L'accesso al cd. "patteggiamento" preclude all'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, la possibilità di eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(ud. 17/12/2021) 22-12-2021, n. 46852
Dott. FERRANTI Donatella - Presidente, Dott. PICARDI Antonio rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
B.M., nato il (OMISSIS);
S.M., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/06/2021 del TRIBUNALE di PAVIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCA PICARDI;
lette le conclusioni del PG.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Pavia, con sentenza ex art. 444 c.p.p., su richiesta concorde delle parti, ha applicato a B.M. e S.M. la pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per numerosi reati di furto pluriaggravato.
2. B.M. e S.M., a mezzo del difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando: 1) la violazione dell'art. 143 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. c, in relazione all'art. 24 Cost., in quanto, pur non essendo gli stessi in grado di comprendere perfettamente la lingua italiana, non sono stati assistiti da un interprete e la sentenza non è stata loro tradotta in lingua rumena o altra lingua a loro conosciuta; 2) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza che, in alcuni tratti, è incomprensibile, essendo stata redatta a mano, e, comunque, del tutto carente di argomentazioni in ordine alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p..
3. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
4. I ricorsi sono inammissibili, atteso che le censure formulate, con cui si è denunciata la mancata traduzione della sentenza in lingua comprensibile all'imputato ed il difetto di motivazione, non sono riconducibili a quelle oggi consentite ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, nella nuova formulazione, in base alla quale il p.m. e l'imputato possono proporre esclusivamente i motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza.
5. In ordine alla prima censura occorre precisare che nel ricorso non risulta prospettato, in modo chiaro ed esplicito, che l'asserita violazione processuale abbia inciso sulla libera determinazione degli imputati e sull'espressione della loro volontà.
Va, peraltro, richiamato quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'accesso al cd. "patteggiamento" preclude all'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, la possibilità di eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento (Sez. 2, n. 6575 del 02/02/2016 cc. - dep. 18/02/2016, Rv. 266198 - 01).
Tale arresto, formatosi anteriormente alla recente riforma, che ha limitato le doglianze proponibili, resta confermato anche oggi.
L'applicazione concordata della pena postula la rinunzia a fare valere eventuali nullità, diverse da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso ad essa prestato, perchè le dette nullità se verificatesi, devono ritenersi superate dall'accordo intervenuto tra le parti. Il giudizio di applicazione della pena deve, infatti, considerarsi svincolato dalla specificità delle forme processuali nel corso delle quali esso si è innestato. Da ciò consegue, con specifico riferimento al caso in esame, che l'accesso al rito alternativo del c.d. "patteggiamento" preclude all'imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, la possibilità di eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di parte degli atti del procedimento, anche perchè proprio la libera scelta del rito lascia presupporre la conoscenza effettiva del contenuto di tali atti da parte dell'imputato e il pieno rispetto, sotto tale profilo, del diritto di difesa.
Deve, inoltre, aggiungersi che, in tema di traduzione degli atti, ex art. 143 c.p.p., come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2014, il diritto all'assistenza all'interprete non discende automaticamente dallo "status" di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto indefettibile dell'accertata incapacità di comprensione della lingua italiana (Sez. 2, n. 30379 del 19/06/2018 ud.- dep. 05/07/2018, Rv. 273246 - 01). Tale presupposto è stato dedotto nel ricorso in modo vago ed impreciso e non auto-sufficiente, non essendo stati nè trascritti nè allegati gli atti del processo da cui esso emergerebbe.
Infine, va ribadito che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotta non integra un'ipotesi di nullità ma, se vi è stata specifica richiesta di traduzione ovvero questa è stata disposta dal giudice, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell'imputato nella lingua a lui comprensibile e, pertanto, il motivo di impugnazione dedotto sul punto ha l'unico effetto di consentire la regolarizzazione dell'eventuale omissione e rimettere l'imputato in termini (Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019 ud. - dep. 07/11/2019, Rv. 277775 - 01).
Sez. 5, n. 32878 del 05/02/2019, Molla, Rv. 277111 - 02, ha, peraltro, chiarito che, in tema di traduzione degli atti, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l'omessa traduzione della sentenza di patteggiamento in lingua nota all'imputato alloglotta non integra di per sè causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell'art. 613 c.p.p., ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, l'imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione. La stessa sentenza ha, anche, affermato che non sussiste, in favore dell'imputato alloglotta, l'obbligo di traduzione del decreto di fissazione dell'udienza camerale di definizione del patteggiamento ex art. 447 c.p.p., qualora quest'ultimo consegua all'istanza del difensore di fiducia munito di procura speciale, non configurandosi in tal caso alcuna lesione del diritto di difesa.
6. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sent. n. 186/2000), consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, di una somma, che congruamente si determina in Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021