).

3. Il secondo motivo del ricorso è, invece, fondato.

Nel caso di specie il ricorrente non si è limitato a porre in discussione la tenuta logica della motivazione, ma ha dedotto anche la violazione di legge nella parte in cui si è ritenuto sussistente il fine di spaccio, che costituisce elemento costitutivo della fattispecie contestata di detenzione illegale di droga. Sotto questo punto di vista, va accolta la doglianza difensiva nella parte in cui è stata lamentata l'applicazione da parte del giudice di merito di una determinata norma incriminatrice sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato nella fattispecie astratta.

Ed invero la Corte di appello ha sottovalutato il fatto che l'imputato avesse sostenuto che quelle droghe erano da lui detenute per farne consumo personale ed anche il suo stato di tossicodipendenza da cannabinoidi e cocaina, comprovato da un certificato prodotto dalla difesa; ed ha sostenuto che la destinazione allo spaccio di quelle sostanze fosse desumibile dalla circostanza che la cocaina fosse portata dall'imputato indosso mentre era alla guida della moto, divisa in due involucri, nonchè dalla circostanza che all'interno della sua abitazione, dove era stata trovata la marijuana, gli inquirenti avevano scoperto un bilancino di precisione che si era sostenuto essere un tipico strumento utilizzato dagli spacciatori per preparare le dosi destinate alla rivendita.

In tal modo sono stati irragionevolmente considerati elementi fattuali di significato tutt'altro che univoco, tenuto conto che i quantitativi di droga erano esigui, che le modalità di custodia erano ben compatibili con una destinazione delle sostanze al consumo personale e che non era accertata l'esistenza di alcun concreto dato seriamente collegabile ad un'attività di spaccio in favore di terzi, non potendo essere valorizzata la mera disponibilità di un bilancino che ben poteva essere custodito in casa anche da un mero consumatore.

Al riguardo va, dunque, ribadito il principio di diritto secondo il quale la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità, poichè, al contrario, la destinazione della sostanza allo "spaccio" è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa; non spetta, pertanto, all'imputato dimostrare la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso (così, tra le altre, Sez. 4, n. 39262 del 25/09/2008, Brambati, Rv. 241468).

L'impostazione argomentativa dei giudici di merito, nella quale è ravvisabile un erroneo impiego di massime di esperienza, permette di rilevare la mancanza assoluta di prova circa l'esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice contestata: situazione questa nella quale si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al reato sub capo c), non essendo riconoscibile alcuna possibilità di ulteriore sviluppo motivazionale, il che rende superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio.

Consegue la rideterminazione della pena finale nella misura pari a quella già fissata dal giudice di primo grado in relazione ai reati contestati al capo a).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C) perchè il fatto non sussiste.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e ridetermina la pena finale in mesi otto di reclusione.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020