La richiesta di perizia psichiatrica per l'accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è in astratto inconciliabile con il rito abbreviato, la cui ammissione presuppone che l'imputato abbia la piena capacità di intendere e di volere; spetta tuttavia al giudice di merito la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto personale incompatibile con l'esistenza di vizi di mente, per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, l'ammissione della richiesta di perizia psichiatrica, anche in relazione alle modalità e alla serialità reiterata nel tempo delle condotte di aggressione alla sfera sessuale, e alla lucida e intelligente azione di adescamento compiuta con metodi fraudolenti che in concreto potrebbe risultare inconciliabile con un vizio di mente, parziale o totale; tuttavia se nessuna richiesta è effettuata ai giudici di merito, e nessun accertamento è stato disposto d'ufficio, la relativa questione risulta inammissibile se proposta per la prima volta in sede di legittimità, in quanto sono necessarie valutazioni di merito sopra viste - incompatibili con il giudizio di legittimità".
La regola dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali.
Pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, non può ritenersi che in ogni caso, quando la legge si limita a fare riferimento alla ipotesi tipica, debba ritenersi esclusa quella tentata, dovendosi invece aver riguardo alla materia cui la legge si riferisce e alla sua "ratio" onde stabilire se sia compresa o no l'ipotesi del tentativo. Nel caso delle pene accessorie per i reati contro la libertà personale di natura sessuale, considerato il particolare rigore del legislatore sulle sanzioni accessorie, non sarebbe logico escludere le ipotesi caratterizzate dal solo tentativo, che, ancorchè meritevoli di una pena principale meno grave, per il generale principio posto dall'art. 56 c.p., comunque postulano l'applicazione delle pene accessorie ai fini della tutela contro reiterazioni di comportamenti di aggressione alla libertà personale di natura sessuale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
(ud. 11/07/2017) 20-11-2017, n. 52637
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito - Presidente -
Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere -
Dott. SOCCI Angelo M. - rel. Consigliere -
Dott. DI STASI Antonella - Consigliere -
Dott. MENGONI Enrico - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.P., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/09/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANGELO MATTEO SOCCI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROMANO GIULIO che ha concluso per: "Rigetto del ricorso";
Il difensore di parte civile, Avv. CRI, chiede il rigetto del ricorso, deposita conclusioni e nota spese di parte ammessa al patrocinio a carico dello Stato.
Il difensore del ricorrente, Avv. NA, chiede l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della Corte di appello di Ancona, del 12 settembre 2016, in parziale riforma della decisione del giudice per le indagini preliminari - giudizio abbreviato - del Tribunale di Macerata, riduceva la pena inflitta a Z.P. in anni 2 e mesi 2 di reclusione revocando la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni 5, riducendo la misura di sicurezza personale ad anni 1 e mesi 6, con riduzione della somma liquidata alla parte civile per i danni ad Euro 6.000,00, relativamente al reato di cui agli artt. 56 e 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., n. 2, perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco... ad abusare sessualmente del minore M.M.N. (nato il (OMISSIS)), a cui già nei mesi precedenti aveva fatto avances dicendogli: "sei un bel ragazzo, peccato che sei fidanzato, se hai problemi con la tua ragazza, anche sessualmente, puoi tranquillamente venire da me... in caso di bisogno io ci sono", non riuscendo nel suo intento per cause indipendenti dalla sua volontà.
Accadeva, infatti, che con la scusa di voler acquistare un materasso presso la ditta in cui il ragazzo aveva svolto uno stage lavorativo, lo attirava in casa e offrendogli un thè gli somministrava del narcotico (benzodiazepine, come successivamente accertato dalle analisi) procurandogli subito stordimento e malessere, e dapprima gli faceva vedere un video sul telefonino che riprendeva la scena di un approccio sessuale con altro giovane, quindi lo faceva stendere a letto e iniziava a spogliarlo togliendogli le scarpe, non riuscendo nel suo intento perchè il M., seppure in stato confusionale, riusciva a telefonare per chiedere aiuto e quindi veniva soccorso dal padre della fidanzata, in (OMISSIS).
2. L'imputato propone ricorso, tramite difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, e violazione di legge, relativamente all'errata declaratoria di certezza del modus operandi dell'imputato, errore logico motivazionale.
La sentenza impugnata evidenziava un modus operandi dell'imputato consistente nel somministrare bevande alcoliche o narcotici ai giovani, rendendoli incoscienti, per poi compiere con loro atti sessuali. Con corto circuito logico si ritiene di provare la somministrazione di narcotico alla parte offesa con la precedente somministrazione di alcol o narcotico ad altri due ragazzi. Non risulta però nessuna prova della somministrazione di alcol o di narcotico ad altri ragazzi ( V. e C.). Nessuno dei due afferma con certezza di essere stato narcotizzato. Il sonno profondo dei due potrebbe spiegarsi diversamente, per V. dal suo bere alcol in modo eccessivo e per C. dall'essersi addormentato tardi - le 3 di notte -.
2. 2. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, e violazione di legge, relativamente all'errata declaratoria di certezza della somministrazione dolosa di farmaco narcotizzante.
L'imputato ha sostenuto di aver scambiato colposamente le tazze di the tra la propria madre ed il ragazzo parte offesa. Inoltre l'imputato ha lasciato il cellulare al ragazzo consentendogli di mandare messaggi alla ragazza, circostanza questa in contrasto con la narcotizzazione dolosa. Anche l'aver mostrato un filmato a contenuto sessuale (rapporto con altro ragazzo) alla parte offesa non è un indizio grave, per la connotazione sessuale dell'episodio.
2. 3. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, e violazione di legge, relativamente all'insignificanza delle condotte successive dell'imputato, ai fini della declaratoria della responsabilità penale.
La Corte di appello valorizza per l'affermazione della responsabilità le prime dichiarazioni dell'imputato (senza difensore) nelle quali non si era fatto riferimento al the preparato anche per la madre; inoltre l'imputato aveva negato la presenza del ragazzo a casa sua, e il ragazzo non gli avrebbe chiesto aiuto per il malore, e se fosse stato in buona fede avrebbe subito posto rimedio al malore, chiamando i soccorsi.
Il ragazzo arrivava a casa dell'imputato già prevenuto, come da lui stesso dichiarato. Il ricorrente si è impaurito dal malessere del ragazzo e quindi ha nascosto la circostanza per evitare conseguenze, per sola paura. L'uso del farmaco per la madre, precedente e continuo, rassicurava del resto l'imputato da conseguenze infauste per il ragazzo.
2. 4. Violazione di legge, art. 609 bis c.p., comma 3.
La circostanza dell'art. 609 bis c.p., u.c., avrebbe dovuto riconoscersi poichè il ragazzo aveva quasi 18 anni (mancavano solo 37 giorni) ed era fidanzato, e quindi con una maturità sessuale derivante dal rapporto di fidanzamento.
Inoltre la completa narcotizzazione avrebbe coartato in misura minima la sfera sessuale del ragazzo, perchè incosciente al momento degli atti sessuali. Il rapporto sessuale inoltre sarebbe stato senza penetrazione, come riconosciuto dalla sentenza impugnata.
2. 5. Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla desistenza volontaria.
La Corte di appello si limita a ritenere che l'imputato aveva negato la presenza del ragazzo con lui ai suoi familiari, che erano andati a cercarlo dopo i messaggi di aiuto. Questo non è sufficiente per escludere la desistenza volontaria. Inoltre il tempo trascorso prima dell'arrivo di M. senza la consumazione di atti sessuali, avrebbe dovuto far ritenere la desistenza volontaria.
2. 6. Violazione di legge, omesso accertamento della capacità di intendere e di volere.
In atti era presente una certificazione medica relativa ad accertamenti sulla capacità al lavoro del ricorrente. Ciò avrebbe dovuto far sorgere dei dubbi sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato, non superabili con la scelta del rito abbreviato. L'accertamento doveva essere disposto d'ufficio.
2.7. Violazione di legge, relativamente al trattamento sanzionatorio.
Eccessivo è il trattamento sanzionatorio, la riduzione per l'art. 56 c.p., è stata effettuata non nella misura massima. Avrebbe dovuto applicarsi il minimo edittale in relazione ai fatti.
2. 8. Violazione di legge, errata applicazione delle pena accessorie ex art. 609 nonies c.p., per il delitto tentato.
Il delitto tentato è un titolo di reato autonomo, e quindi non dovevano trovare applicazione le pene accessorie, e la misura di sicurezza, previste solo per i reati consumati.
Ha chiesto pertanto l'annullamento della decisione impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è inammissibile perchè i motivi di ricorso sono manifestamente infondati e ripetitivi dei motivi di appello senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata.
Inoltre il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità del minore parte offesa.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa. Quindi la sentenza non presenta vizi logici per un eventuale intervento di legittimità.
Infatti, in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).
4. 1. Nel nostro caso le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l'attendibilità della persona offesa, e individuano anche precisi riscontri (anche se non necessari), quali l'arrivo a casa del ricorrente del padre della fidanzata della parte offesa (il ragazzo aveva chiesto aiuto, comprendendo di essere stato narcotizzato) e le negazioni reiterate della presenza del ragazzo in casa; il ricorrente solo alla minaccia di intervento dei Carabinieri ammette la presenza in casa del ragazzo. Il M. (padre della fidanzata della parte offesa) insieme a A.E. direttamente ha constatato le condizioni del ragazzo che non era in grado di reggersi da solo, nè di rispondere alle domande che gli venivano rivolte. La Corte di appello logicamente motiva, senza contraddizioni, che non di errore di scambio della tazza del the - con dentro il narcotico - si era trattato, ma di somministrazione volontaria per il compimento di atti sessuali, al momento dell'incoscienza totale del ragazzo, che quindi non era assolutamente consenziente. Infatti egli aveva sempre rifiutato le proposte del ricorrente. Infine le dichiarazioni degli altri ragazzi ( V. e C.) sulla medesima esperienza di incoscienza subita in compagnia del ricorrente. Nel ricorso si sostiene che i due ragazzi non abbiano riferito con certezza della somministrazione di alcol e di narcotici, ma si limita ad una contestazione generica sulla motivazione della decisione, e del resto non allega i verbali delle deposizioni.
Il ricorso per Cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, al fine di verificare la corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione. (Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016 - dep. 27/04/2017, Saccomanno, Rv. 26980101).
5. Il ricorrente, quindi, nel suo ricorso esprime solo dubbi soggettivi, ipotesi teoriche, non valutabili in sede di legittimità (vedi espressamente Cassazione, Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409: "La regola dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali").
6. Adeguata, e senza contraddizioni o manifeste illogicità, è la motivazione sulla applicabilità o no della minore gravità, art. 609 bis c.p., comma 3, in quanto la Corte di appello, applica correttamente i principi in materia derivanti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, e valuta il livello complessivo di offensività del fatto "...dovendosi tener conto oltre al limitato livello di sviluppo psico fisico della vittima, ancora minorenne ed alla notevole coartazione esercitata con la somministrazione del narcotico soprattutto del fatto che il M. non aveva mostrato alcun interesse per i rapporti omosessuali".
In tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità.
(Fattispecie nella quale la Corte ha escluso che la reiterazione degli abusi nel tempo, in quanto approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l'interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, possa essere compatibile con la "minore gravità" del fatto). (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D, Rv. 26627201).
7. Molto genericamente il ricorrente ritiene l'omissione di accertamenti sulla sua capacità di intendere e di volere, che avrebbero dovuto effettuarsi d'ufficio, pure in presenza di un giudizio abbreviato.
La richiesta di perizia psichiatrica per l'accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è in astratto inconciliabile con il rito abbreviato, la cui ammissione presuppone che l'imputato abbia la piena capacità di intendere e di volere; spetta tuttavia al giudice la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto personale incompatibile con l'esistenza di vizi di mente, per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, la meritevolezza della richiesta di perizia psichiatrica. (Fattispecie di giudizio abbreviato per reati sessuali, nella quale la S.C. ha ritenuto non illogico il rigetto della richiesta di perizia formulata dalla difesa in sede di discussione, fondato dal giudice di merito sulla rilevata mancanza di relazione fra i comportamenti sessuali accertati e l'esistenza di patologie o disturbi incidenti sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato). (Sez. 3, n. 55301 del 22/09/2016 - dep. 30/12/2016, H, Rv. 26853201).
Del resto i confini della aggressività sessuale con la patologia comportante vizio totale o parziale di mente sono quanto mai labili: "I confini della degenerazione patologica e della normalità nel delitto sessuale sono quanto mai labili. E anche vero che l'interdipendenza tra fattori fisici e coefficienti di natura psicologica nel campo della sessualità è di ostacolo alla apodittica affermazione che talune manifestazioni di sessualità siano sempre espressione di stati passionali o emozionali. Neppure può escludersi che lo stato emotivo sia dovuto ad alterazioni temporanee del processo determinativo della volontà per l'influenza di fattori emotivi ed a sfondo patologico. In questi ultimi casi e evidente che l'applicazione giudiziaria debba tener conto di codeste cause organiche morbose della deviazione sessuale. Può infine il delitto sessuale essere espressione di particolare aggressività e perciò manifestazione di costituzione delinquenziale, di tendenza, di predisposizione da valutarsi sul piano complessivo non solo dell'imputabilità, ma della colpevolezza, della capacita criminale e di quella sociale" (Sez. 3, n. 2439 del 25/08/1964 - dep. 11/11/1964, POLACCI, Rv. 9931701).
Tuttavia nel caso in giudizio non risulta una richiesta di perizia psichiatrica da parte dell'imputato, e nè i giudici d'ufficio hanno disposto accertamenti (anche perchè sono mancati motivi di appello sul punto).
L'omessa richiesta di perizia sulla capacità di intendere e di volere, nel corso del giudizio di merito, rende palesemente inammissibile il motivo in sede di legittimità, poichè per la determinazione sulla necessità o no della perizia necessitano valutazioni di merito - di fatto (come sopra visto) incompatibili con il giudizio di legittimità.
Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: "La richiesta di perizia psichiatrica per l'accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è in astratto inconciliabile con il rito abbreviato, la cui ammissione presuppone che l'imputato abbia la piena capacità di intendere e di volere; spetta tuttavia al giudice di merito la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto personale incompatibile con l'esistenza di vizi di mente, per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, l'ammissione della richiesta di perizia psichiatrica, anche in relazione alle modalità e alla serialità reiterata nel tempo delle condotte di aggressione alla sfera sessuale, e alla lucida e intelligente azione di adescamento compiuta con metodi fraudolenti che in concreto potrebbe risultare inconciliabile con un vizio di mente, parziale o totale; tuttavia se nessuna richiesta è effettuata ai giudici di merito, e nessun accertamento è stato disposto d'ufficio, la relativa questione risulta inammissibile se proposta per la prima volta in sede di legittimità, in quanto sono necessarie valutazioni di merito sopra viste - incompatibili con il giudizio di legittimità".
8. Sul trattamento sanzionatorio la Corte di appello ha adeguatamente motivato ritenendo non concedibile nel massimo la riduzione di pena "... esclusa fermamente la concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dei precedenti penali dello Z., comunque denotanti personalità adusa alla violazione delle regole di buona condotta, la pena dalla quale partire per operare la sintetica riduzione per la fattispecie tentata del delitto aggravato... viene fissata in misura superiore al minimo edittale del delitto consumato (anni 7 invece di anni 6); la riduzione ex art. 56 c.p. non può essere massima, vale a dire di 273; invero, benchè l'attività sessuale vera e propria non fosse iniziata, la condotta criminosa si è protratta per ore, con la sofisticata preparazione del delitto (invito con un pretesto, sistemazione nella camera da letto, visioni di immagini relative a rapporti omosessuali, somministrazione subdola del farmaco, rimozione delle scarpe con approfitta mento di circostanze di luogo - abitazione privata- per agire indisturbato); si riduce, pertanto la pena principale ad anni 3 e mesi 3 di reclusione, diminuita di 173 ad anni 2 e mesi 2 in ragione del rito prescelto".
Sul punto il ricorso è estremamente generico limitandosi a richiedere la pena minima edittale.
In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena. (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 - dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 - dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 - dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401).
9. Anche l'ultimo motivo del ricorso, di stretta legittimità, è manifestamente infondato. Per il delitto tentato operano le pene accessorie previste dall'art. 609 nonies c.p., stante la ratio delle stesse.
Sul punto, infatti, può esprimersi il seguente principio di diritto "Pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, non può ritenersi che in ogni caso, quando la legge si limita a fare riferimento alla ipotesi tipica, debba ritenersi esclusa quella tentata, dovendosi invece aver riguardo alla materia cui la legge si riferisce e alla sua "ratio" onde stabilire se sia compresa o no l'ipotesi del tentativo. Nel caso delle pene accessorie per i reati contro la libertà personale di natura sessuale, considerato il particolare rigore del legislatore sulle sanzioni accessorie, non sarebbe logico escludere le ipotesi caratterizzate dal solo tentativo, che, ancorchè meritevoli di una pena principale meno grave, per il generale principio posto dall'art. 56 c.p., comunque postulano l'applicazione delle pene accessorie ai fini della tutela contro reiterazioni di comportamenti di aggressione alla libertà personale di natura sessuale (vedi, per la fattispecie analoga di cui all'art. 317 bis c.p., Sez. 6, n. 8148 del 26/03/1992 - dep. 22/07/1992, Pellegrini ed altro, Rv. 19140201 e Sez. 6, n. 9204 del 17/01/2005 - dep. 09/03/2005, Mancini ed altro, Rv. 23076501; per la sanzione accessoria della rimozione dal grado, art. 230 c.p.m.p., comma 3, vedi Sez. 1, n. 34368 del 15/07/2009 - dep. 07/09/2009, P.G. in proc. Di Castro, Rv. 24481801; per la pubblicazione della sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 515 c.p., prevista dall'art. 518 c.p., Sez. 3, n. 24190 del 24/05/2005 - dep. 27/06/2005, Bala, Rv. 23194701).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile M.M.N. che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 del in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2017