La decisione di cui alla sentenza 31683/08 della Cassazione consente di riepilogare, seppure in sintesi, la successione normativa in tema di giudizio abbreviato anche alla luce dei numerosi interventi della Corte Costituzionale, ma si presenta sintomatica anche per evidenziare la diffidenza che l'autorità giudiziaria ancora nutre nei confronti delle indagini della difesa.
La vicenda processuale - In breve, la vicenda processuale: il difensore produceva in sede di udienza preliminare, nei termini delineati dall'articolo 391octies c.p.p. e dunque nei termini di cui all'articolo 419 c.p.p. (in definitiva: prima dell'inizio della discussione ex art. 421 c.p.p.), una serie di verbali di indagini difensive che grazie al rito abbreviato cd. secco richiesto senza soluzione di continuità, valevano l'assoluzione dell'imputato. Il P.M. proponeva ricorso per Cassazione adducendo la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 442 c.p.p., comma 1 bis, nella parte in cui consente l'utilizzabilità dei risultati delle indagini difensive in sede di giudizio abbreviato non condizionato, per contrasto con l'art. 111 Cost., commi 2, 4 e 5, configurandosi una violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova.
In sostanza, secondo il ricorrente gli elementi probatori formati unilateralmente non sono assunte in contraddittorio e, dunque, non possono mai essere considerati come prove: di conseguenza, sarebbero incostituzionali tutte quelle disposizioni che consentono l'utilizzabilità ai fini del giudizio "degli atti dichiarativi raccolti unilateralmente", in quanto il materiale raccolto dalla difesa in assenza di contraddittorio, non assurge al rango di prova.
Le indagini difensive (cenni)- La azione difensiva così valorizzata al massimo la normativa introduttiva della legge n. 397/2000, le cd. indagini difensive. Tale disciplina, riconducibile al principio costituzionale di parità fra le parti processuali fatto proprio dall'art. 111 della Grundnorm, nel prevedere un'amplissima possibilità per i difensori delle parti private di assumere prove, delinea per le stesse una equiparazione, quanto ad utilizzabilità e forza probatoria, a quelle raccolte dalla pubblica accusa, sia nella fase delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare (art. 391 octies: il difensore può presentare al giudice direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito) che in quella dibattimentale (art. 391 decies: le parti possono servirsi delle dichiarazioni a norma degli artt. 500 - 512 - 513 c.p.p.).
La normativa dunque non prevede alcun limite temporale al deposito della documentazione difensiva, né - sia chiaro - vi è obbligo alcuno alla effettiva utilizzazione mediante deposito del materiale raccolto dalla difesa. E' stato efficacemente scritto che il tempi e modi della raccolta e dell'uso degli elementi difensivi dichiarativi e documentali a favore del proprio assistito sono rimessi alla strategia e tecnica del difensore al fine di "esercitare il diritto alla prova" senza alcun generico dovere di discovery: a differenza della parte pubblica, il difensore può certamente "tenere tenere nel cassetto" cioè conservare nel suo fascicolo gli elementi di prova raccolti, con l'unico limite della distruzione dei suddetti elementi .
Lo sviluppo del giudizio abbreviato e la normativa costituzionale- E' opportuno premettere che, come autorevolmente ricordato , le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999 hanno inciso profondamente sulla disciplina del rito abbreviato. In particolare, la richiesta dell'imputato non é più subordinata al consenso del pubblico ministero, previsto dal testo originario dell'art. 438/1 c.p.p. e non é più sottoposta, salvo che nell'ipotesi di cui all'art. 438/ 5 c.p.p. al vaglio di ammissibilità da parte del giudice (già contemplato dall'art. 440/1 c.p.p. ora abrogato). Ne deriva che l'imputato, ove presenti la relativa richiesta, ha diritto di essere giudicato mediante il rito abbreviato, così da usufruire, in caso di condanna, della riduzione della pena prevista dalla legge. I nuovi meccanismi introduttivi incidono su un altro carattere fondamentale dell'originaria disciplina del giudizio abbreviato, che non é più basato esclusivamente sugli atti raccolti durante le indagini preliminari, ma prevede varie forme di integrazione probatoria, demandate all'iniziativa dell'imputato (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.), del pubblico ministero, ammesso alla prova contraria ove l'imputato abbia esercitato la facoltà di chiedere l'integrazione probatoria (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.), dello stesso giudice, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (art. 441, comma 5, cod. proc. pen.).
La scelta legislativa di cui alla novella di non prevedere interventi del pubblico ministero ostativi alla introduzione del giudizio abbreviato va ricollegata alla dichiarazione di incostituzionalità della disciplina relativa al dissenso immotivato del pubblico ministero e alle rilevate distonie dell'istituto con i principi costituzionali, per essere lo stesso pubblico ministero arbitro della "definibilità" del procedimento allo stato degli atti. Da un lato il potere di veto del pubblico ministero sulla richiesta di giudizio abbreviato riprodurrebbe i profili di illegittimità costituzionale derivanti dal sacrificio del diritto dell'imputato alla riduzione di pena; dall'altro il principio del contraddittorio tra le parti, enunciato dal secondo comma dell'art. 111 Cost., non é evocabile in relazione a una disciplina che attiene alle forme introduttive del giudizio abbreviato, quale si é venuta delineando, a seguito degli interventi della giurisprudenza costituzionale e delle successive scelte legislative, dall'originario accordo tra le parti alla richiesta dell'imputato, e che si pone come diretta conseguenza della specificità di tale rito.
Infine, l'omessa previsione di un potere di iniziativa probatoria del pubblico ministero, analogo a quello attribuito all'imputato che abbia presentato richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.), non viola secondo la Corte l'art. 111/2 Costituzione, sotto il profilo del contrasto con il principio della parità tra le parti.
L'attribuzione all'imputato della facoltà di subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad un'integrazione probatoria é coerente con la posizione di tale soggetto processuale, che si trova ad affrontare il rischio di un giudizio (e di una possibile conseguente condanna) basato sugli atti pur sempre raccolti (unilateralmente) dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari ed a cui va pertanto riconosciuta la facoltà di chiedere l'acquisizione di nuovi e ulteriori elementi di prova. Diversa é, invece, la posizione del pubblico ministero: tenuto conto del ruolo svolto nelle indagini preliminari, e fermo restando il suo diritto all'ammissione di prova contraria (cfr. infra), non é irragionevole secondo la Corte la scelta legislativa di non riconoscergli il diritto di chiedere l'ammissione di prove a carico dell'imputato solo perchè questi ha presentato richiesta di giudizio abbreviato.
Infatti, da un lato il pubblico ministero ha già esercitato il potere - e assolto al dovere - di svolgere tutte le attività necessarie in vista delle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale; dall'altro, l'esigenza di completezza delle indagini preliminari (su cui v. sentenza n. 88 del 1991) risulta rafforzata dal riconoscimento del diritto dell'imputato ad essere giudicato, ove ne faccia richiesta, con il rito abbreviato.
E' il pubblico ministero a dovere infatti tenere conto, nello svolgere le indagini preliminari, che sulla base degli elementi raccolti l'imputato potrà chiedere ed ottenere di essere giudicato con tale rito, e non potrà quindi esimersi dal predisporre un esaustivo quadro probatorio in vista dell'esercizio dell'azione penale. Ne deriva che secondo la Corte (sent. 115/2001 cit.) non costituisce irragionevole discriminazione tra le parti la mancata attribuzione all'organo dell'accusa di uno specifico potere di iniziativa probatoria per "controbilanciare" il diritto dell'imputato al giudizio abbreviato.
L'ombra del rito inquisitorio e del sospetto - Sulla base del ragionamento qui riassunto, la Cassazione, nella sentenza 31683/08 in commento, ha ritenuto pienamente compatibile la utilizzazione delle indagini difensive (unilaterali come del resto sono unilaterali gli atti d'indagine dell'accusa pubblica) ai fini della decisione anche in sede di rito abbreviato.
Precisa peraltro la Cassazione che la pubblica accusa avrebbe potuto (i maliziosi direbbero: dovuto) reagire alle produzioni difensive.
La Cassazione richiama infatti il principio più volte espresso dalla Corte Costituzionale secondo il quale a ciascuna delle parti va comunque assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte 'a sorpresa' dalla controparte, in modo da "contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio", anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto "alle singole, concrete fattispecie", e ciò anche nel corso dell'udienza preliminare (sentenze n. 238/1991, n. 16/1994, n. 203/1992), anche mediante una sospensione dell'udienza (cfr. art. 477 c.p.p.: la collocazione di detto articolo nel capo dedicato alle "disposizioni generali" del dibattimento, ed il suo specifico contenuto, conferisce alla disposizione citata evidente carattere generale e residuale, mirando a contemperare il principio della concentrazione del dibattimento con l'esigenza di consentire sospensioni di breve durata per motivi non esplicitamente indicati, ma comunque caratterizzati da un'"assoluta necessità".)
Ciò perché la garanzia del contraddittorio rispetto alle prove dedotte da ciascuna delle parti e' certamente un cardine del vigente sistema processuale, e dunque per espressa indicazione della Consulta essa deve valere anche nell'udienza preliminare (ovviamente, nei limiti posti dall'oggetto del giudizio che vi si svolge; sentenza 16/1994 cit.). Di conseguenza - prosegue la Consulta nella decisione testè citata - e' da ritenere che, ove le indagini suppletive del pubblico ministero sopravvengano in tempi tali da non consentire un'adeguata difesa, spetti al giudice di regolare le modalità di svolgimento dell'udienza preliminare anche attraverso differimenti congrui alle singole, concrete fatti specie, sì da contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio. E ciò anche ricorrendo al potere di assumere, eventualmente anche d'ufficio, gli elementi necessari alla decisione, attribuito al giudice dall'art. 441/ 5 c.p.p., dato che nel novellato giudizio abbreviato il potere di integrazione probatoria sarebbe configurato quale strumento di tutela dei valori costituzionali che devono presiedere l'esercizio della funzione giurisdizionale, sicché proprio a tale potere il giudice dovrebbe fare ricorso per assicurare il rispetto di quei valori.
Tale conclusione non pare peraltro condivisibile, dato che a sommesso avviso di chi scrive si risolve in una ennesima violazione dei principi che stanno alla base del sistema accusatorio: in primis, i valori fondamentali di terzietà ed imparzialità del giudicante. Il potere officioso di integrazione probatoria previsto dall'art. 441/ 5 c.p.p., appare finalizzato a colmare oggettive lacune del materiale probatorio, ma non può essere usato per scopi sostanzialmente diversi, quali il riequilibrio della supposta asimmetria generata dall'introduzione di materiale probatorio raccolto dal difensore o - sempre i maliziosi penseranno - la ricerca della prova di colpevolezza sino a quel momento mancante.
La motivazione della Cassazione delude anche da un ulteriore punto di vista: suggerendo l'attivazione dei poteri di investigazione suppletiva al PM per respingere la censura di incostituzionalità, indica nella nuova audizione dei testi sentiti dalla difesa (sic!) una possibile via da percorrere.
Viene così confermata la profonda diffidenza dell'autorità giudiziaria nei confronti dei (già limitatissimi) poteri di indagine della difesa: vincere tale sospetto è una delle prossime ed impellenti sfide dell'avvocatura penale.
Articolo pubblicato in (c) Strumentario Avvocati - Rivista di diritto e procedura penale, I, 1, dicembre 2008.
Cfr. anche LUCA DE FEO "Il dente del giudizio (abbreviato) il primo quarto di secolo di un rito contratto" in Archivio Penale, 1, 2015, URL http://www.archiviopenale.it/apw/wp-content/uploads/2015/03/web.1.2015.Laboratorio.scrittura.Abbreviato.DeFeo_.pdf