Analisi delle novità del testo unico introdotte a seguito della incostituzionalità dalla ?Fini-Giovanardi?: la relazione del massimario della Corte di Cassazione del giugno 2014.
C O R T E D I C A S S A Z I O N E
UFFICIO DEL MASSIMARIO
Settore penale
Rel. n. III/08/2014 Roma, 4 giugno 2014
Novità legislative: L. 16 maggio 2014, n. 79 ?Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale?.
(a cura di Vittorio Pazienza)
Sommario:
Premessa. - 1. Le modifiche alla disciplina relativa alla classificazione delle sostanze stupefacenti. ? 2. Le modifiche del regime sanzionatorio per le condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità. ? 2.1. La mitigazione della risposta sanzionatoria per i fatti di lieve entità. 2.1.1. ? Segue: i problemi di diritto intertemporale. 2.1.2. ? Segue: le implicazioni di natura processuale. 2.1.3. Segue. Considerazioni di sintesi: la ricerca di parametri oggettivi per definire il fatto lieve ?per la qualità e quantità delle sostanze?. 2.2. ? La reintroduzione del lavoro di pubblica utilità. ? 3. Le modifiche in tema di illeciti amministrativi concernenti i fatti commessi per uso personale.
(scarica relazione 20/2014, orientamento di giurisprudenza, "Prime riflessioni sulle possibili ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sul trattamento sanzionatorio in materia di sostanze stupefacenti, Massimario Corte di Cassazione, 5 marzo 2014).
Premessa.
Come efficacemente sintetizzato nella Relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione, le misure urgenti contenute nel decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, sono state introdotte ?per far fronte alle criticità derivanti, sotto il profilo della tutela della salute, dall?emanazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014?.
E? noto che, con tale decisione, la Consulta ha dichiarato l?illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272, inseriti, in sede di conversione, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (nota come ?legge Fini-Giovanardi?), con i quali era stata radicalmente modificata la normativa in tema di sostanze stupefacenti e psicotrope, contenuta nel d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (d?ora in avanti indicato come ?testo unico?).
In particolare, per quanto specificamente interessa in questa sede, l?art. 4-bis aveva modificato l?art. 73 del testo unico, unificando il trattamento sanzionatorio per le condotte di produzione, traffico e detenzione illeciti, indipendentemente dalla tipologia di sostanza stupefacente trattata: si prevedeva infatti in ogni caso, al comma primo, la reclusione da sei a venti anni, e la multa da euro 26.000 a euro 260.000. Il previgente art. 73, invece, era caratterizzato da una netta distinzione della risposta sanzionatoria, a seconda che i reati avessero avuto ad oggetto le sostanze inserite nelle tabelle I e III (cosiddette ?droghe pesanti?), per i quali l?originario art. 73, comma primo, aveva previsto la reclusione da otto a venti anni e la multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire (da euro 25.822 a euro 258.228), ovvero le sostanze inserite nelle tabelle II e IV (cosiddette ?droghe leggere?), per i quali l?art. 73, comma quarto aveva previsto, nell?originaria formulazione, la reclusione da due a sei anni e la multa da dieci a centocinquanta milioni (da euro 5.164 a euro 77.468)[1].
D?altro lato, l?art. 4-vicies ter aveva ?coerentemente? modificato il sistema tabellare disciplinato dai previgenti articoli 13 e 14 del testo unico, raggruppando all?interno di un?unica tabella I tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope precedentemente ripartite, come accennato, in gruppi differenti (gli artt. 13 e 14, nel testo modificato dall?art. 4-vicies ter, prevedevano anche l?inserimento, all?interno della tabella II, dei medicinali contenenti sostanze ad azione stupefacente o psicotropa).
Gli articoli 4-bis e 4-vicies ter della ?legge Fini ? Giovanardi? sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi per violazione dell?art. 77, comma secondo, Cost., avendo la Corte costituzionale riscontrato un ?difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto legge e quelle impugnate, introdotte dalla legge di conversione?. Il carattere prettamente procedurale del vizio ha comportato, per espressa indicazione della Consulta, la declaratoria di illegittimità costituzionale dei due articoli nella loro interezza, anziché delle sole disposizioni relative all?impianto sanzionatorio e al sistema tabellare, specificamente oggetto della questione incidentale sollevata dalla Corte di cassazione (con ordinanza emessa in data 11 giugno 2013 dalla Terza Sezione)[2].
Altrettanto esplicita è stata la Consulta nell?affermare che ?in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77, secondo comma, Cost., deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l?art. 73 del d.P.R. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate? (cfr. punto 5 del Considerato in diritto).
E? in questa situazione di piena reviviscenza della normativa illegittimamente abrogata dalla legge ?Fini ? Giovanardi?[3] che è intervenuto il decreto legge n. 36.
Va subito evidenziato che la scelta del Governo è stata quella di non incidere sul sistema sanzionatorio, nuovamente imperniato sulla distinzione tra ?droghe pesanti? e ?droghe leggere? contenuta nell?originaria formulazione dell?art. 73, tornato in vigore grazie alla sentenza n. 32 della Consulta (cfr. supra): un sistema che, ovviamente, pone una serie di problematiche di diritto intertemporale, sia in relazione ai procedimenti penali in corso, sia a quelli definiti con sentenza irrevocabile, sulle quali già si sono registrate importanti prese di posizione in giurisprudenza ed in dottrina[4].
La scelta governativa è stata quella di porre rimedio alle criticità conseguenti alla espunzione, con efficacia ex tunc, di numerose disposizioni del testo unico introdotte dalla ?Fini-Giovanardi?: criticità relative, tra l?altro, ai numerosi provvedimenti amministrativi adottati in forza di quelle disposizioni (autorizzazioni alla produzione, fabbricazione ecc. delle sostanze; approvazione dei ricettari utilizzabili per prescrivere medicinali con effetti stupefacenti; registrazione informatica e trasporto dei predetti medicinali, ecc.).
In tale prospettiva, attraverso le disposizioni contenute nell?art. 1 del decreto legge, si è inteso ripristinare sostanzialmente la normativa in vigore alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale; mentre, con l?art. 2, il Governo si è preoccupato di assicurare la continuità degli effetti degli atti amministrativi adottati sino alla sentenza della Consulta, prevedendo appunto che gli atti amministrativi in questione ?continuano? a produrre effetti dalla data di entrata in vigore del decreto legge (si vedrà peraltro che, in sede di conversione, l?art. 2 è stato assai significativamente modificato, essendosi disposto che i predetti atti amministrativi ?riprendono? a produrre effetti: cfr. infra, § 1).
Un discorso a parte merita l?intervento posto in essere dal Governo, attraverso i commi secondo e terzo dell?art. 1, in relazione al sistema tabellare di classificazione delle sostanze stupefacenti: la questione - che assume ovviamente un centrale ed assoluto rilievo anche ai fini penalistici, avuto riguardo alla nozione prettamente legale di sostanza stupefacente accolta nel nostro ordinamento, ed alla conseguente rilevanza penale delle sole condotte concernenti sostanze incluse in tabella[5] - sarà esaminata nel paragrafo successivo.
In sede di conversione del decreto, il Parlamento ha introdotto importantissime ulteriori disposizioni, anche in ordine all?apparato sanzionatorio su cui, come accennato, il Governo aveva invece scelto di non intervenire.
In particolare, con il comma 24-ter inserito nell?art. 1, la legge è intervenuta sull?art. 73 del testo unico, sia modificando le pene previste per le condotte illecite di lieve entità di cui al comma 5, sia reintroducendo nello stesso articolo il comma 5-bis, relativo alla possibilità di applicare per tali condotte, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, il lavoro di pubblica utilità di cui all?art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000 (anche a tale ultimo proposito, può parlarsi di un intervento ?ripristinatorio?, avendo il comma 5 bis dell?art. 73 un contenuto sovrapponibile a quello a suo tempo introdotto dall?art. 4 bis della legge ?Fini-Giovanardi? e venuto meno per effetto della sentenza n. 32 della Corte costituzionale). Di tali modifiche si darà conto, rispettivamente, nei paragrafi 2.1 e 2.2.
Inoltre, con il comma 24-quater, la legge di conversione ha introdotto alcune modifiche anche all?art. 75 del testo unico, che disciplina il sistema delle sanzioni amministrative. Si tratta di disposizioni che appaiono di assoluto interesse e rilievo anche ai fini di un?esposizione, come quella odierna, dedicata ai soli riflessi penalistici della nuova legge: infatti, pur con una tecnica legislativa diversa da quella utilizzata dalla ?Fini ? Giovanardi?, la novella ha espressamente reintrodotto, nel testo unico, la rilevanza solo amministrativa delle condotte finalizzate all?uso personale dello stupefacente (delle quali faceva menzione il solo comma 1 bis dell?art. 73, travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale), dettando anche alcuni parametri cui riferirsi nell?accertamento della sussistenza di tale destinazione. I termini di tale intervento saranno analizzati nel successivo paragrafo 3.
1. Le modifiche alla disciplina relativa alla classificazione delle sostanze stupefacenti. Come già ricordato in precedenza, la Corte costituzionale ha inequivocabilmente affermato, nella parte motiva della sentenza n. 32, l?avvenuta reviviscenza (tra l?altro) dell?art. 73 del testo unico e delle relative tabelle, ?in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate?.
Hanno dunque ripreso vigore, per espressa indicazione della Consulta, sia le norme incriminatrici contenute nell?originario art. 73 (e connotate, come già ricordato, dall?assai diversa entità della risposta sanzionatoria stabilita nei commi primo e quarto, a seconda che l?oggetto della condotta sia costituito, rispettivamente, da ?droghe pesanti? ovvero da ?droghe leggere?); sia anche le sei tabelle vigenti prima dell?entrata in vigore della ?legge Fini ? Giovanardi? (con l?inclusione, nelle tabelle I e III richiamate dal comma primo dell?art. 73, delle sostanze ritenute in grado di produrre effetti sul sistema nervoso centrale e di determinare dipendenza psico-fisica nell?assuntore; nelle tabelle II e IV, richiamate dal comma quarto dell?art. 73, delle sostanze connotate da un grado inferiore di dipendenza e dei prodotti di corrente impiego terapeutico contenenti sostanze classificate nelle tabelle I e III, e perciò idonee a creare problemi di dipendenza. Nelle tabelle V e VI, erano invece inseriti preparati e prodotti medicinali che, pur contenendo sostanze ad effetto stupefacente, erano sottoposti a disciplina e controlli meno rigorosi).
In tale situazione, l?intervento ?ripristinatorio? del decreto legge non è consistito ? a differenza di quanto avvenuto per altre disposizioni del testo unico travolte dalla sentenza n. 32 della Consulta - nella mera riproposizione dell?assetto a suo tempo introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi?, articolato in due sole tabelle (la tabella I contenente tutte le sostanze vietate, e la tabella II, articolata in sezioni, contenente i medicinali regolarmente registrati contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope). In piena coerenza con la scelta di non intervenire sull?impianto sanzionatorio tornato in vigore, ed anzi al dichiarato fine di restituire coerenza ed organicità al sistema sanzionatorio penale, il Governo ha preferito ?reintrodurre quattro tabelle, ridistribuendo tra esse le sostanze che, sulla base della legge n. 49 del 2006, erano raggruppate nelle due tabelle caducate dalla sentenza della Corte costituzionale, in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico, ripristinate dalla più volte richiamata sentenza? (cfr. pag. 5 della Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione)[6]. Tale risultato è stato raggiunto sia attraverso le opportune modifiche alle disposizioni contenute negli articoli 13 e 14 del testo unico concernenti, rispettivamente, il numero delle tabelle e la loro formale allegazione al testo unico, nonchè i criteri di inclusione delle sostanze all?interno delle tabelle medesime; sia anche attraverso la predisposizione delle nuove tabelle e la loro formale allegazione al testo unico (esattamente come era avvenuto con le due tabelle introdotte dalla ?Fini ? Giovanardi?).
La scelta di ricorrere al decreto legge (anziché alla ordinaria procedura amministrativa di revisione ed aggiornamento) anche per ?riscrivere? le quattro tabelle, inserendo al loro interno tutte le sostanze classificate nella tabella I della ?Fini ? Giovanardi?, ben si comprende alla luce di una grave criticità immediatamente emersa dopo l?intervento della Consulta, sulla quale converrà ora soffermare l?attenzione.
Va evidenziato che le quattro tabelle vigenti prima della legge ?Fini ? Giovanardi?, e tornate in vigore dopo la sentenza n. 32, contenevano ovviamente sia le sostanze inserite sin dall?entrata in vigore del testo unico, sia quelle che erano state man mano incluse attraverso i procedimenti di revisione ed aggiornamento di cui agli artt. 2 e 13 del testo unico, adottati fino al 27 febbraio 2006 (data di entrata in vigore delle norme poi dichiarate incostituzionali). Altrettanto ovviamente, le tabelle in questione non contenevano (né avrebbero potuto contenere) le numerosissime sostanze che, dopo l?entrata in vigore della legge ?Fini Giovanardi?, erano state inserite nella tabella I in forza dei ventidue provvedimenti di aggiornamento adottati fino al 5 marzo 2014, data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.
Tutto ciò spiega la necessità ?di ripristinare l?inclusione, tra le sostanze sottoposte al controllo del Ministero della salute, con il connesso regime giuridico, di circa 500 sostanze tabellarmente classificate a decorrere dal 27 febbraio 2006?le quali sono state coinvolte dalla caducazione operata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014. Realizzare il predetto ripristino con atti amministrativi, e non già con un provvedimento d?urgenza avente forza di legge, richiederebbe, infatti, tempi incompatibili con la necessità di assicurare la tutela della salute, in considerazione del fatto che molte di tali sostanze sono di estrema pericolosità? (pag. 4 della già citata Relazione di accompagnamento).
La questione presenta, evidentemente, delicate implicazioni in ordine alla rilevanza penale delle condotte, poste in essere prima dell?entrata in vigore del decreto legge, aventi ad oggetto le 500 sostanze in questione: essendo pacifico, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, il principio per cui ?non trova applicazione la normativa in materia di stupefacenti ove le condotte abbiano ad oggetto sostanze droganti non incluse nel catalogo di legge, perché la nozione di sostanza stupefacente ha natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione solo le sostanze indicate nelle tabelle allegate al T.U. sugli stupefacenti? (Sez. IV, 14 aprile 2011, n. 27771, cit.; in senso conforme, cfr. tra le altre, Sez. III, 13 gennaio 2011, n. 7974, Ndreu e altri; Sez. IV, 18 aprile 2005, n. 20907, Hassan; Sez. VI, 23 giugno 2003, n. 34072, Hassan Osman).
Al riguardo, deve osservarsi che il venir meno con efficacia ex tunc della tabella I introdotta dalla Fini Giovanardi, allegata al testo unico e successivamente aggiornata attraverso i 22 decreti di cui si è detto, ha indotto una parte della dottrina a concludere che ?la sentenza della Corte ha prodotto, irrimediabilmente, una serie di abolitiones criminis rispetto a tutti i fatti concernenti sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi. Con tutti i conseguenti effetti sui processi in corso, nonché sulle sentenze già passate in giudicato, che andranno revocate in forza ? in questo caso almeno ? di una piana applicazione dell?art. 673 c.p.p.?[7]. In tale prospettiva, l?avvenuto reinserimento delle 500 sostanze nelle quattro tabelle ha assicurato rilevanza penale alle condotte poste in essere dopo l?entrata in vigore del decreto legge, ?ma certo non potrà produrre effetto retroattivo rispetto alle condotte compiute sino al 21 marzo 2014, a ciò ostando il principio costituzionale di irretroattività della legge penale di cui all?art. 25 co. 2 Cost. Decisivo è, infatti, che tali condotte siano state compiute in un?epoca nella quale le sostanze cui si riferivano non erano ancora state validamente inserite nelle tabelle previste dal t.u.: e tanto basta per escluderne in radice la rilevanza penale?[8].
In tale quadro ricostruttivo, nessuna rilevanza poteva attribuirsi al fatto che ? come già ricordato in premessa - l?art. 2 del decreto legge, nell?originaria formulazione, si era proposto di garantire la continuità degli effetti degli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Corte costituzionale (prevedendosi appunto che tali atti, dall?entrata in vigore del decreto legge, ?continuano? a produrre effetti). Si è al contrario sottolineato, alla luce della legge di conversione (la quale non ha inciso sul sistema tabellare come delineato nel decreto legge, ma ha modificato l?art. 2 sostituendo il verbo ?continuano? con ?riprendono?), che proprio l?intervento sull?art. 2 ha avuto la funzione di ?fugare in radice il dubbio che il legislatore intendesse introdurre una disciplina con efficacia retroattiva, volta ad evitare l?effetto di frattura della continuità normativa prodottasi nella rilevanza penale delle sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dalla stessa legge n. 49/2006 ovvero dagli atti amministrativi emanati sulla base della normativa modificata, appunto, nel 2006?[9].
Una prospettiva ermeneutica del tutto diversa[10] muove dall?invito, rivolto al giudice dalla Corte costituzionale, ad individuare ?quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4 bis e 4 vicies ter?[11]. È stata quindi sostenuta, su tali basi di partenza, la possibilità di far salva la classificazione delle ?nuove? sostanze, avvenuta durante la vigenza della legge ?Fini - Giovanardi? attraverso decreti emanati all?esito di un procedimento, quale quello previsto dagli artt. 2 e 13 del testo unico, che risultava ?non modificato sostanzialmente? dalla legge medesima. In altri termini, secondo tale impostazione, i predetti decreti ministeriali di aggiornamento non presupporrebbero necessariamente la vigenza degli artt. 4 bis e 4 vicies ter, nel senso che una parziale modifica del procedimento, come quella introdotta dalla ?Fini ? Giovanardi?, non sembrerebbe idonea a far perdere validità ai decreti stessi, anche in considerazione del fatto che i criteri di classificazione di cui all?art. 14, novellato dall?art. 4 vicies ter, erano sostanzialmente coincidenti con quelli fissati nel testo previgente. Peraltro, in un?ottica di favor rei, si è proposto di ritenere che tali ?nuove? sostanze siano classificabili tra le ?droghe leggere? di cui alle tabelle II e IV, in alternativa alla valutazione ?caso per caso? della tipologia di sostanza, al fine di ricondurla tra le ?droghe leggere? o tra quelle ?pesanti?.
A tale ricostruzione si è peraltro obiettato criticamente[12] di privilegiare ?approcci sostanzialistici? (attraverso la valorizzazione della similarità del procedimento di cui agli artt. 2 e 13, della tendenziale equivalenza dei criteri ex art. 14, ecc.), laddove invece la Consulta ha individuato un criterio orientativo prettamente formale, per l?individuazione delle conseguenze derivanti in concreto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale per il vizio procedurale riscontrato. Anche secondo tale opinione, dalla ?detabellizzazione? delle sostanze di ultima generazione, determinata dalla sentenza della Corte costituzionale, dovrebbe invece conseguire una vera e propria abolitio criminis: ?difficile, infatti, non parlare di presupposizione tra i decreti di completamento ed aggiornamento delle tabelle e le disposizioni caducate, dal momento che, per quanto riguarda i rapporti tra fonte primaria e fonte secondaria, assumerebbe rilievo dirimente la stessa procedura di adozione della normativa ministeriale, che, in quanto dichiarata incostituzionale, porta a ritenerla affetta da invalidità derivata e suscettibile di disapplicazione?[13].
È opportuno infine accennare ad un ulteriore approccio interpretativo[14] che ha ritenuto di escludere la sussistenza, nella specie, di un fenomeno di abolitio criminis, valorizzando la originaria formulazione dell?art. 2 del decreto legge (in cui si prevedeva, come già più volte accennato, che, dall?entrata in vigore del decreto legge, gli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Consulta ?continuano? a produrre effetti).
Secondo tale opinione, l?art. 2 ? per ciò che riguarda i decreti ministeriali che avevano aggiornato la tabella I nel vigore della ?Fini ? Giovanardi?, includendovi le 500 sostanze ?nuove? ? avrebbe derogato ?non al principio di irretroattività e all?assoluto dovere che grava sul giudice penale di applicare le nuove incriminazioni per i fatti commessi dopo l?entrata in vigore della legge?, bensì solo ?al principio della retroattività degli effetti delle sentenze di incostituzionalità di una norma penale per i processi pendenti e finanche oltre il giudicato di condanna (efficacia iperretroattiva sancita dall?art. 30, comma 4, l. n, 87 del 1953?. La questione che dovrebbe porsi, in tale prospettiva, sarebbe quindi quella dell?ammissibilità di una ?eccezione legislativa? al principio della retroattività degli effetti pro reo di una declaratoria di illegittimità costituzionale, qualora si renda necessario operare un bilanciamento con altri principi e valori di rango costituzionale.
Ad avviso del predetto Autore, la risposta dovrebbe essere positiva, nonostante i riferimenti costituzionali della retroattività della lex mitior non siano oggi più limitati ai soli principi ?interni? (eguaglianza, ragionevolezza delle scelte legislative, proporzione tra disvalore della condotta e sanzione), essendosi aggiunto, dopo la nota sentenza Scoppola c. Italia della Corte di Strasburgo, anche l?art. 7 CEDU in relazione all?art. 117 Cost. Infatti, nonostante tale nuovo inquadramento ?convenzionale?, il principio di retroattività della lex mitior non avrebbe comunque assunto le connotazioni assolute e inderogabili proprie del principio di irretroattività della legge sfavorevole: residuerebbe pertanto uno spazio per il legislatore per limitare o derogare alla retroattività della lex mitior, laddove ? come nella specie - si renda necessario un bilanciamento ragionevole di interessi di rilevanza costituzionale in collisione.
Al riguardo, è necessario peraltro sottolineare che le linee interpretative fin qui riassunte postulavano una ?continuità di effetti? sancita, per gli atti amministrativi adottati nella vigenza della ?Fini - Giovanardi, dall?originario art. 2, coma primo, del decreto legge in esame (?A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto continuano a produrre effetti gli atti amministrativi adottati??). Peraltro, si è già più volte accennato al fatto che, in sede di conversione, la parola ?continuano? è stata sostituta da ?riprendono?: espressione che ?evidenzierebbe che quegli atti amministrativi ? fra i quali sono inclusi i decreti ministeriali che, a partire dal 2006, hanno provveduto all?inclusione nelle tabelle delle nuove sostanze stupefacenti ? hanno cessato di produrre i loro effetti e, proprio per questo, si prevede che <<riprendono>> a produrli. Ciò peraltro, in assenza di una disposizione espressa in senso diverso, non potrebbe valere che per l?avvenire?[15].
Sul piano applicativo, è opportuno segnalare che la tesi dell?abolitio criminis è stata sostenuta dal Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio nella richiesta di revoca formulata in data 7 aprile 2014, ai sensi dell?art. 673 cod. proc. pen., in relazione ad una sentenza di patteggiamento emessa per il delitto di illecita importazione di Catha Edulis essiccata[16]. Nella richiesta, il P.M. ha anzitutto evidenziato che la predetta sostanza è stata inserita nella tabella I, allegata al testo unico sugli stupefacenti, attraverso la legge n. 49 del 2006, di conversione del d.l. n. 272 del 2005, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 32 del 2014 (precisandosi che l?inserimento era avvenuto proprio con la legge di conversione, e non con un successivo decreto ministeriale). Il P.M. ha quindi richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione ? citata anche nelle pagine precedenti (cfr. supra) ? sul carattere ?legale? della nozione di sostanza stupefacente, riportando la massima di Sez. VI, n. 34072 del 2003, cit., che proprio in relazione alla pianta di ?Catha Edulis? aveva escluso la rilevanza penale della condotta, non essendo la pianta inserita in alcuna tabella e risultando irrilevante la possibilità di estrarre, da essa, un principio attivo che risultava inserito in tabella. Nel sollecitare la revoca della sentenza, il P.M. ha infine evidenziato l?irrilevanza, ai fini del decidere, del fatto che la Catha Edulis fosse stata oggi reinserita nella tabella I dal sopravvenuto decreto legge n. 36.
Si è fatto più volte cenno, nelle pagine precedenti, alla nozione ?legale? di stupefacente, più volte richiamata dall?elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione.
Al riguardo, si ritiene di dover richiamare l?attenzione, conclusivamente, sulle vicende interpretative concernenti una particolare sostanza (6-monoacetilmorfina ? 6MAM), che era stata inserita nella tabella I, allegata al testo unico dalla ?Fini ? Giovanardi?, solo con un decreto ministeriale dell?11-6-2012, e che il decreto legge n. 36 ha oggi riclassificato inserendola nella nuova tabella I, nell?ambito del sistema nuovamente imperniato sulla distinzione tra ?droghe leggere? e ?droghe pesanti?.
Anche prima dell?emanazione del citato decreto dell?11-6-2012, e quindi prima del formale inserimento in tabella della 6MAM, l?orientamento maggioritario della Suprema corte ha ritenuto punibili le condotte aventi ad oggetto la sostanza in questione.
Viene in rilievo, in particolare, Sez. VI, 1 aprile 2011, n. 14431, Qotbi, la quale, pur tenendo ferma l?adesione alla nozione ?legale? di stupefacente nel senso sopra precisato, ha ritenuto ?altrettanto indubbio che, ai fini dell'inquadramento di una determinata sostanza dotata di effetti stupefacenti o psicotropi in una delle specie elencate nelle tabelle del testo unico, debba aversi riguardo alla effettiva nozione della sostanza "tabellata", nel rispetto dei generali criteri di catalogazione dettati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 14?. Nella specie, dopo aver richiamato il contenuto dell?art. 14, comma 1, lett. a) del testo unico, la Sesta Sezione ha evidenziato, ?a fronte dell'indicato ampio "criterio" di composizione della tabella 1, che la 6MAM - alla luce dell'esposto processo farmacocinetico della morfina - è suscettibile di rientrare a pieno titolo, in quanto sostanza oggettivamente "derivata" e derivante dall'oppio e dal suo alcaloide morfina, in ognuna delle quattro sottoripartizioni della categoria degli oppiacei?. In tale prospettiva, si è ulteriormente osservato che, nonostante all?epoca la 6MAM non fosse formalmente inserita nella tabella I, ?nondimeno ciò non significa che la monoacetilmorfina possa davvero valutarsi estranea alle categorie di sostanze stupefacenti "tabellate". È agevole osservare che, nei limiti di una classificazione tabellare pur ampia, non sarebbe (stato) possibile includere in tabella tutti i possibili ed innumerevoli derivati, per sintesi chimica o naturale ovvero integranti passaggi "intermedi" del processo di trasformazione, delle sostanze tabellate?. Per altro verso, la Sesta sezione ha sostenuto che, da un punto di vista scientifico, la 6MAM rientrava a pieno titolo nell?indice di classificazione tipologica contenuto in calce alla tabella[17]. In buona sostanza, la ?inequivoca derivazione della 6MAM dalla morfina (e, quindi, in origine dall'oppio) inscrive detta sostanza nell'area di rilevanza e specificità della sua peculiare natura stupefacente trasposta nella tabella 1 allegata al testo unico delle leggi sugli stupefacenti. Di tal che la riconosciuta natura stupefacente della 6MAM non elude il principio di tassatività della fattispecie incriminatrice (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73) e lascia impregiudicato il criterio di selettività tabellare, quale mezzo di riconoscimento della natura legale delle sostanze stupefacenti?. A tale indirizzo hanno aderito Sez. III, 11 ottobre 2011, n. 46197, Buggiani; Sez. III, 9 maggio 2012, n. 19646, Bergamo. In senso contrario si è invece espressa Sez. III, 13 gennaio 2011, n. 7974, secondo la quale ? proprio per la natura legale della nozione di stupefacente ? risultava decisivo il mancato inserimento della 6MAM nella tabella I.
Si è ritenuto di riportare diffusamente l?elaborazione giurisprudenziale sulla 6MAM per la possibile rilevanza, sulla problematica oggi in esame, dei percorsi interpretativi sviluppati dall?orientamento maggioritario, per il quale ? nel vigore della legge ?Fini ? Giovanardi? - le particolari caratteristiche di tale specifica sostanza consentivano di ritenerla punibile, ai sensi dell?art. 73, indipendentemente dal suo formale inserimento nella tabella I[18]: è peraltro evidente che tali linee argomentative dovranno inevitabilmente ?fare i conti?, soprattutto alla luce dell?inclusione nel 2012 della 6MAM nella predetta tabella I, con la già ricordata, perentoria affermazione della Corte costituzionale secondo cui ?deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l?art. 73 del d.P.R. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate?.
2. Le modifiche del regime sanzionatorio per le condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità.
Come già accennato in premessa, la legge di conversione ha introdotto (inserendo nell?art. 1 del decreto i commi 24-ter e 24-quater) alcune importanti modifiche agli articoli 73 e 75 del testo unico, ed è quindi intervenuta sul sistema di sanzioni penali ed amministrative ivi delineato: sistema che il decreto legge aveva invece ritenuto di lasciare immutato (la Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione chiarisce esplicitamente i termini della scelta governativa: ?Sembra comunque opportuno sottolineare che il provvedimento, essendo finalizzato a ripristinare esclusivamente le norme che, a seguito della caducazione operata dalla citata sentenza della Corte costituzionale, hanno determinato le emergenze di ordine sanitario illustrate, non incide, invece, su quelle relative all?apparato sanzionatorio, di cui agli articoli 73, 79 e 82 del testo unico, che pertanto resta quello risultante a seguito della richiamata sentenza della Corte costituzionale?).
In realtà, una finalità ?ripristinatoria? dell?assetto normativo anteriore alla sentenza n. 32, e quindi una chiara relazione funzionale con le disposizioni del decreto legge, può agevolmente rinvenirsi, da un lato, nella reintroduzione, nell?art. 73 del testo unico, del comma 5 bis (introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi? e perciò travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale), relativo all?applicabilità, in caso di condanna per fatto lieve, del lavoro di pubblica utilità in luogo delle pene detentive e pecuniarie, in presenza di determinati presupposti (su cui cfr. infra, § 2.2); dall?altro, nella reintroduzione all?interno dell?art. 75 della rilevanza, per la sola applicazione di sanzioni amministrative, delle condotte connotate dalla finalità di uso personale dello stupefacente (condotte che, prima dell?intervento della Corte costituzionale, venivano individuate dall?art. 75 mediante un rinvio all?art. 73, comma 1 bis, e quindi ad una delle norme caducate, perchè introdotte dall?art. 4 bis della ?Fini ? Giovanardi?. Su tutto ciò cfr. infra, § 3).
La legge di conversione è peraltro intervenuta anche sulle sanzioni detentive e pecuniarie previste, per le condotte illecite di lieve entità, dal comma 5 dell?art. 73 (norma non ?toccata? dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, come esplicitamente chiarito, in motivazione, dalla stessa sentenza n. 32 della Consulta). Su tale intervento, è opportuno soffermare ora l?attenzione.
2.1. ? La mitigazione della risposta sanzionatoria per i fatti di lieve entità. Com?è noto, il comma 5 dell?art. 73 era già stato modificato dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella l. 21 febbraio 2014, n. 10, nel modo che segue: ?Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell?azione ovvero per la quantità o qualità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 3.000 ad euro 26.000?.
Sulle conseguenze sistematiche di tale novella, e sui rapporti tra la nuova disposizione e la quasi coeva sentenza n. 32 della Corte costituzionale (anche per ciò che riguarda i problemi di diritto intertemporale e l?individuazione della normativa applicabile), numerose sono state le prese di posizione in dottrina ed in giurisprudenza, che non possono essere ovviamente riportate in questa sede[19]. Basti qui richiamare i principi fissati in una recente pronuncia della Corte di cassazione (Sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 13903, Spampinato)[20], all?esito di ampi ed articolati percorsi argomentativi:
- l?art. 73 comma 5, come modificato dal d.l. n. 146 del 2013 (convertito in legge dalla l. n. 10 del 2014), configura una fattispecie autonoma di reato, e non più una circostanza attenuante ad effetto speciale: risultando inequivocabili, in tal senso, una serie di indici testuali e la chiara volontà del legislatore storico (in senso conforme, v. anche Sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514, Verderamo; Sez. VI, 16 gennaio 2014,n. 5143, Skiri);
- tale norma deve ritenersi tuttora vigente, anche dopo la sentenza n. 32 della Corte costituzionale, sia perché la declaratoria di incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter non ha avuto alcuna incidenza sul novellato art. 73, comma 5, che non rinvia alle disposizioni caducate né presuppone la loro vigenza; sia perché il rinvio ai ?fatti previsti dal presente articolo?, contenuto nel comma 5 dell?art. 73, va inteso come rinvio ?formale-dinamico? o ?mobile?, che pertanto ?si presta a fungere da elemento di raccordo con qualsiasi contenuto venga ad assumere l?articolo 73?[21].
- la disarmonia ravvisabile nel permanere di una indistinta risposta sanzionatoria per i fatti di lieve entità, indipendentemente dal tipo di sostanza trattata (laddove invece, per i fatti non lievi, la decisione della Consulta ha determinato il ripristino di un?assai marcata distinzione del trattamento sanzionatorio, a seconda che i fatti stessi abbiano ad oggetto ?droghe pesanti? ovvero ?droghe leggere?), connota un quadro complessivo che ?non appare minato da un?irragionevolezza di tale irriducibilità da prospettare un presumibile conflitto? con l?art. 3 Cost.[22];
- sul piano intertemporale, il problema dell?individuazione della legge più favorevole va risolto, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza[23], privilegiando la disposizione in concreto complessivamente più favorevole (e non attraverso una combinazione di parti di disposizioni diverse), e distinguendo:
o i fatti commessi prima dell?entrata in vigore della ?Fini ? Giovanardi?, da giudicare scegliendo la legge più favorevole tra quella in vigore al momento del fatto (ovvero tra l?originario comma 5 dell?art. 73, circostanza attenuante ad effetto speciale articolata in distinte previsioni sanzionatorie a seconda della tipologia ?pesante? o ?leggera? della sostanza trattata) ed il reato autonomo introdotto dal d.l. 146 del 2013: senza alcuna possibilità di fare applicazione ? anche se in ipotesi più favorevole ? della lex intermedia dichiarata incostituzionale, dal momento che ?il principio di retroattività della norma penale più favorevole in tanto è destinato a trovare applicazione, in quanto la norma sopravvenuta sia, di per sé, costituzionalmente legittima? (Corte cost., sent. n. 394 del 23 novembre 2006);
o i fatti commessi durante la vigenza della ?Fini ? Giovanardi?, in relazione ai quali dovrà invece tenersi conto, nell?individuazione della legge più favorevole, anche delle norme dichiarate incostituzionali, ?per il valore assoluto del principio di irretroattività della norma meno favorevole?[24].
E? in tale contesto che si colloca l?ulteriore modifica, apportata all?art. 73 comma 5 del testo unico, dalla legge n. 79[25]: modifica consistita esclusivamente nella mitigazione della risposta sanzionatoria (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da euro 1.032 a euro 10.329, in luogo della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000), senza alcun intervento volto a ripristinare la distinzione tra ?droghe leggere? e ?droghe pesanti?, che ? come già più volte accennato - è ormai tornata in vigore per i fatti non lievi e che, nell?originaria formulazione dell?art. 73 del testo unico, connotava anche il trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità.
La scelta di lasciare immutata tale ?dissonanza? del comma 5 rispetto ai commi precedenti, e dunque di continuare ad approntare un solo trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità, indipendentemente dalla tipologia di sostanza trattata, può apparire sorprendente, ove si consideri che la stessa legge di conversione, intervenendo sulle sanzioni amministrative di cui all?art. 75, ha introdotto proprio un?inedita distinzione tra le condotte finalizzate all?uso personale aventi ad oggetto ?droghe pesanti? (per le quali le sanzioni amministrative sono irrogabili per un periodo da due mesi a un anno), e quelle aventi ad oggetto ?droghe leggere? (sanzioni irrogabili per un periodo da uno a tre mesi). Tale rilievo sistematico ha indotto la dottrina a tener fermi i dubbi di costituzionalità dell?art. 73 comma 5 per difetto di ragionevolezza[26], dubbi peraltro già respinti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. supra).
Va peraltro evidenziato che, nell?attuale versione del quinto comma dell?art. 73, le pene detentive previste per tutti i fatti di lieve entità coincidono con quelle già stabilite, nella formulazione originaria, per i fatti lievi concernenti le ?droghe leggere? (per quelli aventi ad oggetto ?droghe pesanti?, si prevedeva all?epoca la reclusione da uno a sei anni). Tale mitigazione della risposta sanzionatoria dovrebbe indurre a ritenere senz?altro superati gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale che, dopo la sentenza n. 32 della Consulta, erano stati prospettati dalla dottrina[27] raffrontando le cornici edittali ?quasi sovrapponibili? previste per l?ipotesi base (da due a sei anni di reclusione: art. 73, comma 4, nel testo tornato in vigore) e per il fatto lieve (da uno a cinque anni di reclusione: art. 73 comma 5, nel testo introdotto dal d.l. n. 146 del 2013). Infatti, l?ulteriore novella ha in buona sostanza ripristinato, per le ?droghe leggere?, la ?distanza edittale? stabilita negli originari commi 4 e 5 dell?art. 73 del testo unico.
2.1.1. ? Segue: i problemi di diritto intertemporale. L?attenuazione della risposta sanzionatoria per tutti i fatti di lieve entità comporta, per un verso, importantissime implicazioni processuali che verranno esaminate nel paragrafo successivo (cfr. infra, § 2.1.2); per altro verso, deve osservarsi che la novella sembra aver considerevolmente semplificato il problema dell?individuazione della legge più favorevole.
Al riguardo, ed in linea con quanto evidenziato da un recente contributo dottrinale[28], si ritiene di poter distinguere:
- i processi pendenti per fatti commessi nella vigenza del d.l. n. 146 del 2013 (ovvero dal 24 dicembre 2013 al 20 maggio 2014), rispetto ai quali dovrà applicarsi, ai sensi dell?art. 2, comma quarto, cod. pen., il testo dell?art. 73 comma 5 introdotto dalla legge n. 79, trattandosi di legge più favorevole sopravvenuta;
- i processi pendenti per fatti commessi prima dell?entrata in vigore del d.l. n. 146 del 2013, per i quali va ricordato che la declaratoria di incostituzionalità del comma 5 introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi? ha riportato in vita la previgente disposizione circostanziale contenuta nell?originario comma 5 dell?art. 73 - mai validamente abrogata fino al d.l. n. 146 del 2013 - che distingueva, come poc?anzi ricordato, tra fatti lievi aventi ad oggetto ?droghe pesanti? (reclusione da uno a sei anni) e ?droghe leggere? (reclusione da sei mesi a quattro anni). Il raffronto tra tali disposizioni ed il testo oggi in vigore, finalizzato ad individuare la lex mitior ai sensi dell?art. 2 cod. pen., consente di ritenere che, per le ?droghe pesanti?, l?attuale formulazione sia senz?altro più favorevole; per le ?droghe leggere?, occorrerà verificare se, nella fattispecie concreta, sia per l?imputato più vantaggioso aver riguardo alla natura circostanziale del comma 5 nell?originaria formulazione, ovvero a quella di reato autonomo nel testo oggi in vigore. In particolare, in presenza di circostanze aggravanti, la legge più favorevole dovrebbe essere l?attuale, dato che la pena base verrebbe sempre determinata sulla cornice edittale del comma 5, e non del comma 4 (come avverrebbe ritenendo le aggravanti equivalenti o prevalenti sul fatto lieve considerato come circostanza); qualora però risulti possibile formulare un giudizio di prevalenza della lieve entità del fatto sulle aggravanti, ?la classificazione del quinto comma come circostanza attenuante, secondo la vecchia disciplina, risulterebbe in concreto più favorevole, consentendo al giudice di irrogare soltanto la pena base determinata ai sensi del quinto comma, senza applicare alcun aumento per le pur ritenute aggravanti?[29]. Nell?individuazione della legge più favorevole, nessuno spazio applicativo dovrebbe in concreto residuare per l?art. 73 comma 5 nel testo introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi? e travolto dalla sentenza della Consulta (spazio in astratto ipotizzabile solo per i fatti commessi nella vigenza di tale disposizione: cfr. supra, § 2.1.). Infatti, la versione dichiarata incostituzionale risulta essere la meno favorevole tra tutte quelle succedutesi nel tempo, mentre, prima dell?entrata in vigore della legge n. 79, la dottrina aveva enucleato uno spazio applicativo per l?art. 73 comma 5 nella versione ?Fini ? Giovanardi?, quale lex mitior, in relazione alla possibilità di applicare, in tutte le ipotesi di fatto lieve, la ?radicale alternativa al carcere? costituita dal lavoro di pubblica utilità di cui all?art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000, secondo quanto previsto dal comma 5 bis dell?art. 73, anch?esso introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi? e perciò venuto meno dopo la sentenza della Corte costituzionale. Anche tale ipotesi applicativa, peraltro, appare oggi impraticabile, dal momento che la legge n. 79 ha non solo mitigato le pene detentive e pecuniarie previste al comma 5, ma ha anche reintrodotto l?art. 5 bis in termini pressoché identici a quelli previgenti (cfr. infra, § 2.2): il vigente art. 73 può quindi essere considerato lex mitior, per i fatti pregressi, anche sotto questo specifico aspetto;
- i fatti già giudicati con sentenza irrevocabile (ad es. riconoscimento dell?attenuante del fatto lieve, nel testo introdotto dalla ?Fini ? Giovanardi?, per fatti relativi a ?droghe leggere?), per i quali viene in rilievo la questione ? oggetto di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale di assoluta e stringente attualità[30], su cui è evidentemente impossibile soffermarsi in questa sede ? relativa alla possibilità di superare la preclusione del giudicato non solo nelle ipotesi codificate di abolitio criminis e di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (artt. 673 cod. proc. pen. e 30 l. n. 87 del 1953), ma anche in quelle in cui vengano dichiarate incostituzionali altre disposizioni comunque incidenti sul trattamento sanzionatorio. Quel che occorre qui sottolineare è che tale ultima tesi sembra aver ricevuto un decisivo avallo da due recentissime sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione: si allude, da un lato, alla pronuncia secondo cui il giudice dell?esecuzione può sostituire, con la pena di anni trenta di reclusione, la pena dell?ergastolo inflitta all?esito di giudizio abbreviato con sentenza divenuta irrevocabile prima che la norma più rigorosa, subentrata a quella vigente al momento della scelta del rito, venisse dichiarata incostituzionale (Sez. U, 24 ottobre 2013 ? dep. 7 maggio 2014, n. 18821, Ercolano, secondo cui il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale prevista da una norma dichiarata incostituzionale è principio di rango sovraordinato rispetto agli interessi sottesi all?intangibilità del giudicato)[31]. D?altro lato, viene in rilievo una ulteriore decisione strettamente connessa alla materia qui in esame, dato che il Supremo consesso è stato chiamato a risolvere la questione relativa alla possibilità di rideterminare la pena in executivis, vincendo la preclusione del giudicato, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di norme diverse da quella incriminatrice, ma comunque incidenti sul trattamento sanzionatorio (nella specie, si trattava dell?art. 69, comma quarto, cod. pen. nella parte in cui vietava di valutare prevalente proprio la circostanza attenuante di cui all?art. 73, comma 5 del testo unico sulla recidiva di cui all?art. 99, comma quarto, cod. pen.). Dall?informazione provvisoria resa nota all?esito dell?udienza del 29 maggio 2014 (proc. P.M. c. Gatto), emerge che le Sezioni unite hanno risolto il quesito in senso affermativo, ?con la precisazione che nella specie il giudice della esecuzione, ferme le vincolanti valutazioni di merito espresse dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, ove ritenga prevalente sulla recidiva la circostanza attenuante di cui all?art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, ai fini della rideterminazione della pena dovrà tenere conto del testo di tale disposizione come ripristinato a seguito della sentenza Corte cost. n. 32 del 2014, senza tenere conto di successive modifiche legislative?. In attesa del deposito delle motivazioni, sembra potersi affermare che, nell?ottica ermeneutica fatta propria dalle Sezioni unite, si era già evidenziato che l?eventuale rideterminazione delle pene inflitte con sentenza irrevocabile, in applicazione dell?art. 73 comma 5 nella versione ?Fini ? Giovanardi?, non sarebbe comunque potuta avvenire con riferimento all?attuale versione della norma, ?stante lo sbarramento opposto dall?art. 2 co 4 c.p. all?applicazione della lex mitior posteriore più favorevole. L?eventuale via libera delle Sezioni Unite concernerà dunque, unicamente, la possibilità di sostituire la pena concretamente irrigata con quella che sarebbe risultata dall?applicazione del quinto comma nella versione originaria?[32].
2.1.2. ? Segue: le implicazioni di natura processuale. Dalla rimodulazione della risposta sanzionatoria, ed in particolare dalla riduzione della pena edittale massima da cinque a quattro anni, derivano una serie di importanti conseguenze[33].
Anzitutto, sul fronte cautelare, deve ritenersi ormai preclusa l?applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, per difetto delle condizioni di cui all?art. 280 cod. proc. pen. (nel testo modificato dal d.l. n. 78 del 2013 convertito dalla legge n. 94 del 2013)[34]. Rimane tuttora la possibilità di procedere ad arresto facoltativo in flagranza, ricorrendone i presupposti: anche in questo caso, peraltro, non potrà applicarsi una misura più gravosa degli arresti domiciliari, dal momento che l?art. 391, comma quinto, cod. proc. pen. consente di derogare agli ordinari limiti edittali qualora l?arresto sia stato disposto per uno dei delitti elencati nel comma secondo dell?art. 381, o per uno dei delitti per i quali l?arresto è consentito anche fuori dai casi di flagranza.
Per ciò che riguarda le misure in corso, la Corte di cassazione ha affermato il principio dell?immediata rilevanza dello ius superveniens concernente l?innalzamento a cinque anni del massimo edittale necessario per l?applicazione della misura inframuraria (Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 48462, Staffetta): richiamandosi a tale decisione della Suprema corte, il Tribunale di Roma Sez. VIII, con una recentissima ordinanza (dep. 26 maggio 2014), ha revocato, ai sensi dell?art. 299 cod. proc. pen., la misura custodiale in carcere che era stata applicata all?imputato, prima dell?entrata in vigore della legge n. 79, all?esito dell?udienza di convalida dell?arresto per il reato di cui all?art. 73, comma 5, del testo unico (a tale ultimo proposito, il Tribunale ha rilevato che il mancato inserimento del delitto in questione nell?elenco di cui all?art. 381, comma secondo, cod. proc. pen., rendeva impossibile il mantenimento della misura più gravosa richiamando l?art. 391, comma quinto, del codice di rito: cfr. supra).
Quanto invece alla misura degli arresti domiciliari, tuttora applicabile anche ai fatti di lieve entità, troveranno ovviamente applicazione le regole ordinarie anche quanto ai termini di durata massima della misura, previste dagli artt. 303 segg. cod. proc. pen.. A tale ultimo proposito, non sembra che dalle modifiche normative, che hanno preceduto e seguito la sentenza n. 32 della Consulta, derivino conseguenze particolari sulle modalità di calcolo dei termini di fase per i fatti di lieve entità (è noto infatti che, per le prime due fasi individuate dall?art. 303, la prima ?soglia? edittale minima, cui corrisponde il termine di fase più breve, fa riferimento ai delitti puniti con la reclusione non superiore ai sei anni: ovvero alla pena massima prevista, per il fatto lieve, dalla ?Fini ? Giovanardi?).
È peraltro opportuno qui accennare al fatto che, ovviamente, ben diverso è il discorso per ciò che riguarda il calcolo dei termini di durata massima delle misure detentive (custodia in carcere ed arresti domiciliari) nelle fattispecie non lievi concernenti le droghe leggere, dato che la reviviscenza con effetti ex tunc della precedente disciplina ha determinato, in questo caso, il ritorno ad un massimo edittale di sei anni, in luogo dei venti anni fissati dalla ?Fini Giovanardi?: la questione è stata oggetto di una recentissima di rimessione alle Sezioni unite della Corte di cassazione, chiamate a pronunciarsi sul quesito ?se la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 25 febbraio 2014 produca i suoi effetti, incidenti sul calcolo dei termini di fase di durata della misura cautelare, <<ora per allora>> sui rapporti processuali cautelari per i quali la fase cui si riferisce il termine ridotto per effetto di tale declaratoria si sia esaurita prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale? (Sez. IV, ord. 28 maggio 2014, n. 22351, Pinna).
Tornando ad esaminare le implicazioni processuali derivanti dalla riduzione della pena prevista per i fatti di lieve entità, occorre ulteriormente osservare, per ciò che riguarda le modalità di esercizio dell?azione penale, che, se è vero che nei confronti di un arrestato per fatto lieve può tuttora ? in caso di convalida - procedersi con rito direttissimo, è anche vero che la diminuzione della pena massima edittale comporta, al di fuori della predetta ipotesi, il procedimento con citazione diretta a giudizio, ai sensi degli artt. 550 e segg. del codice di rito.
La riduzione a quattro anni della pena edittale massima determina, inoltre, la possibilità per l?imputato di richiedere la sospensione del processo con messa alla prova, ai sensi dell?art. 168-bis cod. pen. (introdotto dalla l. 28 aprile 2014, n. 67), con la prospettiva dell?estinzione del reato a lui ascritto, in caso di esito positivo della prova stessa[35].
Per altro verso, se è vero che il beneficio in questione non può essere concesso più di una volta (art. 168-bis cit.), è anche vero che ? ai sensi del comma 5 bis dell?art. 73 del testo unico, travolto dalla declaratoria di incostituzionalità e reintrodotto dalla legge n. 79 (cfr. infra, § 2.2) - qualora il fatto di lieve entità sia stato commesso da imputato tossicodipendente o assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, quest?ultimo ha la possibilità di richiedere al giudice l?applicazione, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, e sempre che non sia concedibile la sospensione condizionale della pena, del lavoro di pubblica utilità di cui all?art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000 (l?ultima parte dell?art. 75 bis precisa, peraltro, che detta sostituzione non può avvenire per più di due volte).
Per ciò che riguarda le problematiche esecutive, si è rilevato in dottrina[36] che la ?radicale inapplicabilità? della custodia in carcere ai fatti di lieve entità renderà assai più facile, per il condannato, la richiesta di sospensione dell?esecuzione ai sensi dell?art. 656, comma quinto, cod. proc. pen. (con la conseguente facoltà, com?è noto, di richiedere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione, di cui agli artt. 47 segg. ord. pen.): infatti, viene radicalmente meno la causa ostativa ? assai spesso ricorrente in passato ? costituita dal trovarsi in custodia cautelare in carcere al momento del passaggio in giudicato della sentenza (art. 656, comma nono, lett. b, cod. proc. pen.). E? vero che, per richiedere la sospensione ai sensi dell?art. 656, è necessario che la pena detentiva non superi i tre anni di reclusione: altrettanto vero è, peraltro, che il superamento di tale soglia appare oggi estremamente difficile, avuto riguardo alla cornice edittale ridisegnata dalla novella (fermo restando che, per i condannati tossicodipendenti che si siano sottoposti con esito positivo ad un programma terapeutico e socio riabilitativo, o che abbiano in corso un programma di recupero o ad esso intendano sottoporsi, il limite di pena da eseguire è individuato dallo stesso art. 656 in sei anni, per accedere, rispettivamente, alla sospensione o all?affidamento in prova ?speciali? di cui agli artt. 90 e 94 del testo unico).
A tutto ciò occorre poi aggiungere che il d.l. 146 del 2013, convertito dalla l. n. 10 del 2014, ha introdotto nell?art. 47 ord. pen. un nuovo comma 3-bis, ai sensi del quale l?affidamento in prova può essere concesso pure ?al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione? (in luogo dei tre finora previsti), a condizione che, il condannato abbia tenuto, quanto meno nell?anno precedente alla richiesta, un comportamento valutabile positivamente in chiave prognostica. In buona sostanza, anche nell?ipotesi in cui il condannato non possa beneficiare della sospensione dell?esecuzione per la presenza di una delle altre cause ostative previste nei commi settimo e nono dell?art. 656, egli potrà richiedere l?affidamento in prova in relazione ad una pena da eseguire corrispondente al massimo edittale oggi previsto per i fatti di lieve entità.
2.1.3. Segue. Considerazioni di sintesi: la ricerca di parametri oggettivi per definire il fatto lieve ?per la qualità e quantità delle sostanze?. Alla luce delle considerazioni che precedono, ben si comprende la posizione dottrinale secondo cui è ?univoco, insomma, il messaggio del legislatore al giudice: chi abbia commesso un fatto di lieve entità in materia di stupefacenti non deve finire in carcere, salvo casi davvero eccezionali?[37]. E? in ogni caso indiscutibile, al di là di tale perentoria affermazione, che le disposizioni introdotte con la novella qui in esame concorrono a delineare uno ?statuto del fatto lieve? permeato dal chiaro intento di evitare ? sin dalla fase delle indagini, e fino al momento dell?esecuzione della pena - l?ingresso e la permanenza nel circuito carcerario di chi si renda responsabile di un delitto in tema di stupefacenti catalogabile, appunto, come di lieve entità.
Tali rilievi, uniti alla constatazione dell?enorme divario oggi esistente nella risposta sanzionatoria in tema di ?droghe pesanti? (per le quali il primo comma del?art. 73 prevede un minimo edittale 16 volte superiore a quello oggi vigente per il fatto lieve), inducono ad una riflessione sull?opportunità di ricercare ed individuare in via interpretativa, data l?assenza di indicazioni da parte del legislatore, i parametri attraverso cui poter ricostruire, in termini di ragionevole prevedibilità, il perimetro delle condotte che, per la qualità e quantità delle sostanze trattate, sia possibile qualificare come ?lievi? (essendo evidente che, per gli ulteriori elementi indicati dall?art. 73 comma 5 ? i mezzi, le modalità, le circostanze dell?azione ? appare invece ineliminabile una valutazione ancorata alle specifiche circostanze del caso concreto).
Occorre ricordare che, secondo un consolidato indirizzo della Suprema corte, ?ai fini della concedibilità della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice, quando il quantitativo della droga sia rilevante ma non imponente, deve procedere ad una valutazione globale ed onnicomprensiva di tutti gli elementi indicati dall'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, quali i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione illecita, nonché la qualità e quantità delle sostanze? (Sez. VI, 17 gennaio 2013, n. 9723, Serafino); sicchè la circostanza ?è esclusa nel caso in cui il dato ponderale e qualitativo della sostanza superi una soglia ragionevole di valore economico, non rilevando in senso contrario eventuali circostanze favorevoli all'imputato? (Sez. IV, 27 maggio 2010, n. 31663, Ahmetaj). Di recente, vi è stato un tentativo di conferire oggettività e concretezza alle locuzioni sopra riportate in neretto: si è affermato, in particolare, che l?attenuante ?è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonchè di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore - tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a "decine". Non mancano peraltro decisioni, altrettanto recenti, che ritengono ipotizzabile il fatto lieve anche in presenza di quantità ben più significative (cfr. ad es. Sez. VI, n. 9723 del 2013, cit., relativa ad un quantitativo di marijuana corrispondente a 200 dosi)[38].
La necessità di individuare criteri affidabili nella distinzione tra ipotesi base e fatto lieve non costituisce di certo un?esigenza nata con le riforme che hanno preceduto e seguito la sentenza n. 32 della Consulta: basti pensare alle differenze in tema di arresto in flagranza (obbligatorio in un caso, facoltativo nell?altro: cfr. art. 380 cod. proc. pen.) e di confisca ex art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992 (consentita in un caso, esclusa nell?altro). Quel che peraltro si intende sottolineare, in questa sede, è che tale esigenza si manifesta oggi in modo ancora più pressante per il reato autonomo di cui al comma 5, soprattutto in tema di ?droghe pesanti?: in altri termini, la ?linea di confine? tra le pesantissime sanzioni tornate in vigore al primo comma dell?art. 73 per il fatto base (con un minimo edittale potenzialmente idoneo ad escludere il condannato da tutti i benefici di cui si è detto), ed il regime normativo sopra descritto per il fatto lieve (divieto di custodia cautelare in carcere, sospensione del processo con messa alla prova, lavoro sostitutivo, sospensione dell?esecuzione della pena, accesso alle misure alternative, ecc.), sembra dover essere tracciata ? quanto meno, si ripete, per l?elemento ?qualità e quantità delle sostanze? - in termini di ragionevole concretezza e prevedibilità, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in ordine al principio di legalità convenzionale di cui all?art. 7 della Corte EDU[39].
Con il precedente accenno alla ?via interpretativa? si alludeva, ovviamente, al percorso giurisprudenziale compiuto in relazione all?aggravante dell?ingente quantità di cui all?art. 80, comma 2, del testo unico, e culminato con la decisione delle Sezioni unite secondo cui l?aggravante ?non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore - soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata?[40]. Anche i commentatori che si sono espressi in termini marcatamente critici su tale approccio interpretativo, volto in definitiva a svolgere ?un compito di <<precisazione>> della fattispecie che sarebbe, semmai, di esclusiva competenza del legislatore?, hanno comunque riconosciuto che ?l?impostazioni delle Sezioni unite è senz?altro apprezzabile quando mira a trovare una regola di giudizio uniforme, che sia in grado di evitare applicazioni irragionevolmente difformi?[41]. Non pare allora del tutto fuori luogo ipotizzare un percorso analogo per la definizione dell?elemento ?qualità e quantità delle sostanze?, che concorre a configurare la fattispecie del fatto di lieve entità (deve tra l?altro ritenersi che il d.m. 11 aprile 2006 abbia ?ripreso? vigore, come gli altri decreti emessi ai sensi del testo unico, in forza dell?art. 2 del d.l. n. 36, come convertito dalla l. n. 79[42]): ferma restando, ovviamente, l?inapplicabilità del comma 5 qualora, avuto riguardo ad uno degli altri elementi della fattispecie (mezzi, modalità e circostanze dell?azione), la condotta complessivamente considerata non possa dirsi ?lieve?.
2.2. ? La reintroduzione del lavoro di pubblica utilità. Si è già più volte fatto cenno, nelle pagine precedenti, ad un importante intervento ?ripristinatorio? posto in essere non dal decreto legge n. 36, ma dalla legge di conversione n. 79: si allude al reinserimento, all?interno dell?art. 73 del testo unico, del comma 5 bis, relativo alla già richiamata possibilità per il giudice, in caso di condanna, di applicare - in luogo della pena detentiva e pecuniaria previste per il fatto lieve ? la sanzione del lavoro di pubblica utilità di cui all?art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000 (recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace). Il previgente comma 5 bis, infatti, era stato introdotto dall?art. 4 bis della legge ?Fini ? Giovanardi?, ed è stato quindi anch?esso travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.
L?intervento in questione è consistito nel reintrodurre la norma caducata in termini pressoché sovrapponibili a quest?ultima, tranne minime differenze stilistiche prive di rilievo. E? dunque tornata in vigore la possibilità ? per i fatti commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope - di beneficiare della sanzione sostitutiva nei termini già delineati dalla ?Fini Giovanardi?: necessità della richiesta dell?imputato e del parere del P.M.; possibilità di fruire del beneficio per non più di due volte; durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata (in deroga ai limiti temporali previsti al riguardo dal secondo comma del citato art. 54); possibilità di prestare il lavoro non solo presso gli enti indicati nell?art. 54, ma anche presso le strutture private autorizzate all?esercizio di attività sanitaria e socio-sanitaria in favore di soggetti tossicodipendenti o alcool dipendenti ai sensi dell?art. 116 del testo unico; possibilità per il giudice, in caso di violazioni degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità, di revocare il beneficio e di ripristinare la pena sostituita, avuto riguardo all?entità ed alle circostanze della violazione; possibilità di ricorrere in cassazione (senza effetto sospensivo) avverso tale ultimo provvedimento.
Il reinserimento del comma 5 bis ha determinato un ulteriore, importante effetto ripristinatorio del sistema di sanzioni in vigore fino alla sentenza n. 32 della Consulta: è infatti tornato applicabile il comma 5 ter dell?art. 73 del testo unico, introdotto dal d.l. n. 78 del 2013 convertito dalla l. n. 94 del 2013, che aveva esteso la possibilità di richiedere l?applicazione (per una sola volta) del lavoro di pubblica utilità anche agli imputati di reato diverso da quello previsto dall?art. 73 comma 5, in presenza di determinati presupposti (commissione del fatto correlata alla condizione di tossicodipendenza o di abituale assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope dell?imputato; pena in concreto non superiore ad un anno di reclusione; esclusione del beneficio qualora l?imputazione concerna un reato contro la persona, ovvero uno di quelli previsti dall?art. 407, comma secondo, lett. a, del codice di rito).
L?espresso rinvio al caducato comma 5 bis, contenuto nella disposizione in esame (non toccata direttamente dalla declaratoria di incostituzionalità), poteva far ritenere che anche il comma 5 ter fosse venuto meno, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, essendo rimasto ?privo del suo oggetto?[43]. Sembra peraltro preferibile l?opinione secondo cui ?la reintroduzione del comma 5 bis torna a riempire di contenuto il rinvio di cui al comma 5 ter, che non è mai stato oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale nè tanto meno di abrogazione, e che ? pertanto ? può considerarsi come ancora vigente?[44].
E? opportuno ricordare, conclusivamente, che i commi 5 bis e 5 ter potranno trovare applicazione, quali norme di favore ai sensi e per gli effetti di cui all?art. 2, quarto comma, cod. pen., anche nei procedimenti per fatti pregressi, non ancora definiti con sentenza irrevocabile.
3. Le modifiche in tema di illeciti amministrativi concernenti i fatti commessi per uso personale. Come già accennato in precedenza (cfr. supra, § 2), la legge di conversione n. 79 ha operato un ulteriore, importantissimo intervento ripristinatorio dell?assetto normativo vigente prima della sentenza n. 32 della Corte costituzionale: si allude alle modifiche apportate sull?art. 75 del testo unico, che ? come risulta anche dalla rubrica - si occupa delle ?condotte integranti illeciti amministrativi?.
Peraltro, l?importanza di tale intervento anche ai fini dell?odierna esposizione, incentrata esclusivamente sulle ricadute penalistiche della novella, ben si comprende considerando che, con la legge di conversione, si è posto rimedio ad un altro grave inconveniente determinato dalla declaratoria di incostituzionalità: la scomparsa di ogni riferimento, all?interno del testo unico, alla finalità di uso personale come causa di non punibilità delle condotte di cui all?art. 73.
È opportuno ricordare, in proposito[45], che l?originaria formulazione dell?art. 75 prevedeva l?irrogabilità di sanzioni amministrative in caso di commissione per ?uso personale? di alcune tra le condotte contemplate dall?art. 73. L?ambito applicativo di quest?ultimo articolo, per altro verso, era confermato dall?iniziale clausola di riserva ivi contenuta: ?Fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76??.
La legge ?Fini ? Giovanardi?, com?è noto, aveva da un lato (art. 4-bis) inserito nell?art. 73 del testo unico il comma 1-bis, il quale prevedeva la punibilità ai sensi del comma 1 delle condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione ed illecita detenzione: a) delle sostanze stupefacenti o psicotrope che ? per il superamento sui limiti massimi indicati con decreto ministeriale, o per le modalità di presentazione (peso lordo, confezionamento frazionato), o per altre circostanze dell?azione ? apparivano ?destinate ad un uso non esclusivamente personale?[46]; b) dei medicinali elencati nell?apposita tabella II, Sezione A, se eccedenti il quantitativo prescritto (con riduzione in questo caso della pena da un terzo alla metà). D?altro lato, con l?art. 4-ter, la legge ?Fini ? Giovanardi? era intervenuta anche sull?art. 75, perimetrando l?area di applicabilità delle sanzioni amministrative senza più alcun esplicito riferimento all?uso personale delle sostanze stupefacenti o psicotrope: si conferiva infatti rilievo alle condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo o di illecita detenzione, compiute ?fuori dalle ipotesi di cui all?art. 73, comma 1 bis? (per i medicinali, invece, l?art. 75 prevedeva la sanzionabilità in via amministrativa delle condotte relative a quelli inseriti nelle sezioni B, C e, in parte, D che componevano l?apposita tabella II, se trattati al di fuori delle ipotesi di uso terapeutico di cui all?art. 72, comma secondo, del testo unico).
La sentenza n. 32 della Corte costituzionale, come già più volte ricordato, ha peraltro espunto dall?ordinamento (altre all?art. 4-vicies ter) l?art. 4-bis della ?Fini ? Giovanardi?, con la conseguente caducazione, tra gli altri, del comma 1-bis dell?art. 73 (e del riferimento all?uso personale ivi contenuto): comma cui peraltro, come si è appena osservato, rinviava l?art. 75, che invece non era stato (almeno direttamente) colpito dalla declaratoria di incostituzionalità, essendo stato modificato dall?art. 4-ter della ?Fini ? Giovanardi?.
In tale situazione, alquanto paradossale, si era ritenuto nella giurisprudenza di merito[47] che la declaratoria di incostituzionalità del comma 1 bis dell?art. 73 avesse comportato la caducazione ?a cascata? anche dell?art. 75, con conseguente espansione della rilevanza penale ex art. 73 anche in relazione alle condotte finalizzate all?uso personale: conclusioni peraltro espressamente respinte in un recente arresto della Corte di cassazione, secondo cui ?non sembra tuttavia potersi ipotizzare che con il ripristinato regime penalistico anteriore alla riforma del 2006 si sia prodotto il paradossale effetto di una attuale sopravvenuta punibilità anche dell'uso personale (consumo non terapeutico) di sostanze stupefacenti, pur già pacificamente esclusa -del resto- dalla giurisprudenza nella vigenza del sistema oggi fatto rivivere dalla Corte Costituzionale?[48]. In dottrina, per sostenere la persistenza del rilievo solo amministrativo delle condotte finalizzate ad uso personale, era stata ipotizzata la reviviscenza dell?originario testo dell?art. 75 (contenente il richiamo alla predetta finalità), come conseguenza della caducazione ?a cascata? della versione introdotta dalla legge ?Fini ? Giovanardi?[49].
Come già accennato, a tale criticità ha inteso rimediare la legge di conversione, inserendo, al comma 1 del decreto legge n. 36, il comma 24 quater.
Va peraltro subito evidenziato che, a differenza di quanto avvenuto per il lavoro di pubblica utilità di cui al comma 5 bis dell?art. 73 (cfr. supra, § 2.2), l?intervento non è questa volta consistito nel reinserimento ?al loro posto? (all?interno cioè dell?art. 73) di disposizioni sovrapponibili a quelle caducate: si è invece preferito introdurre un comma 1 bis nell?art. 75, di contenuto analogo ? ma non certo identico ? al comma 1 bis dell?art. 73 espunto dall?ordinamento dopo la sentenza n. 32[50].
Nei primi commenti dottrinali, è stato evidenziato un duplice ordine di rilievi in ordine a tale nuova disposizione. Da un lato, si è osservato che i parametri per l?apprezzamento della finalità di uso personale (superamento dei limiti tabellari e modalità di presentazione delle sostanze) sono evocati non più in termini di alternatività, come nel caducato comma 1-bis dell?art. 73 (in cui i predetti parametri erano separati dalla disgiuntiva ?ovvero?), bensì in termini cumulativi, avuto riguardo alla congiunzione ?nonché? utilizzata nel testo vigente. Da tale modifica, in astratto, potrebbe desumersi che il legislatore abbia voluto ridurre l?ampiezza della discrezionalità valutativa del giudice, richiedendo - per ritenere provato l?uso personale ? sia il mancato superamento dei limiti, sia l?insussistenza di modalità allarmanti quanto alla presentazione delle sostanze. Tuttavia, in senso contrario (ovvero nel senso di una valenza tuttora meramente indiziaria dei parametri in questione)[51], è possibile far leva sul fatto che lo stesso comma 1 bis utilizza l?espressione ?si tiene conto?, che è ?identica a quella utilizzata nell'art. 133 c.p., che indica come è noto i criteri dei quali il giudice deve far uso per commisurare in concreto la pena - operazione, quest'ultima, discrezionale par excellence. Sulla base di questa lettura, il mero superamento dei limiti indicati dagli emanandi decreti non escluderà che il giudice possa comunque attribuire rilievo prevalente agli altri criteri indicati dalla norma per ritenere la finalità di uso personale; così come, per converso, il mancato superamento dei limiti potrà non ostare alla condanna dell'imputato, qualora - ad es. - le modalità di confezionamento separato della sostanza evidenzino in concreto la finalità di spaccio perseguita da chi sia trovato in possesso di pur modesti quantitativi di sostanza. Semplicemente, il giudice - chiamato a "tener conto" di quanto stabilito nei decreti in parola - avrà l'onere di illustrare in motivazione perché ritenga di non ritenere decisiva la circostanza del superamento, o del mancato superamento, dei limiti suddetti? [52].
Di ben maggiore rilevanza appaiono le criticità evidenziate dalla dottrina[53] in ordine alla seconda parte del comma 1 bis dell?art. 75, dedicata ai medicinali come avveniva all?interno del caducato comma 1-bis dell?art. 73.
Quest?ultimo, in realtà, concorreva a codificare (insieme all?art. 75 all?epoca vigente) un sistema sanzionatorio connotato da sufficiente coerenza, nel senso che ? come poc?anzi accennato - erano sottoposte alla sanzione penale di cui all?art. 73, comma primo, del testo unico (ridotte da un terzo alla metà) le condotte aventi ad oggetto i medicinali di cui alla sezione A dell?apposita tabella II, se eccedenti il quantitativo prescritto; mentre la sanzione amministrativa era prevista, dall?art. 75, per le condotte aventi ad oggetto i medicinali di cui alle sezioni B, C e (in parte) D dell?apposita tabella II, in assenza delle condizioni (uso terapeutico, debita prescrizione secondo le particolari condizioni patologiche del soggetto) fissate dall?art. 72 del testo unico.
Con il nuovo comma 1 bis dell?art. 75, il legislatore ha inteso ripristinare la coerenza del sistema, venuta meno dopo la caducazione del comma 1 bis dell?art. 73 e la conseguente reviviscenza anche delle tabelle vigenti prima della ?Fini ? Giovanardi?. L?obiettivo non sembra peraltro essere stato adeguatamente raggiunto: da un lato, il comma 1 bis introduce i parametri di valutazione di cui alle lettere a) e b) ?ai fini dell?accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1?. In tale comma, peraltro, non vi è alcun cenno ai medicinali, dal momento che si prevede esclusivamente la sanzionabilità in via amministrativa delle condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope, graduando l?entità della sanzione a seconda della loro appartenenza alle tabelle I e III ovvero alle tabelle II e IV (cfr. sul punto supra, § 2.1). D?altro lato, il parametro indicato alla lettera b) del comma 1 bis impone di tener conto del fatto che ?i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto?. Tale disposizione appare peraltro non adeguatamente coordinata con le norme incriminatrici di cui all?art. 73, all?interno delle quali non solo non vi è più quella concernente i medicinali (a suo tempo inserita, come già più volte ricordato, nel comma 1 bis dalla ?Fini ? Giovanardi?), ma neppure vi è il minimo cenno all?esistenza di una nuova (quinta) tabella, relativa appunto ai medicinali, articolata in sezioni dalla A alla E, alla quale evidentemente allude il vigente comma 1 bis dell?art. 75. Tali difetti di coordinamento hanno indotto una parte della dottrina a dubitare dell?attuale rilevanza penale, ai sensi dell?art. 73, delle condotte aventi ad oggetto medicinali eccedenti il quantitativo prescritto nelle rispettive tabelle[54]; in una diversa prospettiva, si è invece affermato che ?ci si trova in presenza di un vuoto sanzionatorio, con il rischio di dover applicare le più gravi sanzioni previste per le condotte illecite aventi ad oggetto le sostanze vietate, avendo riguardo al <<principio attivo>> stupefacente contenuto nel medicinale?[55].
Il vice direttore
Giorgio Fidelbo