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Accesso civico non esercitabile per rapporti fra privati (TAR Lazio 4122/19)

12 marzo 2019, TAR Lazio

Il diritto di accesso civico (FOIA) ha natura pubblicistica ed è funzionale a un interesse pubblico, ravvisabile nel controllo generalizzato e diffuso sull’attività delle pubbliche amministrazioni.

In ciò si distingue dal diritto di accesso documentale riconosciuto dalla legge sul procedimento amministrativo, posto a tutela di interessi privati e che presuppone una posizione soggettiva differenziata.

Trattandosi di un interesse diffuso, il diritto di accesso civico generalizzato è stato riconosciuto senza limiti di legittimazione attiva, per cui la posizione del giornalista non si distingue, in tale ambito, da quella del comune cittadino.

Affinché il diritto sia esercitabile, in ogni caso, è necessario che sia funzionale allo scopo stabilito dalla legge, ravvisabile nel controllo generalizzato sul buon andamento della pubblica amministrazione e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

Il diritto di accesso civico generalizzato non è riconosciuto dall’ordinamento per controllare l’attività dei privati o i rapporti tra essi intercorrenti.

 

Tribunale Amministrativo Regionale
Lazio - Roma

Sezione Prima Quater

Sentenza 28 marzo 2019, n. 4122

 

N. 15041/2018 REG.RIC.
N. _____/____ REG.PROV.COLL. N. 15041/2018 

REG.RIC. N. 00078/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15041 del 2018, proposto da

Antonino Salvatore Monteleone, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Santamaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, 44;

contro

Garante per la protezione dei dati personali, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Piero Guido Alpa, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Cardarelli, Sonia Caldarelli e Francesca Gervasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via G. P. da Palestrina, 47;

Giuseppe Conte, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 78 del 2019, proposto da

Antonino Salvatore Monteleone, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Santamaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, 44;

contro

Garante per la protezione dei dati personali, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Piero Guido Alpa, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Cardarelli, Sonia Caldarelli e Francesca Gervasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via G. P. da Palestrina, 47;

Giuseppe Conte, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 15041 del 2018:

del diniego di accesso disposto con provvedimento del responsabile del procedimento prot. n. 99/18 del 15.11.2018, notificato in pari data, sull'istanza di accesso agli atti del 9.10.2018;

quanto al ricorso n. 78 del 2019:

del provvedimento di rigetto prot. n. 37730/2018 del 21.12.2018, notificato in pari data, a firma del Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, reso sull'istanza di riesame del 26.11.2018;

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Garante per la protezione dei dati

personali e di Piero Guido Alpa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2019 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il contenzioso deriva da una istanza di accesso presentata dall’attuale ricorrente, in

data 9 ottobre 2018, al Garante per la protezione dei dati personali.

L’interessato, giornalista professionista, chiedeva di prendere visione della documentazione relativa al contenzioso civile presso al Tribunale di Roma nell’ambito del quale l’Autorità garante è stata contrapposta alla Rai Radiotelevisione italiana, società per azioni, nell’anno 2001.

Nella istanza di accesso l’interessato esponeva di aver appreso, da notizie di stampa, che l’Autorità garante sarebbe stata difesa dall’avvocato Guido Alpa, coadiuvato nella difesa dall’avvocato Giuseppe Conte.

Al fine di un approfondimento giornalistico della questione, l’interessato chiedeva di accedere, in particolare, alla memoria di costituzione, alla sentenza definitiva del giudizio, all’ammontare delle spese e ai documenti contabili di liquidazione degli onorari agli avvocati incaricati.

L’accesso era negato dall’Autorità garante con provvedimento numero di protocollo 99 del 15 novembre 2018.

Il diniego, premessa la formale opposizione all’istanza di accesso del controinteressato avvocato Guido Alpa, è motivato con la considerazione che gli atti processuali, memoria di costituzione e sentenza definitiva, sarebbero soggetti a specifiche regole, inderogabili dalla disciplina in materia di accesso civico; che il diritto di accesso sarebbe escluso nei casi di segreto professionale, con riferimento agli atti che attengono al diritto di difesa in un processo; che, tra gli atti connessi alla difesa in giudizio, sarebbero compresi anche gli atti relativi al rapporto con gli N. 15041/2018 REG.RIC.

avvocati difensori dell’amministrazione assistita, tra i quali rientrerebbero i documenti contabili di liquidazione degli onorari e gli atti di conferimento degli incarichi difensivi; che la normativa che prevede obblighi di pubblicazione relativi agli incarichi di patrocinio legale sarebbe entrata in vigore solo in seguito alle modifiche al decreto legislativo numero 33 del 2013 introdotte dalla legge numero 114 del 11 agosto 2014.

Con il ricorso contraddistinto dal numero di registro 15.041 del 2018, notificato all’amministrazione resistente e ai controinteressati il 14 dicembre 2018, l’interessato impugna il provvedimento numero di protocollo 99 del 15 novembre 2018, recante il diniego di accesso, per i seguenti motivi: violazione della disciplina sull’accesso civico generalizzato, trattandosi di istanza presentata ai sensi del decreto legislativo numero 33 del 2013 che consentirebbe l’accesso a qualsiasi informazione ad ogni titolo detenuta dalla pubblica amministrazione; insussistenza di esigenze difensive, con riferimento alla memoria costitutiva e alla sentenza, trattandosi di contenzioso definito da anni; irrilevanza del segreto professionale, non essendo stato chiesto l’accesso alla corrispondenza tra la parte processuale e i legali; obbligo di pubblicazione dei compensi per incarichi professionali, sancito dall’articolo 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013, non rilevando la data di formazione degli atti, seppure antecedente l’entrata in vigore della norma. L’amministrazione resistente e il controinteressato avvocato Alpa si costituiscono in giudizio per resistere al ricorso; non si è costituito il controinteressato avvocato Conte.

Nelle more, l’interessato chiede il riesame del provvedimento negativo al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza il quale, previo parere della stessa Autorità garante resistente, rigetta il ricorso amministrativo con provvedimento del 21 dicembre 2018, confermando il diniego di accesso. Quest’ultimo provvedimento viene impugnato dall’interessato con il ricorso numero di registro generale 78 del 2019, notificato all’Amministrazione resistente e ai controinteressati il 27 dicembre 2018.

Con il secondo ricorso, l’interessato ripropone i motivi di impugnazione dedotti avverso il diniego originario, articolando più approfonditamente le censure.

Le controparti si costituiscono anche per resistere al secondo ricorso, eccependo, preliminarmente, la improcedibilità del ricorso numero di registro generale 15.041 del 2018 e, nel merito, la infondatezza di tutte le censure dedotte.

I ricorsi sono trattati alla camera di consiglio del 19 marzo 2019 per essere decisi.

DIRITTO

Preliminarmente deve essere riunito il ricorso numero di registro generale 78 del 2019 al ricorso numero di registro generale 15.041 del 2018; si deve premettere, infatti, che il giudizio sull’accesso, disciplinato dall’articolo 116 del codice processuale amministrativo mediante rito speciale e decisione in forma semplificata, nonostante la struttura impugnatoria, è sostanzialmente un giudizio di accertamento di un diritto soggettivo; nella fattispecie concreta, i provvedimenti impugnati con i suddetti ricorsi negano, in fasi procedimentali successive, la sussistenza dei presupposti per l’accesso ai documenti e alle informazioni richieste dal ricorrente; la decisione giudiziaria è quindi necessariamente unica, dovendosi accertare se il ricorrente abbia titolo ad esercitare il preteso diritto di accesso, al di là delle motivazioni contenute nei provvedimenti negativi; ciò consente di prescindere dalla eccezione di improcedibilità del ricorso proposto per primo e di entrare immediatamente nel merito della questione.

L’istanza presentata il 9 ottobre 2018 dal giornalista ricorrente al Garante per la protezione dei dati ha ad oggetto la documentazione relativa al contenzioso civile che aveva visto contrapposte, nell’anno 2001, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali e la Rai radiotelevisione italiana; avendo appreso che l’incarico difensivo dell’Autorità garante era stato conferito all’avvocato Guido Alpa, coadiuvato dall’avvocato Giuseppe Conte, l’interessato ha chiesto l’accesso alla memoria di costituzione, alla sentenza che ha definito il giudizio, all’ammontare delle spese e ai documenti contabili di liquidazione dei rispettivi onorari agli avvocati incaricati.

L’istanza è stata presentata ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013, a titolo di accesso civico generalizzato.

Com’è noto, l’articolo 5 del decreto legislativo 33 del 2013, dopo aver riconosciuto, al primo comma, il diritto di chiunque di richiedere i documenti, le informazioni e i dati che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a pubblicare, al secondo comma riconosce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti, detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nei limiti e per le finalità indicate dallo stesso comma.

Il diritto di accesso civico generalizzato, denominato anche accesso universale, ai sensi del suddetto secondo comma dell’articolo 5, pur conoscendo i limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, espressamente presi in considerazione dall’articolo 5 bis e pur essendo connotato da uno scopo ben preciso, il controllo diffuso sulle pubbliche amministrazioni, comprende qualsiasi documento o qualsiasi informazione detenuta dalla pubblica amministrazione.

Tale diritto, d’altra parte, non si può estendere a documenti o informazioni che non sono detenute dalla pubblica amministrazione oppure sono detenute da amministrazioni diverse da quella interrogata dall’interessato.

Ciò consente di escludere il diritto di accesso preteso dal ricorrente per la sentenza definitiva del giudizio di interesse e per la memoria difensiva presentata per conto dell’amministrazione resistente.

Si tratta di documenti e di informazioni processuali detenute e disponibili, nei limiti consentiti dalla legge, presso l’ufficio giudiziario che ha definito la controversia, nel caso specifico il Tribunale civile di Roma.

La domanda di accesso, quindi, avrebbe dovuto essere presentata al Tribunale civile di Roma e non al Garante per la protezione dei dati personali.

Limitatamente alla sentenza e alla memoria difensiva richieste, pertanto, il ricorso è infondato, in quanto si tratta di atti non detenuti “ratione officii” dall’amministrazione resistente che, seppure è stata parte nel processo civile di cui si tratta, non ha svolto né poteva svolgere alcuna funzione di deposito, pubblicazione, conservazione dei relativi atti giudiziari.

Per quanto riguarda, invece, gli altri documenti e le altre informazioni richieste dall’interessato, si deve considerare che il giornalista ricorrente reclama il diritto di conoscere l’ammontare delle spese e di prendere visione dei documenti contabili di liquidazione degli onorari agli avvocati incaricati della difesa dell’amministrazione resistente.

Al riguardo richiama l’articolo 15 del D. Lgs. 33 del 2013 che, alla lettera d) del primo comma, prevede l’obbligo di pubblicazione dei compensi, comunque denominati, relativi a rapporti di consulenza o di collaborazione con la pubblica amministrazione; trattandosi di dati a pubblicazione obbligatoria, la pubblica amministrazione non potrebbe opporsi in nessun caso alla loro comunicazione al richiedente, anche perché l’articolo 4 dello stesso decreto legislativo obbliga ciascuna pubblica amministrazione a rendere noti, mediante una specifica sezione, compresa nel proprio sito istituzionale e denominata amministrazione trasparente, i dati sui propri pagamenti, permettendone la consultazione pubblica.

A giudizio del Collegio, il richiamo agli obblighi di pubblicazione non è pertinente. Tali obblighi sono stati introdotti dalla legge 11 agosto 2014, numero 114, che ha modificato “in parte qua” l’articolo 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013; a decorrere dall’entrata in vigore della norma, l’Autorità garante resistente è obbligata a pubblicare regolarmente sul proprio sito, nella sezione autorità trasparente, le informazioni relative agli incarichi professionali.

I documenti e le informazioni chieste dal ricorrente sono, invece, relativi ad un incarico professionale conferito prima dell’entrata in vigore della norma sugli obblighi di pubblicazione; l’incarico difensivo risulta, infatti, essere stato assunto nel 2002 e le competenze risultano essere state liquidate nel 2010, quando nessun obbligo di pubblicazione ancora sussisteva.

In applicazione del principio di non retroattività della legge, quindi, non può essere esercitato oggi un diritto che non era riconosciuto dalla legge in vigore al momento in cui si è verificata la relativa fattispecie costitutiva.

Il ricorrente, al fine di smentire la suddetta tesi, richiama la circolare ministeriale per la semplificazione e la pubblica amministrazione numero 2 del 2017 che estenderebbe l’accesso civico anche a informazioni o documenti esistenti in data anteriore all’entrata in vigore della legge.

La circolare richiamata non è condivisibile per le ragioni appena esposte e, comunque, per la natura propria di essa, non è vincolante per il giudice, né per la pubblica amministrazione.

Chiarita la inapplicabilità della normativa sugli obblighi di pubblicazione e di trasparenza, si deve rilevare che, nel caso controverso, in realtà, il ricorrente ha chiesto informazioni e documenti ulteriori rispetto a quelli che dovrebbero o potrebbero essere eventualmente oggetto di pubblicazione.

Il ricorrente non è interessato soltanto all’entità del compenso liquidato agli avvocati, ma intenderebbe prendere visione delle fatture e dei documenti contabili con cui è stata liquidata la spesa.

Ciò al dichiarato fine di verificare se corrisponde al vero che l’avvocato Alpa e l’avvocato Conte abbiano lavorato autonomamente e siano stati pagati ciascuno con una distinta ed autonoma fattura.

Lo scopo dell’inchiesta giornalistica condotta dal ricorrente consiste nel disvelamento degli eventuali rapporti professionali tra i due avvocati, per approfondire la legittimità della posizione del professor Alpa nell’ambito dell’organo collegiale che ha conferito la docenza all’avvocato Conte.

Chiarita la sostanza dell’interesse dedotto in giudizio, occorre accertare se esso corrisponde al diritto tutelato dalla legge.

Il secondo comma del più volte richiamato articolo 5 del decreto legislativo numero 33 del 2013 riconosce il diritto di accesso generalizzato allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

Il diritto di accesso riconosciuto dalla norma, per la natura pubblicistica che è propria di esso, è un diritto funzionale a un interesse pubblico, ravvisabile, appunto, nel controllo generalizzato e diffuso sull’attività delle pubbliche amministrazioni.

In ciò si distingue dal diritto di accesso documentale riconosciuto dalla legge sul procedimento amministrativo, posto a tutela di interessi privati e che presuppone una posizione soggettiva differenziata.

Trattandosi di un interesse diffuso, il diritto di accesso civico generalizzato è stato riconosciuto senza limiti di legittimazione attiva, per cui la posizione del giornalista non si distingue, in tale ambito, da quella del comune cittadino.

Affinché il diritto sia esercitabile, in ogni caso, è necessario che sia funzionale allo scopo stabilito dalla legge, ravvisabile nel controllo generalizzato sul buon andamento della pubblica amministrazione e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

Il diritto di accesso civico generalizzato non è invece riconosciuto dall’ordinamento per controllare l’attività dei privati o i rapporti tra essi intercorrenti.

In applicazione del principio giuridico appena enunciato, il diritto di accesso per cui agisce il ricorrente si deve ritenere privo di fondamento.

Le finalità dichiarate espressamente dallo stesso ricorrente non rientrano tra gli scopi per i quali la legge riconosce il diritto di accesso civico generalizzato.

E’ pacifico, infatti, che l’istanza presentata dal ricorrente non è funzionale al controllo sull’attività dell’amministrazione resistente, ma è proposta al fine di conoscere i rapporti professionali tra due soggetti privati, l’avv. Alpa e l’avv. Conte.

Pertanto, si deve concludere che oggetto dell’istanza siano documenti e informazioni non comprese tra quelle accessibili in base all’articolo 5 del decreto legislativo numero 33 del 2013.
I ricorsi, in sintesi, sono infondati e devono essere respinti.

Le spese processuali sostenute dalla pubblica amministrazione resistente e dal privato controinteressato costituitosi in giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico della parte ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:

Riunisce il ricorso numero 78 del 2019 al ricorso numero 15.041 del 2018.

Rigetta i ricorsi riuniti.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore delle controparti costituite, delle spese processuali, liquidate in euro 1.000,00 (mille) oltre accessori dovuti per legge, da corrispondere a ciascuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente FF Mariangela Caminiti, Consigliere Antonio Andolfi, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE Antonio Andolfi

IL PRESIDENTE Donatella Scala

IL SEGRETARIO

Francesca Gervasio