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Impugnazione post Cartabia ai soli effetti civili (Cass. 2854/23)

24 gennaio 2023, Cassazione penale

L'art. 573 c.p.p., comma 1-bis, entrato in vigore il 30 dicembre 2022 ai sensi dell'art. 6, d.l. n. 162/2022 prevede che «quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile»: tale disposizione è immediatamente applicabile ai giudizi pendenti. 

 

Cassazione penale

sez. IV, ud. 11 gennaio 2023 (dep. 24 gennaio 2023), n. 2854
Presidente Piccialli – Relatore Cappello

Osserva

1. La Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale cittadino, con la quale C.D. e S.P. erano stati dichiarati penalmente responsabili di furto aggravato in continuazione (in (Omissis)), il secondo anche di tentato furto aggravato (in (Omissis)), previa riqualificazione del reato di cui al capo A) in tentativo di furto per uno degli episodi in contestazione ed esclusione dell'aggravante del danno di rilevante entità, ha assolto il S. da tale episodio per non aver commesso il fatto e dichiarato non doversi procedere nei confronti del C. per estinzione del reato per prescrizione; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del S. in ordine al capo B) perché il reato è estinto per prescrizione e assolto entrambi gli imputati dalla residua imputazione di cui al capo A) perché il fatto non sussiste; ha, infine, confermato le statuizioni civili, limitatamente ai due tentativi di furto, per i quali è intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la difesa della parte civile FCA Italy S.p.A., formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto vizio della motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza dell'elemento oggettivo del reato di furto, richiamando il principio per il quale, anche in caso di ribaltamento di una sentenza di condanna, il giudice del gravame è tenuto a delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento probatorio e a confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della sentenza di primo grado, spiegando le ragioni della ritenuta incompletezza o incoerenza. Nella specie, invece, i giudici d'appello avrebbero fondato il revirement su una sistematica svalutazione dei numerosi elementi, parcellizzando il compendio probatorio.

3. Gli atti vanno rimessi al primo Presidente di questa Corte di cassazione, all'esito della pubblica udienza, affinché valuti l'assegnazione del procedimento alle sezioni civili di questa stessa Corte, a norma dell'art. 573, c. 1-bis, c.p.p.. 4. D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150 art. 33, c. 1, lett. a), n. 2, ha modificato l'art. 573, c.p.p., inserendo il comma 1-bis, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell'art. 6 del D.L. n. 162 del 2022, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.

A mente del testo normativo introdotto con la novella, "Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".

5. In via preliminare, va precisato che non si versa in ipotesi di inammissibilità del ricorso. Pertanto il rapporto impugnatorio deve considerarsi validamente instaurato dalla parte ricorrente (Sez. U. n. 23428 del 22/3/2005, Braca/e, Rv. 231164; sez. 6 n. 25807 del 14703/2014, Rv. 259202; sez. 1 n. 6693 del 20/01/2014, Rv. 259205). Nella specie, le sottrazioni e i tentativi di sottrazione contestati agli imputati avevano riguardato quantitativi di lamierino (scarto di lavorazione prodotto da FIAT Mirafiori e da questa venduto a D. s.r.l.) che la ditta L.Z. s.r.l. (della quale i due imputati erano dipendenti, con mansioni di autisti) era stata incaricata di trasportare alla ditta acquirente, prelevandoli presso la venditrice. I contestati ammanchi (pari a 1159 tonnellate di scarti di lamierino per un valore di 337.000 Euro), secondo l'impostazione accusatoria recepita dal primo giudice e, in parte, dal secondo, sarebbero stati realizzati attraverso un sistema messo in atto separatamente dai due imputati, nel corso del servizio di trasporto nel quale si erano avvicendati, mediante fraudolente operazioni di pesatura del carico trasportato sul semirimorchio che non veniva sganciato dalla motrice, sulla quale, dunque, veniva in parte redistribuito il carico di scarti di lamierino acquistato dalla D.. L'originaria ipotesi d'accusa (per la quale i due autisti avrebbero agito di concerto tra di loro e con C.M., amministratore di L.Z. s.r.l. e mandante dei reati, quanto al capo A, il solo S. in concerto con C.M. quanto al tentativo di cui al capo B)) è stata rivista dal Tribunale che ha escluso la prova della consapevolezza di quest'ultimo in ordine alle condotte dei suoi dipendenti e, quindi, non acquisita la prova certa che il lamierino potesse essere trasportato altrove e non presso la ditta L.Z. s.r.l. L'assoluzione dal capo A), escluso l'episodio di tentativo attribuito al solo C., era dipesa dal fatto che, venuta meno la figura del mandante e beneficiario della condotta, era venuto meno per i giudici d'appello anche il necessario "collante" tra i due autisti. In difetto della prova di un accordo illecito tra costoro (avendo essi effettuato trasporti in periodi differenti), ma anche di rapporti di diversa natura e di elementi utili a chiarire l'eventuale destinazione comune della refurtiva o della sua concordata utilizzazione successiva, ognuno dei due imputati non poteva essere chiamato a rispondere a titolo di concorso morale per i viaggi materialmente gestiti dall'altro e, dunque, per le complessive 1159 tonnellate di ammanco. La Corte territoriale, pur avendo considerato provata l'esistenza degli ammanchi, ha ritenuto non raggiunta la prova della attribuzione di tutti al sistema della pesata fraudolenta: il criterio spiegato in sede testimoniale, infatti, dava conto di un calcolo deduttivo e ipotetico, a fronte dell'unico dato accertato, vale a dire la pesatura registrata soltanto il 21 febbraio 2021 (non essendoci stato nelle altre due situazioni un controllo effettivo); tale dato costituiva la prova del tentativo di furto (di Kg. 3070, quale differenza tra la pesata in entrata e quella in uscita), ma non anche degli altri episodi, rispetto ai quali era stato valorizzato tale elemento e quello indiziario costituito dal peso normalmente registrato per il mezzo condotto dal C..

Lo stesso Tribunale, del resto, aveva ritenuto che le verifiche condotte dall'azienda non fossero sufficienti ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che tutti gli ammanchi erano riconducibili a dette pesate, essendovi stato solo in alcuni casi un riscontro e non essendosi protratte le indagini per tutto il periodo in contestazione, pur addivenendo alla contraddittoria conclusione che una parte significativa di essi fosse dipesa dal sistema delle pesate fraudolente. Conclusione che, pur dotata di una certa verosimiglianza, alla luce dei riscontrati ammanchi e delle anomalie nelle pesature registrate in almeno altre due occasioni, ma non verificate, è stata ritenuta congetturale dai giudici d'appello e inidonea a condurre ad una affermazione di colpevolezza.

L'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 7, c.p., infine, è dipesa dalla delimitazione dell'unica condotta per la quale si è ritenuta la prova certa, vale a dire il tentativo di furto di Kg. 3.070 di lamierino posto in essere il 21 febbraio 2012. Dal canto suo, la difesa, con il ricorso, ha rilevato la contraddittorietà del ragionamento condotto dai giudici d'appello, i quali avrebbero ritenuto erroneamente mancante la prova della quantità di lamierino sottratto, affermando che la stessa era la risultante di un calcolo deduttivo e ipotetico del primo giudice.

Al contrario, il dato era emerso dalla istruttoria, avendo i testi G. e T. spiegato il sistema in base al quale si poteva determinare con precisione il quantitativo di lamierino prodotto (in base, cioè, alla semplice operazione aritmetica di sottrarre dal peso della lamiera lavorata il peso dei prodotti finiti o, come effettuato dall'accusa, sottraendo dal quantitativo di lamierino prodotto quello venduto alla D.).

Parimenti, non poteva affermarsi, come aveva fatto la Corte territoriale, l'impossibilità di stabilire con certezza che tutti gli ammanchi fossero conseguenza del sistema fraudolento attribuito ai due imputati: i giudici territoriali avevano, infatti, omesso di considerare che le anomalie riscontrate per il C. erano state più di due (esattamente quelle del 15/2/2012, del 20/2/2012 e del 21/2/2012), cadendo in una palese contraddizione allorquando hanno ritenuto sussistente la prova dei molteplici ammanchi riconducibili a pesature fraudolente del C., assolvendolo però dagli episodi per i quali non vi era stata registrazione del carico. Ragionamento contraddittorio che, secondo la difesa, la Corte d'appello avrebbe replicato per il S., rtienendone il dolo per il tentativo di furto, desumendolo dalla sua esperienza nelle operazioni di pesatura e dall'episodio del 24/4/2012, in cui la motrice non era stata staccata dal rimorchio. I giudici d'appello, inoltre, non si sarebbero confrontati con i numerosi elementi significativi esposti nella sentenza appellata: non erano emerse anomalie di altro tipo che potessero giustificare gli ammanchi; era stato accertato che solo la ditta L.Z. s.r.l. adottava quel sistema di pesatura, altre utilizzando quello più sicuro della pesatura sia in ingresso che in uscita che riduceva la possibilità di errore o di azioni fraudolente; era emerso che, durante il periodo considerato in imputazione, i trasporti erano stati effettuati dalla sola ditta, della quale i due autisti imputati erano dipendenti.

5. Tanto premesso, una volta ritenuta la non manifesta infondatezza del motivo di ricorso, alla stregua della prospettazione sopra riportata, con la quale si è adeguatamente introdotto il tema generale della difformità delle sentenze di merito, nello specifico in senso favorevole all'imputato e della portata dell'obbligo del giudice d'appello di offrire una motivazione puntuale e adeguata della conclusione adottata, in difetto di disposizioni disciplinanti il regime transitorio sull'applicabilità della norma di cui all'art. 573, c. 1-bis, c.p.p., si pone certamente un problema di successione di leggi nel tempo in ordine alla operatività della norma che incide sulla portata della competenza a decidere l'impugnazione introdotta dalla sola parte civile nel processo penale, nel quale non è stata pronunciata condanna. Il fenomeno successorio delle leggi, nel campo del diritto processuale penale, è regolato dal principio tempus regit actum, la corretta applicazione del quale presuppone evidentemente l'esatta individuazione dell'actum che, da un lato, non può esser considerato l'intero processo (siccome concatenazione di atti), pena la stessa vanificazione del principio; dall'altro, non può che risentire della variegata tipologia di atti processuali che possono venire in rilievo, cosicché non potrà che essere modulata in relazione alle diverse situazioni sulle quali va a incidere e che devono essere regolate.

Il principio si ricava, intanto, dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale - in mancanza di specifica disposizione transitoria che statuisca in senso contrario impone di fare riferimento alla normativa vigente nel momento in cui deve essere svolta l'attività processuale oggetto di modifica. Esso significa, pertanto, che la validità degli atti è regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione (sul punto, sez. 5, n. 15666 del 16/4/2021, Duric, in motivazione) e comporta che i singoli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento e non da quella vigente all'epoca di instaurazione del giudizio (sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, Rv. 275201, in fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto tardiva la richiesta del pubblico ministero di rinnovazione dell'istruttoria, omettendo di considerare che, essendosi celebrato l'appello nel vigore del novellato art. 603, c. 3-bis, c.p.p., il giudice era tenuto a procedere d'ufficio alla rinnovazione, sussistendone tutti i presupposti).

In quella sede, si è precisato che, ai fini dell'applicazione del principio, occorre distinguere a seconda che si abbia a che fare con un atto processuale già perfezionatosi, che abbia già prodotto, cioè, i suoi effetti prima dell'entrata in vigore della nuova legge; ovvero con un rapporto processuale o un procedimento che si protragga nel tempo e si articoli in una pluralità di atti, ancora in atto al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina.

Nel primo caso, l'atto rimane indifferente rispetto alla nuova normativa e mantiene inalterati i propri effetti, prodottisi in conformità alla disciplina previgente, giusta il principio del "fatto esaurito"; nel secondo, ferma la perdurante validità degli effetti degli atti compiuti, gli atti del procedimento posti in essere sotto l'operatività della nuova legge non possono che essere regolati - in ossequio, appunto, al principio del tempus regit actum - dalla disciplina novellata. Pertanto, alle questioni di diritto intertemporale che si pongano in relazione, non ad un singolo atto che abbia già esaurito i propri effetti - quale quello d'impugnazione, che appunto si perfeziona con la rituale instaurazione del giudizio impugnatorio - ma ad un procedimento (quale il giudizio di impugnazione) che sia ancora in fieri, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l'atto del procedimento venga ad essere compiuto (in motivazione, sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, cit.; ma anche sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528).

6. Resta quindi da esaminare la natura della disposizione incisa dal novum legislativo.

Il legislatore delegato ha disciplinato l'ipotesi dell'impugnazione per i soli interessi civili, introducendo l'innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, ai sensi dell'art. 573, c. 1-bis cit., dopo la imprescindibile verifica, da parte del giudice penale, della non inammissibilità dell'atto. La norma, dunque, si compone oggi di due previsioni: quella generale, sostanzialmente invariata (di cui al comma 1), per la quale "L'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale", come se vi fosse anche l'impugnazione agli effetti penali del p.m. o dell'imputato (in tal senso deponendo la eliminazione dell'aggettivo "soli" nel comma 1, ad opera dell'art. 33 c. 1, lett. a), n. 1 D.Lgs. n. 150 del 2022; e quella di nuovo conio che si riferisce al caso di impugnazione proposta dalla sola parte civile (quindi, ai soli effetti civili, come specificato nella rubrica dell'articolo e nello stesso comma 1-bis). Come precisato nella relazione illustrativa al decreto attuativo, la scelta del legislatore delegato è stata orientata al risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni penali.

La norma, a ben vedere, non interviene sulla individuazione del giudice al quale va presentata la impugnazione, come pure prima facie potrebbe apparire: infatti, il trasferimento di competenza, oltre a essere limitato al caso di impugnazione della sola parte civile, è subordinato alla verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione che resta di competenza del giudice penale, come del resto avviene nella diversa ipotesi disciplinata dall'art. 578 c. 1-bis, c.p.p. (introdotto dall'art. 2, c. 2, lett. b) della L. n. 134 del 2021 e modificato dall'art. 33, c. 1 lett. b) del D.Lgs. n. 150/2022), relativo alla declaratoria di improcedibilità per superamento dei termini di cui all'art. 344 bis, c. 1 e 2, c.p.p. (in quel caso non venendo, però, in rilievo alcun problema di successione di leggi nel tempo, contenendo la legge una disposizione transitoria (art. 2, c. 3, legge citata) che ne prevede l'applicazione ai soli procedimenti di impugnazione con oggetto reati commessi a partire dal 1 gennaio 2020). Il rinvio a tale disposizione è utile per comprendere la scelta di fondo del legislatore, come evidenziata nella relazione illustrativa al decreto attuativo, quella cioè di individuare una "terza via", mediana rispetto alla soluzione di lasciare al giudice penale il compito di decidere sulla domanda risarcitoria e a quella di imporre una riproposizione della domanda al giudice civile di primo grado, intesa a ridurre il carico di lavoro del giudice penale nella fase delle impugnazioni, assicurando comunque il diritto della parte civile a una decisione sull'azione risarcitoria in tempi non irragionevoli. L'opzione legislativa, peraltro, una volta intervenuto il giudicato sui capi penali, si pone a valle di un percorso esegetico già tracciato dalla giurisprudenza costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 182 del 2021: in quella sede, dichiarata l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 578, c.p.p., sollevate in riferimento all'art. 117, c. 1, Costituzione, in relazione all'art. 6, paragrafo 2, CEDU, allo stesso art. 117, c. 1 e all'art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'art. 48 Carta di Nizza, il giudice delle leggi ha precisato che, nelle ipotesi disciplinate dalla norma (estinzione del reato per amnistia e prescrizione), per non incorrere in violazioni della presunzione d'innocenza dell'imputato, è necessario restringere l'oggetto dell'accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. E', dunque, in tale solco che va a collocarsi la nuova disciplina dei rapporti tra improcedibilità del processo penale e azione civile e la scelta del legislatore di trasferire, in caso di valida instaurazione del rapporto di impugnazione, la competenza a decidere i soli effetti civili al giudice civile: venuto meno il collegamento tra la pretesa risarcitoria e il processo penale, la tutela degli interessi civili sarà assicurata dalla traslatio della domanda civile nella sua sede naturale, in tal mondo realizzandosi l'esigenza che informa tutta la riforma del processo penale, improntata alla riduzione del carico lavorativo dei giudici della impugnazione penale, ferma restando la tutela degli interessi civili. La ragione di tale scelta si rinviene nel fatto che, a fronte della definitività dei capi della decisione inerenti all'accertamento penale, la sede naturale per la prosecuzione del giudizio per gli interessi civili non può che essere quella civile (cfr. pag. 161 della relazione dell'Ufficio del Massimario del 5 gennaio 2023).

7. Poste tali coordinate, per risolvere il profilo di diritto transitorio, questa Corte ha anche valutato i principi affermati dal massimo organo di nomofilachia, con riferimento alla individuazione del momento in cui il giudizio d'impugnazione deve essere governato dalla lex superveniens. Per scongiurare esiti irragionevoli, infatti, deve farsi riferimento alla pronuncia dell'atto impugnato e non alla presentazione dell'impugnazione, posto che solo rispetto al tempus del suo perfezionamento possono essere apprezzati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla (Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537). Sebbene il caso sul quale è intervenuto quel dictum sia diverso da quello in esame, come si andrà a precisare, si rinvengono nella decisione principi rilevanti in questa sede. Il Supremo collegio (chiamato a dirimere un contrasto circa la applicabilità, ai procedimenti in corso e in difetto di norma transitoria, dell'art. 9 della L. n. 46 del 2006 che aveva abrogato l'art. 577, c.p.p., cioè il potere eccezionale della parte civile di proporre gravame agli effetti penali nei casi di ingiuria e diffamazione) ha esplicitamente evocato l'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dalla parte in relazione alla "fissità del quadro normativo", onde scongiurare che diritti eventualmente già maturati, pur non ancora esercitati, subiscano l'incidenza di mutamenti legislativi improvvisi che vanno a depauperare posizioni processuali acquisite, aggiungendo che l'atto di impugnazione, pur istantaneo, è in realtà la risultante di una attività preparatoria più lunga che si avvia con il sorgere stesso del diritto ad impugnare, a sua volta strettamente collegato alla pronuncia della sentenza. In quel caso, dunque, era in causa la sussistenza stessa del diritto a impugnare e venivano certamente in gioco le aspettative del titolare del relativo diritto nel momento in cui aveva optato per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale. Nel caso in esame, questa esigenza non sussiste. L'immediata operatività della norma novellata, infatti, non lede in alcun modo il principio di affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti e della conoscenza del momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli. La parte civile non perde, né vede minacciato il suo diritto all'accertamento del danno e all'eventuale riconoscimento della pretesa risarcitoria, restando tale posizione sostanzialmente invariata, a prescindere dall'assegnazione della cognizione al giudice penale o civile, rispetto all'eventualità di un accertamento dell'illecito in sede civile. Inoltre, il giudice civile decide utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (art. 573, c. 1-bis, ultimo periodo). Con il trasferimento dell'appello o del ricorso al giudice civile, l'oggetto dell'accertamento non cambia, ma si restringe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è implicita in quella risarcitoria da illecito penale (il secondo implicando il primo). Non vi sarebbe, pertanto, alcuna modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile, avendo il legislatore previsto la "prosecuzione" davanti alla sezione civile competente di questa Corte (o, per il caso di appello, davanti al giudice o alla sezione civile competente). A risultato non dissimile, peraltro, si giunge anche a voler ritenere che la decisione sui soli interessi civili resti di competenza del giudice dell'impugnazione penale, con riferimento ai provvedimenti già resi o alle impugnazioni già proposte prima del 30 dicembre 2022. Anche in questo caso, infatti, la cognizione del giudice dell'impugnazione penale sarebbe funzionale alla conferma delle sole statuizioni civili, attraverso il completo esame dei motivi di impugnazione, al fine di verificare l'esistenza dei requisiti costitutivi dell'illecito civile che fonda l'obbligazione risarcitoria o restitutoria. Il giudice penale dell'impugnazione, dunque, sarebbe chiamato ad accertare solo la fattispecie aquiliana, senza alcun riferimento a profili inerenti alla responsabilità penale dell'imputato, tenuto conto delle coordinate interpretative poste dal giudice delle leggi (come sopra richiamate), ma anche delle applicazioni concrete già operate dalla giurisprudenza di questa Corte. E' già stato affermato, infatti, che il giudice penale, allorquando è chiamato a decidere sulle questioni civili, deve utilizzare la regola di giudizio della probabilità prevalente, in luogo di quella fissata nell'art. 533, c. 1, c.p.p. (sez. 2, n. 11808 del 14/1/2022, Restaino, Rv. 283377) e che, in caso di rinvio al giudice civile individuato a norma dell'art. 622, c.p.p., trovano applicazione le regole processuali e probatorie proprie del processo civile, atteso che l'accertamento richiesto al giudice del "rinvio" ha ad oggetto gli elementi costitutivi dell'illecito civile, prescindendosi da ogni apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilità penale dell'imputato, non potendo la Corte di cassazione penale neppure enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile del rinvio dovrebbe uniformarsi (Sez. U, n. 22065 del 4/6/2021, Cremonini, in motivazione). 8. Pertanto, ritiene il Collegio che la norma in esame sia immediatamente applicabile ai giudizi pendenti. Il giudice al quale proporre l'impugnazione, infatti, resta quello penale anche nel caso di appello o ricorso presentati ai soli effetti civili.

La sua competenza, tuttavia, è circoscritta alla sola verifica della ammissibilità dell'impugnazione, dal positivo vaglio della quale deriva, quale effetto automatico, la prosecuzione del processo davanti al giudice civile. E' questo l'actum che va regolato dalla norma di nuovo conio. Trattasi di decisione che non dipende dall'impugnazione che continua, infatti, ad essere proposta al giudice penale, non avendo il legislatore nulla innovato sul punto specifico. A sostegno della immediata operatività militano numerose ragioni. Intanto, il difetto di una disposizione transitoria: il legislatore, ove ha inteso regolamentare la successione di leggi processuali nel tempo, lo ha fatto (come nel caso disciplinato dall'art. 578 c. 1-bis, c.p.p.), in ragione di evidenti ricadute di tipo organizzativo e di sistema che, viceversa, non sono prospettabili con riferimento alla norma in esame. La decisione si pone in linea con la ratio della riforma e con le ragioni sottese alla sua attuazione, come desumibili dalla richiamata relazione illustrativa, da ravvisarsi nella scelta di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni. Essa, inoltre, è coerente con i principi elaborati dal giudice delle leggi in ordine all'oggetto dell'accertamento che, in nessun caso, potrà più riguardare profili inerenti alla responsabilità penale. Infine, non sussistono esigenze di tutela di ragioni di affidamento della parte impugnante, nei termini evidenziati dalle Sezioni Unite Lista del 2007, poiché il giudice al quale l'impugnazione va proposta resta quello penale e anche la regola di giudizio è invariata (dal che deriva che nessun pregiudizio soffrono tutte le parti processuali).

P.Q.M.

Visto l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. rimette gli atti al Primo Presidente in sede per l'eventuale assegnazione alle sezioni civili di questa Corte.