Non sussiste alcuna sostanziale differenza in termini giuridici tra le formule assolutorie dell'articolo 530 c.p.p., delineando i primi due commi dell'art. 530 c.p.p. canoni di giudizio il cui valore finale è equivalente, visto che nell'attuale ordinamento processuale penalistico l'onere della prova in ordine alla sussistenza del reato incombe solo sull'accusa, con la conseguenza che, a seguito del mancato adempimento di tale onere probatorio (non importando se perchè carente, contraddittorio o del tutto mancante), la regola di giudizio che si trae dal complesso della disciplina di cui ai primi due commi dell'art. 530 c.p.p. impone al Giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento che ha comunque valore di assoluzione piena dal reato ascritto.
Cassazione penale
Sez. III, Sent., (data ud. 27/10/2022) 17/11/2022, n. 43598
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Luigi - Presidente -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. CERRONI Claudio - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., noto a (Omissis);
avverso la sentenza del 29/11/2021 della CORTE APPELLO PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udite alla redazione svolta dal consigliere ALESSIO SCARCELLA;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore Dott. SECCIA Domenico, che riportandosi alle conclusioni scritte già comunicate alla difesa ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi, per il ricorrente, l'Avv. BMA che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso nonchè l'Avv. GA; che ha insistito nella richiesta di accoglimento del primo motivo del ricorso, chiedendo altresì alla Corte di valutare l'eventuale rimessione degli atti alle Sezioni Unite con riguardo alla questione della connessione tra i reati contestati.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 29.11.2021, la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza GIP/tribunale di Palermo 1.10.2020, appellata, per quanto qui rileva, da A.A., ha assolto quest'ultimo con formula dubitativa dal reato di cui alla L. n. 75 del 1958 artt. 3 e 4, per insussistenza del fatto, escludendo, in relazione al reato di cui all'art. 609-bis, c.p., l'aggravante contestata dell'art. 61, n. 11-sexies, c.p., rideterminando, per l'effetto, la pena finale in complessivi 3 anni e 4 mesi di reclusione, confermando nel resto l'appellata sentenza che lo aveva ritenuto colpevole del reato di cui al capo q) della rubrica, ossia del reato di violenza sessuale continuata, commesso nei confronti di una donna affetta da disturbi psichici, indotta ad avere rapporti sessuali completi, il tutto secondo le modalità esecutive e Spa zio - temporali meglio descritte nell'imputazione, in relazione a fatti contestati come commessi tra il Maggio ed il giugno 2018.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 609-bis, c.p., 609-septies, n. 4, c.p. e 129, c.p.p. In sintesi, sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento per difetto di querela in relazione al delitto sub q). Non esisterebbe alcuna connessione tra il delitto per cui è intervenuta sentenza assolutoria per insussistenza del fatto, sebbene con formula dubitativa, e quello di violenza sessuale. La Corte d'appello non si. sarebbe quindi posta il problema della verifica della procedibilità del delitto in esame, non risultando in atti alcuna querela posta dalla vittima. Nello specifico, il ricorrente, richiamata la giurisprudenza di questa Corte sul tema della connessione necessaria per la procedibilità officiosa del reato in esame, osserva che nel caso di specie ricorrerebbe esclusivamente un caso di connessione ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. c), connessione non inclusa dalla giurisprudenza tra le ipotesi che consentono la procedibilità d'ufficio. Il ricorrente riconosce l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale più rigoroso, che includerebbe anche tale ipotesi di connessione tra i casi di procedibilità d'ufficio, ma sostiene che, essendo la norma dell'art. 609-septies, c.p., una norma di carattere sostanziale, la stessa soggiacerebbe al divieto di analogia in malam partem. Aggiunge, ancora, come la connessione meramente probatoria ex art. 371, comma 2, n. 3, c.p., che secondo la giurisprudenza criticata consentirebbe la procedibilità d'ufficio con il reato di violenza sessuale, non rispecchierebbe un nesso sostanziale tra i reati, quanto un loro collegamento occasionale, o di mero rilievo investigativo - probatorio, non espressivo di sostanziale unitarietà, dunque una relazione "debole" tra gli stessi, inidonea a giustificare la procedibilità ufficiosa del delitto di violenza sessuale. In ogni caso, aggiunge il ricorrente, la formula terminativa adottata per il reato "connesso" (ossia l'assoluzione per insussistenza del fatto di favoreggiamento della prostituzione), eliderebbe l'effetto attrattivo essendo idonea ad eliminare la stessa sopravvivenza del fatto storico, con conseguente venir meno della procedibilità d'ufficio per il delitto di violenza sessuale.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all'art. 609-bis, c.p. In sintesi, si censura l'impugnata sentenza ritenendone la motivazione contraddittoria ed illogica, per non aver seguito gli insegnamenti giurisprudenziali di legittimità in ordine alla condotta di violenza sessuale con induzione mediante abuso dell'inferiorità psichica o fisica della vittima, ex art. 609 c.p., comma 2, n. 1, in particolare per avere la Corte d'appello sovrapposto la patologia della p.o. con l'assenza del valido consenso, non essendovi tuttavia alcuna evidenza che la patologia di cui la vittima è affetta inibisca di per sè un valido consenso all'atto sessuale. Più nello specifico, si duole il ricorrente per non aver la Corte d'appello accertato in concreto se le condizioni psicofisiche della vittima fossero tali da escludere la consapevolezza della natura e del significato dell'atto sessuale che la riguardavano, nè valutato se il ricorrente avesse la consapevolezza di tali condizioni e ne avesse volutamente approfittato ottenendo un consenso che, in una situazione di normalità, gli sarebbe stato negato (a tal proposito richiamando il contenuto di una chat in data 1.06.2018 nonchè una conversazione telefonica intercettata in data 5.06.2018, ritenute confermative della capacità di autodeterminazione della vittima all'atto sessuale, escludendo qualsiasi coartazione o induzione del ricorrente, conversazioni che la Corte d'appello non avrebbe considerato). L'illogicità della motivazione emergerebbe, poi, dall'aver frainteso i giudici territoriali il contenuto di una conversazione intercettata in data 13.06.2018, che non sarebbe dimostrativa del fatto che il ricorrente conoscesse le condizioni della vittima al momento del fatto, avvenuto in data 5.06.2018, non essendovi alcun elemento da cui emerga un consenso viziato della vittima al rapporto sessuale avvenuto in tale data, ma, anzi, un'iniziativa della vittima in tal senso. La motivazione della sentenza sarebbe, poi, censurabile per aver ritenuto rilevante, ai fini della valutazione della (in)capacità della vittima di autodeterminarsi, le conclusioni del c.t. del PM Dott. B.B., laddove invece non avrebbe tenuto in debita considerazione quanto emergeva dalla relazione del c.t. del PM ing. C.C., donde apparente risulterebbe la giustificazione della Corte d'appello in ordine alla scarsa attendibilità di quanto argomentato dal c.t.p. della difesa Dott. E.E. in merito alla capacità di autodeterminarsi della vittima, capacità che sarebbe stata confermata anche dalla relazione che la vittima aveva intrapreso con altro ospite della struttura presso cui era ospitata e con cui era usa trascorrere la notte insieme a letto, come riferito da un teste (D.D.), senza che tale circostanza sia stata valutata dai giudici territoriali. Criticabile, piuttosto, sarebbe il tentativo della Corte d'appello di accreditare la tesi della condotta induttiva del ricorrente richiamando le regalie che questi era uso fare alla vittima, ciò che entrerebbe in contraddizione con il contenuto della chat 1.06.2018.
2.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 133 e 62-bis, c.p. In sintesi, si duole il ricorrente del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, richiesta rigettata perchè generica. Diversamente la richiesta era specifica e i giudici non avrebbero motivato adeguatamente, anzi facendo riferimento ad una circostanza processualmente inesistente, ossia il riferimento ad una condotta successiva ai fatti, avvenuta nell'agosto 2018, che sarebbe stata posta in essere dal ricorrente e che risulterebbe espressiva di un'intensità del dolo particolarmente rimarchevole e indice di mancata resipiscenza.
3. Con requisitoria scritta del 12.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. In data 6.09.2022 la difesa ha formulato richiesta di trattazione orale. Successivamente, con atto del 6.10.2022, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire motivi nuovi, con allegati, in relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso originari, in replica alla requisitoria scritta del PG. In sintesi, quanto al primo motivo, si rileva che non sarebbe ostativo all'accoglimento del ricorso la circostanza che non sia stato dedotto davanti al giudice di appello, in quanto la questione della mancanza della condizione di procedibilità ben potrebbe essere dedotta per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. Richiama quanto già argomentato nel primo motivo di ricorso quanto all'esistenza di una connessione debole insufficiente a giustifiCare la procedibilità d'ufficio, replicando alle argomentazioni del PG, e ritiene irrilevante la circostanza che la formula assolutoria terminativa in relazione al capo q) sia stata adottata in chiave dubitativa, ossia a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2, non essendovi alcuna differenza in chiave liberatoria ai fini del tema in esame, non potendo derivare alcun pregiudizio all'imputato dall'adozione della formula assolutoria dubitativa.
Infine, quanto al secondo motivo, vengono riproposte le medesime argomentazioni già svolte nel secondo motivo di ricorso originario, con richiesta di accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, trattato in presenza ex D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, e successive modd. ed integrazioni, è fondato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, va premesso che esso è stato formulato per la prima volta con ricorso in sede di legittimità, ma questa circostanza non è di ostacolo alla trattazione e alla relativa decisione della Corte di Cassazione, avuto riguardo al tenore degli artt. 129 e 529 c.p.p., secondo cui "in ogni stato e grado del giudizio il Giudice che riconosce che manca una condizione di procedibilità lo dichiara d'ufficio con sentenza".
Nei giudizi di impugnazione, l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. anche ex officio configura una deroga all'effetto parzialmente devolutivo dell'appello ed al giudizio di Cassazione quale controllo di legittimità vincolato ai motivi. Si consideri, inoltre, che in pendenza del ricorso di legittimità, la remissione di querela intervenuta ed accettata determina l'estinzione del reato che prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata da parte della Suprema Corte di Cassazione, purchè il ricorso sia stato tempestivamente proposto. Tanto più, dunque, il ragionamento vale in caso di assenza originaria della condizione di procedibilità (il dato contrario non essendo ricavabile da alcun atto processuale, nè dalle sentenze di merito, nè dall'imputazione), comportando oltretutto la specifica questione un accertamento desumibile con immediatezza, e comunque, trattandosi di vitia in procedendo, verificabile dalla Corte attraverso l'accesso diretto agli atti (si v., sul punto: Sez. 3, n. 24146 del 14/03/2019 - dep. 30/05/2019, M., Rv. 275981 - 01, secondo cui la questione attinente alla procedibilità dell'azione penale è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, anche davanti alla Corte di cassazione, sebbene non dedotta nel grado di appello).
3. Per completezza, si noti, la richiesta difensiva circa l'emissione di una sentenza di non doversi procedere per mancata proposizione della querela risulta già dalle conclusioni difensive riportate nell'epigrafe della sentenza del Giudice di primo grado. Solo con quest'ultimo provvedimento il G.I.P. riteneva, in assenza di alcun riferimento specifico nella contestazione dei due reati ascritti al ricorrente, di riconoscere tra essi l'istituto della continuazione nell'ottica di favor rei, con la funzione di ridimensionare la pena, escludendo il cumulo materiale. Ma di fatto così configurando per la prima volta un'ipotesi di connessione sostanziale tra i reati ascritti all'imputato ex art. 12 c.p.p. 4. Con l'assoluzione per insussistenza del fatto dal reato procedibile d'ufficio di cui al capo P) dell'imputazione, intervenuta con la sentenza di appello, si è però riproposta la questione sulla mancanza della condizione di procedibilità per il reato sessuale, per cui invece è stata confermata la condanna del Giudice di primo grado.
Con i motivi di ricorso ex art. 606 c.p.p. è stata dedotta la questione circa l'assenza della condizione di procedibilità per il residuo reato di natura sessuale, ritenendosi che è vero che una parte della giurisprudenza di legittimità ritiene che il delitto in questione, tipizzato come procedibile a querela della persona offesa, è tuttavia anch'esso procedibile d'ufficio (ciò verificandosi anche quando vi è connessione in senso processuale ex art. 12 c.p.p. materiale); tuttavia tale ultima ipotesi si verifica, secondo la Corte di Cassazione, ogni qual volta l'indagine sul reato perseguibile d'ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto o siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro oppure l'uno per occultare l'altro oppure, ancora, in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 c.p.p. Senonchè, come confermato dal fatto che la stessa Procura Generale nella sua requisitoria non ha più precisamente individuato quale delle forme di connessione materiale eventualmente ricorra, nel caso concreto tutt'al più si potrebbe, e nemmeno in modo inconfutabile, ravvisare l'ipotesi di cui alla lett. c) del comma 2 dell'art. 371 c.p.p. Anche nella contestazione di cui ai capi P) e Q) della rubrica non si fa alcun riferimento ad alcuna forma di connessione tra i reati attribuiti al ricorrente, nè in tal senso hanno sopperito le due sentenze di merito.
5. Tanto premesso, peraltro, al di là della questione giuridica relativa all'individuazione dell'ipotesi di connessione applicabile nel caso in esame, assorbente è il rilievo che è proprio con la pronuncia della sentenza di appello che ha assolto per insussistenza del fatto l'imputato dal reato procedibile d'ufficio di cui al capo P che si origina altra questione sulla improcedibilità del reato di cui al capo Q) della rubrica, avuto riguardo alla pacifica giurisprudenza che statuisce che, in caso di assoluzione con formula "perchè il fatto non sussiste", cessa qualunque forma di connessione e, quindi, fa rendere nuovamente necessaria la querela per procedere per il reato di violenza sessuale (si veda, di recente, Sez. 3, n. 383 del 21/11/2019 - dep. 09/01/2020, Scaroni e altri, n. m., secondo cui "nel caso in cui per il reato connesso procedibile d'ufficio sia stata pronunciata sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, il Giudice deve prendere atto della formula terminativa del giudizio e ritenere sciolta la connessione"; nonchè, in senso conforme, Sez. 3, n. 56666 del 21/09/2018 - dep. 17/12/2018, P., Rv. 274677 - 01, secondo cui "l'estensione del regime della perseguibilità d'ufficio ai delitti di violenza sessuale ex art. 609-septies c.p. viene meno solo a seguito dell'accertamento dell'insussistenza del fatto di cui all'imputazione del reato connesso, mentre ogni altra formula di proscioglimento non fa venire meno la perseguibilità d'ufficio del reato sessuale").
La formula della pronuncia assolutoria in oggetto, dunque (pronuncia che peraltro ha assunto autorità di cosa giudicata), ha escluso in radice la circostanza del fatto storico che ha dato luogo alla connessione. In tali ipotesi viene meno, ex tunc, l'interesse pubblico alla perseguibilità del reato e, pertanto, deve rivivere la rilevanza dell'autodeterminazione della persona offesa del reato sessuale, nella specie mancante per non essere stata presentata alcuna querela.
6. Nè rileva quanto sostenuto dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione nella memoria del 12/08/2022, atteso che nessuna incidenza contra reum può avere il fatto che l'assoluzione in parola sia stata decisa ai sensi del comma 2 dell'art. 530 c.p.p. Infatti, nel vigente sistema processuale, l'assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove equivale a tutti gli effetti alla mancanza assoluta di prove, tanto è vero che costituisce pronuncia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato (in proposito si veda Sez. 2, n. 39960 del 19/07/2018 - dep. 05/09/2018, Melchiorre e altri, n. m.). Inoltre, non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, pronunciata ex art. 530, comma 2, c.p.p. (per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova) in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, nè segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato, nè tantomeno spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 c.p.p. Pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata alla assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (si veda Sez. 5, n. 49580 del 26/09/2014 - dep. 27/11/2014, Rosa, Rv. 261341 - 01, secondo cui "non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, pronunciata ex art. 530, comma 2, c.p.p. - per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova - in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria nè segnala residue perplgssità sulla innocenza dell'imputato, nè spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli art. 652 e 654 c.p.p.; pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all'assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito"; principio peraltro ribadito con riferimento alla formula assolutoria per non aver commesso il fatto ex art. 530 c.p.p., comma 2, anche da Sez. 3, n. 51445 del 15/09/2016 - dep. 02/12/2016, Papotti, Rv. 268397 - 01, secondo cui "non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. - per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova - in quanto tale formula non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria ai sensi dell'art. 530, comma 1, c.p.p., anche in ordine agli effetti extrapenali").
Non sussiste, dunque, alcuna sostanziale differenza in termini giuridici tra le due formule assolutorie in oggetto, delineando i primi due commi dell'art. 530 c.p.p. canoni di giudizio il cui valore finale è equivalente, visto che nell'attuale ordinamento processuale penalistico l'onere della prova in ordine alla sussistenza del reato incombe solo sull'accusa, con la conseguenza che, a seguito del mancato adempimento di tale onere probatorio (non importando se perchè carente, contraddittorio o del tutto mancante), la regola di giudizio che si trae dal complesso della disciplina di cui ai primi due commi dell'art. 530 c.p.p. impone al Giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento che ha comunque valore di assoluzione piena dal reato ascritto.
La prassi di specificare, nel dispositivo assolutorio, il primo o comma 2 dell'art. 530 c.p.p. corrisponde solo ad un'esigenza (non necessaria ex lege) di rendere esplicito al momento della decisione il canone di giù dizio adottato dal Giudice, ma non attribuisce un valore giuridico diverso alla pronuncia assolutoria, che resta piena in entrambi i casi. Conseguentemente, nessun concreto pregiudizio può derivare all'imputato dalla specifica indicazione nel dispositivo del comma 2 dell'art. 530 c.p.p., piuttosto che del comma 1 (si veda Sez. 4, n. 41369 del 19/06/2018 - dep. 25/09/2018, R., Rv. 274033 - 01, secondo cui inoltre "non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione, pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. - per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova - al fine di ottenere una pronuncia ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, in quanto tale formula assolutoria non comporta una Maggior pregnanza neanche in ordine agli effetti extrapenali").
Pertanto, la presunta differenziazione basata sui commi 1 e 2 dell'art. 530 c.p.p. (che ha determinato la Procura Generale della Corte di Cassazione a ritenere che la formula di assoluzione adottata ed i rilievi motivazionali espressi dalla Corte territoriale non lascino dubbi in merito ad una non evidente insussistenza del fatto di reato e, come tale, sia dunque inidonea a recidere il nesso intercorrente tra il delitto procedibile a querela e quello procedibile d'ufficio), si rivela in conclusione non sostenibile.
7. L'accoglimento del motivo relativo al difetto di procedibilità, assorbe gli ulteriori motivi, rendendone superfluo l'esame.
8. L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, annullata senza rinvio, limitatamente al residuo reato contestato al ricorrente, per mancanza di querela.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A. in relazione al residuo reato contestato al capo q), per mancanza di querela.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.196 del 2003 art. 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2022