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Ammonimento stalking viola diritti fondamentali se .. (Corte EDU, Giuliani vs. Italia, 2023)

22 giugno 2023, Corte Europea per i diritti dell'Uomo

Viola l'articolo 8 della Convenzione la motivazione generica dell'ammonizione per stalking del Questore, quando nonostante le specifiche doglianze del ricorrente sollevate davanti ai tribunali nazionali, né nel provvedimento né nelle sentenze vi è alcun riferimento ai fatti descritti dai testimoni che erano stati ascoltati, né alcun riferimento agli "ulteriori documenti raccolti" che avrebbero confermato la versione dei fatti presentata all'autorità di polizia; né le  autorità giudiziarie hanno effettuato un sufficiente controllo giurisdizionale del fondamento fattuale e della legittimità, necessità e proporzionalità della misura.

L'ammonimento di polizia emesso nell'ambito del procedimento di prevenzione dello stalking è in grado di pregiudicare la vita familiare e la vita sociale privata del ricorrente, nonché la sua reputazione.

Le misure che incidono sui diritti umani devono essere sottoposte a una qualche forma di procedimento in contraddittorio davanti a un organo indipendente competente a riesaminare le ragioni della decisione e le prove pertinenti. L'individuo deve essere in grado di contestare le affermazioni dell'esecutivo: in assenza di tali garanzie, la polizia o un'altra autorità statale sarebbe in grado di violare arbitrariamente i diritti tutelati dalla Convenzione. 

I concetti di legittimità e di Stato di diritto in una società democratica richiedono anche che le misure che incidono sui diritti umani debbano essere sottoposte a una qualche forma di contraddittorio davanti a un organo indipendente competente a riesaminare tempestivamente le ragioni della decisione e le relative prove.

(traduzione automatica non ufficiale, originale qui https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-225321)

CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CASO DI GIULIANO GERMANO c. ITALIA

SENTENZA
 

STRASBURGO

22 giugno 2023

(Ricorso n. 10794/12)

La presente sentenza diventerà definitiva nelle circostanze previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione redazionale.

Nel caso Giuliano Germano contro Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in Camera composta da:
 Marko Bošnjak, Presidente,
 Krzysztof Wojtyczek,
 Alena Poláčková,
 Ivana Jelić,
 Gilberto Felici,
 Erik Wennerström,
 Raffaele Sabato, giudici
e Renata Degener, cancelliere di sezione,
visto il ricorso (n. 10794/12)
il ricorso (n. 10794/12) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da un cittadino italiano, il signor Giuliano Germano ("il ricorrente"), il 5 gennaio 2012;
la decisione di notificare al Governo italiano ("il Governo") le censure relative agli articoli 6 e 8 della Convenzione e di dichiarare irricevibile il resto del ricorso;
le osservazioni delle parti;
Avendo deliberato in privato il 23 maggio 2023,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

 Il ricorso solleva questioni ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Riguarda l'affermazione che la disposizione nazionale che regola l'ammonimento di polizia imposto al ricorrente in un procedimento di prevenzione dello stalking dal capo dell'autorità di polizia locale (questore) non soddisfa lo standard della "qualità della legge" ai fini di tale disposizione. Si tratta inoltre di stabilire se, nel procedimento interno che ha portato all'imposizione di tale misura al ricorrente, quest'ultimo abbia potuto partecipare al processo decisionale in misura sufficiente a garantirgli la necessaria tutela dei suoi interessi, se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificare la misura impugnata fossero pertinenti e sufficienti e se la misura sia stata sottoposta a un sufficiente controllo giurisdizionale da parte dei giudici nazionali competenti.

I FATTI

2.  Il ricorrente, Giuliano Germano, è un cittadino italiano nato nel 1956 e residente a Savona. È stato rappresentato davanti alla Corte dall'avvocato R. Sturlese, che esercita a La Spezia.
3.  Il Governo era rappresentato dal suo agente, sig. L. D'Ascia, Avvocato dello Stato.
4.  I fatti del caso possono essere riassunti come segue.
5.  Nel 2009 è terminata la relazione tra il ricorrente e la moglie, che il 3 maggio 2009 ha lasciato la casa familiare con la figlia.
6.  Il 6 maggio 2009 ha presentato una denuncia penale (querela) contro il ricorrente per i maltrattamenti che le sarebbero stati inflitti la notte in cui aveva lasciato la casa familiare. Il procedimento avviato contro il ricorrente è stato interrotto il 22 maggio 2015, poiché la moglie ha ritirato la denuncia penale.
7.  Il 13 novembre 2009 la moglie del ricorrente ha presentato un'istanza (richiesta) al questore di Savona, chiedendogli di emettere un ammonimento di polizia come previsto dall'articolo 8 del decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009 recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale e allo stalking ("decreto legge n. 11/2009"), convertito nella legge n. 38 del 23 aprile 2009 ("legge n. 38/2009"; si veda il paragrafo 26 di seguito). La richiesta descriveva diversi episodi di violenza fisica e verbale che il richiedente avrebbe inflitto alla moglie mentre vivevano insieme e dopo che lei aveva lasciato la casa di famiglia. La moglie del richiedente ha inoltre riferito di diverse telefonate fatte dal richiedente a lei, alla babysitter della loro figlia e ad alcuni amici comuni, presumibilmente finalizzate a controllare la sua vita personale e a isolarla e intimidirla.
8.  La stazione di polizia in questione ha aperto un'inchiesta e ha raccolto diciassette testimonianze delle persone citate nella richiesta della moglie del ricorrente. Tra questi testimoni, un amico della moglie del richiedente ha confermato che episodi di abuso verbale inflitti dal richiedente alla moglie erano avvenuti in sua presenza; un altro ha dichiarato di essere stato messo al corrente di un episodio di aggressione fisica; e un altro ancora ha affermato che il richiedente gli aveva telefonato più volte allo scopo di ottenere informazioni sulla vita della moglie dopo che questa aveva lasciato la casa di famiglia. Le altre quattordici dichiarazioni non hanno confermato la versione dei fatti della moglie del richiedente e hanno espressamente escluso che il richiedente l'avesse insultata in loro presenza o avesse cercato di isolarla.
9.  Con un'ordinanza n. 20406 del 27 novembre 2009, il questore di Savona ha emesso un ammonimento di polizia. L'ammonimento è stato notificato personalmente alla ricorrente il 28 novembre 2009 presso la Questura di Savona.
10.  La motivazione del verbale di ammonimento recitava come segue:
"In merito alla richiesta presentata in data 13 novembre 2009 ... con espressa richiesta di ammonimento nei confronti di Germano Giuliano ... indicato come responsabile del reato di stalking commesso nei confronti [della persona che ha richiesto l'ammonimento], pur avendo la stessa deciso di non sporgere denuncia penale";

Tenuto conto che, come indicato nella richiesta, Germano Giuliano, marito della richiedente l'ammonimento, da cui la stessa si sta separando, negli ultimi tre anni, ma con episodi sempre più frequenti a partire dal mese di maggio dell'anno in corso, [ha posto in essere i seguenti] atti ripetuti quali insulti pronunciati in presenza di altre persone, telefonate effettuate in privato e sul luogo di lavoro alla richiedente l'ammonimento e ad altre persone vicine agli ex coniugi, l'invio di sms, le insistenti e reiterate richieste, formulate anche con atteggiamento potenzialmente minaccioso, volte a controllare con toni insistenti, ossessivi e intimidatori i movimenti [della moglie] e, più in generale, la sua abituale vita quotidiana, hanno provocato nella richiedente l'ammonimento un perdurante e grave stato di ansia, paura e preoccupazione per la sua incolumità personale;

Considerato che tutte le indagini svolte dalle forze dell'ordine e l'ulteriore documentazione raccolta, tutte agli atti - a prescindere dal contesto in cui si sono svolti i fatti del sig. Germano, ovvero la pendenza della separazione giudiziale dei coniugi e gli episodi relativi all'affidamento della figlia di sette anni - e nonostante la non rilevanza di alcuni episodi, evidenziano una situazione di particolare gravità, sufficientemente e oggettivamente confermata, che si compone di episodi accertati, anche di aggressione fisica, che sono peraltro oggetto di procedimenti penali in corso e che non possono quindi essere menzionati, ma neppure sottovalutati nella valutazione delle circostanze complessive e dei fatti riportati, e che sono oggettivamente idonei a provocare nella moglie del sig. Germano uno stato quantomeno di disagio psicologico e, quindi, a rendere fondata la sua richiesta;

[è stata rilevata la necessità e l'urgenza [del provvedimento] di impedire la realizzazione di ulteriori comportamenti di stalking...".

11.  Il contenuto dell'ammonimento emesso nei confronti del ricorrente, come indicato nel verbale consegnatogli, recita come segue:

"Il sig. Germano Giuliano [viene] invitato a tenere un comportamento conforme alla legge e ammonito che, qualora dovesse reiterare il comportamento che ha portato all'emissione del presente provvedimento, sarà deferito all'autorità giudiziaria competente ai sensi dell'art. 612-bis [c.p.], anche in assenza di denuncia penale (querela) presentata da chi ha richiesto l'ammonimento, secondo la [procedura], prevista dall'art. 8 del D.L. n. 11/2009, convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38 ... di avviare un procedimento penale per lo stesso reato nei confronti di una persona "ammonita".

Si informa inoltre il sig. Germano Giuliano che la pena della reclusione fino a quattro anni prevista per il reato di cui all'art. 612-bis [c.p.] 'è aumentata se il fatto è commesso da persona ammonita' ai sensi dell'art. 8 del D.L. n. 11/2009...".

12.  Il 14 gennaio 2010 il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria (TAR). Egli lamentava, in particolare, l'asserita violazione del suo diritto a partecipare al procedimento amministrativo garantito dall'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ("legge n. 241/1990"; cfr. paragrafo 24). 241/1990"; si veda il successivo paragrafo 24), in quanto non gli era stato notificato l'avvio del procedimento amministrativo e non gli era stato consentito di esprimere il proprio punto di vista; dell'asserita mancanza di motivazione del provvedimento cautelare; dell'asserita inadeguatezza delle indagini svolte dalla polizia; e dell'asserita assenza dei presupposti richiesti dall'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 per l'imposizione della cautela. Il ricorrente ha inoltre sollevato la questione di costituzionalità dell'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009, sostenendo che fosse in contrasto con gli articoli 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione italiana alla luce della presunta violazione del principio del contraddittorio, del diritto di difesa e della parità delle armi. Infine, il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa dell'imposizione del provvedimento nei suoi confronti.

13.  Il ricorrente ha inoltre chiesto la sospensione provvisoria dell'ordinanza in attesa del procedimento dinanzi al TAR. Il 4 febbraio 2010 il TAR ha respinto la richiesta di sospensione, osservando che non vi era alcun rischio di danno irreparabile ai diritti e agli interessi del ricorrente.

14.  Nella sentenza n. 8145 del 30 settembre 2010, il TAR ha ritenuto che fossero stati violati i diritti di partecipazione e di difesa del ricorrente, garantiti dall'articolo 7 della legge n. 241/1990 e, pertanto, ha accolto il ricorso del ricorrente e ha annullato l'ammonimento di polizia emesso nei suoi confronti.

15.  Il TAR ha osservato che la misura in questione, che incideva in modo grave e diretto sul diritto all'immagine personale dell'individuo ammonito, non poteva essere imposta sulla base delle sole informazioni e prove fornite dalla persona che aveva richiesto l'ammonimento. Tali elementi dovevano essere confrontati con le informazioni e gli elementi di prova forniti dalla persona colpita dal provvedimento, nell'ambito di un procedimento che doveva avere come base un'indagine adeguata e sufficiente e che consentiva alla persona colpita dal provvedimento di esprimere le proprie opinioni. Secondo il TAR, un'eccezione al rispetto dei diritti di partecipazione dell'individuo era giustificata in casi di stretta urgenza e necessità, che dovevano essere sufficientemente dimostrati e giustificati nella motivazione dell'ordinanza. Il TAR ha inoltre osservato che un ammonimento di polizia non è un atto amministrativo il cui contenuto è predeterminato (atto vincolato), in quanto presuppone una valutazione complessa delle circostanze di fatto rilevanti. Pertanto, la restrizione dei diritti di partecipazione dell'individuo non era giustificata.

16.  Infine, il TAR ha dichiarato irricevibile la richiesta di risarcimento del ricorrente, osservando che egli non aveva fornito alcuna prova in grado di dimostrare di aver subito un danno in conseguenza dell'imposizione dell'ammonimento di polizia.

17.  Il 3 gennaio 2011 il Ministero dell'Interno ha impugnato la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato. Nel suo appello, il Ministero ha osservato che la sentenza di primo grado non aveva tenuto conto dell'urgenza che caratterizzava il procedimento di prevenzione dello stalking; ha inoltre sostenuto che la partecipazione del ricorrente al procedimento amministrativo non avrebbe cambiato l'esito, poiché il questore aveva ritenuto che la richiesta della moglie del ricorrente fosse fondata.

18.  Il Ministero ha inoltre chiesto la sospensione della sentenza impugnata. L'11 febbraio 2011 il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta. Ha osservato che, alla luce della finalità preventiva dell'ammonimento di polizia, vi era un serio rischio di danno irreparabile per la moglie del ricorrente.

19.  Nella sentenza n. 4365 del 19 luglio 2011, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello del Ministero, ha annullato la sentenza di primo grado e ha confermato l'ammonimento di polizia. Ha riconosciuto che il provvedimento aveva gravi conseguenze sulla sfera personale del ricorrente, in quanto comportava la possibilità di perseguirlo per il reato di stalking anche in assenza di una denuncia penale presentata dalla vittima e l'applicazione automatica di una circostanza aggravante in caso di condanna per tale reato.

20.  Tuttavia, il Consiglio di Stato ha sottolineato l'obiettivo dell'ammonimento, che era quello di prevenire un danno potenzialmente grave e irreparabile alla presunta vittima di stalking. Secondo il Consiglio di Stato, il procedimento di prevenzione dello stalking era per sua natura caratterizzato dalla necessità di una risposta pronta e immediata. Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la mancata notifica al ricorrente dell'avvio del procedimento amministrativo dinanzi al questore e la mancata audizione dello stesso prima dell'imposizione della misura non abbiano comportato una violazione dei diritti di partecipazione del ricorrente, che avrebbe potuto ottenere un riesame completo della decisione rivolgendo direttamente una richiesta di riesame all'autorità di polizia (Questura) o presentando un ricorso all'autorità amministrativa superiore (ricorso gerarchico), vale a dire il prefetto locale, ai sensi delle pertinenti disposizioni del D.P.R. n. 1199 del novembre 1971 (in prosieguo "D.P.R."). 1199 del 24 novembre 1971 ("Decreto n. 1199/1971"; si veda il successivo paragrafo 23).

21.  Il Consiglio di Stato ha inoltre osservato che l'ammonimento non mancava di motivazione e non si basava su indagini insufficienti, in quanto il questore aveva dichiarato che le indagini intraprese dalla polizia avevano dimostrato il comportamento ingiurioso e intimidatorio inflitto dal ricorrente alla moglie.

22.  Infine, il Consiglio di Stato ha osservato che la mancata audizione del ricorrente prima di emettere l'ammonimento si è basata sull'urgente necessità di prevenire una potenziale escalation di violenza perpetrata contro la moglie.

QUADRO GIURIDICO E PRASSI RILEVANTI

DIRITTO INTERNO PERTINENTE
Decreto presidenziale n. 1199 del 24 novembre 1971 (Semplificazione delle procedure relative ai ricorsi amministrativi).

23.  Il Decreto n. 1199/1971 disciplina il ricorso che può essere presentato contro gli atti e le decisioni amministrative davanti all'autorità amministrativa superiore. Le disposizioni in materia sono le seguenti:
Articolo 1: Ricorso

"I provvedimenti amministrativi non definitivi possono essere impugnati davanti all'autorità amministrativa superiore, la cui decisione non è soggetta a ulteriori ricorsi, per motivi di legittimità e di merito, da qualsiasi soggetto interessato.

...

La notifica dei provvedimenti soggetti a ricorso ai sensi del presente articolo indica il termine e l'organo a cui il ricorso deve essere presentato."

Articolo 5: Decisione

"Se constata che il ricorso non avrebbe dovuto essere presentato, l'autorità competente lo dichiara irricevibile. Se constata un'irregolarità sanabile, concede al ricorrente un termine per sanarla e, se il ricorrente non vi provvede, dichiara il ricorso irricevibile. Se ritiene che il ricorso sia infondato, lo respinge. Se accoglie il ricorso per incompetenza, annulla il provvedimento e rimette la questione all'organo competente. Se accoglie il ricorso per altri motivi di legittimità o nel merito, annulla o riformula il provvedimento o, se necessario, rinvia la questione all'organo competente che lo ha emesso.

La decisione deve essere motivata e deve essere emessa e notificata all'organo o all'agenzia che ha emesso l'atto impugnato, al ricorrente e alle altre parti interessate a cui è stato notificato il ricorso, mediante notifica amministrativa o lettera raccomandata con ricevuta di ritorno".

Articolo 6: Mancata risposta

"Se l'autorità decidente non comunica la propria decisione entro novanta giorni dalla proposizione del ricorso, quest'ultimo si intende respinto e il provvedimento impugnato può essere impugnato davanti all'autorità giudiziaria competente, oppure mediante ricorso straordinario al Presidente della Repubblica."

Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
24.  La Legge n. 241/1990 disciplina il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Le disposizioni in materia sono le seguenti:
Sezione 3: Motivazione

"1. Ogni provvedimento amministrativo (...) deve essere motivato, salvo i casi previsti dal comma 2. La motivazione deve indicare le ragioni di fatto e di diritto che hanno giustificato la decisione della pubblica amministrazione, in relazione ai risultati dell'istruttoria svolta.

2.  La motivazione non è richiesta per i provvedimenti normativi e per quelli di contenuto generale.

...

4.  Ogni atto notificato al destinatario deve indicare il termine e l'autorità davanti alla quale è possibile presentare ricorso."

Sezione 7: Notifica dell'avvio del procedimento

"1. Qualora non sussistano impedimenti derivanti da specifiche ragioni di accelerazione del procedimento, l'avvio del procedimento è notificato, secondo le modalità previste dalla sezione 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale deve produrre effetti diretti e a quelli che per legge devono intervenire. Analogamente, in assenza delle suddette motivazioni, qualora un provvedimento possa arrecare pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a comunicare loro l'avvio del procedimento con le medesime modalità.

2.  Nei casi di cui al comma 1, resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima delle comunicazioni di cui al medesimo comma, provvedimenti provvisori."

Decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale e allo stalking), convertito in legge il 23 aprile 2009 (Legge n. 38/2009).

25.  Il decreto legge n. 11/2009 ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale e allo stalking. Il comma 7 ha introdotto una nuova disposizione nel Codice penale (articolo 612-bis), introducendo il reato di stalking (atti persecutori). L'articolo 612-bis, nella versione in vigore al momento dei fatti rilevanti per il presente ricorso, recitava come segue:
"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque minaccia o molesta reiteratamente taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi".

26.  L'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 ha introdotto la misura dell'ammonimento di polizia, da emettere nei procedimenti di prevenzione dello stalking da parte del responsabile dell'autorità di polizia locale (questore). Il testo recita come segue:
"1. Fino a quando non è stata presentata la denuncia penale (querela) per il reato previsto dall'articolo 612-bis del codice penale, introdotto dal comma 7, la persona offesa può denunciare i fatti all'autorità di pubblica sicurezza presentando al questore la richiesta di ammonimento nei confronti dell'autore del comportamento. La richiesta è trasmessa senza indugio al questore.

2.  Se la richiesta è fondata, il questore, assunte, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone a conoscenza dei fatti, ammonisce oralmente il soggetto nei confronti del quale è stata richiesta la misura, invitandolo a comportarsi in modo conforme alla legge, e redige processo verbale dell'ammonimento. Copia del verbale viene consegnata alla persona che ha richiesto l'ammonimento e al suo destinatario. Il questore adotta misure in materia di armi e munizioni.

3.  La pena inflitta per il reato previsto dall'art. 612-bis c.p. è aumentata se il reato è commesso da chi ha già ricevuto l'ammonimento ai sensi della presente sezione.

4.  Se il reato è commesso da persona già ammonita ai sensi della presente sezione, il procedimento penale per il reato previsto dall'art. 612-bis c.p. può essere avviato anche in assenza di denuncia penale (querela) presentata dalla persona offesa".

GIURISPRUDENZA NAZIONALE RILEVANTE
Giurisprudenza sulla natura della misura e sulle condizioni per l'emissione dell'ammonimento di cui all'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009.

27.  La giurisprudenza interna in materia ha chiarito che l'ammonimento di polizia imposto ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 svolge una "funzione preventiva e dissuasiva", in quanto mira a evitare che la reiterazione del comportamento incriminato dall'articolo 612-bis del codice penale provochi un danno irreparabile alla vittima (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze n. 4365 del 19 luglio 2011 e n. 4077 del 25 giugno 2020; cfr. anche Corte di Cassazione, sentenza n. 17350 del 19 agosto 2020). Alla luce di questa funzione, al questore non è richiesto di valutare la responsabilità penale del presunto stalker, ma di accertare la probabilità che tale comportamento abbia avuto luogo e di analizzare la potenziale esistenza di un pericolo per il futuro (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 4077 del 25 giugno 2020).
28.  Da un punto di vista fattuale, l'imposizione della misura richiede l'accertamento degli stessi comportamenti che costituiscono la fattispecie penale prevista dall'articolo 612-bis del Codice penale (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze n. 2599 del 7 settembre 2015 e 4077 del 25 giugno 2020). In particolare, nella sentenza n. 2045 del 21 aprile 2020, il Consiglio di Stato, Terza Sezione, ha sottolineato che l'ammonimento di polizia può essere emesso solo in presenza di comportamenti ripetuti qualificabili come "minaccia o molestia" che producono conseguenze negative sullo stato fisico, psicologico ed esistenziale della vittima e limitano la sua autodeterminazione.
29.  L'articolo 612-bis del Codice Penale si compone infatti di tre elementi costitutivi: (i) ripetuti atti di minaccia o molestia; (ii) l'aver provocato nella vittima uno stato di ansia o di timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero l'alterazione delle abitudini quotidiane della vittima; (iii) l'esistenza di un nesso di causalità tra il primo e il secondo elemento. L'interpretazione della fattispecie penale di stalking è stata chiarita dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 172 dell'11 giugno 2014, in cui ha ritenuto che la norma non mancasse di chiarezza e prevedibilità, trattandosi di una specificazione delle fattispecie penali di minaccia e molestia previste, fin dalla sua originaria formulazione, dagli articoli 612 e 660 del codice penale.
30.  La differenza tra l'accertamento di situazioni che portano all'imposizione di un ammonimento di polizia e l'azione penale per il reato di stalking risiede, da un lato, nella presentazione di una denuncia penale da parte della vittima e, dall'altro, nell'onere della prova applicato. La giurisprudenza ha chiarito che, ai fini dell'applicazione dell'ammonimento, non è necessaria la prova certa della commissione del reato (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 4077 del 25 giugno 2020). La misura richiede l'esistenza di prove indiziarie del fatto che il comportamento incriminato dall'articolo 612-bis sia stato posto in essere e, sulla base di una valutazione prognostica, che possa ripetersi in futuro (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze nn. 1085 del 15 febbraio 2019 e 4077 del 25 giugno 2020).
31.  Il Consiglio di Stato ha inoltre affermato che il provvedimento non può basarsi esclusivamente sulla versione dei fatti presentata dalla persona che ha richiesto l'ammonimento. L'autorità di polizia è tenuta a svolgere indagini sufficienti per valutare la fondatezza della richiesta (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 4077 del 25 giugno 2020).
32.  Ha inoltre chiarito che, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 241/1990 (cfr. paragrafo 24 supra), l'esistenza di tali prove indiziarie deve essere debitamente dimostrata e indicata nel verbale di cautela (tra le altre, Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 1085 del 15 febbraio 2019). La motivazione contenuta nel verbale deve consentire di valutare il legittimo esercizio dei poteri amministrativi, al fine di evitare l'imposizione della misura sulla base di meri e non provati sospetti (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze nn. 2108 del 29 marzo 2019 e 7883 del 10 dicembre 2020).

La giurisprudenza sugli obblighi derivanti dalla cautela

33.  Nella sentenza n. 17350 del 19 agosto 2020, la Corte di Cassazione (Quinta Sezione) ha chiarito che l'ammonimento di polizia invita il destinatario ad astenersi da comportamenti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 612-bis del Codice penale.
34.  Secondo la Corte di Cassazione, l'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009 era volto a delimitare l'ambito di discrezionalità conferito al questore, ovvero a chiarire i presupposti per l'adozione della misura facendo riferimento al reato di stalking (si veda il precedente paragrafo 28).
35.  Tuttavia, per quanto riguarda il destinatario della misura, la Corte di cassazione ha chiarito che l'ammonimento non impone nuovi obblighi giuridici, in quanto si limita a ricordargli di comportarsi ai sensi dell'articolo 612-bis del Codice penale. Inoltre, lo avverte della conseguenza "rafforzata" ex lege che deriverebbe dalla reiterazione di tale comportamento, ossia la possibilità di perseguire tale reato anche in assenza di denuncia penale presentata dalla vittima e l'applicazione di una circostanza aggravante in caso di condanna.
36.  Alla luce di tali osservazioni, la Corte di cassazione ha concluso che l'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 non mancava di chiarezza e prevedibilità.
Giurisprudenza sul diritto della persona di partecipare al procedimento di prevenzione dello stalking ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009
37.  Nei primi casi riguardanti l'ammonimento di polizia, le autorità giudiziarie nazionali hanno ritenuto che si trattasse di una misura amministrativa che incideva direttamente sugli interessi delle persone fin dal momento della sua adozione. Di conseguenza, è rimasto soggetto al rispetto del diritto di partecipazione al procedimento e del principio del contraddittorio sancito dalla legge n. 241/1990, nonché alla valutazione obbligatoria da parte del questore degli elementi forniti dall'interessato nell'esercizio del suo diritto alla difesa (TAR Liguria, Seconda Sezione, sentenze n. 31 del 12 gennaio 2010 e 208 del 15 aprile 2010). Analogamente, nella sentenza n. 5676 del 21 ottobre 2011, il Consiglio di Stato, Terza Sezione, ha osservato che l'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009 prevedeva espressamente che prima di emettere un ammonimento, il questore dovesse sentire le persone a conoscenza dei fatti rilevanti, compreso il destinatario dell'ammonimento.
38.  Nella giurisprudenza successiva si sono sviluppati due approcci contrastanti. L'approccio maggioritario, che segue la giurisprudenza citata nel paragrafo precedente, ritiene che la funzione preventiva dell'ammonimento non giustifichi, di per sé, la deroga al diritto dell'individuo di essere sentito nel procedimento. Una parte minoritaria della giurisprudenza ritiene invece che, alla luce della funzione preventiva della diffida, il questore conservi piena discrezionalità nel valutare se notificare al destinatario l'avvio del procedimento e se ascoltarlo prima dell'adozione del provvedimento.
39.  Secondo la maggior parte della giurisprudenza, il procedimento di prevenzione dello stalking deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio, al fine di consentire al destinatario del provvedimento di esprimere il proprio punto di vista (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze nn. 5676 del 21 ottobre 2011, 4187 del 9 luglio 2018 e 1085 del 15 febbraio 2019). I diritti di partecipazione del destinatario possono essere derogati esclusivamente in circostanze eccezionali di urgenza che devono essere valutate dal questore (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 6038 del 9 dicembre 2014). Tali ragioni specifiche, ossia l'esistenza di un rischio imminente di danno grave, devono essere debitamente indicate nella motivazione della cautela (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 2108 del 29 marzo 2019).
40.  L'approccio minoritario, invece, ritiene che il procedimento di prevenzione dello stalking sia caratterizzato, per sua natura, dalla necessità di prevenire un rischio di danno irreparabile per la persona che ha richiesto l'ammonimento. Di conseguenza, resta nel potere discrezionale del questore valutare se ascoltare o meno il destinatario. La mancata audizione del destinatario del provvedimento, in assenza di comprovate ragioni di urgenza, non può essere invocata, secondo tale impostazione, come motivo di annullamento del provvedimento (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenze nn. 2419 del 6 giugno 2016 e 4241 del 13 ottobre 2016).
La giurisprudenza sulla natura del controllo giurisdizionale della cautela
41.  Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, i tribunali amministrativi hanno il potere di valutare se il provvedimento avesse sufficienti basi fattuali, fosse sufficientemente motivato e fosse giustificato nelle circostanze di ciascun caso. Ad esempio, nella sentenza n. 5676 del 21 ottobre 2011, già citata, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la diffida fosse priva di motivazione, in quanto non erano stati valutati gli elementi forniti dal diffidato, che erano stati solo annotati nel testo. Nel merito, il Consiglio di Stato ha rilevato l'assenza di elementi fattuali dimostrati che giustificassero l'imposizione della misura (si vedano anche le sentenze n. 5259 del 6 giugno 2018 e n. 5445 del 21 aprile 2020, in cui il Consiglio di Stato, Terza Sezione, ha valutato e accertato i fatti alla luce degli elementi probatori disponibili, per concludere se l'imposizione della diffida fosse giustificata nelle specifiche circostanze dei casi).
Giurisprudenza sul riesame e sulla revoca delle misure amministrative di pubblica sicurezza
42.  Il quadro giuridico applicabile non stabilisce un termine per gli effetti dell'ammonimento, né prevede una procedura di revisione periodica. Secondo i principi generali applicabili alle misure amministrative, il destinatario può chiedere all'autorità amministrativa di riesaminare la misura, ma quest'ultima mantiene la piena discrezionalità nel decidere se esercitare i propri poteri di riesame. Pertanto, l'autorità amministrativa non è giuridicamente obbligata a procedere a tale riesame o a revocare il provvedimento per il semplice decorso del tempo (Consiglio di Stato, Sesta Sezione, sentenza n. 3634 del 9 luglio 2013). L'individuo ha il diritto di impugnare davanti al tribunale amministrativo competente il rigetto della richiesta di riesame o la mancata risposta da parte dell'autorità amministrativa (Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza n. 4565 del 19 luglio 2011, che è la sentenza impugnata nel presente caso).
43.  Quando un individuo presenta una richiesta di riesame, il trascorrere del tempo dall'imposizione della misura è uno degli elementi presi in considerazione dall'autorità amministrativa (ad esempio, TAR Bolzano, sentenza n. 262 del 24 giugno 2015). Tuttavia, secondo la giurisprudenza disponibile, l'ammonimento emesso nei procedimenti di prevenzione dello stalking è una misura "istantanea" che non è soggetta a riesame o a richieste di revoca. Di conseguenza, l'individuo non ha il diritto di impugnare dinanzi al giudice amministrativo il rigetto implicito o esplicito di un'istanza di riesame o revoca presentata al questore (ibidem; cfr. anche TAR Genova, sentenza n. 826 del 22 luglio 2022). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la revoca della misura da parte dell'autorità amministrativa non precluderebbe i suoi effetti giuridici nel procedimento penale, ossia la possibilità di perseguire il destinatario della misura in caso di reiterazione del comportamento di stalking, anche in assenza di denuncia penale (querela), e l'imposizione di una pena più pesante in caso di condanna (cfr. Corte di Cassazione, Quinta Sezione, sentenza n. 34474 del 16 settembre 2021).
44.  Secondo alcuni recenti sviluppi, riguardanti un'altra misura di pubblica sicurezza, il potere di revisione conferito all'autorità amministrativa deve essere interpretato alla luce dei principi costituzionali di buona amministrazione, ragionevolezza e proporzionalità. Nella sentenza n. 508 del 20 febbraio 2019, il TAR Sicilia, Seconda Sezione, ha ritenuto che quando una misura di pubblica sicurezza colpisce un individuo, e il quadro giuridico non prevede un termine per i suoi effetti, all'individuo deve essere riconosciuto il diritto di ottenere un riesame della giustificazione della misura. Qualora il mutamento delle circostanze rilevanti e il trascorrere del tempo non la giustifichino più, la misura deve essere revocata, in quanto non soddisferebbe alcun interesse pubblico (si veda anche TAR Campania, Quinta Sezione, sentenza n. 2859 del 21 maggio 2015). In tali situazioni, i giudici amministrativi competenti potrebbero annullare il rigetto implicito della richiesta di riesame derivante dalla mancata risposta dell'autorità amministrativa presso la quale era stata presentata e ordinare a quest'ultima di esercitare tale potere e adottare una decisione motivata in merito alla richiesta.

DIRITTO INTERNAZIONALE E MATERIALI
Strumenti relativi ai diritti dell'individuo nei procedimenti amministrativi
Risoluzione 77 (31) del Comitato dei Ministri sulla protezione dell'individuo in relazione agli atti delle autorità amministrative.

45.  Questa Risoluzione, adottata dal Comitato dei Ministri il 28 settembre 1977, ha stabilito i principi che si applicano alla protezione delle persone fisiche e giuridiche nelle procedure amministrative in relazione a qualsiasi misura o decisione individuale adottata nell'esercizio dell'autorità pubblica e di natura tale da incidere direttamente sui loro diritti, libertà o interessi.
46.  L'articolo I della Risoluzione, relativo al diritto di essere ascoltati, recita come segue:
"1. In relazione a qualsiasi atto amministrativo di natura tale da incidere negativamente sui suoi diritti, libertà o interessi, la persona interessata può esporre fatti e argomenti e, nei casi appropriati, chiamare prove che saranno prese in considerazione dall'autorità amministrativa.

2.  Nei casi appropriati, la persona interessata viene informata, a tempo debito e in modo adeguato al caso, dei diritti di cui al paragrafo precedente."

47.  Secondo l'Appendice, l'attuazione dei principi stabiliti nella Risoluzione deve tenere conto dei requisiti di una buona ed efficiente amministrazione, nonché degli interessi dei terzi e dei principali interessi pubblici. Pertanto, gli interessi citati possono giustificare la modifica o l'esclusione dei principi stabiliti nella Risoluzione, in casi particolari o in aree specifiche della pubblica amministrazione. Tuttavia, tali modifiche o deroghe devono essere conformi all'obiettivo fondamentale della Risoluzione, che è il raggiungimento del massimo grado di equità possibile.
48.  L'articolo IV, che riguarda la motivazione degli atti amministrativi, recita come segue:
"Quando un atto amministrativo è di natura tale da ledere i suoi diritti, le sue libertà o i suoi interessi, l'interessato è informato dei motivi su cui si basa. Ciò avviene o indicando le ragioni nell'atto o comunicandole, su sua richiesta, all'interessato per iscritto entro un termine ragionevole".

Raccomandazione CM/Rec(2007)7 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla buona amministrazione.

49.  Questa Raccomandazione, adottata dal Comitato dei Ministri il 20 giugno 2007, stabilisce i principi e le regole che dovrebbero essere applicati dalle autorità pubbliche nei loro rapporti con i privati, al fine di realizzare una buona amministrazione (articolo 1).
50.  L'articolo 8, che stabilisce il principio di partecipazione, recita come segue:
"A meno che non sia necessario agire con urgenza, le autorità pubbliche danno ai privati la possibilità, con mezzi adeguati, di partecipare alla preparazione e all'attuazione delle decisioni amministrative che incidono sui loro diritti o interessi".

51.  L'articolo 14, che sancisce il diritto dei privati di essere ascoltati in merito a decisioni individuali, recita come segue:
"Se un'autorità pubblica intende prendere una decisione individuale che inciderà direttamente e negativamente sui diritti dei privati, e a condizione che non sia stata data la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, tali persone devono, a meno che ciò non sia manifestamente inutile, avere la possibilità di esprimere il proprio punto di vista entro un tempo ragionevole e secondo le modalità previste dal diritto nazionale, e se necessario con l'assistenza di una persona di loro scelta".

52.  L'articolo 17 § 2, relativo alla forma degli atti amministrativi, sancisce l'obbligo di motivare il provvedimento:
"Ogni decisione individuale presa deve essere adeguatamente motivata, indicando i motivi di fatto e di diritto che l'hanno determinata, almeno nei casi in cui incidono sui diritti individuali."

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

53.  Le parti pertinenti dell'articolo 41 della Carta recitano come segue:
"1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione.

2.  Questo diritto comprende

- il diritto di ogni persona di essere ascoltata, prima che venga adottato un provvedimento individuale che la riguardi negativamente;".

54.  La Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha stabilito che il diritto al contraddittorio garantisce a ogni persona la possibilità di esprimere efficacemente il proprio punto di vista nel corso di un procedimento amministrativo e prima dell'adozione di qualsiasi decisione che possa incidere negativamente sui suoi interessi. Le sentenze pertinenti della CGUE sono state citate nella sentenza della Corte nella causa Karácsony e altri c. Ungheria [GC], nn. 42461/13 e 44357/13, § 55, 17 maggio 2016.

Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul).

55.  La Convenzione di Istanbul è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 77 del 27 giugno 2013. Le disposizioni rilevanti sono le seguenti:
Articolo 34 - Stalking

"Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la condotta intenzionale di mettere in atto ripetutamente un comportamento minaccioso diretto a un'altra persona, facendola temere per la propria sicurezza, sia considerata reato."

Articolo 50 - Risposta immediata, prevenzione e protezione

"1. Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che le autorità preposte all'applicazione della legge competenti rispondano a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in modo tempestivo e appropriato, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime.

2.  Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che le autorità responsabili dell'applicazione della legge si impegnino tempestivamente e in modo appropriato nella prevenzione e nella protezione contro tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, compreso l'impiego di misure operative preventive e la raccolta di prove."

Articolo 51 - Valutazione e gestione del rischio

"1. Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che una valutazione del rischio di letalità, della gravità della situazione e del rischio di violenza ripetuta sia effettuata da tutte le autorità competenti, al fine di gestire il rischio e, se necessario, di fornire sicurezza e sostegno coordinati.

2.  Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che la valutazione di cui al paragrafo 1 tenga debitamente conto, in tutte le fasi delle indagini e dell'applicazione delle misure di protezione, del fatto che gli autori di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione possiedono o hanno accesso ad armi da fuoco."

Articolo 53 - Ordini di restrizione o di protezione

"1. Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che adeguati ordini di restrizione o di protezione siano disponibili per le vittime di tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2.  Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che gli ordini restrittivi o di protezione di cui al paragrafo 1 siano:

- disponibili per una protezione immediata e senza indebiti oneri finanziari o amministrativi a carico della vittima;

- siano emessi per un periodo di tempo determinato o fino a quando non siano modificati o revocati;

- se necessario, emessi ex parte con effetto immediato;

- disponibile indipendentemente o in aggiunta ad altri procedimenti giudiziari;

- essere introdotta in un successivo procedimento giudiziario.

3.  Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per garantire che le violazioni degli ordini restrittivi o di protezione emessi ai sensi del paragrafo 1 siano soggette a sanzioni penali o altre sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive."

56.  I passaggi pertinenti della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, relativi al suo articolo 53 § 2, recitano come segue:
"270.  Il paragrafo 2 contiene una serie di specifiche per gli ordini restrittivi e di protezione. Il primo trattino richiede che tali ordini offrano una protezione immediata e siano disponibili senza indebiti oneri finanziari o amministrativi a carico della vittima. Ciò significa che un ordine deve entrare in vigore immediatamente dopo la sua emissione e deve essere disponibile senza lunghi procedimenti giudiziari. Le spese processuali a carico del richiedente, probabilmente la vittima, non devono costituire un onere finanziario eccessivo che impedisca alla vittima di presentare domanda. Allo stesso tempo, le procedure istituite per richiedere un ordine restrittivo o di protezione non devono presentare difficoltà insormontabili per le vittime.

271.  Il secondo trattino prevede che l'ordine sia emesso per un periodo di tempo determinato o specifico o fino a quando non venga modificato o revocato. Ciò deriva dal principio della certezza del diritto, che richiede che la durata di un provvedimento giuridico sia chiaramente indicata. Inoltre, l'ordine cessa di essere in vigore se modificato o revocato da un giudice o da un altro funzionario competente.

272.  Il terzo trattino prevede che le Parti garantiscano che in alcuni casi questi ordini possano essere emessi, se necessario, ex parte con effetto immediato. Ciò significa che un giudice o un altro funzionario competente avrebbe l'autorità di emettere un ordine restrittivo o di protezione temporaneo sulla base della richiesta di una sola parte. Va notato che, in conformità con gli obblighi generali previsti dall'articolo 49 (2) della Convenzione, l'emissione di tali ordini non deve pregiudicare i diritti della difesa e le esigenze di un processo equo e imparziale, in conformità con l'articolo 6 della CEDU. Ciò significa in particolare che la persona contro la quale è stata emessa tale ordinanza deve avere il diritto di impugnarla davanti alle autorità competenti e secondo le procedure interne appropriate".

LA LEGGE

        OSSERVAZIONI PRELIMINARI

57.  Il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, l'asserita illegittima interferenza con il suo diritto alla vita privata, familiare e professionale. Ha inoltre lamentato, ai sensi dell'articolo 6 § 1 e dell'articolo 8 della Convenzione, la violazione dei suoi diritti di partecipazione e di difesa, la mancanza di motivi pertinenti e sufficienti che giustificassero l'ammonimento della polizia e la mancanza di un sufficiente controllo giudiziario di tale misura.

58.  La Corte osserva fin dall'inizio che è giurisprudenza consolidata che, sebbene l'articolo 8 della Convenzione non contenga requisiti procedurali espliciti, il processo decisionale che porta a misure di ingerenza deve essere equo e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall'articolo 8 (si veda, tra le altre autorità, M.S. c. Ucraina, n. 2091/13, § 70, 11 luglio 2017). Pertanto, poiché in base al principio jura novit curia è padrona della caratterizzazione da dare in diritto ai fatti del caso (si veda Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 114, 20 marzo 2018), la Corte ritiene opportuno esaminare le doglianze del ricorrente esclusivamente ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.

PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

59.  Il ricorrente ha lamentato una presunta violazione del suo diritto alla vita privata, familiare e professionale, come previsto dall'articolo 8 della Convenzione. Ha sostenuto, in particolare, che la base giuridica della misura applicata nei suoi confronti non era compatibile con i requisiti di qualità del diritto previsti dalla Convenzione; che gli obblighi impostigli erano eccessivamente ampi e generici e che il quadro giuridico applicabile non gli aveva fornito le necessarie garanzie contro l'arbitrarietà; che non gli era stata offerta la possibilità di tutelare adeguatamente i suoi interessi nel corso della procedura; che non vi erano ragioni sufficienti a giustificare la misura e che i tribunali nazionali competenti non avevano esaminato tali ragioni in modo approfondito. L'articolo 8 recita, per quanto pertinente, quanto segue:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare [...].

2.  L'esercizio di tale diritto non può essere oggetto di ingerenza da parte di un'autorità pubblica, salvo che sia conforme alla legge e sia necessario, in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza o del benessere economico del Paese, per la prevenzione di disordini o reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui".

Ammissibilità
Esaurimento delle vie di ricorso interne
(a) Le osservazioni delle parti

60.  Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non ha esaurito correttamente le vie di ricorso interne, in quanto avrebbe potuto presentare un ricorso all'autorità amministrativa superiore. Hanno sostenuto che, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, del Decreto n. 1199/1971 (cfr. paragrafo 23). 1199/1971 (si veda il precedente paragrafo 23) il ricorrente avrebbe potuto contestare la valutazione delle prove raccolte dalla polizia e ottenere un riesame completo da parte del prefetto della legalità formale e sostanziale dell'ammonimento. Secondo il Governo, tale ricorso non sarebbe stato eccessivamente oneroso, in quanto di natura amministrativa e non richiedeva l'assistenza di un avvocato o una descrizione esatta dei motivi di ricorso.
61.  Il ricorrente ha ribadito di aver esaurito i rimedi previsti dall'ordinamento giuridico italiano, presentando un ricorso al TAR competente contro l'ammonimento della polizia. Ha inoltre osservato che la sentenza di primo grado era stata annullata dal Consiglio di Stato, le cui sentenze non sono soggette a ulteriore appello.

(b) La valutazione della Corte

(i) Principi generali

62.  La Corte ribadisce che l'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne richiede che il ricorrente si avvalga normalmente delle vie di ricorso disponibili e sufficienti in relazione alle sue doglianze della Convenzione. L'esistenza dei rimedi in questione deve essere sufficientemente certa non solo in teoria ma anche in pratica, pena la mancanza della necessaria accessibilità ed efficacia (cfr. Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 66, Raccolta di sentenze e decisioni 1996-IV, e Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 71, 25 marzo 2014). Per essere effettivo, un rimedio deve essere in grado di porre rimedio direttamente allo stato di cose contestato e deve offrire ragionevoli prospettive di successo (si veda Balogh c. Ungheria, no. 47940/99, § 30, 20 luglio 2004, e Sejdovic c. Italia [GC], no. 56581/00, § 46, ECHR 2006-II).
63.  Tuttavia, non vi è alcun obbligo di ricorrere a rimedi inadeguati o inefficaci (si veda Akdivar e altri, sopra citata, § 67, e Vučković e altri, sopra citata, § 73).
64.  Per quanto riguarda l'onere della prova, spetta al Governo che invoca il non esaurimento dimostrare alla Corte che il rimedio era effettivo, disponibile in teoria e in pratica all'epoca dei fatti. Una volta soddisfatto tale onere, spetta al richiedente dimostrare che il rimedio proposto dal Governo era effettivamente esaurito, o che era per qualche motivo inadeguato e inefficace nelle particolari circostanze del caso, o che esistevano circostanze speciali che lo esentavano da tale requisito (si vedano, tra le molte altre autorità, Akdivar e altri, sopra citata, § 68; Demopoulos e altri c. Turchia (dec.), § 68). Turchia (dec.) [GC], n. 46113/99 e altri 7, § 69, CEDU 2010; McFarlane c. Irlanda [GC], no. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010; e Vučković e altri, sopra citata, § 77).
65.  La Corte ribadisce inoltre la costante giurisprudenza delle istituzioni della Convenzione, secondo cui un ricorso a un'autorità superiore che non conferisce alla persona che lo propone un diritto personale all'esercizio da parte dello Stato dei suoi poteri di controllo non può essere considerato un ricorso effettivo ai fini dell'articolo 35 della Convenzione (si veda Gibas c. Polonia, n. 24559/94, decisione della Commissione del 6 settembre 1995, Decisioni e Relazioni 82, pp. 76 e 82; Horvat c. Croazia, no. 51585/99, § 47, CEDU 2001-VIII; Belevitskiy c. Russia, n. 72967/01, § 59, 1° marzo 2007, e Petrella c. Italia, n. 24340/07, §§ 28-29, 18 marzo 2021).
66.  Infine, la Corte ribadisce che un richiedente che ha esaurito un rimedio apparentemente efficace e sufficiente non può essere obbligato a tentare anche altri rimedi disponibili, ma probabilmente senza maggiori probabilità di successo (si vedano Aquilina c. Malta [GC], n. 25642/94, § 39, CEDU 1999-III, e Nada c. Svizzera [GC], n. 10593/08, § 142, CEDU 2012). A questo proposito, quando sono disponibili più rimedi, il richiedente non è obbligato a perseguirne più di uno e di norma spetta a lui scegliere quale (cfr. Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 58, CEDU 2009).

(ii) Applicazione dei principi di cui sopra al caso di specie

67.  Per quanto riguarda il rimedio suggerito dal Governo, ossia un ricorso presentato al prefetto, va notato che, ai sensi dell'articolo 6 del Decreto n. 1199/1971 (si veda il precedente paragrafo 23) il ricorso si considera respinto se, entro novanta giorni, l'autorità amministrativa superiore non risponde. Ai sensi della stessa disposizione, in caso di rigetto esplicito o implicito del ricorso a un'autorità amministrativa superiore, un individuo può presentare un ricorso al tribunale amministrativo territorialmente competente o un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
68.  Sebbene non vi sia motivo per la Corte di dubitare che, ai sensi della disposizione interna citata, un individuo possa impugnare il provvedimento dinanzi al TAR competente in caso di rigetto implicito o esplicito del ricorso presentato al prefetto, si deve notare che, in risposta all'obiezione del Governo, il ricorrente ha ribadito di aver presentato un ricorso diretto al TAR e che la decisione del Consiglio di Stato, che annullava la sentenza di primo grado, non era soggetta a ulteriore appello (si veda il paragrafo 61 supra). La Corte deve anche prendere atto del fatto che il Governo non ha contestato la risposta del ricorrente su questo punto.
69.  La Corte ritiene che il rimedio di cui il ricorrente si è avvalso fosse, almeno in teoria, efficace. Infatti, all'epoca in cui il ricorrente ha avviato il procedimento dinanzi al TAR, sia i tribunali amministrativi di primo grado che il Consiglio di Stato (si veda il paragrafo 37 supra) avevano accolto ricorsi simili a quelli sollevati dal ricorrente. Il Governo ha inoltre sostenuto che i tribunali amministrativi potevano effettuare un controllo sufficiente delle ammonizioni di polizia (si vedano le sentenze citate al paragrafo 41 supra), riconoscendo così che il ricorrente si era avvalso di un rimedio che era, almeno in teoria, efficace.
70.  Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che il ricorrente si è avvalso di uno dei rimedi disponibili nell'ordinamento giuridico interno e che tale rimedio era, nonostante il suo esito, effettivo. Di conseguenza, dato che non ci si può aspettare che il ricorrente persegua più di uno dei vari rimedi disponibili (si veda Toplak e Mrak c. Slovenia, nn. 34591/19 e 42545/19, § 99, 26 ottobre 2021), l'obiezione del Governo deve essere respinta.

Applicazione dell'articolo 8 e interferenze
(a) Le argomentazioni delle parti

71.  Il Governo ha sostenuto che l'ammonimento di polizia imposto al ricorrente non aveva conseguenze immediate sulla persona ammonita e non incideva sulla sua vita personale, in quanto si limitava ad ammonirlo a rispettare le leggi in vigore. Hanno inoltre sostenuto che il ricorrente non ha dimostrato che il provvedimento aveva inciso sulla sua vita familiare con la figlia, in quanto i suoi diritti di genitore non erano stati limitati, e non aveva inciso sulla sua vita professionale, in quanto il ricorrente era ancora iscritto all'Ordine degli avvocati. Alla luce di quanto sopra, il Governo ha ritenuto che l'ammonimento di polizia imposto in un procedimento di prevenzione dello stalking sia una "misura in bonam partem", favorevole alla persona ammonita, in quanto evita un'immediata azione penale. Infine, hanno sostenuto che l'ammonimento non ha avuto alcuna conseguenza sulla vita del ricorrente in generale. Secondo il Governo, l'ammonimento non era stato applicato, in quanto il ricorrente non era stato perseguito penalmente e, pertanto, i potenziali effetti dannosi di un ammonimento non gli erano stati applicati.
72.  Il ricorrente ha sostenuto che l'articolo 8 della Convenzione era applicabile e che vi era stata un'interferenza, in quanto la misura era in grado di incidere significativamente sulla sua vita privata, in particolare sulle sue relazioni sociali con gli amici condivise con la moglie, e sulla sua vita familiare, in particolare sulla possibilità di avere contatti con la figlia. Ha inoltre sostenuto che, in quanto avvocato praticante, avrebbe potuto incorrere in sanzioni disciplinari da parte dell'Ordine degli avvocati. Ha sottolineato che, alla luce dell'assenza di un termine per la misura e del modo in cui gli era stato notificato l'ammonimento (dalla divisione anticrimine della stazione di polizia locale), l'ammonimento aveva avuto un grave impatto sulla sua reputazione come individuo e come avvocato.

(b) La valutazione della Corte

(i) Principi generali

(α) Vita privata

73.  La Corte ribadisce che "vita privata" è un termine ampio non suscettibile di una definizione esaustiva (cfr. Sidabras e Džiautas c. Lituania, nn. 55480/00 e 59330/00, § 43, CEDU 2004-VIII). Riconosce inoltre che sarebbe troppo restrittivo limitare la nozione di "vita privata" a una "cerchia interna" in cui l'individuo può vivere la propria vita personale come desidera, escludendo così completamente il mondo esterno non compreso in tale cerchia (cfr. Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, Serie A n. 251-B).
74.  L'articolo 8 garantisce quindi il diritto alla "vita privata" in senso lato, compreso il diritto di condurre una "vita sociale privata", ossia la possibilità per l'individuo di sviluppare la propria identità sociale. A tal proposito, il diritto in questione sancisce la possibilità di avvicinarsi agli altri per stabilire e sviluppare relazioni con loro (si veda Bărbulescu c. Romania [GC], n. 61496/08, § 71, 5 settembre 2017). Pertanto, l'articolo 8 protegge, inoltre, un diritto allo sviluppo personale e il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani e con il mondo esterno (si veda Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, § 95, 25 settembre 2018).
75.  La Corte ha inoltre rilevato che la reputazione di una persona fa parte della sua identità personale e della sua integrità psicologica e pertanto rientra anch'essa nell'ambito della sua "vita privata" (si veda Pfeifer c. Austria, n. 12556/03, § 35, 15 novembre 2007). Affinché l'articolo 8 entri in gioco, l'attacco all'onore e alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità e in modo tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata (si veda A. c. Norvegia, n. 28070/06, § 64, 9 aprile 2009).

(β) Vita familiare

76.  La Corte ribadisce che dal concetto di famiglia su cui si basa l'articolo 8 deriva che il figlio nato dall'unione creata tra i coniugi da un matrimonio legittimo e autentico fa parte ipso jure di tale relazione; pertanto, dal momento della nascita del figlio e per il fatto stesso di essa, esiste tra lui e i suoi genitori un legame che equivale alla "vita familiare", anche se i genitori non vivono insieme (si veda Berrehab c. Paesi Bassi, 21 giugno 1988, § 21, Serie A n. 138). La convivenza non è una conditio sine qua non della "vita familiare" tra genitori e figli minori (cfr. Naltakyan c. Russia, n. 54366/08, § 151, 20 aprile 2021).

(ii) Applicazione dei principi di cui sopra al caso di specie

77.  La Corte ritiene che l'ammonimento della polizia emesso nell'ambito del procedimento di prevenzione dello stalking fosse in grado di pregiudicare la vita familiare e la vita sociale privata del ricorrente, nonché la sua reputazione.
78.  Innanzitutto, la Corte osserva che il ricorrente è stato ammonito a non ripetere il comportamento che aveva portato all'imposizione della misura, come l'invio di messaggi alla moglie, con cui il ricorrente condivideva l'affidamento della figlia, e le telefonate ad amici comuni. Pertanto, l'ammonimento è stato formulato in modo tale da limitare, almeno in linea di principio, la possibilità del ricorrente di avere contatti con la figlia e rapporti con gli amici (cfr. paragrafo 10 supra). In particolare, data la formulazione generale del verbale di diffida e la necessità di modulare attentamente il contenuto e la natura delle comunicazioni e dei contatti con la moglie per non violare gli obblighi derivanti dal provvedimento, il ricorrente avrebbe potuto subire limitazioni alla possibilità di organizzare visite con la figlia, di trascorrere del tempo con lei e, quindi, di esercitare le proprie responsabilità genitoriali, nell'interesse superiore della figlia e della necessità di garantire il suo diritto alla co-genitorialità. Di conseguenza, la Corte ritiene che la cautela sia stata in grado di incidere negativamente sul godimento della vita familiare e della vita sociale privata del ricorrente (si veda, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas c. Norvegia, n. 12148/03, § 33, 4 ottobre 2007).
79.  In secondo luogo, dato che la misura è stata adottata in relazione a comportamenti che rientrano nella definizione di "stalking", e dato che il testo dell'ammonimento della polizia nel caso di specie stabiliva che il ricorrente stava molestando e intimidendo la moglie, la Corte ritiene che la misura fosse in grado di avere un effetto stigmatizzante sul ricorrente e di incidere sulla sua reputazione (si veda, mutatis mutandis, Mikolajová v. Slovakia, no. 4479/03, § 57, 18 gennaio 2011, e Vicent Del Campo c. Spagna, n. 25527/13, § 40, 6 novembre 2018). In particolare, la Corte ritiene che il semplice fatto di essere convocati di persona da un'autorità di pubblica sicurezza, di essere informati che quest'ultima ritiene che il comportamento dell'individuo convocato rientri nella definizione di un reato grave come lo stalking e di essere invitati a "comportarsi in conformità con la legge", sia in grado di avere un forte impatto sulla reputazione di tale individuo. La Corte osserva inoltre che il Consiglio di Stato, pur confermando l'ammonimento imposto al ricorrente, ha riconosciuto che la misura produceva gravi effetti sulla sfera personale dell'individuo, in quanto comportava la possibilità di essere perseguiti per il reato di stalking anche in assenza di una denuncia penale presentata dalla vittima e l'applicazione automatica di una circostanza aggravante in caso di condanna (cfr. paragrafo 19 supra). Di conseguenza, e alla luce delle conclusioni dell'ulteriore giurisprudenza interna esaminata secondo cui l'ammonimento incide direttamente sugli interessi degli individui fin dal momento della sua adozione (si veda il paragrafo 37 supra), la Corte non è persuasa dall'argomento del Governo secondo cui l'ammonimento era una "misura in bonam partem", favorevole al suo destinatario.
80.  Alla luce di quanto sopra, e tenendo conto del contenuto degli obblighi imposti al ricorrente (si veda il paragrafo 10 supra), la Corte non può accettare l'argomentazione del Governo secondo cui l'imposizione della misura in questione non ha effettivamente avuto un impatto sul diritto del ricorrente alla vita privata e familiare, in quanto, come minimo, ha avuto un effetto di raffreddamento sull'esercizio di tali diritti (si veda, mutatis mutandis, Karastelev e Altri c. Russia, n. 16435/10, § 71, 6 ottobre 2020, e S.A.S. v. France [GC], no. 43835/11, §§ 57 e 110, CEDU 2014 (estratti)).
81.  Di conseguenza, la Corte conclude che i fatti alla base delle doglianze del ricorrente rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 8 della Convenzione, sia nella parte relativa alla vita familiare che in quella relativa alla vita privata, che è quindi applicabile alla questione in esame, e che vi è stata un'ingerenza nei diritti del ricorrente garantiti da tale disposizione.

Conclusione generale sulla ricevibilità

82.  La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per altri motivi elencati nell'articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

Il merito
Le osservazioni delle parti

83.  Il ricorrente ha sostenuto che la base giuridica del provvedimento non era compatibile con i requisiti di qualità della legge ai sensi della Convenzione, in quanto l'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 non gli aveva permesso di comprendere quali comportamenti avrebbero portato all'emissione dell'ammonimento e quali obblighi gli erano stati imposti in seguito all'emissione dello stesso. Ha inoltre osservato che gli sviluppi giurisprudenziali invocati dal Governo per dimostrare il chiarimento giurisprudenziale della disposizione nazionale applicabile non erano rilevanti ai fini del caso in esame. Secondo il ricorrente, una misura che rimaneva in vigore per un periodo di tempo indefinito senza alcuna possibilità di ottenerne la revoca era incompatibile con i principi sanciti dalla Convenzione.
84.  Inoltre, il ricorrente ha sostenuto che non vi erano ragioni pertinenti e sufficienti per giustificare la misura, in quanto era stata adottata senza fare riferimento alle prove disponibili e nonostante i risultati delle indagini condotte dalla polizia. Ha inoltre sostenuto che non gli era stato consentito di tutelare sufficientemente i propri interessi in conformità al principio del contraddittorio, in quanto non gli era stato notificato l'avvio del procedimento amministrativo, e le autorità giudiziarie competenti non avevano effettuato un esame sufficiente delle ragioni di urgenza che giustificavano tale eccezione, né valutato se la misura fosse giustificata nelle circostanze concrete del caso.
85.  Il Governo ha sostenuto che la misura era stata sia conforme alla legge che necessaria in una società democratica.
86.  Secondo loro, l'articolo 8 del Decreto Legge n. 11 del 2009 era accessibile e sufficientemente chiaro, in quanto specificava le condizioni in cui la misura poteva essere adottata e gli obblighi imposti alla persona ammonita. In particolare, hanno osservato che nella sentenza n. 4077 del 25 giugno 2020, il Consiglio di Stato aveva chiarito che l'ammonimento poteva essere emesso quando si era verificato il comportamento vietato dall'articolo 612-bis del Codice penale. Hanno aggiunto che il comportamento vietato dall'articolo 612-bis era chiaro e prevedibile, come specificato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 172 dell'11 giugno 2014, e che gli obblighi imposti alla persona ammonita erano sufficientemente chiari e prevedibili, in quanto si limitavano a ribadire l'obbligo di non commettere il reato di stalking (cfr. sentenza n. 17350 del 19 agosto 2020 della Corte di Cassazione).
87.  Per quanto riguarda la necessità della misura, il Governo ha sostenuto che, sebbene il ricorrente non avesse preso parte al procedimento amministrativo dinanzi al questore, avrebbe potuto chiedere a quest'ultimo di condurre un riesame della misura o avrebbe potuto presentare un ricorso presso un'autorità amministrativa superiore, che avrebbe consentito un riesame completo della misura. Hanno inoltre osservato che, nel caso in cui tale ricorso fosse stato respinto, il ricorrente avrebbe potuto presentare un'impugnazione dinanzi al tribunale amministrativo competente. Secondo il Governo, il riesame effettuato dai tribunali amministrativi era pienamente conforme ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte.
88.  Hanno inoltre sostenuto che la mancata notifica al ricorrente dell'avvio del procedimento di prevenzione dello stalking era stata giustificata dall'estrema urgenza della situazione.
89.  Infine, il Governo ha sostenuto che, dato il suo obiettivo, ossia la prevenzione del crimine e la tutela della salute della moglie del ricorrente, la misura era proporzionata. Hanno ammesso che la misura non aveva un termine, ma a loro avviso il ricorrente non aveva subito alcun pregiudizio per questo motivo. Hanno inoltre ammesso che il quadro giuridico applicabile non conferiva al richiedente il diritto di ottenere un riesame e la revoca della misura, in quanto il potere di riesame delle autorità amministrative era del tutto discrezionale, ma non sono d'accordo sul fatto che siano sorte conseguenze dannose per la persona ammonita. Hanno inoltre osservato che, secondo alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali, il diritto di ottenere il riesame o la revoca della misura ha iniziato a essere riconosciuto (TAR Sicilia, Seconda Sezione, sentenza n. 508 del 20 febbraio 2019).

La valutazione della Corte
(a) Principi generali

90.  La Corte ribadisce che l'oggetto essenziale dell'articolo 8 è la protezione dell'individuo contro l'azione arbitraria delle autorità pubbliche (si veda, ad esempio, Jansen c. Norvegia, no. 2822/16, § 88, 6 settembre 2018) e che un'ingerenza nel diritto alla vita privata e familiare di un richiedente darà luogo a una violazione dell'articolo 8 della Convenzione, a meno che non possa essere giustificata ai sensi del suo paragrafo 2 in quanto "conforme alla legge", perseguendo uno o più degli scopi legittimi ivi elencati, ed essendo "necessaria in una società democratica" per raggiungere lo scopo o gli scopi in questione (si veda Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], no. 25358/12, § 167, 24 gennaio 2017).

(i) Base giuridica

91.  Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, l'espressione "conforme alla legge" non solo richiede che la misura impugnata abbia una qualche base nel diritto interno, ma si riferisce anche alla qualità della legge in questione, richiedendo che sia accessibile agli interessati, prevedibile nei suoi effetti e compatibile con lo Stato di diritto (si veda De Tommaso c. Italia [GC], no. 43395/09, § 107, 23 febbraio 2017, e Brazzi c. Italia, no. 57278/11, § 39, 27 settembre 2018). La Corte sottolinea inoltre che il concetto di "diritto" deve essere inteso nel suo senso "sostanziale" e non "formale". Esso comprende pertanto tutto ciò che va a costituire la legge scritta, comprese le decisioni giudiziarie che interpretano la legge (si veda Cumhuriyet Halk Partisi c. Turchia, n. 19920/13, § 93, 26 aprile 2016).
92.  L'espressione implica quindi che il diritto interno deve essere sufficientemente prevedibile nei suoi termini per fornire agli individui un'indicazione adeguata sulle circostanze e sulle condizioni in cui le autorità sono autorizzate a ricorrere a misure che incidono sui loro diritti ai sensi della Convenzione (si veda Fernández Martínez c. Spagna [GC], no. 56030/07, § 117, CEDU 2014 (estratti)), sebbene non ci si debba aspettare una certezza assoluta (si veda Slivenko c. Lettonia [GC], no. 48321/99, § 107, CEDU 2003-X).
93.  Affinché il diritto interno soddisfi tali requisiti, deve anche offrire una misura di protezione giuridica contro le interferenze arbitrarie delle autorità pubbliche con i diritti tutelati dalla Convenzione. In materia di diritti fondamentali, sarebbe contrario allo Stato di diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica sanciti dalla Convenzione, che una discrezionalità giuridica concessa all'esecutivo fosse espressa in termini di potere illimitato. Di conseguenza, la legge deve indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale discrezionalità conferita alle autorità competenti e le modalità del suo esercizio (si veda Ivashchenko c. Russia, n. 61064/10, § 73, 13 febbraio 2018, e i casi ivi citati).
94.  Le garanzie procedurali a disposizione dell'individuo saranno particolarmente rilevanti nel determinare se lo Stato convenuto, nel fissare il quadro normativo, sia rimasto entro il suo margine di apprezzamento. In particolare, la Corte deve esaminare se il processo decisionale che ha portato alle misure di ingerenza sia stato equo e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall'articolo 8 (si veda Connors c. Regno Unito, n. 66746/01, § 83, 27 maggio 2004). Ciò che è richiesto a titolo di salvaguardia dipenderà, almeno in una certa misura, dalla natura e dalla portata dell'ingerenza in questione (si veda Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, § 170, CEDU 2013).
95.  In vari contesti dell'articolo 8 della Convenzione, la Corte ha sottolineato che i concetti di legittimità e di Stato di diritto in una società democratica richiedono anche che le misure che incidono sui diritti umani debbano essere sottoposte a una qualche forma di contraddittorio davanti a un organo indipendente competente a riesaminare tempestivamente le ragioni della decisione e le relative prove (si veda Ivashchenko, sopra citata, § 74, e i casi ivi citati). Un tribunale nazionale non sarebbe in grado di fornire ragioni "pertinenti e sufficienti" per l'interferenza senza una forma di procedimento in contraddittorio in cui le argomentazioni avanzate dall'autorità nazionale possano essere soppesate rispetto a quelle della parte interessata (si veda, mutatis mutandis, Taganrog LRO e altri c. Russia, n. 32401/10 e altri 19, § 203, 7 giugno 2022).

(ii) Scopo legittimo e necessità in una società democratica

96.  Nel determinare se le misure impugnate fossero "necessarie in una società democratica", la Corte deve valutare se, alla luce del caso nel suo complesso, le ragioni addotte per giustificarle fossero pertinenti e sufficienti (si veda Pişkin c. Turchia, n. 33399/18, § 212, 15 dicembre 2020). La nozione di necessità implica inoltre che l'ingerenza corrisponda a un bisogno sociale pressante e, in particolare, che sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito (si veda Tortladze v. Georgia, n. 42371/08, § 58, 18 marzo 2021). Si deve tenere conto del giusto equilibrio che deve essere raggiunto tra gli interessi concorrenti dell'individuo e della comunità nel suo complesso, essendo gli obiettivi di cui al secondo paragrafo dell'articolo 8 di una certa rilevanza (si veda Polat c. Austria, no. 12886/16, § 106, 20 luglio 2021).
97.  Sebbene spetti alle autorità nazionali effettuare la valutazione iniziale della necessità, la valutazione finale circa la pertinenza e la sufficienza dei motivi addotti per l'ingerenza rimane soggetta al controllo della Corte per verificare la conformità con i requisiti della Convenzione (si veda Ghailan e altri c. Spagna, no. 36366/14, § 62, 23 marzo 2021, e Naumenko e SIA Rix Shipping c. Lettonia, no. 50805/14, § 50, 23 giugno 2022).
98.  La Corte ribadisce inoltre che, sebbene l'articolo 8 non contenga requisiti procedurali espliciti, la Corte non può valutare in modo soddisfacente se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificare le loro decisioni fossero "sufficienti" ai fini dell'articolo 8 § 2 senza allo stesso tempo determinare se il processo decisionale, visto nel suo complesso, abbia fornito al ricorrente la necessaria tutela dei suoi interessi, come salvaguardato da tale articolo (si veda Lazoriva c. Ucraina, n. 6878/14, §§ 62-63, 17 aprile 2018, e Fernández Martínez, sopra citata, § 147).
(b) Applicazione dei suddetti principi al caso di specie

(i) Conformità della misura alla legge

99.  Nel caso di specie, è opinione comune tra le parti che l'ammonimento della polizia avesse una base nel diritto nazionale, ossia l'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009, e che quest'ultimo fosse accessibile. Tuttavia, il ricorrente ha sostenuto che tale disposizione non gli consentiva di prevedere quali comportamenti avrebbero portato all'imposizione della misura, che gli obblighi impostigli erano poco chiari ed estremamente ampi, che non era stato in grado di tutelare i propri interessi, in quanto non gli era stato consentito di partecipare al procedimento amministrativo dinanzi al questore, e che il Consiglio di Stato non aveva sufficientemente controllato la legittimità della misura, che inoltre era rimasta in vigore per un periodo di tempo indefinito e rispetto alla quale il quadro giuridico applicabile non prevedeva alcun diritto di ottenere un riesame o una revoca.
100.  La Corte osserva che la base giuridica della misura nei confronti del ricorrente era la classificazione delle sue azioni come "potenzialmente" costituenti il reato di stalking e il rischio di reiterazione di tali azioni, e che la misura adottata aveva lo scopo dichiarato di prevenire la commissione di tale reato (si vedano i paragrafi 27-28). Di conseguenza, per quanto riguarda la base giuridica, il caso in esame solleva tre diverse questioni: (i) se il diritto interno abbia delimitato sufficientemente l'ambito di discrezionalità conferito al questore nell'adozione del provvedimento; (ii) se gli obblighi imposti al ricorrente a causa dell'ammonimento siano stati formulati con sufficiente precisione per consentirgli di regolare il suo comportamento futuro; e (iii) se la legge italiana offra una misura di protezione giuridica contro le interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche nel diritto alla vita privata e familiare del ricorrente.

(α) Se l'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009 abbia sufficientemente delimitato il potere discrezionale conferito al questore.

101.  La Corte deve innanzitutto valutare se la base giuridica abbia determinato le condizioni alle quali il questore era autorizzato a imporre la cautela. A questo proposito, la Corte ribadisce che la portata del concetto di prevedibilità dipende in misura considerevole dal contenuto dello strumento in questione, dall'ambito che è destinato a coprire e dal numero e dallo status dei destinatari (cfr. Georgouleas e Nestoras c. Grecia, nn. 44612/13 e 45831/13, § 65, 28 maggio 2020, e Milanković c. Croazia, n. 33351/20, § 62, 28 maggio 2020). 33351/20, § 62, 20 gennaio 2022).
102.  Alla luce di quanto sopra, la Corte osserva che l'ammonimento di polizia, emesso nei procedimenti di prevenzione dello stalking, è stato introdotto dal Decreto Legge n. 11/2009, che mirava a combattere la violenza sessuale e il reato di stalking. Mentre l'articolo 7 di tale decreto legge ha introdotto il reato di stalking nell'ordinamento giuridico italiano, l'articolo 8 stabilisce, al primo comma, che fino alla presentazione della denuncia penale per il reato di stalking prevista dall'articolo 612-bis del Codice penale, la presunta vittima può denunciare i fatti al questore. Ai sensi del secondo comma della disposizione, l'ammonimento di polizia può essere emesso, a condizione che il questore abbia ottenuto, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e abbia sentito le persone a conoscenza dei fatti, e che ritenga che la richiesta sia fondata (si veda il paragrafo 26 sopra). Pertanto, l'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 si riferiva chiaramente all'articolo 7 del decreto stesso. Di conseguenza, la Corte osserva che le autorità nazionali interpretano la disposizione applicabile nel senso che può essere avviato un procedimento di prevenzione dello stalking e può essere emesso un ammonimento in relazione a quei comportamenti che rientrano nella definizione del reato di stalking previsto dall'articolo 612-bis del Codice penale (cfr. paragrafo 30 supra).
103.  Poiché il ricorrente non ha contestato in quanto tale la chiarezza e la prevedibilità dell'articolo 612-bis del Codice penale, né ha fornito alcun elemento in grado di sollevare dubbi in tal senso (si veda, a questo proposito, la sentenza n. 172 dell'11 giugno 2014 della Corte Costituzionale, citata al paragrafo 29 supra), la Corte conclude che il testo dell'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009, considerato nel suo contesto e alla luce del suo scopo, è stato formulato con un grado di chiarezza sufficiente a delimitare l'ambito di discrezionalità conferito al questore e, quindi, a prevenire l'arbitrarietà.
104.  La Corte osserva inoltre che tale conclusione è stata coerentemente convalidata dalla successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato (si veda il paragrafo 28 supra) e della Corte di Cassazione (si veda il paragrafo 33 supra), che hanno individuato i presupposti per l'applicazione della misura facendo riferimento, nel testo dell'articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009, al reato di stalking. La giurisprudenza ha chiarito che la differenza tra l'azione penale nei confronti di un presunto stalker e l'imposizione di un ammonimento di polizia risiede, da un punto di vista procedurale, nella presentazione di una denuncia penale da parte della vittima e nel diverso onere della prova applicato. Per emettere un ammonimento non è necessaria la prova definitiva della commissione del reato, ma è necessaria l'esistenza di seri motivi per ritenere, sulla base di elementi indiziari caratterizzati da un adeguato grado di attendibilità, che il comportamento vietato dall'articolo 612-bis del Codice Penale sia stato posto in essere e possa ripetersi in futuro (si veda il precedente paragrafo 30).

(β) Se l'ammonimento è stato formulato con sufficiente precisione per consentire al richiedente di regolare il suo comportamento futuro.

105.  La Corte valuterà poi se gli obblighi imposti al ricorrente a causa dell'ammonimento della polizia fossero sufficientemente chiari da consentirgli di regolare il suo comportamento futuro. A questo proposito, la Corte osserva che gli obblighi imposti al ricorrente potevano sembrare formulati in termini molto generali e il loro contenuto vago e indeterminato. In particolare, il provvedimento intimava al ricorrente "di comportarsi in modo conforme alla legge" e di non ripetere il comportamento che aveva portato all'imposizione del provvedimento (cfr. paragrafo 11 supra).
106.  Tuttavia, la Corte non può concludere che l'espressione "comportarsi secondo la legge" nel caso di specie fosse un riferimento aperto all'intero ordinamento giuridico italiano che non forniva ulteriori chiarimenti sulle norme specifiche la cui inosservanza avrebbe comportato l'applicazione delle conseguenze giuridiche dell'inosservanza dell'ammonimento di polizia (contrasto De Tommaso, sopra citato, § 122).
107.  Poiché l'ammonimento era espressamente finalizzato a prevenire la commissione del reato di stalking (si veda il paragrafo 27 supra), la Corte ritiene che il ricorrente potesse prevedere quali fossero i comportamenti vietati, ossia quelli sanzionati dall'articolo 612-bis del Codice penale. Inoltre, come già osservato, il ricorrente è stato ammonito a non ripetere il comportamento che aveva portato all'adozione della misura che, secondo il testo dell'ammonimento, comprendeva una serie di comportamenti assunti "con un atteggiamento potenzialmente minaccioso, volto a controllare con toni insistenti, ossessivi e intimidatori i movimenti [della moglie] e, più in generale, la sua abituale vita quotidiana", in grado di provocare "nella persona che ha richiesto l'ammonimento un perdurante e grave stato di ansia, paura e preoccupazione per la sua incolumità personale" (cfr. paragrafo 11 supra).
108.  La Corte ritiene quindi che, sulla base del testo dell'ammonimento, il ricorrente sapeva o avrebbe dovuto sapere che il comportamento proibito dalla misura corrispondeva al reato di stalking e, in particolare, ad atti di "minaccia e molestia" ripetuti in modo tale da causare alla moglie un persistente e grave stato di ansia, paura e preoccupazione per la sua sicurezza personale.
109.  La Corte riconosce inoltre che la giurisprudenza successiva, in particolare la sentenza n. 17350 del 19 agosto 2020 della Corte di Cassazione, ha confermato che l'espressione "tenere una condotta conforme alla legge" doveva essere intesa come un riferimento ai comportamenti sanzionati dall'articolo 612-bis del Codice penale (cfr. paragrafi 33-35 supra).

(γ) Se il quadro giuridico applicabile fornisse sufficienti garanzie contro l'arbitrio

110.  La Corte ribadisce che l'esistenza di sufficienti garanzie procedurali deve essere valutata tenendo conto, in una certa misura e almeno tra gli altri fattori, della natura e della portata dell'ingerenza in questione (si vedano Ivashchenko, sopra citata, § 74, e Oleksandr Volkov, sopra citata, § 170).
111.  Tenuto conto delle doglianze del ricorrente, la Corte valuterà se il quadro giuridico applicabile abbia permesso al ricorrente di essere coinvolto nel processo decisionale, visto nel suo complesso, in misura sufficiente a fornirgli la necessaria tutela dei suoi interessi (si veda, mutatis mutandis, Maslák c. Slovacchia (n. 2), no. 38321/17, § 159, 31 marzo 2022), se la misura fosse suscettibile di un sufficiente controllo giurisdizionale (si vedano, mutatis mutandis, Pişkin, sopra citata, § 209, e Karastelev e altri, sopra citata, §§ 94-97, e le cause ivi citate), e se la base giuridica regolasse la durata della misura (si veda, mutatis mutandis, Enea v. Italia [GC], n. 74912/01, § 143, CEDU 2009, e Falzarano c. Italia (dec.), n. 73357/14, § 19, 15 giugno 2021).
112.  Per quanto riguarda i diritti di partecipazione dell'individuo, la Corte ribadisce che il diritto al contraddittorio appare sempre più come una norma procedurale di base negli Stati democratici, al di sopra e al di là delle procedure giudiziarie, come dimostra, tra l'altro, l'articolo 41 § 2 (a) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in relazione alle singole decisioni prese da istituzioni, organi e organismi dell'Unione europea (si veda Karácsony e altri c. Ungheria [GC], nn. 42461/13 e 44357/13, § 156, 17 maggio 2016, e il precedente paragrafo 53). Osserva inoltre che l'importanza del diritto di essere ascoltati nelle procedure amministrative che incidono negativamente sugli interessi degli individui è stata sottolineata dal Comitato dei Ministri nella Risoluzione 77 (31) sulla protezione dell'individuo in relazione agli atti delle autorità amministrative (si veda il paragrafo 46 supra), e nella Raccomandazione CM/Rec(2007)7 sulla buona amministrazione (si veda il paragrafo 51 supra).
113.  La Corte osserva che la Risoluzione 77 (31) stabilisce che il diritto di essere ascoltati può essere modificato o escluso al fine di proteggere il principio di buona ed efficiente amministrazione, nonché gli interessi di terzi (si veda il paragrafo 47 supra). Da parte sua, l'articolo 8 dell'Appendice alla Raccomandazione CM/Rec(2007)7 stabilisce che i privati devono avere la possibilità di partecipare alla preparazione e all'attuazione delle decisioni amministrative che incidono sui loro diritti o interessi "a meno che non sia necessario agire con urgenza" (cfr. paragrafo 50 sopra). L'articolo 14 dell'Appendice aggiunge che, se il privato non è stato coinvolto nella procedura, il diritto di essere ascoltato deve essere garantito entro un termine ragionevole (si veda il paragrafo 51 sopra).
114.  La Corte ritiene pertanto che le modalità di attuazione del diritto al contraddittorio debbano essere adeguate alle caratteristiche intrinseche e alle finalità del procedimento in questione e della misura da adottare. Nel caso di specie, la misura in questione era volta a prevenire la reiterazione di comportamenti che costituiscono il reato di stalking e, pertanto, rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 53 della Convenzione di Istanbul, relativo agli "ordini restrittivi o di protezione" nel contesto della violenza domestica, il cui secondo paragrafo stabilisce che tali misure sono "ove necessario, [da] emettere ex parte con effetto immediato" (cfr. paragrafo 55 supra). A questo proposito, la Corte osserva che il paragrafo 272 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul chiarisce che, ai sensi di tale disposizione, "in determinati casi" e "ove necessario" tali misure devono essere emesse su richiesta di una sola parte, con effetto immediato ma temporaneo. Pertanto, la Convenzione di Istanbul, pur prevedendo la possibilità di adottare tali misure senza aver preventivamente sentito il loro destinatario, riconosce che tale possibilità deve essere fondata sulla necessità dimostrata dalle circostanze del caso specifico.
115.  Per quanto riguarda il quadro giuridico nazionale in questione nel caso di specie, la Corte osserva che, secondo la giurisprudenza nazionale pertinente, il diritto di essere ascoltati trova il suo fondamento nell'articolo 7(1) della Legge n. 241/1990, che sancisce un diritto generale dei singoli interessati a ricevere la comunicazione dell'avvio di un procedimento amministrativo; ai sensi della stessa disposizione, tale diritto può essere derogato in presenza di "specifiche ragioni di accelerazione del procedimento" (si veda il precedente paragrafo 24). Inoltre, l'articolo 8, comma 2, del decreto legge n. 11/2009, che disciplina il procedimento di prevenzione dello stalking, prevede espressamente che il questore, prima di emettere l'ammonimento, debba sentire le persone a conoscenza dei fatti (cfr. paragrafo 26 supra). La Corte osserva inoltre che sin dai primi casi in cui la misura in questione è stata sottoposta al controllo giurisdizionale dei tribunali amministrativi di primo grado e del Consiglio di Stato (si vedano le sentenze citate al paragrafo 37 supra), è stato chiarito che l'ammonimento è una misura amministrativa che, in quanto tale, è soggetta al rispetto dei diritti di partecipazione sanciti dalla legge n. 241/1990, vale a dire il diritto di essere sentiti prima dell'adozione del provvedimento, salvo i casi di eccezionale urgenza, che devono essere debitamente dimostrati e motivati. Infine, la Corte osserva che tale interpretazione è attualmente seguita dalla maggior parte della giurisprudenza disponibile, che ha ulteriormente chiarito che le ragioni di eccezionale urgenza che giustificano una deroga al diritto al contraddittorio sono soggette al controllo giurisdizionale dei tribunali amministrativi competenti (cfr. paragrafo 39 supra).
116.  La Corte ritiene che il quadro giuridico nazionale, così come interpretato dai tribunali nazionali, garantisca un giusto equilibrio tra gli interessi in competizione, in quanto assicura il raggiungimento dell'obiettivo di tutela perseguito dalla misura, senza invadere indebitamente la possibilità per l'individuo interessato di tutelare sufficientemente i propri interessi. Infatti, pur ribadendo l'importanza del diritto al contraddittorio (si vedano i paragrafi 112-13), la Corte osserva che nei procedimenti di prevenzione dello stalking oggetto del presente caso l'efficacia della cautela, ossia il raggiungimento dell'obiettivo di tutelare il diritto all'integrità fisica e psicologica dell'individuo che chiede l'adozione della misura, dipende spesso da un processo decisionale rapido (si veda, mutatis mutandis, Cumhuriyet Vakfı e altri c. Turchia, n. 2825/07). Turchia, n. 28255/07, § 71, 8 ottobre 2013, e Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 86, CEDU 2009). La Corte ammette quindi che in casi di urgenza, debitamente indicati nella motivazione del verbale di cautela e sottoposti al controllo giurisdizionale dei tribunali amministrativi competenti, il questore può decidere che il diritto al contraddittorio può essere derogato (si vedano, mutatis mutandis, Tortladze, sopra citata, § 66, e Kuzminas c. Russia, n. 69810/11, § 24, 21 dicembre 2021).
117.  Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il quadro giuridico interno abbia consentito alla persona interessata dal provvedimento di essere coinvolta nel processo decisionale in una misura che, alla luce della natura e dell'entità dell'ingerenza in questione e del suo scopo, è sufficiente a fornirle la necessaria protezione dei suoi interessi.
118.  Per quanto riguarda l'esistenza di un effettivo controllo giurisdizionale, la Corte osserva che il questore è tenuto a indicare, nel verbale di cautela, le ragioni di fatto e di diritto che giustificano la misura (si veda il paragrafo 32 supra). Dopo aver esaminato attentamente la giurisprudenza in materia fornita dal Governo (cfr. paragrafo 41 supra), la Corte è convinta che i tribunali amministrativi competenti abbiano il potere di esercitare un controllo giurisdizionale sufficiente su tali ragioni. Essi possono, in particolare, valutare se l'autorità di polizia abbia svolto indagini sufficienti, se l'accertamento dei fatti sia compatibile con le indagini svolte e se, di conseguenza, esse portino a concludere che la richiesta della presunta vittima sia fondata. Poiché i tribunali amministrativi sono competenti a riesaminare le ragioni del provvedimento come indicato nei verbali di ammonimento e le relative prove, la Corte è convinta che tale valutazione equivalga a un controllo giurisdizionale sufficiente, ai sensi della sua giurisprudenza.
119.  Per quanto riguarda il termine della misura, la Corte osserva che il Governo ha ammesso (si veda il paragrafo 89 supra) che la misura rimane in vigore per un periodo di tempo indefinito e che l'individuo non ha il diritto di ottenere un riesame periodico o una nuova valutazione della misura che porti alla sua revoca, che potrebbe essere discrezionalmente concessa dall'autorità amministrativa che l'ha adottata (si veda il paragrafo 42 supra). Mentre il Governo ha fornito una decisione nazionale di primo grado in cui si è ritenuto che l'individuo avesse il diritto di ottenere il riesame e la revoca di una misura simile a quella oggetto del presente caso (si veda il paragrafo 44 supra), in altri casi i tribunali amministrativi nazionali hanno ritenuto che l'ammonimento di polizia oggetto del presente caso fosse una misura "istantanea" non soggetta a riesame o revoca (si veda il paragrafo 43 supra). La Corte osserva quindi che, almeno quando si sono verificati i fatti che hanno portato al presente ricorso, alcune garanzie contro l'arbitrarietà non erano disponibili nel quadro giuridico applicabile, e che allo stato attuale è quantomeno dubbio che sia possibile ottenere il riesame o la revoca del provvedimento.
120.  La Corte ritiene che il fatto che un quadro giuridico nazionale non preveda un termine per gli effetti delle misure che incidono sui diritti tutelati dalla Convenzione, o il diritto di ottenere un riesame o una revoca delle stesse qualora non siano più giustificate, sia problematico dal punto di vista delle garanzie contro l'arbitrarietà imposte dal principio di legalità. L'articolo 53 § 2 della Convenzione di Istanbul stabilisce che gli ordini restrittivi o di protezione nei casi di violenza domestica devono essere "emessi per un periodo determinato o fino a quando non siano modificati o revocati" (si veda il paragrafo 55 sopra), e il paragrafo 271 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul chiarisce che ciò è imposto dal principio della certezza del diritto (si veda il paragrafo 56 sopra). Tuttavia, tenuto conto delle conclusioni della Corte in merito alla necessità e alla proporzionalità della misura nelle circostanze specifiche del caso di specie (si veda il successivo paragrafo 144), non è necessario valutare se questo fattore, da solo, porti a concludere che l'ingerenza in questione non fosse "conforme alla legge", ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Inoltre, la Corte ribadisce che, in ogni caso, l'elemento di incertezza dello statuto e il considerevole margine di manovra concesso alle autorità da questo punto di vista sono considerazioni materiali da prendere in considerazione per determinare se la misura denunciata abbia raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi in competizione (si veda, mutatis mutandis, Beyeler c. Italia [GC], no. 33202/96, §§ 109-10, CEDU 2000-I, Alentseva c. Russia, no. 31788/06, § 65, 17 novembre 2016, e, mutatis mutandis, Béla Németh c. Ungheria, n. 73303/14, § 40, 17 dicembre 2020, e Zelenchuk e Tsytsyura c. Ucraina, nn. 846/16 e 1075/16, § 106, 22 maggio 2018, e il successivo paragrafo 134).
121.  Di conseguenza, la Corte proseguirà la sua valutazione sul presupposto che la misura fosse "conforme alla legge" ai fini dell'articolo 8 § 2 della Convenzione.

(ii) Se la misura perseguisse una finalità legittima

122.  Le parti non hanno contestato che l'ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e familiare perseguisse diverse finalità legittime ai fini dell'articolo 8 § 2 della Convenzione, vale a dire la prevenzione del disordine e della criminalità e la tutela della salute, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui (si veda M.S. c. Italia, n. 32715/19, § 121, 7 luglio 2022).
123.  La Corte osserva inoltre che, al fine di soddisfare le finalità legittime sopra menzionate, l'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, e che il rispetto degli obblighi ivi stabiliti è, tra l'altro, l'obiettivo della misura in questione (si veda il precedente paragrafo 55).

(iii) Se la misura sia necessaria in una società democratica e proporzionata.

124.  In questo contesto, tenendo conto delle doglianze del ricorrente, la Corte esaminerà se (i) il ricorrente sia stato coinvolto nel processo decisionale in misura sufficiente a fornirgli la necessaria tutela dei suoi interessi (cfr. Lazoriva, sopra citata, §§ 62-63), (ii) le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificare la misura fossero pertinenti e sufficienti (cfr. Pişkin, sopra citata, § 212), e (iii) se la misura sia stata sottoposta a un sufficiente controllo giurisdizionale (cfr. Fernández Martínez, sopra citata, § 147).

(α) Se il richiedente sia stato sufficientemente coinvolto nel processo decisionale che ha portato all'imposizione del provvedimento

125.  La Corte ribadisce che il diritto al contraddittorio è un'importante garanzia procedurale che deve essere attuata in conformità alla natura e allo scopo della misura da adottare (si vedano i paragrafi 112-13 supra) che, nel caso di specie, è prevenire la reiterazione di comportamenti di stalking, in conformità agli obblighi sanciti dalla Convenzione di Istanbul (si vedano i paragrafi 55-56 e 115 supra). Di conseguenza, la Corte ribadisce che nei casi che sollevano questioni di violenza domestica gli Stati hanno l'obbligo positivo, ai sensi degli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione, di adottare misure operative preventive per proteggere le vittime, o le potenziali vittime, da rischi reali e immediati per la loro vita e da violazioni della loro integrità fisica e psicologica (si vedano, tra le tante, Kurt c. Austria [GC], n. 62903/15, §§ 177-89, 15 giugno 2021, Volodina c. Russia (n. 2), no. 40419/19, §§ 47-49, 14 settembre 2021, Malagić c. Croazia, n. 29417/17, § 57, 17 novembre 2022).
126.  In questi casi, la Corte ha sottolineato che la decisione delle autorità in merito alle misure operative da adottare richiederà inevitabilmente, sia a livello di politica generale sia a livello individuale, un'attenta ponderazione dei diritti concorrenti in gioco e di altri vincoli pertinenti. La Corte ha sottolineato, nei casi di violenza domestica, la necessità imperativa di proteggere i diritti umani delle vittime alla vita e all'integrità fisica e psicologica. Allo stesso tempo, è necessario garantire che la polizia eserciti i suoi poteri di controllo e prevenzione del crimine nel pieno rispetto del giusto processo e delle altre garanzie che legittimamente pongono limiti alla portata delle sue azioni, comprese le garanzie contenute, per quanto rilevante ai fini del presente caso, nell'articolo 8 della Convenzione (cfr. Kurt, sopra citato, § 182).
127.  La Corte deve inoltre tenere conto del fatto che la cautela è immediatamente esecutiva e che l'impugnazione della stessa dinanzi ai competenti tribunali amministrativi non ne comporta la sospensione automatica (contrasto, mutatis mutandis, Dyagilev c. Russia, no. 49972/16, § 77, 10 marzo 2020).
128.  Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente non è stato ascoltato dal questore prima dell'emissione dell'ammonimento (si veda il paragrafo 9 supra). Di conseguenza, non gli è stata data la possibilità di presentare argomenti a sostegno della sua posizione. L'ammonimento è stato invece concesso sulla base delle argomentazioni e delle prove presentate dalla sola persona che ha presentato la richiesta di ammonimento. A questo proposito, la Corte ribadisce che, secondo la sua giurisprudenza, dopo aver ricevuto una denuncia di violenza domestica le autorità hanno il dovere di condurre una valutazione "autonoma" e "proattiva" del rischio (si veda Kurt, sopra citato, § 169), e ritiene che una decisione sulle misure da adottare debba prendere in considerazione l'insieme degli elementi di prova a disposizione delle autorità.
129.  La Corte osserva inoltre che il verbale dell'ammonimento, così come emesso dal questore, non esponeva le circostanze pressanti che avrebbero reso necessaria una misura urgente. Il verbale si limitava a stabilire che esisteva una "necessità e urgenza" di prevenire ulteriori comportamenti di stalking nei confronti della moglie del ricorrente (cfr. paragrafo 10 supra). Il TAR ha annullato il provvedimento per questo motivo (cfr. paragrafi 14-15). Il Consiglio di Stato ha invece annullato la sentenza di primo grado sul presupposto che l'ammonimento, essendo una misura preventiva, fosse di per sé caratterizzato dalla necessità di intervenire con urgenza per evitare gravi conseguenze irreparabili per la persona vittima di stalking e che, di conseguenza, il questore non dovesse addurre alcuna motivazione (cfr. paragrafi 19-20). Di conseguenza, non si può affermare che il questore abbia effettuato un esame indipendente per verificare se vi fosse un rischio imminente per la sicurezza della moglie del ricorrente o altre ragioni che giustificassero la mancata audizione del ricorrente. Ne consegue che non è stata fornita alcuna giustificazione, né dal questore né dai giudici amministrativi, per la deroga al diritto del ricorrente di essere ascoltato nel procedimento amministrativo dinanzi al questore.
130.  La Corte osserva che il Governo ha fornito alcune motivazioni nel presente procedimento. Essi hanno sostenuto che tali ragioni esistevano nelle circostanze specifiche del caso, come dimostrato dal fatto che l'ammonimento è stato emesso due settimane dopo che la richiesta era stata presentata dalla moglie del ricorrente. La Corte, tuttavia, non è persuasa da tali ragioni. In effetti, in quelle due settimane le autorità di polizia hanno ascoltato le testimonianze di diciassette persone diverse citate dalla moglie del ricorrente nella sua richiesta (si veda il paragrafo 8 sopra). La Corte non vede alcun motivo per cui le autorità nazionali non avrebbero potuto ascoltare anche il richiedente.
131.  Inoltre, la Corte osserva che l'approccio seguito dal Consiglio di Stato nel caso di specie è in contrasto con la giurisprudenza allora disponibile dei tribunali amministrativi di prima istanza e del Consiglio di Stato (si veda il paragrafo 37 supra), e con l'approccio seguito oggi dalla maggior parte della giurisprudenza nazionale (si veda il paragrafo 39 supra), secondo cui le ragioni di necessità e urgenza devono essere debitamente dimostrate alla luce delle circostanze di ogni caso specifico e sottoposte al controllo giudiziario dei tribunali amministrativi.

(β) Se le autorità nazionali hanno fornito motivazioni pertinenti e sufficienti per il provvedimento

132.  La Corte ribadisce che spetta in primo luogo alle autorità nazionali valutare e fornire le ragioni che giustificano un'interferenza con i diritti tutelati dalla Convenzione (si veda il precedente paragrafo 97). L'importanza fondamentale dell'obbligo di motivare gli atti amministrativi che incidono sugli interessi individuali è stata sottolineata, tra l'altro, nell'articolo IV della Risoluzione 77 (31) del Comitato dei Ministri sulla protezione dell'individuo in relazione agli atti delle autorità amministrative (si veda il paragrafo 48 supra) e nell'articolo 17 § 2 della Raccomandazione CM/Rec(2007)7 del Comitato dei Ministri sulla buona amministrazione (si veda il paragrafo 52 supra). Nell'esercizio della sua giurisdizione di vigilanza, la Corte deve valutare se tali ragioni fossero "pertinenti e sufficienti". Nel fare ciò, la Corte deve accertarsi che le autorità nazionali abbiano applicato norme conformi ai principi sanciti dalla Convenzione e, inoltre, che abbiano basato le loro decisioni su una valutazione accettabile dei fatti rilevanti (cfr. Taganrog LRO e altri, sopra citata, § 150).
133.  Nell'esercizio della sua giurisdizione di vigilanza, la Corte terrà anche conto del fatto che alle autorità nazionali è riconosciuto un certo margine di apprezzamento, la cui portata dipenderà da fattori quali la natura e la gravità degli interessi in gioco e la gravità dell'ingerenza (si veda Naumenko e SIA Rix Shipping, sopra citata, § 51).
134.  Pur ribadendo l'importanza dello scopo perseguito dall'ammonimento di polizia in questione, la Corte ritiene che diversi fattori militino a favore di uno scrutinio rigoroso nel caso di specie. In primo luogo, la misura produce gravi conseguenze, in quanto comporta la possibilità di essere perseguiti per il reato di stalking anche in assenza di una denuncia penale presentata dalla vittima e l'applicazione automatica di una circostanza aggravante in caso di condanna (cfr. paragrafo 26 supra). In secondo luogo, sebbene la Corte abbia concluso che la misura fosse conforme al principio di legalità, nel valutarne la proporzionalità deve tenere conto del fatto che gli obblighi imposti al ricorrente erano formulati in termini molto generici (si vedano i paragrafi 11 e 105 supra), che la misura rimane in vigore per un periodo di tempo indefinito e che, almeno al momento dell'emissione dell'ammonimento, non vi era alcun diritto di ottenere un riesame periodico o una nuova valutazione della misura finalizzata alla sua revoca (si veda il paragrafo 120 supra). In terzo luogo, il provvedimento è stato adottato senza aver preventivamente consentito al ricorrente di presentare le proprie argomentazioni (cfr. paragrafo 128 supra).
135.  A questo proposito, la Corte osserva che il verbale dell'ammonimento emesso dal questore mancava di motivazione, in quanto si limitava a stabilire che, alla luce delle indagini intraprese dalle forze di polizia, gli episodi citati dalla moglie del ricorrente erano provati, pur osservando che alcuni di essi non erano rilevanti (si veda il paragrafo 10 supra). La Corte non può fare a meno di notare che i fatti rilevanti, oltre a essere riferiti "come indicato dalla persona che ha richiesto l'ammonimento", erano formulati in modo estremamente generico (cfr. paragrafo 10). Il verbale dell'ammonimento faceva riferimento, ad esempio, a: "insulti pronunciati in presenza di altre persone", senza chiarire quali insulti fossero stati usati e in presenza di chi; "telefonate fatte in privato e sul posto di lavoro alla persona che ha richiesto l'ammonimento e ad altre persone", senza indicare il contenuto di tali telefonate; e "invio di messaggi di testo [e] richieste insistenti e ripetute", anche in questo caso senza indicare il contenuto e il contesto di tali messaggi. Allo stesso modo, la Corte ritiene che la qualificazione di tali comportamenti come intrapresi con un "atteggiamento potenzialmente minaccioso" fosse molto vaga.
136.  La Corte osserva inoltre che nei verbali di cautela non vi è alcun riferimento al fatto che la stragrande maggioranza dei testimoni non aveva confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente, e non vi è alcuna valutazione dei fatti risultanti dalle indagini svolte dalla polizia. Il verbale menziona inoltre alcuni "documenti aggiuntivi raccolti", ma non vi è alcuna indicazione su quali fossero questi documenti e quali conclusioni ne fossero state tratte. La motivazione, come si evince dai verbali di cautela, ha preso le mosse dall'ipotesi dei fatti denunciati dalla moglie del ricorrente e ha stabilito che tali fatti fossero provati, senza menzionare le indagini che erano state intraprese e senza valutare in che modo i risultati di tali indagini confermassero l'ipotesi iniziale. Pertanto, tale ragionamento non consente alla Corte di valutare in che modo l'autorità amministrativa abbia valutato le prove raccolte attraverso le indagini.
137.  La Corte è consapevole del fatto che la misura in questione nel presente caso è un ammonimento "orale" e che il verbale consegnato al suo destinatario (cfr. paragrafo 26 supra) è un resoconto delle indagini intraprese dalla polizia e un riassunto della valutazione del questore che, in casi di urgenza, deve essere redatto in tempi molto brevi. Tuttavia, ciò non può esimere le autorità nazionali dall'obbligo di fornire motivazioni pertinenti e sufficienti per giustificare le misure che interferiscono con i diritti tutelati dall'articolo 8 della Convenzione (cfr. paragrafo 132 supra), anche alla luce della necessità di garantire un pieno controllo giurisdizionale di tali motivazioni. In ogni caso, nel caso di specie, le autorità nazionali non hanno dimostrato alcuna ragione di urgenza (si veda il precedente paragrafo 129).

(γ) Se la misura sia stata sottoposta a un sufficiente controllo giurisdizionale

138.  La Corte ribadisce che le misure che incidono sui diritti umani devono essere sottoposte a una qualche forma di procedimento in contraddittorio davanti a un organo indipendente competente a riesaminare le ragioni della decisione e le prove pertinenti. L'individuo deve essere in grado di contestare le affermazioni dell'esecutivo. In assenza di tali garanzie, la polizia o un'altra autorità statale sarebbe in grado di violare arbitrariamente i diritti tutelati dalla Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Liu c. Russia (n. 2), n. 29157/09, § 87, 26 luglio 2011). Nel caso di specie, un controllo giurisdizionale approfondito era tanto più necessario, vista l'incapacità del questore di fornire motivazioni pertinenti e sufficienti per la misura adottata (si vedano i paragrafi 135-36).

139.  A questo proposito, la Corte osserva che il ricorrente ha presentato reclamo dinanzi ai tribunali nazionali competenti per la misura che gli era stata imposta. Tuttavia, la Corte ritiene che nel caso di specie non siano state fornite al ricorrente sufficienti garanzie procedurali, in quanto i tribunali nazionali hanno fornito motivazioni pertinenti e sufficienti per stabilire se le azioni imputategli fossero effettivamente in grado di giustificare l'imposizione della misura.

140.  A questo proposito, la Corte osserva che il TAR ha annullato la misura per motivi procedurali (si veda il paragrafo 14 supra) e, pertanto, non ha valutato le doglianze del ricorrente in merito alla giustificazione della misura alla luce delle prove disponibili né si è pronunciato sulla legittimità sostanziale della cautela.

141.  Il Consiglio di Stato, da parte sua, si è limitato a ritenere che il questore avesse "accuratamente indicato" le indagini intraprese dalle autorità di polizia, dalle quali era possibile corroborare le dichiarazioni della moglie del ricorrente in merito al comportamento intimidatorio che il ricorrente le aveva inflitto (cfr. paragrafo 21 supra). La Corte non è in grado di ritenere che questo fosse un "esame sufficiente", ai sensi della sua giurisprudenza (si veda, mutatis mutandis, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo, n. 55391/13 e altri 2, §§ 177-86, 6 novembre 2018). Nonostante le specifiche doglianze del ricorrente sollevate davanti ai tribunali nazionali, nella sentenza del Consiglio di Stato, né nella cautela a cui fa riferimento, non vi è alcun riferimento ai fatti descritti dai diciassette testimoni che erano stati ascoltati, né alcun riferimento agli "ulteriori documenti raccolti" che avrebbero confermato la versione dei fatti presentata dalla moglie del ricorrente. Di conseguenza, non è possibile valutare, leggendo la motivazione della sentenza o le cautele a cui essa fa riferimento, quali fossero le circostanze di fatto e di diritto che giustificavano il provvedimento. Il Consiglio di Stato non ha effettuato un esame indipendente per verificare se la misura avesse una base ragionevole in realtà, in quanto non ha esaminato alcuna prova per confermare o confutare le affermazioni del ricorrente. In particolare, non ha esaminato l'aspetto critico del caso, ossia se il questore fosse in grado di dimostrare l'esistenza di fatti specifici su cui basare la valutazione che il ricorrente costituisse un pericolo per la moglie. Questi elementi portano la Corte a concludere che il Consiglio di Stato si è limitato a un esame puramente formale della decisione di imporre la cautela.
142.  Le sentenze citate dal Governo dimostrano la possibilità, per i tribunali amministrativi, di valutare la base fattuale e la legittimità della misura (si veda il paragrafo 41 supra). Tuttavia, la Corte osserva che tale valutazione non è stata sufficientemente effettuata nel caso di specie, in cui il Consiglio di Stato si è limitato a ritenere legittima la cautela alla luce delle motivazioni addotte dal questore senza procedere a una valutazione degli elementi di prova disponibili.
143.  Di conseguenza, la Corte conclude che le autorità giudiziarie non hanno effettuato un sufficiente controllo giurisdizionale del fondamento fattuale e della legittimità, necessità e proporzionalità della misura.

(δ) Conclusioni

144.  Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il ricorrente sia stato escluso dal processo decisionale in misura significativa in assenza di comprovate ragioni di urgenza, che le autorità nazionali non abbiano fornito ragioni pertinenti e sufficienti per giustificare la misura e che, in considerazione del modo in cui il Consiglio di Stato ha condotto il riesame della questione, le garanzie che ha fornito al ricorrente sono state limitate. In sintesi, le autorità nazionali non hanno fornito al ricorrente l'adeguata protezione legale contro gli abusi a cui aveva diritto in base allo Stato di diritto in una società democratica. L'ingerenza nel diritto del ricorrente alla vita privata e familiare non può quindi dirsi "necessaria in una società democratica" ai fini del paragrafo 2 dell'articolo 8 della Convenzione.

145.  Vi è stata pertanto una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
146.  L'articolo 41 della Convenzione prevede:
"Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente interessata consente una riparazione solo parziale, la Corte accorda, se necessario, una giusta soddisfazione alla parte lesa".

Danno

147.  Il ricorrente ha chiesto 30.000 euro (EUR) a titolo di danno non patrimoniale.

148.  Il Governo non ha presentato osservazioni in risposta alla richiesta del ricorrente, ma la Corte ritiene che sia eccessiva.

149.  La Corte riconosce al ricorrente, in via equitativa, 9.600 euro per il danno non patrimoniale, più le imposte eventualmente dovute.

Costi e spese
150.  Il ricorrente ha chiesto anche 6.589,50 euro per i costi e le spese sostenuti davanti al TAR, 5.428 euro per quelli sostenuti davanti al Consiglio di Stato e 9.920 euro per quelli sostenuti davanti alla Corte.

151.  Il Governo non ha presentato osservazioni in risposta alla richiesta del ricorrente.

152.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso dei costi e delle spese solo nella misura in cui sia stato dimostrato che questi sono stati effettivamente e necessariamente sostenuti e sono ragionevoli nel loro ammontare (si veda, ad esempio, Iatridis c. Grecia (giusta soddisfazione) [GC], no. 31107/96, § 54, ECHR 2000-XI). In altre parole, il richiedente deve averli pagati, o essere tenuto a pagarli, in virtù di un obbligo legale o contrattuale, e devono essere stati inevitabili per prevenire le violazioni riscontrate o per ottenere un risarcimento. La Corte richiede bollette e fatture dettagliate, sufficientemente dettagliate da consentirle di determinare in che misura i requisiti di cui sopra siano stati soddisfatti (cfr. Ališić e altri c. Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Slovenia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], n. 60642/08, § 158, CEDU 2014). Il semplice riferimento alla tariffa fissata dagli ordini degli avvocati locali, ad esempio, non è sufficiente a questo proposito. Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente non ha presentato alcun elemento di prova (fatture o conti) sui costi e sulle spese sostenute, né ha dimostrato di essere legalmente o contrattualmente obbligato a pagarli. Pertanto, questa richiesta deve essere respinta per mancanza di prove.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

Dichiara il ricorso ammissibile;
ritiene che vi sia stata una violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
Dichiara
(a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, 9.600 euro (novemilaseicento euro), più le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno non patrimoniale;
(b) che a partire dalla scadenza dei suddetti tre mesi e fino alla liquidazione saranno dovuti interessi semplici sull'importo di cui sopra a un tasso pari al tasso di prestito marginale della Banca centrale europea durante il periodo di inadempimento, maggiorato di tre punti percentuali;
respinge il resto della domanda di equa soddisfazione del ricorrente.
Fatto in inglese e notificato per iscritto il 22 giugno 2023, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del Regolamento della Corte.

 
 Renata Degener Marko Bošnjak
 Cancelliere Presidente
Ai sensi dell'articolo 45 § 2 della Convenzione e dell'articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, il parere separato del giudice Sabato è allegato alla presente sentenza.

M.B.
R.D.
 

PARERE CONCORDE DEL GIUDICE SABATO

INTRODUZIONE: DIVERSI PASSI INDIETRO NELLA TUTELA DEI DIRITTI UMANI NEL CONTESTO DELLA VIOLENZA DI GENERE

1.  Posso condividere solo una constatazione (che esporrò di seguito nei §§ 51-52 del presente parere) tra le varie fatte dalla maggioranza in questo caso. Questo mi ha permesso di sostenere la conclusione che vi è stata una violazione da parte dello Stato convenuto dell'articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione"). Mi rammarico di non aver potuto condividere le altre conclusioni dei miei illustri colleghi della maggioranza, che a mio avviso segnano non uno, ma diversi passi indietro nella tutela dei diritti umani nel contesto della violenza di genere.
2.  Poiché le posizioni della maggioranza e la mia divergono in aree dell'applicazione della Convenzione che sono della massima importanza - in quanto riguardano alcuni aspetti fondamentali dei modi e dei mezzi con cui gli Stati devono prevenire e combattere la violenza di genere, sostenere e proteggere le vittime e ritenere gli autori responsabili nel rispetto dei diritti procedurali degli imputati - mi sento obbligato a esporre in dettaglio le ragioni del mio dissenso, anche se in un'opinione concorde. Infatti, se alcuni dei principi affermati dalla maggioranza dovessero acquisire la calda patina di precedente indiscusso, temo che il ruolo della Convenzione come potente strumento di protezione delle persone[1] dall'epidemia globale di violenza di genere, in armoniosa integrazione giuridica con specifici strumenti internazionali come la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ("Convenzione di Istanbul")[2], verrebbe - almeno in parte - compromesso. Mi auguro quindi che, in questo o in altri casi, le deviazioni dalla giurisprudenza che la sentenza della maggioranza comporta vengano rapidamente corrette da ulteriori sviluppi giurisprudenziali.
3.  Per chiarire le questioni in gioco, tratterò (nella seconda parte del presente parere) alcuni dei fatti che, a mio avviso, sono stati liquidati troppo rapidamente dalla maggioranza. La comprensione dei fatti facilita la comprensione della legge che dovrebbe essere applicata, nonché dei concetti che la maggioranza e io abbiamo utilizzato. In particolare, man mano che mi soffermerò sul contenuto della dichiarazione resa dalla "moglie del ricorrente" alla polizia, che identifica il ricorrente come presunto stalker, e sul contenuto delle deposizioni raccolte dalla polizia, i riferimenti a concetti giuridici come prova testimoniale, urgenza del provvedimento, motivazione sufficiente, ecc. appariranno sotto una nuova luce.
4.  In seguito (nella parte III, che suddividerò in diversi capitoli) individuerò i (diversi) punti di disaccordo tra le conclusioni della maggioranza e le mie, nonché i (un) punto di accordo. Infine, trarrò alcune conclusioni (parte IV).
I FATTI E LA LORO VALUTAZIONE
Il racconto della vittima (e la vittima conta!)
5.  La maggioranza, al paragrafo 7 della sentenza, riferisce che "il 13 novembre 2009 la moglie del ricorrente", la signora C.S.[3], ha presentato un'istanza (richiesta) al questore di Savona, chiedendogli di emettere un'ammonizione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009, recante misure urgenti in materia di sicurezza. 11 del 23 febbraio 2009, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale e allo stalking ("decreto legge n. 11/2009"), convertito nella legge n. 38 del 23 aprile 2009 ("legge n. 38/2009" - cfr. paragrafi 25-26 della sentenza).
6.  Il paragrafo 7 della sentenza, nelle due frasi successive, contiene una sintesi accurata - ma a mio avviso troppo breve - del contenuto della richiesta della presunta vittima. Il racconto della donna era contenuto in una richiesta di 8 pagine alla polizia; il Governo, nelle sue prime osservazioni (pp. 4-5), lo riassume in una pagina e mezza; questa sarà la lunghezza anche della mia ricapitolazione. Si tratta di un esercizio necessario: nell'ambito della violenza contro le donne, che "spesso si svolge all'interno di relazioni personali o di circuiti chiusi" (cfr. Opuz c. Turchia, § 132, 9 giugno 2009), la vittima, che è sempre anche un testimone importante e spesso l'unico, non dovrebbe mai vedere sottovalutata la sua narrazione. Le vittime contano (anche se purtroppo nella sentenza di maggioranza la signora C.S. non è stata "contata" come testimone - si veda il paragrafo 17 del presente parere).[4]
7.  Poiché mi accingo a intraprendere il pericoloso esercizio di rileggere, all'interno di un tribunale internazionale, le prove che le autorità nazionali avevano davanti a loro, devo chiarire che mi abbandono a questo esercizio solo perché la maggioranza lo ha fatto per prima (contando e confrontando i testimoni, ignorando sostanzialmente il racconto della signora C.S., ritenendo che non ci fosse urgenza, ecc. - vedi sotto). Dato il ruolo sussidiario della Corte, il controllo della valutazione delle prove a livello nazionale dovrebbe avvenire solo quando l'arbitrarietà è evidente. La maggioranza ha ritenuto che tale arbitrarietà esistesse, mentre io - in linea di principio - non la ritengo tale (come detto, trovo solo un vizio procedurale). Tuttavia, se la revisione delle prove in un caso di violenza contro le donne deve essere fatta, allora ritengo che, come punto di partenza, la Corte dovrebbe prendere sul serio la voce della presunta vittima. Ripeto, le vittime contano.
8.  Leggendo la richiesta della vittima del 13 novembre 2009, si apprende che la signora C.S., nata nel 1971 e optometrista che gestiva un proprio negozio di ottica, e il signor Giuliano Germano, nato nel 1956 e avvocato, si erano sposati nel 1998; una figlia era nata nel 2002.
9.  La sig.ra C.S. ha denunciato che il marito aveva tenuto "ripetute condotte vessatorie, come di seguito narrato", che l'avevano "costretta a modificare radicalmente le [sue] abitudini quotidiane, ingenerando un fondato timore per la [sua] incolumità personale e causando, per tali ragioni, un persistente e grave stato di ansia e terrore".
10.  Il documento di 8 pagine della signora C.S. riportava, tra l'altro, i seguenti punti:
(a) un "comportamento oppressivo e ossessivo ... determinato da un'eccessiva e ingiustificata gelosia" da parte del marito, che lo aveva portato, "soprattutto negli ultimi anni, a sottoporla a frequenti controlli e indagini illegali";
(b) a partire dal 2006 (tre anni prima della richiesta alle forze dell'ordine) il comportamento del ricorrente aveva iniziato a "trasformarsi in vere e proprie violenze" nei confronti della sua persona; in particolare, in quell'anno egli le aveva inflitto "percosse e lesioni", come attestato da un intervento della polizia presso l'abitazione e da un referto di un pronto soccorso ospedaliero; dopo un mese durante il quale la sig.ra C.S. aveva trovato rifugio presso l'abitazione dei genitori, il marito l'aveva convinta a non rivolgersi ulteriormente alle forze dell'ordine, cosa che lei aveva accettato in considerazione del fatto che la loro figlia aveva allora solo 4 anni;
(c) nel 2008 (l'anno precedente alla richiesta alle forze dell'ordine) l'aveva colpita con un pugno al petto, mentre nel 2009 (quando è stata presentata la richiesta alle forze dell'ordine) il ricorrente, davanti a numerosi testimoni in uno stabilimento balneare, l'ha insultata verbalmente e l'ha afferrata per il collo, con aggressioni che si sono protratte la sera e fino al mattino successivo, quando è stata nuovamente curata, come nel 2006, da un pronto soccorso ospedaliero; la sig.ra C.S. ha deciso di sporgere denuncia penale in relazione a questo episodio, per il quale è in corso un procedimento penale;
(d) nel 2009 la sig.ra C.S. ha avviato un procedimento di separazione giudiziale; nonostante il tribunale della famiglia le abbia concesso l'affidamento della figlia, il sig. Germano ha continuato a minacciare e a esercitare pressioni ingiuriose durante gli incontri;
(e) la sig.ra C.S. aveva poi appreso che le aggressioni fisiche, presumibilmente commesse dal sig. Germano, erano state denunciate anche da altre donne che avevano avuto in precedenza una relazione con lui;
(f) nei sette mesi precedenti la richiesta alla polizia, la condotta del sig. Germano si è orientata verso un "chiaro stalking", in quanto:
- l'8 maggio 2009, mentre la donna si trovava con la figlia e in presenza di una sua amica, la sig.ra L.V., il sig. Germano si è presentato ai piedi dell'edificio in cui era ospitata, urlando e inveendo, e intimandole dalla strada di mostrargli la figlia; gli insulti (alcuni dei quali specificamente citati nella richiesta alla polizia) sono continuati quando la bambina, accompagnata da L.V., un mese dopo il sig. Germano ha minacciato L.V., intimandole di non denunciare l'accaduto; il sig. Germano ha ulteriormente minacciato L.V. per telefono;
- alle 5.30 della stessa mattina il suo provider di posta elettronica aveva avvisato la signora C.S. di un tentativo sospetto di accesso alla sua casella di posta elettronica, di cui il signor Germano conosceva una precedente password;
- nello stesso mese di maggio 2009, per un intero pomeriggio, il sig. Germano ha effettuato diverse telefonate alla baby-sitter del bambino, interrompendo ogni volta la chiamata; a ciò ha fatto seguito, alle 19.00, una telefonata del sig. Germano alla sig.ra C.S., accusandola di aver ordinato alla baby-sitter di non rispondere al telefono; ha fatto presente che avrebbe quindi chiesto al giudice incaricato del procedimento di separazione di verificare i relativi tabulati telefonici, dimostrando la pertinenza di tale circostanza alle sue argomentazioni;
- il 9 maggio 2009 la sig.ra C.S. ha cenato con due coppie; la mattina successiva il sig. Germano ha telefonato a una persona di ciascuna coppia, chiedendo informazioni sulle frequentazioni della moglie;
- il sig. Germano ha poi chiesto informazioni per sapere se la sig.ra C.S. avesse effettivamente frequentato un corso di optometria a cui era iscritta;
- il 19 maggio 2009 il sig. Germano ha atteso la sig.ra C.S. all'uscita di un centro estetico e, dopo averla insultata, l'ha strattonata e seguita mentre si allontanava, desistendo solo quando lei ha minacciato di chiamare la polizia;
- il 23 maggio 2009 la sig.ra C.S. ha avuto la certezza di essere stata pedinata nei suoi spostamenti quel giorno, perché all'uscita dal negozio di ottica, dove la figlia era rimasta con la baby-sitter, il sig. Germano ha telefonato a quest'ultima per chiedere dove la sig.ra C.S. fosse diretta;
- sempre il 3 giugno 2009, il sig. Germano è stato trovato in piedi davanti al negozio di ottica, dietro le colonne da cui osservava la sig.ra C.S.;
- il 29 maggio 2009, mentre una dipendente, la sig.ra S.G., si trovava nel negozio, il sig. Germano le ha telefonato chiedendo informazioni e alludendo al fatto che anche la sig.ra C.S. si trovava sicuramente all'interno del negozio con il suo amante; a causa delle continue pressioni subite dal sig. Germano, la sig.ra S.G. ha dichiarato di voler lasciare il suo lavoro nel negozio;
- l'11 maggio 2009 la sig.ra C.S. ha ricevuto 15 telefonate dal sig. Germano, durante le quali questi "la minacciava continuamente di toglierle il sorriso dalla faccia" e le diceva che "stava facendo azioni legali per rovinarla" e per fare in modo che "non pagasse nemmeno un euro né per il bambino né per [lei]";
- nel settembre 2009, a seguito di un'accesa discussione tra i coniugi in merito alla bambina (che era presente), il sig. Germano ha iniziato a gridare, scagliandosi contro la sig.ra C.S., mettendole le mani al collo nel gesto di strangolarla, e infine trascinando via la bambina, in lacrime, che non voleva dormire a casa del padre;
- la bambina ha poi riferito alla madre di non voler più andare dal padre, "perché dice cose terribili su [la madre] e la insulta";
- il 13 ottobre 2009 il sig. Germano ha comunicato alla sig.ra C.S., tramite sms, che le avrebbe fatto recapitare 12 sacchi contenenti i suoi effetti personali e 3 sacchi contenenti i vestiti invernali della bambina, al fine di liberare l'ex casa di famiglia; i sacchi sono stati scaricati in pieno giorno davanti al negozio di ottica dai dipendenti di un'impresa di pompe funebri, che li hanno prelevati da un carro funebre del tipo utilizzato per il trasporto dei defunti ai cimiteri; l'uso anomalo di un veicolo dell'impresa di pompe funebri è stato segnalato dalla sig.ra C.S. alle autorità competenti;
- nella stessa data del 13 ottobre 2009 la sig.ra C.S. ha ricevuto diverse telefonate dal sig. Germano, a un numero di telefono che era stato tenuto riservato; ciò dimostra che egli si stava intromettendo nella sua vita privata;
- il 5 novembre 2009, aprendo il negozio, ha trovato degli escrementi depositati sulla porta di casa; nello stesso momento, sul marciapiede, ha visto il signor Germano con la sua attuale fidanzata, entrambi ridendo.
11.  Nella richiesta alla polizia, la sig.ra C.S. ha inoltre dichiarato che era emerso che il sig. Germano aveva minacciato alcune persone per indurle a non avere contatti con lei e, in particolare, per convincerle a non fornire a lei e alla magistratura informazioni di natura economica che potessero essere utili nel procedimento di separazione: ad esempio, l'elettricista I., si era rifiutato di accettare un lavoro da lei richiesto, in quanto temeva il signor Germano; C.M. si era rifiutato di fornire un documento che attestava l'acquisto di elettrodomestici effettuato presso la sua azienda; D.G. si era rifiutato di rilasciare una dichiarazione sui lavori di tappezzeria effettuati nella ex casa di famiglia; F.F. si era rifiutato di fornire le fotografie che aveva scattato di alcune opere d'arte di proprietà dei coniugi. Tutti questi fornitori di servizi avevano riferito alla signora C.S. il loro timore di ritorsioni.
12.  Nel suo racconto la signora C.S. ha fatto riferimento anche alla signora V.V., alla quale il signor Germano aveva dichiarato di voler rendere la vita impossibile alla moglie rovinandola economicamente.
13.  Il 7 novembre 2009 il sig. Germano ha chiesto, via SMS alla vittima, di poter vedere la loro figlia minore, che si trovava allora fuori città con i nonni materni. Ciò ha indotto il signor Germano a contattare la polizia, tanto che gli agenti di polizia si sono recati nel negozio di ottica per indagare su un eventuale rapimento della bambina. Secondo la vittima, tale intimidazione era del tutto inutile, poiché il padre sapeva dove si trovava la bambina.
14.  La donna ha concluso la sua richiesta indicando i nomi delle persone che aveva informato della situazione.
15.  Mi asterrò dal commentare il merito della richiesta ma, a mio avviso, anche se - di fronte al resoconto di cui sopra - le autorità nazionali hanno riassunto i fatti "come indicati dalla persona che ha richiesto l'ammonimento" (si veda il paragrafo 135 della sentenza) con un linguaggio (che compare nel terzo sottoparagrafo del paragrafo 10 della sentenza) che la maggioranza ha ritenuto "privo di motivazione", ciò non giustifica la constatazione della maggioranza che l'ammonimento è stato formulato "in modo estremamente generico" (paragrafo 10). Ciò è particolarmente vero se si considera che "tutte le indagini ... e ... i documenti erano agli atti" (terzo comma del paragrafo 10 della sentenza), ed erano quindi indiscutibilmente accessibili al signor Germano (che, di conseguenza, ha potuto produrli e commentarli davanti ai tribunali nazionali e a questa Corte). A differenza della maggioranza, che ha adottato un approccio astratto e formalistico, la polizia - facendo riferimento agli episodi che riteneva provati in quanto contenuti in dettaglio nel racconto della signora C.S. - ha fornito una motivazione sufficiente per la cautela.
Le deposizioni dei testimoni: testes ponderantur, non numerantur
16.  Chiarito quanto dichiarato dalla vittima, in quanto prima e più importante testimone, l'esercizio che ho commentato sopra, con riferimento anche ai suoi limiti, deve essere proseguito nei confronti degli altri testimoni.
17.  Nel paragrafo 8 della sentenza, la maggioranza ha confermato che la polizia ha preso sul serio il racconto della donna: ha "aperto un'inchiesta" e, in due settimane, "ha raccolto diciassette testimonianze delle persone citate nella richiesta della moglie del ricorrente". Nello stesso paragrafo, in una valutazione che commenterò solo brevemente qui di seguito, la maggioranza si impegna - nel contesto di un tribunale internazionale - in un esercizio tipico dei tribunali nazionali, ovvero soppesare e confrontare le dichiarazioni dei testimoni. Così, secondo la maggioranza, "quattordici dichiarazioni non hanno confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente" (corsivo aggiunto); solo un testimone (ma "un amico della moglie del ricorrente", espressione solitamente volta a sminuire la credibilità) "ha confermato ... episodi" di mero "abuso verbale ... in sua presenza"; mentre un altro testimone si era limitato a "essere informato di un episodio di aggressione fisica". L'ultimo testimone si è limitato ad affermare che il ricorrente "gli aveva telefonato più volte allo scopo di ottenere informazioni sulla vita della moglie". Quindi, secondo la maggioranza, la motivazione della cautela era insufficiente anche per quanto riguarda la valutazione delle prove, perché "non vi è alcun riferimento ... al fatto che la stragrande maggioranza dei testimoni non aveva confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente" (si veda il paragrafo 136 della sentenza). In sintesi, la partita finisce 14-3 o addirittura 15-2, a seconda di come si conta; la diciottesima persona (la signora C.S., la vittima), come ho detto, non è inclusa nel conteggio finale. La vittima dovrebbe contare, ed essere contata.
18.  Se trascuriamo il fatto che le prove vanno pesate e non contate (testes ponderantur, non numerantur), in queste circostanze anche i numeri indicati dalla maggioranza potrebbero essere considerati - con tutto il rispetto - non sommabili, come dimostrerà il mio esercizio. Mentre le deposizioni sono riassunte in due frasi nel passaggio sopra citato della sentenza della maggioranza (le ultime frasi del paragrafo 8), esse sono molto più chiaramente citate in due mezze pagine (pagg. 5-6) delle prime osservazioni del Governo. La mia sintesi è la seguente:
(a) C.M., un rivenditore di elettrodomestici (come già detto), ha negato di aver subito pressioni e ha dichiarato di non aver potuto certificare le vendite perché erano avvenute molto tempo prima;
(b) U.D., amico di entrambi i coniugi, ha riferito che il procedimento di separazione è stato molto conflittuale e ha riconosciuto che ci sono stati degli sfoghi da parte del sig. Germano; tuttavia, non li ha considerati diffamatori;
(c) L.V., un'amica della sig.ra C.S. (c) L.V., un'amica della sig.ra C.S. (come già detto, e, secondo la maggioranza, l'unica testimone ad avallare la sua "versione"), ha effettivamente confermato l'episodio in cui si erano verificati abusi verbali in sua presenza; oltre a quanto riportato nella sentenza, ha menzionato che era presente anche il bambino; ha fornito l'ulteriore informazione di essere stata avvertita dal sig. Germano di non testimoniare nel procedimento di separazione a favore della moglie, "altrimenti [lui] avrebbe dovuto fargliela pagare"; non ha confermato di aver ricevuto ulteriori minacce telefoniche, ma ha riferito di aver ricevuto lettere anonime;
(d) la telefonata minatoria ricevuta da L.V. è stata confermata da E.O., la madre di L.V., che ha assistito alla ricezione della telefonata;
(e) M.G.E. e D.E., parlando in termini generici, hanno confermato la natura conflittuale del procedimento di separazione;
(f) V.V. ha dichiarato che il sig. Germano le aveva detto che voleva portare la moglie a un punto in cui lei avrebbe detto "basta"; infatti il sig. Germano si vantava di non aver sostenuto spese legali, mentre la sig.ra C.S. aveva dovuto pagare gli avvocati da lei assunti; quando V.V., in una conversazione con il sig. Germano, aveva fatto riferimento alla circostanza che era lui ad essere in torto, perché aveva picchiato la moglie, questi aveva risposto: "dovrà dimostrarlo"; allo stesso modo, quando lei gli aveva rimproverato di aver tenuto tutti i mobili pagati dalla moglie, lui si era allontanato dicendo "dovrà dimostrarlo";
(g) R.P., un agente immobiliare, ha negato di aver subito pressioni da parte del sig. Germano e ha dichiarato di aver consigliato alla sig.ra C.S. di non affittare un appartamento che gestiva in qualità di agente immobiliare semplicemente perché sarebbe stato imbarazzato dal fatto che il sig. Germano, suo amico, avrebbe saputo che erano stati in contatto;
(h) D.A. ha confermato di aver eseguito lavori di tappezzeria, pagati dalla sig.ra C.S., ma ha negato di aver rifiutato di rilasciare ricevute di pagamento a causa di pressioni, poiché semplicemente non ricordava più i dettagli;
(i) F.F., il fotografo di cui sopra, ha confermato di aver rifiutato di consegnare alla sig.ra C.S. la ristampa di un servizio fotografico relativo a quadri e opere d'arte presenti nell'appartamento della coppia, ma solo perché il servizio era stato richiesto dal sig. Germano e non da lei;
(j) P.R.D.R., titolare dell'impresa di pompe funebri, ha dichiarato che il suo personale aveva trasportato gratuitamente i pacchi, data la sua amicizia con il sig. Germano; tuttavia, il veicolo utilizzato non era il carro funebre usato per trasportare le bare, ma il veicolo di accompagnamento usato per portare i fiori ai funerali;
(k) M.G.A. ha confermato che un giorno dopo essere uscita a cena con la sig.ra C.S., aveva ricevuto una telefonata dal sig. Germano, che voleva sapere se la sig.ra C.S. avesse una relazione con qualcuno; ha inoltre riferito della discussione che ne era seguita quando lo aveva rimproverato per aver picchiato la moglie;
(l) A.M. ha dichiarato di non sapere nulla dell'episodio su cui è stato chiamato a testimoniare;
(m) F.B. ha confermato che, un giorno dopo essere uscito a cena con la sig.ra C.S., aveva ricevuto una telefonata dal sig. Germano che gli chiedeva con chi fosse la donna;
(n) S.G, baby-sitter del bambino, ha confermato di aver ricevuto molte telefonate dal sig. Germano che le chiedeva dove fosse la moglie e cosa stesse facendo; in particolare, quando una volta S.G. gli aveva detto che la sig.ra C.S. era assente per proteggere la sua privacy, lui le aveva risposto al telefono "Bene, allora oggi è con il suo amante"; a seguito delle pressioni, S. G. ha riferito di aver rinunciato al suo bambino. G. ha riferito di aver rinunciato al lavoro di baby-sitter; ha inoltre raccontato di aver trovato una volta la bambina in lacrime, dicendo che i suoi genitori avevano litigato durante il fine settimana e che il signor Germano aveva picchiato la madre, che era andata via di casa;
(o) I.L., elettricista, ha ammesso di aver rifiutato una richiesta di lavori elettrici da parte della signora C.S. perché non voleva rimanere "coinvolto nella disputa" tra i coniugi, senza tuttavia aver subito alcuna pressione da parte del signor Germano;
(p) R.R., cognato della sig.ra C.S., ha riferito di non essere stato testimone diretto di maltrattamenti o violenze, ma che tali abusi gli erano stati riferiti dalla cognata.
19.  Ritengo che tale sintesi si spieghi da sola. Su questa base, così come ho dovuto indicare la mia diversa posizione rispetto alla mancata attribuzione da parte della maggioranza del giusto credito al racconto della presunta vittima, riassunto nelle due frasi finali del paragrafo 7 della sentenza della maggioranza, ritengo di non poter condividere la loro valutazione secondo cui "quattordici dichiarazioni non hanno confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente", solo un testimone (ma "un amico della moglie del ricorrente") "ha confermato . ... episodi" di mero "abuso verbale ... in sua presenza", mentre un altro aveva solo "raccontato di un episodio di aggressione fisica" e l'ultimo si limitava ad affermare che il ricorrente "gli aveva telefonato più volte allo scopo di ottenere informazioni sulla vita della moglie". In realtà, c'è molto, molto di più, che non ritengo sia mio compito valutare nel dettaglio.
Esistevano documenti possibili?
20.  La maggioranza - pur con l'approccio riduttivo su cui ho richiamato l'attenzione - ha ragione nell'affermare che, sebbene il verbale dell'ammonimento faccia riferimento non solo alle "indagini intraprese dalla polizia" ma anche agli "ulteriori documenti raccolti, tutti a verbale" (cfr. paragrafo 10), "non vi è alcuna indicazione su quali fossero questi documenti e quali conclusioni ne siano state tratte" (cfr. paragrafo 136). Il nostro fascicolo contiene solo le deposizioni dei testimoni. Tuttavia, se si considerano i limiti dell'assunzione di prove presso la Corte, sulla base delle dichiarazioni del ricorrente e del Governo, si potrebbe facilmente concludere che non è importante - soprattutto in una questione che riguarda le accuse di stalking - la totalità di ciò che la Corte ha davanti a sé: consapevole del suo ruolo sussidiario, dovrebbe controllare solo la non arbitrarietà della valutazione delle prove da parte delle autorità nazionali.
21.  In un contesto in cui, pur definendo i fatti "infondati", nel ricorso al TAR (pagg. 2-3) il ricorrente afferma di "non volersi soffermare (ci si esime da) a confutare la massa fluviale di accuse" mosse dalla sig.ra C.S., e si concentra solo sugli aspetti giuridici, ritengo che la Corte avrebbe potuto facilmente dare credito alle autorità nazionali di aver controllato, e documentato con copie e/o screenshot, tutti gli elementi fattuali che la sig.ra C.S. cita molto specificamente nella sua richiesta. Questa specificità merita prima facie credibilità, e il fatto che il sig. Germano non voglia soffermarsi su di essi ha un certo significato: precedenti interventi di polizia, visite ai pronto soccorso degli ospedali, messaggi di testo indicati con numeri e date e memorizzati sul telefono della sig.ra C.S., nonché elementi di procedimenti penali in corso, erano probabilmente nelle mani delle autorità nazionali.
LA VALUTAZIONE DELLA LEGITTIMITÀ E DELLA NECESSITÀ/PROPORZIONALITÀ
Una digressione sulla natura della misura contestata
22.  Dopo aver fornito alcuni dettagli aggiuntivi sugli aspetti fattuali del caso, posso ora esaminare la valutazione della maggioranza in merito alla legittimità e alla necessità/proporzionalità ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione (mi riferisco solo a questi due elementi, poiché l'esistenza di uno scopo legittimo è evidente - si veda il paragrafo 123 della sentenza). Prima di farlo, ritengo utile dedicare una breve digressione alla natura della misura contestata.
23.  L'"ammonimento di polizia", come previsto dalla legislazione italiana sopra citata, rientra chiaramente in:
(a) nel contesto generale delle iniziative volte a conformarsi all'articolo 34 della Convenzione di Istanbul, che - sotto il titolo "Stalking" - obbliga le Parti ad adottare "le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la condotta intenzionale di mettere in atto ripetutamente un comportamento minaccioso nei confronti di un'altra persona, facendola temere per la propria sicurezza, sia criminalizzata";
(b) il contesto più specifico disciplinato dall'articolo 53 della Convenzione di Istanbul, che stabilisce l'obbligo di garantire che la legislazione nazionale preveda "ordini di restrizione" e/o "ordini di protezione" per le vittime di tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione di tale Convenzione, e quindi anche per lo stalking.
24.  In effetti, quando l'Italia ha emanato la propria legislazione - come chiarisce la sentenza (cfr. paragrafi 25-26), nel 2009 - la Convenzione di Istanbul non era ancora stata redatta. Ma il nocciolo dei problemi legati allo stalking era già noto. Alcuni importanti studi su questo fenomeno criminale e sociale sono stati condotti a livello di Unione Europea (UE), a partire dal 2003 con il cosiddetto Gruppo multidisciplinare "Modena"[5], dal cui lavoro sono chiaramente derivati alcuni articoli della Convenzione di Istanbul. Uno studio ufficiale dell'UE è stato completato nel 2010.
25.  Con un'opzione legislativa che sarebbe poi stata conforme all'articolo 55 della Convenzione di Istanbul (che non impedisce di perseguire ex parte lo stalking affinché questo reato sia criminalizzato ai sensi dell'articolo 34 della stessa Convenzione), lo Stato convenuto ha ritenuto opportuno creare una via d'uscita dal percorso penale per chi commette il primo reato, ponendo la donna al centro dell'attenzione[6]. Per i comportamenti molesti "minori" (cioè quelli che non sono suscettibili di essere criminalizzati di per sé in base a diverse disposizioni nazionali) e per gli autori della prima volta, l'azione penale è stata subordinata a condizioni. Secondo le politiche generali, la vittima doveva essere debitamente informata del suo diritto di ottenere un'azione penale e di presentare una denuncia (querela). Nel caso in cui la vittima decidesse di non chiedere l'esercizio dell'azione penale, e non vi fossero altri reati che richiedessero un'azione d'ufficio, le veniva offerta l'alternativa di presentare una richiesta (richiesta) al capo della polizia, in un contesto di diritto amministrativo, affinché venisse emesso un ammonimento o un'ingiunzione "orale" ("ammonimento" - nella sentenza viene utilizzata l'espressione "police caution", in linea con il linguaggio inglese[7]), dopo aver ascoltato la vittima (che è la parte richiedente) e le persone autorizzate a deporre (cfr. paragrafo 26 della sentenza).
26.  L'ammonimento non è che una delle misure preventive previste dalla legislazione del 2009, che ha introdotto anche gli ordini di protezione, gli ordini di non contatto, ecc. In questa "panoplia" di strumenti italiani, l'"ammonimento di polizia" si colloca al livello più basso di valutazione del rischio.
27.  In considerazione della natura di questa misura (il cui chiarimento ha giustificato la mia digressione), concordo con la maggioranza (cfr. paragrafo 114 della sentenza) sul fatto che l'"ammonimento di polizia" italiano debba essere inteso come specificamente disciplinato dall'articolo 53 della Convenzione di Istanbul, che stabilisce l'obbligo di garantire che la legislazione nazionale preveda "ordini di restrizione" e/o "ordini di protezione" per le vittime di stalking. Sebbene il titolo di questo articolo si riferisca letteralmente a "ordini di restrizione o di protezione", il paragrafo 268 della Relazione esplicativa chiarisce che gli estensori hanno deciso di utilizzare tale definizione come "categoria ombrello", includendo esplicitamente le "ingiunzioni" (in francese, "ordonnances d'injonction").[8]
28.  Dopo aver tratto questa deduzione dalla qualificazione dell'ammonimento di polizia come ingiunzione ai sensi dell'articolo 53 della Convenzione di Istanbul, ne derivano una serie di conseguenze, che però ritengo siano state purtroppo trascurate dalla maggioranza. Tratterò questi aspetti separatamente, poiché rappresentano anche una sorta di fil rouge per i miei punti di dissenso dall'approccio della maggioranza.
La durata indeterminata della misura
29.  Nel valutare il requisito della legittimità, la maggioranza formula una riserva, ma non si pronuncia sulla questione se il fatto che l'ammonimento sia emesso per un periodo indefinito, senza "il diritto dell'individuo" di ottenere "un riesame o una rivalutazione periodica", e in ogni caso con "l'incertezza dello statuto e ... un considerevole margine di manovra" concesso alle autorità, sia conforme al diritto dal punto di vista dell'inclusione di garanzie contro l'arbitrarietà (cfr. paragrafi 119-120 della sentenza). Pertanto, sebbene la maggioranza continui a sostenere che la misura era legittima (si veda il paragrafo 121), questo aspetto viene poi ripreso dal punto di vista della proporzionalità e lì, su tale base, viene trovato un fondamento per la violazione (si veda il paragrafo 134).
30.  Francamente, non capisco su quali principi della Convenzione si basi questa constatazione, se ve ne sono; né viene indicato nella sentenza alcun precedente a sostegno della tesi che un'ingiunzione debba necessariamente avere una durata limitata ed essere soggetta a una revisione periodica.
31.  Inoltre, l'articolo 53 § 2, secondo trattino, della Convenzione di Istanbul va chiaramente contro questa conclusione della maggioranza. La Relazione esplicativa, al paragrafo 271, chiarisce che non vi è alcun obbligo per gli Stati di fissare un periodo di durata, poiché è perfettamente accettabile che la misura rimanga in vigore "fino a modifica":
"Il secondo trattino prevede che l'ordine sia emesso per un periodo specificato o determinato o fino a quando non sia modificato o revocato"; "cessa di essere in vigore se modificato o revocato da un giudice o altro funzionario competente".

32.  I riferimenti di cui sopra sono presenti anche nel paragrafo 120 della sentenza ma, in modo sconcertante, mentre si nota che i provvedimenti possono essere validi "fino a modifica", il testo è oscuro, come se fossero rilevanti solo le parti che si riferiscono ai provvedimenti che hanno una durata (si veda il riferimento al principio della certezza del diritto, rilevante solo per i provvedimenti di durata non chiara, ma non per quelli validi "fino a modifica").
33.  La sentenza passa poi a esaminare, sulla base di un numero limitato di riferimenti giurisprudenziali interni, le conseguenze tratte dai tribunali italiani dalla natura "istantanea" della cautela (cfr. paragrafo 119), che non consentirebbe la modifica o la revoca; ma si potrebbero fare altre considerazioni sulla possibilità, nel sistema italiano, di un "discarico" (ad esempio, quando l'illegittimità viene scoperta successivamente).
34.  A mio avviso, ciò che conta è che la giurisprudenza (o la Convenzione di Istanbul) non prevede alcuna disposizione che impedisca a un'ingiunzione (specialmente se assistita dal diritto a un controllo giurisdizionale) di essere stabile nel tempo.
Il diritto al contraddittorio e l'urgenza del provvedimento
35.  La maggioranza, nel valutare la legittimità nell'ambito del controllo della Corte sulle garanzie esistenti contro l'arbitrarietà, ritiene che il quadro normativo nazionale, interpretato nel modo in cui ritengono che i tribunali nazionali generalmente facciano (su basi, tuttavia, diverse da quelle considerate dal Consiglio di Stato - cioè il tribunale amministrativo superiore - nel caso in questione), si basa su un giusto equilibrio tra il diritto dell'autore del reato di essere ascoltato prima dell'emissione dell'ammonimento (un diritto che, secondo la maggioranza, potrebbe essere derogato solo in caso di "urgenza" e caso per caso, che dovrebbe essere "debitamente indicato nella motivazione del verbale dell'ammonimento e sottoposto a controllo giurisdizionale" - si veda il paragrafo 116 della sentenza; in base a questo test, la maggioranza prosegue trovando ragioni per una violazione nell'ambito della valutazione della proporzionalità - si vedano i paragrafi 125-131 della sentenza).
36.  In effetti, nel caso di specie il Consiglio di Stato ha chiaramente affermato che la cautela ha natura "cautelare e preventiva" (funzione cautelare e preventiva - pag. 4 della sentenza del Consiglio di Stato) e che quando è necessario un "intervento immediato", la partecipazione dell'interessato può essere rinviata alla fase di appello, che si svolge davanti ad autorità superiori o ai tribunali (pagg. 6-7 della stessa sentenza).
37.  Nell'esporre la propria concezione del diritto interno, la maggioranza ha deciso di occuparsi della successiva giurisprudenza (in un numero limitato di casi) dello stesso Consiglio di Stato che concede diritti di partecipazione più ampi ai presunti autori di reato. Pertanto, a mio modesto avviso, la maggioranza ha interpretato la propria interpretazione del diritto interno in contrasto con quanto ritenuto dal Consiglio di Stato in questo caso specifico, traendone poi la conseguenza che la propria interpretazione fosse l'unica conforme alla Convenzione.
38.  Al centro della sentenza della Corte avrebbe dovuto esserci invece il principio di diritto applicato nel caso di specie, da verificare rispetto al parametro della Convenzione. Le eventuali garanzie aggiuntive, anche prescindendo dalla dimensione temporale degli sviluppi giurisprudenziali più recenti e dal fatto che questi non rappresentano una giurisprudenza consolidata, sono al massimo rilevanti ai sensi dell'articolo 53 della Convenzione.
39.  Se si verifica il principio affermato dal Consiglio di Stato nel nostro caso, anch'esso risulta del tutto conforme alla Convenzione.
40.  A questo proposito, la prima considerazione che vorrei fare è, ancora una volta, relativa al contesto della violenza di genere, che mi sembra sia stato trascurato dalla maggioranza. Ascoltare il presunto autore del reato prima dell'emissione dell'ordinanza può essere una mossa ingenua, in quanto apre la strada a un'escalation di violenza, a pressioni sui testimoni, ecc. Un esempio della distanza della maggioranza dal contesto dello stalking e della violenza domestica in generale lo vedo nel passaggio in cui afferma di "non vedere alcun motivo", dato che "in due settimane le autorità di polizia hanno ascoltato le testimonianze di diciassette persone diverse", "per cui ... non avrebbero potuto ascoltare anche la ricorrente" (cfr. paragrafo 130 della sentenza). D'altra parte, il concetto stesso di "ingiunzione" allude a una partecipazione a posteriori del presunto autore del reato.
41.  Una seconda considerazione riguarda, ancora una volta, la base su cui - contrariamente al concetto che la Convenzione non riconosce un diritto generale e assoluto di essere "preventivamente" ascoltati in materia amministrativa - la maggioranza costruisce la propria conclusione: Non leggo alcuna giurisprudenza pertinente nei paragrafi 112 e 113, né le varie fonti giuridiche internazionali ivi citate sostengono un tale diritto assoluto. Il concetto è che la parte interessata a un procedimento amministrativo deve avere la possibilità di presentare argomentazioni, e non è contestato che ciò sia avvenuto nel caso di specie; tuttavia, ciò può avvenire "dopo" l'emissione della diffida, con piene garanzie di difesa (in Italia, in due casi di procedimenti giudiziari).
42.  Un terzo aspetto riguarda l'uso che la maggioranza fa dell'articolo 53 § 2, terzo trattino, della Convenzione di Istanbul. Il paragrafo 272 della Relazione esplicativa è molto chiaro nel sottolineare che:
"Il terzo trattino impone alle Parti di garantire che in alcuni casi tali ordini possano essere emessi, se necessario, su base ex parte con effetto immediato. Ciò significa che un giudice o un altro funzionario competente avrebbe l'autorità di emettere un ordine restrittivo o di protezione temporaneo[9] sulla base della richiesta di una sola parte. Va notato che, in conformità con gli obblighi generali previsti dall'articolo 49 (2) della Convenzione, l'emissione di tali ordini non deve pregiudicare i diritti della difesa e le esigenze di un processo equo e imparziale, in conformità con l'articolo 6 della CEDU. Ciò significa, in particolare, che la persona contro la quale è stata emessa tale ordinanza deve avere il diritto di impugnarla davanti alle autorità competenti e secondo le procedure interne appropriate".

43.  Non leggo nel linguaggio sopra riportato alcun riferimento all'urgenza in quanto tale, ma piuttosto ai casi "in cui [è] necessario" emettere ingiunzioni ex parte. Tale necessità, nel contesto della violenza di genere, può essere anche la necessità di proteggere la vittima. Come previsto dall'acquis di Istanbul, la persona indicata come autore del reato avrà ovviamente il diritto di ricorrere in appello. Nel frattempo, tuttavia, i possibili rischi sarebbero stati, per quanto possibile, evitati.
44.  Al contrario, la maggioranza, dopo aver citato la suddetta norma della Convenzione di Istanbul (si veda il paragrafo 114), trae conclusioni (nel paragrafo 116) che vanno ben oltre. Essi introducono "l'urgenza, debitamente indicata nella motivazione del verbale di cautela e soggetta... al controllo giudiziario" come unica possibile deroga al diritto dell'autore del reato di essere "preventivamente" ascoltato. Ritengo, al contrario, che nel contesto della violenza contro le donne possa mancare l'urgenza in quanto tale, ma che comunque - secondo opzioni che devono rimanere all'interno del margine di apprezzamento degli Stati - una misura "a sorpresa" possa essere necessaria. Affermare il contrario significa sottovalutare i rischi che comporta la violenza domestica.
45.  Supporrò per un momento che l'"urgenza" sia - come afferma la maggioranza - l'unica situazione in cui è consentita una deroga alla preventiva "comunicazione" all'autore delle accuse di stalking. Se così fosse, non vedo perché l'"urgenza" non possa, una volta per tutte, essere giuridicamente riconosciuta a livello nazionale come applicabile a una categoria di provvedimenti le cui caratteristiche, da sole e in astratto, giustificano l'approccio generale. In altre parole, se un certo ordine può essere emesso se, e solo se, è in gioco una condotta di stalking, perché l'urgenza non può essere ipso iure et facto presente?
46.  Questo è quanto ha affermato il Consiglio di Stato nel nostro caso. Ma anche sociologi e criminologi, movimenti femminili e la Corte affermano la stessa cosa: "è necessaria una risposta immediata alle accuse di violenza domestica da parte delle autorità" (si veda Kurt, citato sopra, § 165, e Talpis c. Italia, no. 41237/14, § 114, 2 marzo 2017).
47.  Esiste un legame specifico tra l'obbligo di risposta immediata e le misure preventive di ingiunzione, come l'ammonimento della polizia italiana. L'articolo 50 della Convenzione di Istanbul è intitolato "Risposta immediata, prevenzione e protezione" e, ai sensi dell'articolo 53, paragrafo 2, primo trattino, le ingiunzioni devono essere "disponibili per una protezione immediata". Il paragrafo 270 della Relazione esplicativa sottolinea che il suddetto trattino "richiede che tali ordinanze offrano una protezione immediata ..... Ciò significa che qualsiasi ordinanza deve avere effetto immediatamente dopo la sua emissione e deve essere disponibile senza lunghi procedimenti giudiziari" (corsivo aggiunto). Inoltre, come ho già detto, il paragrafo 272 della stessa Relazione è molto chiaro nell'affermare che "Il terzo trattino richiede alle Parti di garantire che in alcuni casi questi ordini possano essere emessi, se necessario, su base ex parte con effetto immediato".
48.  In sintesi, la Convenzione di Istanbul accetta esplicitamente che anche una semplice richiesta "ex parte" è sufficiente per un'ingiunzione (senza indagini) e i diritti di difesa possono essere garantiti in seguito. Logicamente ciò deve valere ancora di più nel contesto italiano, in cui l'ammonimento è considerato un provvedimento d'urgenza in quanto tale, ma le indagini precedono la sua emissione e i diritti della difesa sono pienamente garantiti, almeno attraverso i successivi ricorsi[10].
La motivazione del verbale di ammonimento e la motivazione delle decisioni dei tribunali che prevedono il controllo giurisdizionale
49.  La maggioranza ha ben chiarito la natura orale dell'"ammonimento" e il fatto che, nel quadro italiano, alcune motivazioni compatibili con il carattere d'urgenza del provvedimento sono fornite nel verbale, una copia del quale viene consegnata alla parte lesa (cfr. paragrafo 137 della sentenza). Sulla base della loro lettura, tuttavia, la maggioranza ritiene che nel caso di specie il verbale non fornisse una motivazione sufficiente (si veda il paragrafo 135 della sentenza).
50.  Io ritengo il contrario e ho avuto l'opportunità di esprimere il mio dissenso sopra, quando ho commentato i fatti del caso (per cui non è necessario che ripeta i miei punti qui). Ho fornito una lettura piuttosto diversa, ritenendo che i verbali fossero di per sé sufficientemente motivati e che i requisiti di ulteriori specifiche che la maggioranza prevede al paragrafo 135 siano effettivamente eccessivi. Ciò è ancora più vero se si accetta - come io accetto insieme alla Convenzione di Istanbul - che segue un procedimento in contraddittorio completo, in cui la divulgazione delle deposizioni a cui si fa riferimento (e, soprattutto, della richiesta della vittima/testimone) consente al presunto autore del reato di comprendere appieno i riferimenti che i verbali devono necessariamente fare ad altri documenti.
51.  Per contro, concordo con la maggioranza sul fatto che "i giudici nazionali non hanno motivato in modo pertinente e sufficiente se le azioni imputate alla [ricorrente]" giustificassero la misura, poiché il Consiglio di Stato (non vi era alcuna motivazione pertinente su questo punto nella sentenza del TAR, in quanto tale sentenza ha annullato la misura in primo grado) si è limitato a "[ritenere] che il questore avesse "accuratamente indicato" tutte le indagini che avrebbero consentito di corroborare il racconto dei fatti della sig.ra C.S. (cfr. paragrafi 21 e 139-141 della sentenza). Sebbene la giurisprudenza nazionale si sia sviluppata nel senso di ammettere che i tribunali amministrativi, in relazione a questo tipo di provvedimento, possano valutare la base fattuale e non solo la legittimità del provvedimento (cfr. paragrafi 41 e 142 della sentenza), ritengo che si sia trattato effettivamente di un vizio procedurale, in quanto la motivazione fornita dal Consiglio di Stato mostrava effettivamente un "esame puramente formale" dei fatti (cfr. paragrafo 141 della sentenza).
52.  Poiché ritengo che tale mancanza di un controllo giurisdizionale indipendente in relazione a una motivazione insufficiente avrebbe potuto, da sola, portare a una valutazione che l'interferenza era, nel complesso, proporzionata, dato che erano state ammesse molte altre garanzie, ritengo comunque opportuno prendere una posizione decisa sulla necessità di un controllo giurisdizionale completo una volta accettato - a differenza della maggioranza - che i diritti di partecipazione del presunto autore di reato possono essere limitati alla fase di ricorso giurisdizionale del procedimento di ammonimento per la prevenzione dello stalking. In matematica si impara che, in una trasposizione, si può spostare un termine da una parte all'altra di un'equazione, ma è necessario cambiare il segno. Così, le garanzie che ho sottratto alla parte del procedimento in fase di questore devono necessariamente essere aggiunte alla parte in tribunale.
CONCLUSIONI
53.  Vorrei sottolineare che l'opzione giuridica dell'ammonimento di polizia, istituita nello Stato convenuto ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge n. 11/2009 e convertito nella legge n. 38/2009, è stata esaminata dalla Corte nella causa Talpis c. Italia, sopra citata, § 51, nell'ambito di una più ampia gamma di misure preventive in materia di violenza di genere. Poiché in quel caso le autorità nazionali erano rimaste passive rispetto a un'escalation di violenza contro una donna, sono state riscontrate delle violazioni. Successivamente, nella causa Kurt c. Austria, citata sopra, § 190, la Grande Camera ha affinato i principi che regolano l'obbligo per le autorità di fornire una risposta immediata alle accuse di violenza domestica, dopo una valutazione del rischio autonoma, proattiva e completa.
54.  Detto questo, ritengo che il parere di cui sopra abbia dimostrato che la sentenza della maggioranza in questo caso rappresenta molti passi indietro nella protezione, ai sensi della Convenzione, delle donne dalla violenza di genere in generale e dallo stalking in particolare. Oltre alle numerose garanzie inutili e spesso controproducenti che la maggioranza, in un totale vuoto giurisprudenziale, pretende di ricavare dall'articolo 8 della Convenzione e cerca di imporre agli Stati per quanto riguarda l'emissione di ordini restrittivi o di protezione ai sensi dell'articolo 53 della Convenzione di Istanbul, e da cui mi dispiace aver dovuto prendere le distanze come sopra, un'ulteriore dimostrazione di tali passi indietro può essere rintracciata in un totale distacco dall'acquis giurisprudenziale della Corte, come si trova nel paragrafo 128 della sentenza.
55.  Citando il paragrafo 169 della Kurt, la maggioranza utilizza il concetto di valutazione del rischio "autonoma" e "proattiva" (aggiungerei anche "completa"), sviluppato in quella sentenza della Grande Camera, per sostenere l'idea che, "dopo aver ricevuto una denuncia", una decisione sulle misure avrebbe dovuto prima "dare a [l'autore del reato] la possibilità di presentare argomenti a sostegno delle sue posizioni". Ma non è questo che la Corte - sulla base degli sviluppi di lunga data della ricerca scientifica sulla violenza di genere - intendeva quando ha parlato di valutazione "autonoma" e "proattiva" del rischio. Come mostrano chiaramente i paragrafi 169 e 170 di Kurt, i termini "autonoma" e "proattiva" si riferiscono all'obbligo per le autorità di non basarsi esclusivamente sulla percezione del rischio da parte della vittima, ma di integrarla con una propria valutazione, considerando la vulnerabilità generale delle vittime di abusi domestici e la probabilità che ritirino le denunce, cambino le dichiarazioni, neghino le violenze subite in passato e tornino a vivere con l'autore del reato (cfr. Talpis, cit., §§ 107-25). Invece, secondo la maggioranza, una valutazione "autonoma" e "proattiva" del rischio implica, prima di emettere un ordine restrittivo o protettivo, che le autorità debbano cercare l'autore del reato e "dargli l'opportunità di presentare argomenti a sostegno della sua posizione", cioè esattamente l'obiettivo opposto a quello sostenuto dalla Grande Camera nel perseguire una migliore protezione per le vittime vulnerabili che non sono in grado di denunciare pienamente la violenza subita.
56.  L'eccessiva protezione del presunto autore del reato e la volontà di ottenere a tutti i costi la sua "versione", in opposizione a quella della presunta vittima, porterà di solito - come dimostra l'esperienza - ad accuse reciproche di false dichiarazioni, ad accuse di comportamento provocatorio o addirittura ad accuse di violenza reciproca. In alcuni casi, potrebbero esserci motivi per emettere ingiunzioni sia contro la vittima che contro l'autore del reato. Si tratta di un'eventualità da evitare, perché può addirittura - per il noto fenomeno dell'eterogenesi dei fini - mettere a repentaglio l'accertamento della verità. Posso fare riferimento ancora una volta al Rapporto esplicativo della Convenzione di Istanbul, che al § 276 ci dice che "Infine, poiché l'accertamento della verità nei casi di violenza domestica può essere talvolta difficile, le Parti possono prendere in considerazione la possibilità di limitare la possibilità per l'avversario/il perpetratore di ostacolare i tentativi della vittima di chiedere protezione, adottando le misure necessarie per garantire che, nei casi di violenza domestica, gli ordini restrittivi e di protezione di cui al paragrafo 1 non possano essere emessi contro la vittima e il perpetratore reciprocamente. Inoltre, le Parti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di bandire dalle loro legislazioni nazionali qualsiasi concetto di comportamento provocatorio in relazione al diritto di richiedere ordini restrittivi o di protezione. Tali concetti consentono interpretazioni abusive che mirano a screditare la vittima e dovrebbero essere eliminati dalla legislazione sulla violenza domestica".
 

Note


[1] In Opuz c. Turchia, § 132, 9 giugno 2009, la Corte ha chiarito, una volta per tutte, che la violenza domestica, "che può assumere varie forme che vanno dalla violenza fisica a quella psicologica o all'abuso verbale", è "un problema generale che riguarda tutti gli Stati membri e che non sempre viene a galla poiché spesso si svolge all'interno di relazioni personali o di circuiti chiusi". Ha inoltre chiarito che non sono solo le donne a essere colpite, ma anche gli uomini possono esserne vittime e, anzi, che "anche i bambini sono spesso vittime del fenomeno, direttamente o indirettamente". Detto questo, è fin troppo ovvio perché nel testo mi riferirò alle donne come vittime: statisticamente e concettualmente, le donne sono le vittime quasi esclusive della violenza di genere.
[La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è stata adottata dal Comitato dei Ministri e aperta alla firma a Istanbul l'11 maggio 2011. La Convenzione è entrata in vigore il 1° agosto 2014 e riconosce la violenza di genere contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Vale la pena di chiarire subito che, sebbene non sia "compito della Corte controllare l'osservanza da parte dei governi di strumenti diversi dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dai suoi Protocolli", la Convenzione di Istanbul - "che, come la Convenzione stessa, è stata elaborata nell'ambito del Consiglio d'Europa" - può "fornirle una fonte di ispirazione", "al pari di altri trattati internazionali" (si veda, ad esempio, con riferimento alla Carta sociale europea, Zehnalová e Zehnal c. Repubblica Ceca (dec.), no. 38621/97, ECHR 2002-V). Inoltre, la Convenzione non può essere interpretata nel vuoto e deve essere interpretata in armonia con i principi generali del diritto internazionale. A questo proposito, ricordo che la Corte ha fatto riferimento alla Convenzione di Istanbul come fonte di ispirazione, ad esempio nella causa Kurt c. Austria, 62903/15 [GC], §§ 167, 172, 175, 180-1, 197, 15 giugno 2021.
[3] Ritengo che il rispetto per la dignità della presunta vittima mi imponga l'obbligo di usare il suo nome, attraverso le sue iniziali (signora C.S.). La signora C.S. è stata la parte richiedente nel procedimento amministrativo di cautela ed è stata quindi anche parte (sebbene in contumacia), insieme al Ministero dell'Interno, del successivo procedimento giudiziario interno. La letteratura sul nome delle donne è diventata negli ultimi decenni parte integrante della ricerca storica e giuridica sulla discriminazione.
[Purtroppo la sentenza di maggioranza ritiene che "la stragrande maggioranza dei testimoni non abbia confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente", cioè "l'ipotesi dei fatti da lei sostenuta" (cfr. paragrafo 136 della sentenza). Come ripeto, secondo la maggioranza "quattordici dichiarazioni non hanno confermato la versione dei fatti della moglie del ricorrente"; degli altri tre testimoni, uno è stato indicato come "un amico della moglie del ricorrente". Tralasciando il fatto che, nell'ambito della violenza contro le donne, spesso accade che solo gli "amici sappiano", mi limito a sottolineare che il racconto della signora C.S. non è stato considerato come quello di un testimone (il principale, a mio avviso), ma come una "versione", necessariamente da confermare. Le vittime contano e, come ho detto nel corpo principale del parere, dovrebbero essere considerate come testimoni. Infatti, è uno standard ampiamente riconosciuto che nei casi di violenza domestica la credibilità intrinseca della vittima può essere sufficiente, una volta garantiti i diritti della difesa. Nelle mie conclusioni (Parte IV) includerò alcune considerazioni sui pericoli di ridurre la violenza di genere a reciproche accuse e a "versioni" opposte dei fatti. 
[5] Il primo rapporto è stato: Gruppo di Modena sullo Stalking, Vittime femminili di stalking: Recognition and Intervention Models: a European Study, FrancoAngeli, 2005; sono seguiti molti altri rapporti, sostenuti dall'Unione Europea.
[6] Può essere interessante notare che questa scelta è in piena armonia con il quarto trattino dell'articolo 53 § 2 della Convenzione di Istanbul. Il paragrafo 273 della relazione esplicativa della Convenzione afferma che:  
"Il quarto trattino mira a garantire alle vittime la possibilità di ottenere un ordine restrittivo o di protezione indipendentemente dal fatto che scelgano o meno di avviare un altro procedimento giudiziario. Ad esempio, laddove tali ordini esistono, le ricerche hanno dimostrato che molte vittime che vogliono richiedere un ordine restrittivo o di protezione potrebbero non essere disposte a sporgere denuncia penale (che porterebbe a un'indagine penale ed eventualmente a un procedimento penale) contro l'autore del reato" (corsivo aggiunto).

[L'ammonimento italiano non è tecnicamente un "ammonimento", in quanto - a differenza di alcune giurisdizioni di common law - non presuppone che l'autore del reato accetti le accuse; l'accusato può, al contrario, ricorrere alla giustizia amministrativa. L'ammonimento italiano, di natura amministrativa, è stato successivamente esteso dalla Legge n. 119 del 2013 ai casi di violenza domestica stricto sensu (al di là dello stalking); e dalla Legge n. 71 del 2017 al cyberbullismo, quando l'autore dei fatti è un minore. Nel mio parere tratterò il fatto che di norma non ha una durata fissa; ma ce l'ha per l'autore minorenne di cyberbullismo (in questo caso, termina quando il minore compie 18 anni). La legislazione italiana offre molti altri esempi di ammonimenti da parte delle autorità, la cui natura e disciplina non ha quasi nulla in comune con il caso trattato nella presente sentenza. 

[8] Il paragrafo 268 della Relazione esplicativa, relativo all'articolo 53, recita come segue:
"Il suo scopo è quello di offrire un rimedio giuridico rapido per proteggere le persone a rischio di una qualsiasi delle forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, vietando, contenendo o prescrivendo un determinato comportamento da parte dell'autore del reato". L'ampia gamma di misure coperte da tali ordini fa sì che essi esistano sotto varie denominazioni, come ordine di restrizione, ordine di divieto, ordine di sfratto, ordine di protezione o ingiunzione. Nonostante queste differenze, il loro scopo è lo stesso: prevenire la violenza e proteggere la vittima. Ai fini della presente Convenzione, i redattori hanno deciso di utilizzare il termine ordine restrittivo o di protezione come categoria generale" (corsivo aggiunto).

È forse interessante notare che il successivo paragrafo 269 tratta della possibilità che gli ordini restrittivi o di protezione siano disciplinati dal diritto civile o, come nel sistema italiano, dal diritto amministrativo. Il testo recita come segue:
"Gli estensori hanno deciso di lasciare alle Parti la scelta del regime giuridico appropriato in base al quale tali ordini possono essere emessi. Il fatto che gli ordini restrittivi o di protezione siano basati sul diritto civile, sul diritto processuale penale o sul diritto amministrativo o su tutti questi aspetti dipenderà dal sistema giuridico nazionale e soprattutto dalla necessità di proteggere efficacemente le vittime" (corsivo aggiunto).

[Al paragrafo 114, la maggioranza sottolinea troppo, a mio avviso, l'aggettivo "temporaneo" in questo paragrafo della Relazione esplicativa, che utilizza, indirettamente, per completare le proprie argomentazioni sulla necessità che la durata sia predeterminata o soggetta a revisione. Per contestare il loro assunto, vale la pena di notare che: - il relativo trattino dell'art. 53 § 2 menziona la misura "ex parte" con effetto immediato, senza includere il concetto di "temporaneità", che è contenuto solo nella Relazione esplicativa; - la Relazione esplicativa, nella sua versione francese, utilizza il diverso aggettivo "provisoire"; - la portata della frase contenente il requisito della "temporaneità" è quindi strettamente connessa con la base "ex parte" dell'ordinanza provvisoria. Se, come nel sistema italiano, l'ingiunzione viene sempre emessa dopo le indagini, il requisito della temporaneità potrebbe non essere applicabile. Ciò che è importante, in questo passaggio della Relazione esplicativa, è che il diritto di difesa è garantito da un ricorso successivo, e non da una precedente partecipazione, come richiesto, invece, dalla maggioranza.
[La maggioranza cita gli sviluppi della giurisprudenza nazionale in questo settore, ma poiché sono tutt'altro che stabili, non li prendo in considerazione in questa sede.