Un apprezzabile intervallo temporale fra fatto ingiusto e reazione impedisce il riconoscimento della attenuante della provocazione: presupposto dell'attenuante della provocazione è, nell'aspetto soggettivo, uno stato d'ira incontenibile che provoca nell'agente la perdita dei poteri di autocontrollo, e che non può pertanto essere confuso con stati d'animo diversi quali il risentimento, il rancore, la vendetta. Quanto all'elemento oggettivo, deve tenersi conto del criterio dell'adeguatezza con parametro utile alla valutazione dello stato d'animo e delle intenzioni del reo: ed invero la sproporzione fra offesa e reazione sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante una causale non ricollegabile con nesso di causalità con la condotta della vittima, essendovi assoluta inconciliabilità tra istinto punitivo e reazione causata da uno stato d'ira.
CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. I PENALE
30 dicembre 2021 N. 47373
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza emessa in data 1 ottobre 2010 ha riformato quoad poenam la decisione emessa in primo grado - dal GUP del Tribunale di Trani - nei confronti di Z.S. in riferimento al delitto di tentato omicidio commesso in danno di R.A. (capo a) e detenzione e porto di arma comune da sparo (capo b) per fatti avvenuti il (OMISSIS).
1.1 In particolare, la Corte di Appello, essendo intervenuta rinunzia ai motivi in punto di responsabilità, esamina le doglianze relative al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione e quelle tese ad ottenere la variazione del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p..
Va premesso che in primo grado la pena è stata determinata nel modo che segue: con generiche equivalenti alla recidiva, pena base pari ad anni otto di reclusione per il capo a), con aumento ad anni nove per la riconosciuta continuazione, ridotta ad anni sei per la scelta del rito.
In secondo grado la pena viene così determinata: anni sette di reclusione per il delitto tentato omicidio (ferma restando la equivalenza tra circostanze attenuanti generiche e recidiva), con mesi sei in aumento per la continuazione, ridotta ad anni cinque per la scelta del rito.
2. Sui punti oggetto di esame la Corte di secondo grado ritiene, in sintesi, che:
a) pur essendo dimostrata la precedente condotta violenta tenuta dal R. (che aveva aggredito circa dieci minuti prima del fatto in contestazione lo Z., colpendolo con dei pugni al volto), non può ritenersi sussistente la circostanza attenuante della provocazione, dato che le modalità del fatto depongono per l'assoluta sproporzione della reazione, sì da interrompere il nesso causale tra la prima aggressione e la condotta tenuta dallo Z.. Costui ha avuto il tempo di rientrare in casa e munirsi dell'arma utilizzata per attentare alla vita del R., lì dove la condotta del R., pur se violenta, non aveva provocato ‘totale sopraffazionè;
b) l'esistenza di precedenti, arche allarmanti, a carico dello Z. (tra cui una condanna per il delitto di rapina), in una con le modalità del fatto, giustificano la incidenza della recidiva e impongono di mantenere il giudizio di comparazione tra circostanze in termini di equivalenza.
La attenuazione della misura della pena viene pertanto ricollegata esclusivamente alla riduzione della pena-base del reato continuato.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - Z.S., deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
3.1 Secondo il ricorrente, ciò che rileva al fine di ritenere sussistente la circostanza attenuante della provocazione è esclusivamente la permanenza dello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui. La decisione impugnata, di contro, valorizza in modo improprio il parametro della sproporzione tra azione e reazione, senza considerare la sostanziale continuità delle due condotte di offesa.
Tra il primo segmento dello scontro (i pugni ricevuti dallo Z.) e il secondo sono decorsi non più di dieci minuti, il che depone per la permanenza dello stato d'ira e non per la interruzione del nesso causale.
3.2 Quanto al mantenimento della incidenza della recidiva ed alla conferma del giudizio di equivalenza, si osserva che l'ultimo precedente a carico dello Z. risale al lontano 2011, aspetto non considerato dalla Corte di merito.
4. Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono.
4.1 La ricostruzione realizzata, senza alcuna illogicità, in sede di merito rappresenta il substrato fattuale cui ancorare le valutazioni in diritto, non essendo stata coltivata alcuna doglianza in punto di responsabilità già nel giudizio di secondo grado.
Ed allora non si può prescindere dal fatto che, ferma restando l'esistenza di una prima fase di conflitto, durante la quale prevale il dato dell'aggressione portata dal R., vi è un apprezzabile intervallo temporale durante il quale Z. rientra nella propria abitazione e recupera l'arma con cui esploderà i colpi verso R.A..
Ciò porta ad escludere, in una con le valutazioni esposte nella decisione impugnata, la applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 2, essenzialmente in ragione della visibile emersione di una causale vendicativa, testimoniata dalla sproporzione tra il mezzo utilizzato dal R. (conflitto a mani nude) e il ricorso, meditato, all'uso dell'arma da parte dello Z..
Sul punto, va ripreso l'insegnamento offerto da Sez. I n. 6811 del 21.4.1994, rv 198116, per la particolare chiarezza del principio di diritto ivi espresso: presupposto dell'attenuante della provocazione è, nell'aspetto soggettivo, uno stato d'ira incontenibile che provoca nell'agente la perdita dei poteri di autocontrollo, e che non può pertanto essere confuso con stati d'animo diversi quali il risentimento, il rancore, la vendetta. Quanto all'elemento oggettivo, deve tenersi conto del criterio dell'adeguatezza con parametro utile alla valutazione dello stato d'animo e delle intenzioni del reo: ed invero la sproporzione fra offesa e reazione sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante una causale non ricollegabile con nesso di causalità con la condotta della vittima, essendovi assoluta inconciliabilità tra istinto punitivo e reazione causata da uno stato d'ira.
Nel caso in esame, peraltro, non è soltanto l'intervallo temporale tra le due fasi dello scontro e l'uso dell'arma a far emergere la volontà di vendetta, atteso che la Corte di secondo grado ha evidenziato come siano rimaste oscure le stesse ragioni di fondo del conflitto, aspetto con cui il ricorrente finisce con l'omettere ogni confronto.
4.2 Quanto alla valutazione di incidenza della recidiva e al giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, essendo del tutto parziale lo spunto di critica ed avendo la Corte di Appello evidenziato tanto la gravità dei precedenti penali che la notevole gravità della condotta tenuta, anche in presenza di altri soggetti, dallo Z., estremamente indicativa della accentuata periciolosità soggettiva.
In simile contesto, l'avvenuta applicazione, con giudizio di equivalenza, delle circostanze attenuanti generiche risulta espressione - non sindacabile - della discrezionalità valutativa del giudice di merito.
Il ricorso, nel suo complesso, va dunque rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021