Va condannata per aver recato pregiudizio al minore e ostacolato il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento la moglie che nel procedimento per spearazione e affidamento dei figli pone in essere in danno del marito una condotta ostruzionistica sulla ossessiva convinzione delle violenze perpetrate dal padre sulle figlie.
Nel processo civile, la consulenza tecnica di parte, nonostante il suo contenuto tecnico e a differenza della consulenza tecnica d'ufficio, costituisca una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valoro probatorio.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione PRIMA CIVILE
ordinanza 29/01/2019 (ud.) 08/04/2019, n. 9765
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente -
Dott. MELONI Marina - Consigliere -
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - rel. Consigliere -
Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29835/2017 proposto da:
D.P., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour,
presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,
rappresentata e difesa dall'avvocato RC, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
M.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vittoria
Colonna n. 40, presso lo studio dell'avvocato Maria Cimino,
rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Maria Dolei, giusta
procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 938/2017 della Corte di appello di Catania,
depositata il 19/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
29/01/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 23 dicembre 2015, pronunciava la separazione personale dei coniugi M.V. e D.P., affidava le figlie minori, F. e C., alla madre, disciplinando i tempi di permanenza delle medesime presso il padre, e poneva a carico di M. un assegno per il mantenimento della moglie e delle figlie di 600,00 Euro mensili.
La Corte di appello di Catania con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l'appello di D.P. confermando la decisione impugnata.
Avverso la sentenza di appello, ricorre in cassazione D.P. con due motivi. Resiste con controricorso M.V. che ha depositato altresì memoria ex art. 380-bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia il vizio di motivazione, nei termini di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Catania per non avere valutato, quale fatto decisivo ai fini del giudizio, la condotta di abuso sessuale posta in essere dal padre ai danni delle figlie minori, ponendo a fondamento dell'assunta decisione la c.t.u. espletata in primo grado e non le relazioni allegate dalla ricorrente, obliterando altresì le numerose denunce penale e gli esiti dei procedimenti penali avviati nei confronti del coniuge.
Il motivo si espone ad una valutazione che è in parte di inammissibilità ed in parte di non fondatezza.
Il fatto storico connotato dai caratteri della decisività ai fini del giudizio che la Corte di appello di Catania avrebbe omesso nella valutazione è integrato, secondo deduzione difensiva, dai presunti abusi sessuali che il padre avrebbe posto in essere ai danni delle figlie.
La censura è infondata avendo la Corte territoriale, con ampia valutazione, esaminato il fatto, rilevando che i numerosi procedimenti giudiziari, incardinati in sede civile e penale, questi ultimi per le ipotesi di reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter c.p., a carico di M., si sono conclusi con l'affermazione della totale infondatezza delle accuse mosse dalla moglie.
La Corte di merito ha altresì valorizzato le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. nominato in prime cure che ha escluso la sussistenza di abusi, evidenziando, per contro, l'esistenza di un rapporto di affetto e di fiducia delle minori nei confronti del padre.
Nella motivazione dell'impugnata sentenza è altresì ben chiaro l'apprezzamento dell'atteggiamento della madre che, seppure ritenuto scevro da intenti vendicativi nei confronti del marito, è apparso sostenuto, con adesione al giudizio sul punto espresso dal c.t.u., da un orientamento distimico e dalle possibili difficoltà della donna nell'area della sessualità, per un quadro evocativo "di una patologia mentale da definire quanto al tipo ed all'intensità".
Al carattere pieno ed articolato del giudizio sul fatto decisivo che si vorrebbe nella critica difensiva mancato nella sua valutazione, si accompagna il rilievo, costante nelle conclusioni della giurisprudenza di legittimità, quanto poi all'omesso esame della relazione della c.t.p., a firma della dottoressa D'., e della relazione dell'assistente sociale, della non sussumibilità nel paradigma del vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 di ogni censura concernente la omessa valutazione di atti istruttori, a cui le segnalate relazioni sono da ascrivere (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 29/10/2018, n. 27415) nè di deduzioni difensive, nel cui novero è pianamente ricompresa la consulenza tecnica di parte (Cass., 18/10/2018, n. 26305).
Si tratta, rileva questa Corte di legittimità, di profili di censura che in ogni caso neppure si confrontano con l'evidenza che sia la relazione della c.t.p. che quella dell'assistente sociale sono state scrutinate dai giudici di appello (pp. 7 e 8).
Vero è, altresì, che la proposta censura soffre di una ulteriore ragione di inammissibilità.
Essa è invero diretta a far valere, attraverso il denunciato vizio di motivazione, una pretesa migliore e più appagante, secondo le ragioni dedotte dalla ricorrente, lettura della pluralità dei dati acquisiti dal giudice del merito che, involgendo aspetti propri dell'attività del giudicare, è estranea al circoscritto oggetto della proposta censura, restando portatrice di una inammissibile istanza di revisione di valutazioni e convincimenti del giudice di merito per una sollecitata nuova pronuncia sul fatto.
Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 709-ter c.p.c.ed agli artt. 96 e 91 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che D. avesse posto in essere ai danni del marito una condotta ostruzionistica, all'esito confermando i giudici di appello la decisione del giudice di primo grado che aveva condannato la prima al pagamento di una sanzione di 2.500,00 Euro in favore della Cassa delle Ammende.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
La sentenza d'appello ha invero accertato, sulla scorta dei precedenti giudiziari e della c.t.u. espletata, che la D., con la sua condotta ispirata dall'ossessiva convinzione delle violenze perpetrate dal padre sulle figlie, ha di fatto ostacolato o reso più difficili i rapporti tra il primo e le seconde.
La censura si traduce, d'altro canto, in una inammissibile rivisitazione del merito, mediante la riproposizione di temi già ampiamente esaminati nei precedenti gradi del giudizio.
Infondata si palesa la critica relativa all'art. 96 c.p.c..
La Corte territoriale ha adeguatamente rilevato che la donna ha agito con colpa grave, essendo ella ben consapevole della infondatezza delle sue accuse, già escluse in diverse sedi giudiziarie, proponendo un giudizio di gravame la cui piena inutilità è rivelata dalla stesse richieste avanzate dalla prima, che ha concluso per l'annullamento integrale della decisione di prime cure, nonostante siffatto titolo contenesse anche statuizioni a lei favorevoli.
Nell'impugnata decisione, la regolamentazione delle spese del giudizio ha poi correttamente osservato il principio della soccombenza, nei termini di cui all'art. 91 c.p.c..
Il ricorso va pertanto rigettato e la ricorrente condannata alle spese di lite secondo la regola della soccombenza, come indicato in dispositivo.
Va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente ammessa in via provvisoria ed anticipata al patrocinio a spese dello Stato, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, stante la prenotazione a debito in ragione dell'ammissione al predetto beneficio (Cass. 22/03/2017 n. 7368).
La liquidazione del compenso al difensore della parte ammessa a patrocinio a spese dello Stato, ove ne restino confermate le relative condizioni giustificative, è riservata, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 83, al giudice di merito che ha emesso la pronuncia passata in giudicato per effetto della presente ordinanza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore di M.V. in Euro 3.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.
Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2019